SENTENZA N. 111
ANNO 1973
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, del d.l. 15 febbraio 1969, n. 9 (Riordinamento degli esami di Stato di maturità, di abilitazione e di licenza della scuola media), convertito con modificazioni nella legge 5 aprile 1969, n. 119, promosso con ordinanza emessa l'8 ottobre 1971 dal tribunale di Bergamo sui ricorsi di Braghini Pietro e Falardi Gianfranco, iscritta al n. 460 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16 del 19 gennaio 1972.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di Braghini Pietro;
udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 1973 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Sulle domande di iscrizione all'albo dei ragionieri e periti commerciali di Bergamo, avanzata da Pietro Braghini e da Gianfranco Falardi, il Consiglio del collegio dei ragionieri e periti commerciali di Bergamo e il Consiglio nazionale, in sede di ricorso, si pronunciavano in senso negativo.
Adito dal Braghini e dal Falardi perché volesse dichiarare l'illegittimità delle delibere del Consiglio nazionale ed ordinare l'iscrizione di essi ricorrenti nell'albo professionale con decorrenza dalla data delle domande, il tribunale di Bergamo, disposta la riunione dei due procedimenti, con ordinanza dell'8 ottobre 1971 considerava rilevante e fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma terzo, della legge 9 aprile 1969, n. 119, nella parte in cui prevede che l'esame di maturità posto a conclusione degli studi svolti nell'istituto tecnico abilita all'esercizio della professione, per contrasto con gli artt. 33, comma quinto, e 3 della Costituzione.
Assumeva il tribunale che con l'art. 33, comma quinto, della Costituzione, "il Costituente ha imposto la coesistenza di due tipi di esame: uno, comunemente detto "scolastico", da sostenersi al termine di un corso di studi, l'altro, comunemente detto "professionale", da sostenersi per l'ammissione negli ordinamenti professionali"; che per tutte le professioni nonché per quella di ragioniere fino alla legge n. 119 del 1969, le leggi prevedono costantemente un esame di Stato professionale distinto da quello che occorre sostenere al termine dei relativi studi superiori; che la professione di ragioniere é inclusa tra quelle di cui all'art. 33 e per le quali tale norma impone il superamento di un esame di Stato professionale; e che anche considerazioni d'indole pratica fanno ritenere che il Costituente ha tenuto nettamente distinti i due tipi di esame, escludendo la possibilità di un esame di Stato allo stesso tempo scolastico e professionale, almeno per quelle professioni che già al momento dell'entrata in vigore della Costituzione, prevedevano un particolare esame d'ammissione diverso dall'esame scolastico.
La legge del 1969 sarebbe quindi in contrasto con l'art. 33, comma quinto, della Costituzione.
Essa, d'altra parte, violerebbe in modo evidente il principio di eguaglianza "in quanto viene a creare nell'ambito di tutti i cosiddetti liberi professionisti italiani, una netta discriminazione tra coloro che, terminati gli studi superiori e universitari sono tenuti a sostenere (come del resto nei Paesi del MEC si verifica anche per i ragionieri) un severo esame di Stato di abilitazione all'esercizio della professione e i ragionieri che, terminati gli studi superiori, immediatamente possono iscriversi negli albi professionali con tutti i diritti da questa iscrizione nascenti".
2. - L'ordinanza veniva regolarmente comunicata, notificata e pubblicata (nella Gazzetta Ufficiale n. 16 del 19 gennaio 1972).
Davanti a questa Corte si costituiva il Braghini, con deduzioni del 7 dicembre 1971, il quale, a mezzo degli avvocati Emilio Rosini e Vitaliano Lorenzoni, chiedeva che fosse dichiarata non fondata la questione.
Osservava che non si poteva condividere l'interpretazione puramente letterale del quinto comma dell'art. 33 della Costituzione data dal tribunale e che, considerati gli interessi tutelati da tale disposizione, era ragionevole supporre "che la prescrizione di un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale valga a consentire l'offerta di servizi al pubblico soltanto a chi dia garanzia, a giudizio di un organo imparziale, di saperli prestare".
Non potendosi a priori né affermare né escludere che questa garanzia possa essere fornita da un esame di licenza scolastica, acquistano rilievo il tipo di scuola e il contenuto della preparazione che vi si impartisce. Quando la preparazione sia prevalentemente pratica (e tale sarebbe quella degli istituti tecnici per ragionieri) all'esame di maturità ben si può (come ha fatto l'art. 1 , comma terzo, del d.l. 15 febbraio 1969, n. 9) attribuire il valore di esame di abilitazione.
D'altra parte, anche l'ordinamento della professione di ragioniere ha subito un'evoluzione parallela: l'art. 31 del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068, non prevede più tra le condizioni per ottenere l'iscrizione all'albo, il compimento di un periodo di pratica. E tale abolizione toglie ogni ragione d'essere ad un autonomo esame di abilitazione, che non potrebbe che vertere sullo stesso oggetto e cioè la preparazione scolastica.
Per garantire la sufficiente abilità dei professionisti, l'ordinamento conosce due sistemi ugualmente coerenti: o una scuola prevalentemente teorica con esame di maturità avente lo stesso carattere e periodo di pratica e successivo esame di abilitazione; o una scuola prevalentemente pratica ed un esame di maturità adeguato a tale preparazione e avente valore abilitante.
Ma l'art. 33, comma quinto, della Costituzione non vincola il legislatore ordinario ad adottare il primo sistema, e quindi la norma denunciata non sarebbe con esso in contrasto.
Non sarebbe neppure violato l'art. 3 della Costituzione perché, pur essendo, con questa disposizione, imposto l'uguale trattamento delle situazioni eguali, non vi é ragione per ritenere che l'iscrizione nell'albo dei ragionieri debba essere regolata alla stessa stregua dell'iscrizione nei rispettivi albi degli avvocati, medici, ecc.
3. - Si pronunciava anche per l'infondatezza della questione il Presidente del Consiglio dei ministri che, con atto del 4 febbraio 1972, spiegava intervento a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato.
Gli artt. 3 e 33, comma quinto, della Costituzione, sarebbero pienamente osservati, perché la norma denunciata non ha affatto abrogato le precedenti norme speciali che prevedono un particolare esame per l'esercizio delle professioni da parte dei giovani in possesso di dip1ma di licenza tecnica, e ciò in quanto essa ha riprodotto la norma dell'art. 65 della legge 15 giugno 1931, n. 889, e questa, a sua volta, non ha travolto la normativa risultante dalla legge 15 luglio 1906, n. 327, e dal relativo regolamento approvato con r.d. 9 dicembre 1906, n. 715, ed in quanto la normativa da ultimo ricordata é stata considerata implicitamente in vita dalla legge 4 giugno 1934, n. 911, di conversione in legge del r.d.l.
19 marzo 1934, n. 565, e si é continuato ad applicarla anche dopo l'emanazione del d.l. 27 ottobre 1953, n. 1068, che prevedeva (all'art. 31, n. 5) una apposita disciplina legislativa (che però non é intervenuta) circa il possesso del titolo di studio ed il conseguimento dell'abilitazione all'esercizio professionale.
In ogni caso, anche ammessa la natura innovativa della legge del 1969 sulla precedente normativa degli esami di abilitazione professionale, l'art. 33, comma quinto, della Costituzione sarebbe egualmente rispettato.
Secondo l'Avvocatura generale la questione verte sul punto se, in base a tale disposizione, "l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale debba necessariamente, e in ogni caso, essere organizzato quale accertamento separato, e quindi successivo, all'esame di Stato di ammissione o di conclusione dei vari ordini e gradi di scuole, anche esso prescritto".
Al legislatore non sarebbe precluso di configurare, soprattutto a determinati livelli, ed in relazione alle esigenze di tutela del pubblico interesse, l'esame di Stato quale accertamento che abbia valore conclusivo e abilitante insieme, purché siano salvaguardati la funzione ed i caratteri essenziali dell'istituto.
Naturalmente la scelta della soluzione, sul piano positivo, é strettamente legata all'ordinamento della scuola e alle specifiche finalità che siano eventualmente assegnate a determinati tipi di scuola.
Nell'ambito della scuola media superiore, il secondo esame di Stato viene configurato quale esame di conclusione degli studi secondari col nome di esame di maturità.
Per gli istituti tecnici, che hanno per legge il fine di preparare a determinate professioni oltre che a studi successivi, secondo l'Avvocatura l'esame di Stato é ordinato dalla legge del 1969 "quale esame di conclusione e di abilitazione insieme, sulla linea della tradizione normativa che risale al 1923".
Ma ben altra cosa é il possesso di tutti i requisiti per essere iscritti negli albi professionali. Al legislatore é dato di aggiungere, per particolari categorie di professionisti, ad un esame di Stato altri accertamenti di capacità e di adottare quindi un trattamento fondato su presupposti logici e obiettivi che ne giustificano ragionevolmente l'adozione, e per i ragionieri di richiedere il periodo di pratica biennale ed il superamento dell'esame teorico-pratico di cui alla legge speciale.
Ora, la norma denunciata non esonera affatto dall'esame di Stato i ragionieri che vogliono esercitare la relativa attività professionale.
E come, in tal modo, non appare ipotizzabile una violazione del principio fissato dall'art. 33 della Costituzione, così é da escludere un contrasto della stessa norma con il principio d'eguaglianza. Anche i ragionieri, infatti, per potersi iscrivere negli albi, debbono aver superato in sostanza un esame di Stato.
4. - Alla udienza del 16 maggio 1973 era presente soltanto l'Avvocato dello Stato Renato Carafa, il quale si riportava all'atto di intervento.
Considerato in diritto
1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe il tribunale di Bergamo solleva in riferimento agli artt. 33, comma quinto, e 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma terzo, della legge 9 (recte: 5) aprile 1969, n. 119 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 febbraio 1969, n. 9, riguardante il riordinamento degli esami di Stato di maturità, di abilitazione e di licenza della scuola media) "nella parte in cui prevede che l'esame di maturità posto a conclusione degli studi svolti nell'istituto tecnico abilita all'esercizio della professione" di ragioniere.
2. - La Corte, in sede di esame e valutazione delle questioni sollevate dal tribunale di Lucca e dal Consiglio nazionale dei geometri con le ordinanze rispettivamente del 2 febbraio 1971 e del 23 marzo 1971 relativamente alla stessa norma (ai fini dell'iscrizione negli albi dei ragionieri e periti commerciali e dei geometri) ed in riferimento all'art. 33, comma quinto, della Costituzione, ha, con la sentenza n. 43 del 1972, ritenuto che la disposizione di raffronto, intervenuta "quando, per l'esercizio pubblico di date professioni, vigevano generali o speciali ordinamenti, ha necessariamente di questi preso e dato atto, e, prescrivendo "un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale", ha segnato e segna un limite all'attività, passata e futura, del legislatore"; e che "in sede di disciplina degli esami di Stato, di quello conclusivo dei corsi degli studi e di quello professionale, distinti o unificati che essi siano, non possono mancare norme circa le condizioni di ammissione, i programmi di esame, e la struttura e funzione della commissione esaminatrice, e circa le garanzie per gli interessati, in modo tale che sia possibile ed effettivo un serio ed oggettivo accertamento del grado di maturità del discente e del concreto possesso da parte dello stesso della preparazione, attitudine e capacità tecnica necessarie perché dell'esercizio pubblico della attività professionale i cittadini possono giovarsi con fiducia".
Ha ritenuto, altresì, che con la norma denunciata (art. 1, comma terzo del d.l. n. 9 del 1969, convertito in legge con la legge n. 119 dello stesso anno), a conferma di quanto in passato disposto con gli artt. 50 e seguenti del r.d. 15 maggio 1924, n. 749, e 51, lettera f, e 65 della legge 15 giugno 1931, n. 889, e per l'esame previsto a conclusione degli studi svolti presso gli istituti tecnici, si dichiara solamente che il diploma di maturità conseguito presso codesti istituti "abilita alla professione", e con ciò la disciplina é destinata ad operare sul terreno scolastico e non anche immediatamente e direttamente su quello professionale; e che pertanto detta norma non ha portata innovativa e specificamente non dispone che colui che abbia superato l'esame di maturità e in quanto sia abilitato, per ciò solo, all'esercizio della professione, abbia diritto all'iscrizione nell'albo tenuto dal Consiglio del collegio provinciale competente.
Ed ha così concluso, tanto per la professione di ragioniere che per quella di geometra, per l'inesistenza di un qualsiasi contrasto tra la norma denunciata e la disposizione costituzionale in riferimento.
3. - Con l'ordinanza de qua il tribunale di Bergamo, a proposito dell'art. 1, comma terzo, della legge n. 119 del 1969, senza per altro motivare, si pronuncia per il carattere innovativo della norma e assume che, prevedendo tale norma che abiliti all'esercizio della professione il titolo conseguito nell'esame di maturità, dovrebbero essere accolte le domande dei ricorrenti dirette all'iscrizione nell'albo dei ragionieri senza il superamento del previo esame di cui alla legge n. 327 del 1906. Ed interpreta la disposizione costituzionale di raffronto nel senso che la stessa richiede, accanto a quello "scolastico", un esame "comunemente detto" professionale da sostenersi per l'ammissione negli ordinamenti professionali" ed esclude la possibilità di un esame di Stato avente allo stesso tempo le due caratteristiche, almeno per le professioni (come quella di ragioniere) che già al tempo dell'entrata in vigore della Costituzione prevedevano un particolare esame d'ammissione diverso dall'esame scolastico.
In breve, il giudice a quo é dell'avviso che la norma denunciata sia in contrasto con l'art. 33, comma quinto, della Costituzione, perché prevede un solo esame a fini scolastici ed a fini professionali, per una attività (quale é quella di ragioniere) per cui la disposizione costituzionale richiede un esame professionale a sé stante.
Sennonché con siffatta prospettazione del problema di costituzionalità non vengono addotti argomenti sulla base dei quali questa Corte debba o possa mutare il precedente convincimento.
Nulla, infatti, siccome si é sopra ricordato, ha addotto il tribunale di Bergamo a sostegno della sua interpretazione dell'art. 1, comma terzo, della legge n. 119 del 1969, essendosi quel giudice limitato a rilevare che dal conseguimento del diploma di maturità in quanto abilitante all'esercizio della professione, discende il diritto all'iscrizione nel relativo albo (senza bisogno che previamente venga superato l'esame di cui alla legge n. 327 del 1906).
Ma in contrario é facile osservare, ripetendosi per altro quanto già rilevato nella citata sentenza n. 43 del 1972, che dall'esame delle norme, che nel tempo hanno disciplinato l'esercizio della professione di ragioniere e la materia dell'insegnamento tecnico fino alla disciplina legislativa del 1969, emergono l'esistenza e la permanenza di requisiti particolari (compimento del biennio di pratica e superamento dell'esame teorico pratico); e che con la normativa del 1969 codesto sistema non é stato modificato.
Tale essendo l'avviso già espresso e non essendo stato in contrario eccepito alcunché di valido, la Corte non può che confermarlo.
Alla medesima conclusione ha ragione di ritenere che si debba pervenire in sede di interpretazione dell'art. 33, comma quinto, della Costituzione.
Stando così le cose (ed anche se al riguardo si dovesse accedere al punto di vista espresso dal tribunale di Bergamo) la norma denunciata, da interpretarsi nei sensi sopra detti, non risulta in contrasto con la disposizione di raffronto.
Pertanto, la questione in esame deve dichiararsi manifestamente non fondata.
4. - É del pari infondata la denuncia di illegittimità costituzionale della ripetuta norma in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Non può, infatti, parlarsi di ingiustificata netta discriminazione, nell'ambito di tutti i cosiddetti liberi professionisti tra due categorie (quella di coloro che terminati gli studi superiori e universitari sono tenuti a sostenere un severo esame di Stato di abilitazione all'esercizio della professione, e quella dei ragionieri che, terminati gli studi superiori, immediatamente possono iscriversi negli albi professionali con tutti i diritti da questa iscrizione nascenti), perché anche a seguito della normativa del 1969, é tuttavia in vigore la disciplina dettata nel 1906, per cui per l'iscrizione all'albo professionale i ragionieri devono aver compiuto un biennio di pratica e superato il prescritto esame teorico-pratico.
D'altra parte, tale essendo sul punto in esame la situazione giuridica dei ragionieri, non é consentito ravvisare alcuna ingiustificata differenza di essa nei confronti di quella degli altri professionisti, per i quali il legislatore, attraverso una razionale valutazione delle esigenze pubblicistiche che stanno a base dell'esercizio delle professioni, ha ritenuto necessarie attività e prove dirette al concreto accertamento delle loro qualità, attitudini e capacità.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma terzo, della legge 9 (recte: 5) aprile 1969, n. 119 (conversione in legge con modificazioni del d.l. 15 febbraio 1969, n. 9, riguardante il riordinamento degli esami di Stato di maturità, di abilitazione e di licenza della scuola media), nella parte in cui prevede che l'esame di maturità posto a conclusione degli studi svolti nell'istituto tecnico abilita all'esercizio della professione, questione sollevata in riferimento all'art. 33, comma quinto, della Costituzione, dal tribunale di Bergamo con l'ordinanza indicata in epigrafe e già dichiarata non fondata con sentenza n. 43 del 1972;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 1, comma terzo, della citata legge n. 119 del 1969, in parte qua, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con la medesima ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1973.
Francesco PAOLO BONIFACIO – Giuseppe VERZÌ – Giovanni BATTISTA BENEDETTI – Luigi OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 5 luglio 1973.