Sentenza n.175 del 1980
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SENTENZA N.175

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 28 della legge 4 marzo 1952, n. 137 e dell'art. 2 della legge 25 luglio 1971, n. 568 (iscrizione di cittadini italiani profughi agli Albi degli Avvocati e Procuratori), promossi con ordinanze emesse il 25 maggio 1978 e il 29 marzo 1979 dal Consiglio Nazionale Forense sui ricorsi proposti da Manti Lorenzo e da Granara Paolo, iscritte rispettivamente ai nn. 255 e 707 del registro ordinanze 1979 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 147 e 345 del 1979.

Visti l'atto di costituzione di Manti Lorenzo e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 15 ottobre 1980 il Giudice relatore Oronzo Reale;

uditi l'avv. Franceschino D'Apice per Manti Lorenzo e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Le due ordinanze del Consiglio Nazionale Forense sollevano la medesima questione di legittimità costituzionale, ancorché la prima, emessa in sede di rinvio, si riferisca all'articolo 28 della legge 4 marzo 1952, n. 137 e all'art. 2 della legge 25 luglio 1971, n. 568, e la seconda si riferisca solo al citato art. 2. Le cause possono dunque essere riunite e decise con unica sentenza.

2. - L'art. 28 della legge n. 137 del 1952 disponeva che i profughi che intendono riprendere, nel comune nel quale vogliono stabilire la loro residenza, l'attività < già esplicata nei territori di provenienza >, hanno diritto ad ottenere la concessione della iscrizione negli Albi professionali < anche in deroga alle vigenti disposizioni >. L'art. 2 della legge 568 del 1971 sostituisce il testo del citato art. 28, specificando che deve trattarsi di attività < già legalmente esplicata > e di deroga < alle vigenti disposizioni legislative >.

In relazione alla domanda di iscrizione agli Albi degli Avvocati e dei Procuratori presentata da Lorenzo Manti né il Consiglio dell'Ordine di Livorno, né, nella sua prima decisione (15 luglio 1976), il Consiglio Nazionale Forense avevano ritenuto che, in base alle dette disposizioni di legge, il Manti avesse diritto alla iscrizione. Le Sezioni Unite della Cassazione, accogliendo il ricorso del Manti, avevano invece dichiarato che le stesse disposizioni di legge (cioè l'art. 28 della legge 137 del 1952 come modificato dall'art. 2 della legge 568 del 1971) consentivano l'accoglimento della domanda di iscrizione del Manti.

In sede di rinvio il Consiglio Nazionale Forense con l'ordinanza n. 255 del l979 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale di entrambi i testi di legge, intendendo in realtà riferirsi (come doveva, anche per l'espresso avvertimento risultante dalla sentenza della Cassazione) all'unico testo vigente, cioè a quello dell'art. 28 come modificato dall'art. 2.

3. - Nell'ordinanza di rimessione la questione viene sollevata in primo luogo riferendola all'art. 3 della Costituzione, con l'erronea affermazione che le norme impugnate consentono al profugo l'iscrizione agli Albi professionali < in deroga a tutte le disposizioni di legge, non escluso quindi lo stesso art. 33 della Costituzione che al quinto comma prevede l'esame di laurea come atto terminale degli studi universitari per l'abilitazione all'esercizio professionale >; dal che conseguirebbe < un trattamento di disparità nei confronti di tutti gli altri cittadini che, come prescritto dalla legislazione vigente, sono tenuti a sostenere l'esame di laurea come atto terminale degli studi universitari per l'abilitazione all'esercizio professionale >.

Anche a prescindere dall'inesatto riferimento sia della norma ordinaria da applicare, sia dell'art. 33 della Costituzione, che per l'abilitazione professionale prescrive < un esame di Stato >, la questione in relazione all'art. 3 Cost. non è fondata. A dimostrarlo basta la considerazione che le situazioni che vengono poste a confronto (quella del profugo non volontario e quella del comune cittadino dello Stato) sono ben diverse, tanto che lo stesso Consiglio Nazionale Forense riconosce < apprezzabili le ragioni che hanno indotto il legislatore a creare norme di agevolazione nei confronti dei profughi >. Riconoscere che questo trattamento è ragionevole, significa riconoscere che non c'é violazione dell'art. 3 della Costituzione.

4. - Vero é, peraltro, che l'ordinanza di rimessione denunzia essenzialmente la violazione dell'art. 33, comma quinto, della Costituzione.

< Le finalità assistenziale e sociale della norma in discussione vi si legge non possono essere recepite prima che venga allontanato il motivo che fa dubitare della loro incostituzionalità in riferimento al comma quinto dell'art. 33 della Costituzione >, il quale richiede, < per il professionista, il riscontro obiettivo e legale della presenza dei requisiti essenziali di natura tecnica e pratica, che possono essere accertati solo attraverso l'esame di Stato >.

In questi termini la questione è fondata.

La Corte nella recente sentenza n. 174 del 1980 ha ribadito che il legislatore ordinario e vincolato dalla prescrizione costituzionale di un esame di Stato per accertare l'attitudine all'esercizio di una professione, sebbene sia demandato allo stesso legislatore ordinario di determinare i criteri e il contenuto di questo esame, purché esso soddisfi ragionevolmente l'esigenza di quell'accertamento della capacità professionale cui l'esame di Stato è finalizzato.

Ora la norma della cui costituzionalità si dubita, anche nella versione più restrittiva determinata dall'art. 2 della legge n. 568 del 1971, si limita a porre come condizione della iscrizione negli Albi professionali la mera esplicazione legale della professione nei territori di provenienza senza nulla richiedere e precisare intorno alle condizioni, compreso il superamento di un esame di Stato, alle quali è subordinato l'accesso della professione nel territorio di provenienza. In tal modo manca ogni garanzia di quell'accertamento preventivo dei requisiti di preparazione e capacità che la Costituzione italiana prescrive per l'abilitazione all'esercizio professionale. Il mero fatto che una attività professionale sia stata consentita ed esercitata in un qualunque territorio di provenienza del profugo, senza quell'accertamento, perfino senza un titolo di studio nella materia attinente alla professione (cioé quanto, e null'altro, è richiesto dalla norma denunciata), non può essere ritenuto sufficiente a integrare il rispetto della prescrizione costituzionale.

Nella già citata sentenza n. 174 del 1980, la Corte ha ritenuto che il legislatore ordinario ben poteva modellare l'esame di Stato costituzionalmente richiesto, determinandone razionalmente la portata e il contenuto; e perciò ben poteva ammettere all'esercizio della professione di procuratore e di avvocato il magistrato (nella specie: militare) che aveva già sostenuto per accedere alla magistratura un esame di concorso equipollente a quello prescritto dalla legge forense.

Ma la norma denunciata consente l'iscrizione dei profughi agli Albi professionali senza richiedere che sia avvenuto, nello Stato di provenienza, alcun accertamento della capacità professionale equipollente a quello richiesto dalla Costituzione italiana. La stessa Avvocatura dello Stato che pure conclude per la infondatezza della questione riconosce che, < certamente, spetta al legislatore ordinario valutare la serietà e congruenza di tali titoli esteri >. Ma soggiunge che < nella specie tale valutazione è stata compiuta dal legislatore ordinario >: il che non è vero, come sopra si è detto.

Da ciò la fondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata, in relazione all'art. 33, comma quinto, della Costituzione, dal Consiglio Nazionale Forense con la prima ordinanza (n. 255 del 1979).

5. - Altrettanto è a dirsi della questione sollevata dallo stesso Consiglio Nazionale Forense con la seconda ordinanza (n.707 del 1979, nel procedimento concernente Paolo Granara), che è identica a quella innanzi esaminata, anche nei parametri (artt. 3 e 33, quinto comma, della Costituzione) ai quali viene riferita e con la sola, già notata, differenza che la norma impugnata è indicata come art. 2 della legge n. 568 del 1971, il che nulla cambia quanto alla sua identificazione: trattasi sempre dell'art. 28 della legge n. 137 del 1952 nel testo sostituito dal citato art. 2 della legge n. 568.

Anche in questa seconda ordinanza alla norma viene imputata la violazione dell'art. 3 Cost., per il differente trattamento che essa stabilisce, rispetto a tutti gli altri cittadini, in favore dei profughi esentati dall'esame di Stato per accedere alla professione; e la violazione dell'art. 33, quinto comma, della Costituzione, per il fatto che la norma consente ai profughi < l'esercizio di attività professionali, sulla cui importanza e delicatezza è inutile soffermarsi, senza il previo superamento del prescritto, tassativo esame di Stato >.

Le questioni sono quindi identiche a quelle più innanzi esaminate e il giudizio non può che essere identico: non fondatezza quanto all'art. 3 Cost.; fondatezza, nei termini detti, quanto all'art. 33, quinto comma, della Costituzione.

6. - Spetterà, quindi, al legislatore determinare ciò che nella norma esaminata non è determinato e cioé, i requisiti, aggiunti all'attività professionale legalmente svolta, che il profugo possedesse nel territorio di provenienza, equipollenti a quelli costituzionalmente prescritti dall'ordinamento italiano, in modo da consentire, in sede di esame della domanda di iscrizione negli Albi italiani, l'accertamento concreto della loro esistenza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 28 della legge 4 marzo 1952, n. 137 nel testo sostituito dall'art. 2 della legge 25 luglio 1971, n. 568, nella parte in cui la detta norma consente l'iscrizione dei profughi negli Albi professionali senza richiedere il possesso nello Stato di provenienza di requisiti equipollenti a quelli costituzionalmente prescritti nell'ordinamento italiano.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/12/80.

Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA -  Edoardo  VOLTERRA – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Guglielmo  ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Alberto  MALAGUGINI – Livio  PALADIN – Arnaldo  MACCARONE – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI

Giovanni  VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 22/12/80.