Sentenza n. 69 del 1983

 CONSULTA ONLINE 


SENTENZA N. 69

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge della Regione Lazio 2 dicembre 1975, n. 79 (trattamento giuridico ed economico ed inquadramento del personale già dipendente dalle imprese di trasporto private in atto utilizzato ai sensi della legge regionale 22 aprile 1975 n. 33 dalle società "Stefer" e "Romana per le ferrovie nord") promossi con le ordinanze emesse dal Pretore di Roma in data 30 novembre 1977, 6 maggio 1978 (due ordinanze) e 27 novembre 1978, dalla Corte di Cassazione in data 14 marzo 1979 e dal Pretore di Roma in data 7 giugno 1979 (tre ordinanze), 20 ottobre e 19 novembre 1979, 6 aprile e 6 luglio 1981, rispettivamente iscritte al n. 89 del Registro Ordinanze 1978, ai nn. 8, 9, 80, 696, 915, 916, 917 e 1023 del Registro Ordinanze 1979, al n. 57 del Registro Ordinanze 1980, al n. 442 del Registro Ordinanze 1981 e al n. 126 del Registro Ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 101 del 1978, nn. 73, 87 e 338 del 1979, nn. 43, 71 e 85 del 1980, n. 290 del 1981 e n. 199 del 1982.

Visti gli atti di costituzione di Picchi Luciano, di Denaro Angelo, di Fiaschetti Aldo e Franco, di D'Annunzio Pietro, di Molle Elios e Italo, di Alfano Domenico ed altri, di Agresti Renato, di Cellitti Fausta, di Cappucci Vincenzo ed altro, delle Società Stefer e Acotral e l'atto di intervento della Regione Lazio;

udito nell'udienza pubblica del 1 dicembre 1982 il Giudice relatore Francesco Saja;

uditi l'Avvocato Vittorio Zammit per Picchi Luciano, Denaro Angelo, Fiaschetti Aldo e Franco, Molle Elios e Italo e Cappucci Vincenzo ed altro, l'Avvocato Nicola Cavasola per le Società Stefer e Acotral e l'Avvocato Mario Nigro per la Regione Lazio.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un processo civile avente per oggetto la qualifica ed il connesso trattamento economico del lavoratore Picchi Luciano, già dipendente di una impresa privata concessionaria di autoservizi e poi della società Stefer ai sensi dell'art. 5 della legge della Regione Lazio 22 aprile 1975 n. 33 e inquadrato ai sensi dell'art. 1 della legge regionale 2 dicembre 1975 n. 79, il pretore di Roma - con ordinanza del 30 novembre 1977, regolarmente notificata e comunicata nonché pubblicata nella G.U. n. 101 del 12 aprile 1978, reg. ord. n. 89 del 1978- sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge da ultimo citata, in riferimento all'art. 117 della Costituzione.

Rilevava il pretore che, mentre ai sensi dell'art. 5 l. reg. n. 33 del 1975 cit. il personale trasferito dalle imprese private di trasporto alle società Stefer e Romana Ferrovie del Nord aveva mantenuto il trattamento giuridico ed economico goduto al momento del trasferimento, la norma impugnata stabiliva un trattamento ed un inquadramento da definire mediante trattative condotte dalle due citate società e dalle organizzazioni sindacali di categoria e regionali confederali, sulla base degli accordi già intercorsi il 26 luglio 1973 e il 2 marzo 1975 e con decorrenza dal 1 novembre 1975, e attraverso conseguenti futuri provvedimenti regionali in conformità all'art. 2, terzo comma, l. reg. n. 10 del 1973 e all'art. 6, secondo comma, l. reg. n. 33 de 1975.

Ciò premesso, il pretore dubitava che la norma impugnata contrastasse con l'art. 117 Cost., in quanto la materia delle "tramvie e linee automobilistiche d'interesse regionale", di cui alla citata norma costituzionale, non sembrava comprendere la disciplina del rapporto di lavoro del personale appartenente alle imprese di trasporto.

La stessa questione di legittimità costituzionale veniva sollevata dal medesimo pretore con due ordinanze del 6 maggio 1978 - regolarmente notificate e comunicate nonché pubblicate nella G.U. n. 73 del 14 marzo 1979; reg. ord. nn. 8 e 9 del 1979 - emesse nei processi Denaro Angelo e Fiaschetti Aldo e Franco contro Stefer e Acotral.

2. - Il Pretore di Roma sollevava la stessa questione di legittimità costituzionale con ordinanza del 27 novembre 1978 (in G.U. n. 87 del 28 marzo 1979; reg. ord. n. 80 del 1979) emessa nel processo D'Annunzio Pietro contro Stefer e Acotral, aggiungendo a quanto detto nelle precedenti ordinanze che i rapporti giuridici privati - come il rapporto di lavoro di cui nel giudizio a quo - esulavano dalla potestà legislativa regionale e che l'assenza di principi fondamentali nella legislazione statale sulla materia impediva comunque alle regioni di legiferare.

La stessa questione, e nei medesimi termini, veniva sollevata dal pretore con ordinanza 6 luglio 1981 (in G.U. n. 199 del 21 luglio 1982; reg. ord. n. 126 del 1982) emessa nel procedimento civile Aquilini Giovanni contro Acotral.

3. - Questione di legittimità costituzionale della norma citata veniva sollevata anche dalla Corte di cassazione con ordinanza del 14 marzo 1979, emessa nel procedimento civile Molle Elios e Italo contro Stefer e Acotral (in G.U. n. 338 del 12 dicembre 1979; reg. ord. n. 696 del 1979) ma in riferimento non soltanto all'art. 117 bensì anche all'art. 39, primo e quarto comma, della Costituzione.

Sembrava alla Corte che l'illegittimità della norma impugnata potesse ravvisarsi non solo per avere la Regione legiferato in materia di rapporti privatistici, ma anche per avere essa attribuito ai sindacati compiti estranei alla previsione dell'art. 39 Cost.: la norma regionale in questione, disciplinando attraverso la contrattazione sindacale l'inquadramento di singoli o di gruppi di lavoratori, avrebbe inciso su interessi individuali anzi che su interessi di categoria, che erano i soli attribuiti dalla Costituzione alla tutela sindacale.

4. - Questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 l. reg. n. 79 del 1975 veniva ancora sollevata dal pretore di Roma con tre ordinanze del 7 giugno 1979, emesse nei procedimenti civili Alfano Domenico, Cardarelli Ilvo e Bernasconi Mario contro Stefer e Acotral (in G. U. n. 43 del 13 febbraio 1980; reg. ord. n. 915, 916, 917 del 1979), in riferimento non soltanto all'art. 117, bensì anche all'art. 76 Cost.

Rilevava il pretore come il primo comma della norma impugnata delegasse alla Giunta regionale la formazione di provvedimenti in materia di trattamento giuridico ed economico nonché di inquadramento del personale della Stefer e della Romana Ferrovie del Nord. Ciò portava a ritenere che la norma configurasse una delega di funzione legislativa ai sensi dell'art. 76 Cost. senza che fossero indicati "i principi e criteri direttivi", di cui al medesimo articolo.

5. - Con ordinanze del 20 ottobre e del 19 novembre 1979 (in G.U. n. 71 del 12 marzo 1980 e n. 85 del 26 marzo 1980; reg. ord. n. 1023 del 1979 e 57 del 1980), emesse nei procedimenti civili Agresti Renato e Cellitti Fausta ed altro contro Stefer e Acotral, il pretore di Roma sollevava questioni di legittimità costituzionale della più volte citata norma regionale in riferimento agli artt. 117 e 76 Cost., riportandosi per relationem alle motivazioni delle ordinanze n. 80 e 915 del 1979 sopra illustrate.

Lo stesso pretore, con ordinanza del 6 aprile 1981 (in G.U. n. 290 del 21 ottobre 1981; reg. ord. 442 del 1981) sollevava questione di legittimità costituzionale della medesima norma in riferimento agli artt. 117 e 39 Cost., riportandosi per relationem alla motivazione della sopra indicata ordinanza della Corte di cassazione.

6. - I lavoratori dipendenti si costituivano nelle cause relative a tutte le ordinanze di rimessione, eccettuata quella contrassegnata col n. 126 reg. ord. del 1982, chiedendo dichiararsi l'illegittimità costituzionale della norma impugnata.

Si costituivano anche nelle dette cause la società Stefer e l'Azienda consortile trasporti laziali (Acotral), succeduta alla prima, sostenendo l'infondatezza di tutte le questioni.

Quanto al prospettato contrasto della norma impugnata con l'art. 117 Cost., la Stefer negava che la relativa disciplina concernesse il rapporto di lavoro dei dipendenti dalle imprese di trasporto in concessione, essendo limitata alle modalità di inserimento dei medesimi nelle nuove aziende affidatarie. La norma, inoltre, non incideva su rapporti di diritto privato ma aveva rilevanza pubblicistica.

L'Acotral svolgeva analoghi rilievi ed aggiungeva che, essendo avvenuto il trasferimento delle funzioni dallo Stato alle regioni "per settori organici di materie" (artt. 17 lett. b, l. n. 281 del 1970 e 1 l. n. 382 del 1975) l'elencazione di materie dell'art. 117 andava intesa in senso estensivo.

Quanto al prospettato contrasto con l'art. 39 Cost., le parti deducevano che alle organizzazioni sindacali degli autoferrotramvieri spettavano poteri anche in materia di inquadramento del personale.

Sulla questione relativa all'art. 76 Cost., infine, esse negavano che la fattispecie in esame desse luogo ad un'ipotesi di delega legislativa.

La Regione Lazio interveniva nella causa relativa all'ordinanza del pretore di Roma n. 80 reg. ord. del 1979 sostenendo la legittimità costituzionale della norma impugnata sia perché nella materia delle tramvie e linee automobilistiche d'interesse regionale, di cui all'art. 117 Cost., rientrava anche il profilo organizzativo, comprensivo di tutto quanto attiene al personale, sia perché in mancanza di una legge statale - quadro la Regione ben poteva legiferare, purché entro il limite dei principi generali della legislazione nazionale, sia, infine, perché la previsione di una disciplina da definire attraverso accordi sindacali non si discostava da analoghe previsioni della legislazione statale.

La Regione depositava anche, in data 18 novembre 1982, una memoria, per illustrare ulteriormente gli argomenti già svolti.

Nel corso della pubblica udienza i difensori delle parti private dichiaravano che in alcuni dei processi di merito era intervenuta la conciliazione della lite, che però non risulta dagli atti processuali.

Considerato in diritto

1. - Le dodici ordinanze in epigrafe sottopongono alla Corte questioni analoghe o connesse, in quanto riferite alla medesima disposizione di legge (art. 1 della l. della Regione Lazio 2 dicembre 1975 n. 79); pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Va preliminarmente dichiarata l'inammissibilità delle questioni sollevate con le ordinanze del pretore di Roma in data 20 ottobre e 19 novembre 1979 (reg. ord. n. 1023 del 1979 e n. 57 del 1980) e in data 6 aprile 1981 (reg. ord. n. 442 del 1981) in quanto queste non contengono alcuna motivazione relativa alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza delle dedotte questioni. Né a tale carenza può sopperire il mero rinvio ad altre ordinanze di rimessione perché resta pur sempre insoddisfatta la fondamentale esigenza che delle sollevate questioni di legittimità costituzionale vi sia una generale conoscenza, al quale fine appunto é predisposto un apposito e rigoroso regime di pubblicità: regime che con una motivazione per relationem, come quella adottata dalle ricordate ordinanze, viene sostanzialmente privato della sua effettiva funzione.

Ciò ha ripetutamente rilevato questa Corte (cfr. ord. 25 marzo 1981 n. 61; sent. 29 luglio 1982 n. 158) e tale orientamento va confermato e seguito.

3. - La ricordata legge, di cui é stato impugnato, come si é detto, l'art. 1, é stata emanata nel quadro della normativa regionale conseguente al disposto dell'art. 117 Costituzione, il quale ha attribuito, tra l'altro, alle Regioni la competenza in tema di "tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale".

La disposizione denunciata testualmente stabilisce: "A modifica di quanto disposto dall'art. 5 della legge regionale n. 33 del 22 aprile 1975, il trattamento giuridico ed economico nonché l'inquadramento del personale già dipendente dalle imprese di trasporto private in atto utilizzato ai sensi della suddetta legge dalle Società Stefer e Romana per le Ferrovie del Nord, verranno definiti mediante trattative condotte dalle due citate Società e le organizzazioni sindacali di categoria e regionali confederali, sulla base degli accordi già intercorsi il 26 luglio 1973 e il 27 marzo 1975 e con decorrenza dal 1 novembre 1975.

In relazione alle trattative di cui sopra la Regione adotterà provvedimenti in conformità all'art. 2, terzo comma, della legge regionale 20 marzo 1973 n. 10 e all'art. 6, secondo comma, della legge regionale 22 aprile 1975 n. 33".

Il dubbio di legittimità costituzionale é formulato dalle ordinanze di rimessione con riferimento agli artt. 117, 39 e 76 della Costituzione. Peraltro, l'art. 117 é invocato sotto tre distinti profili e cioè:

a) il primo, indicato soltanto in un'ordinanza del pretore di Roma (emessa nel processo D'Annunzio Pietro contro Stefer, n. 80 del reg. ord. 1979), secondo cui la Regione non avrebbe potuto legiferare in materia perché lo Stato non aveva ancora emanato leggi contenenti i principi fondamentali in tema di trasporti pubblici;

b) il secondo, a cui si riferisce un'altra ordinanza dello stesso pretore di Roma (emessa nel giudizio promosso da Picchi Luciano contro Stefer, n. 89 reg. ord. 1978), la quale ritiene che la Regione non avrebbe potuto emanare la norma impugnata perché l'art. 117 Cost. non accenna al rapporto di lavoro del personale dipendente dalle imprese concessionarie di trasporto, rapporto che quindi deve ritenersi estraneo alla sua previsione;

c) il terzo, comune a quasi tutti i provvedimenti dei giudici a quibus, i quali ritengono che il legislatore regionale, disponendo in tema di rapporto di lavoro, avrebbe legiferato nell'ambito del diritto privato violando così il limite che al riguardo incontra la potestà legislativa regionale.

4. - Procedendo all'esame di detti profili nell'ordine indicato, osserva la Corte che il primo di essi non appare fondato in quanto la mancanza di leggi statali nelle materie devolute alla competenza regionale dall'art. 117 della Costituzione non impedisce alle Regioni di legiferare (come la Corte stessa ha già chiarito fin dalla sent. n. 39 del 1971).

Le c.d. norme-quadro costituiscono infatti un limite alla legislazione regionale, che deve osservare i principi fondamentali in esse contenuti, ma non ne condizionano cronologicamente lo sviluppo e pertanto, anche se tali norme mancano, ben può la Regione esercitare tutti i poteri per le materie attribuite alla sua competenza.

Non é mancata per vero qualche tendenza nel senso indicato nell'ordinanza di rimessione, tendenza che ha trovato accoglimento anche in una disposizione legislativa (art. 9 l. 10 febbraio 1953 n. 62), la quale stabilì che "il Consiglio regionale non può deliberare leggi sulle materie attribuite alla sua competenza dall'art. 117 della Costituzione se non sono state preventivamente emanate, ai sensi della IX disp. trans. della Costituzione, le leggi della Repubblica contenenti, singolarmente per ciascuna materia, i principi fondamentali cui deve attenersi la legislazione regionale". Ma tale norma formò oggetto di vive critiche sia da parte della dottrina sia negli ambienti politici regionalistici perché veniva a costituire, com'è evidente, un grave pericolo per l'autonomia regionale: infatti lo Stato, omettendo di emanare le leggi cornice, avrebbe potuto concretamente bloccare la potestà legislativa della Regione, paralizzando così l'ordinamento decentrato voluto dalla Costituzione repubblicana. Ed é perciò che il legislatore, ancor prima dell'inizio del funzionamento delle regioni ordinarie, si premurò di intervenire, disponendo con l'art. 17 della legge 16 maggio 1970 n. 281 che "l'emanazione di norme legislative da parte delle regioni nelle materie stabilite dall'art. 117 Cost. si svolge nei limiti dei principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti".

Da tale disposizione chiaramente si evince che le norme - principio, come sopra é stato anticipato, costituiscono soltanto un mero limite per la potestà legislativa regionale, nel senso che tra i principi da essa espressi e le leggi regionali sussiste un rapporto negativo di compatibilità ma non un rapporto positivo di necessaria derivazione.

5. - Neppure fondato é il secondo profilo. Invero non sarebbe stato logicamente possibile, contrariamente a quanto deduce l'ordinanza di rimessione, che l'art. 117 Cost. facesse riferimento al "rapporto di lavoro" del personale dipendente dalle imprese concessionarie dei servizi di trasporto, dato che tale rapporto ha natura privatistica e la Regione, come questa Corte ha costantemente ritenuto, non ha poteri nell'ambito del diritto privato (cfr. le sent. 20 gennaio 1977 n. 38, 7 maggio 1975 n. 108, 27 luglio 1972 n. 154 e 22 maggio 1968 n. 60).

Piuttosto é da osservare come nella materia dei trasporti tramviari e automobilistici, attribuiti alla regione, non é possibile distinguere nettamente il momento organizzativo da quello funzionale, essendo i due momenti collegati da uno stretto nesso strumentale: sicché deve ritenersi che anche la sub-materia relativa al personale suddetto rientra nella previsione del cit. art. 117 Cost. con il limite, ben s'intende, sopra indicato, e quindi soltanto rispetto al profilo pubblicistico.

Conseguentemente deve altresì ritenersi che anche le funzioni amministrative concernenti il personale erano comprese nell'ambito del d.P.R. 14 gennaio 1972 n. 5 relativo al trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale; ciò risulta dall'ampia formula dell'art. 1 cit. d.P.R. e non é contraddetto dalla disposizione dell'art. 3, ove é contenuta una elencazione delle funzioni trasferite, da considerare esemplificativa, come chiaramente risulta dall'espressione "tra l'altro", ivi usata (si veda ora l'art. 84, ultimo comma, d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616).

Del che Stato e Regioni ebbero concorde e immediata consapevolezza: furono perciò queste ultime, com'è noto, ad intervenire negli anni 1973, 1974 e 1975 onde contenere le agitazioni del personale dei trasporti in concessione, assumendo nei loro bilanci oneri non indifferenti, ed evitare così il turbamento che da dette agitazioni derivava al pubblico servizio dei trasporti pubblici locali.

6. - Neppure può condividersi il terzo profilo sotto cui viene dedotta ulteriormente la violazione dell'art. 117 della Costituzione.

 

In proposito, per stabilire la natura giuridica della norma impugnata, e cioé se essa attenga o no al diritto privato, non é possibile considerarla isolatamente, vale a dire avulsa dall'intera normativa emanata dalla Regione in tema di trasporti pubblici, ma occorre definirne la portata nel quadro complessivo di detta normativa.

Avvenuto nel 1972 il trasferimento alle regioni ordinarie delle funzioni amministrative relative alle "tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale" (le quali comprendevano, come si é detto, anche il personale) e reso così concretamente possibile l'esercizio della correlativa potestà legislativa, la Regione Lazio, dopo un intervento puramente provvisorio (l. reg. 20 marzo 1973 n. 10), emanò la l. 2 aprile 1973 n. 12 intitolata "Legge generale sui trasporti pubblici in concessione". Con essa fu prevista la redazione di un piano generale dei trasporti concernente lo sviluppo equilibrato dei pubblici collegamenti regionali in diretto coordinamento con le linee di sviluppo economico e di assetto territoriale della Regione; conseguentemente fu, tra l'altro, previsto il riordinamento dei servizi dati in concessione e venne espressamente stabilito che tale potere di riordinamento comportava la possibilità di risolvere le concessioni di autolinee in atto (art. 4).

All'art. 6 fu disposto che il personale appartenente alle imprese di trasporto, le quali cessavano le loro attività ai sensi della medesima legge, passava alle dipendenze del concessionario che assumeva la gestione dei servizi, fatte salve le posizioni giuridiche ed economiche legittimamente acquisite.

In attuazione di tale legge, la Regione Lazio emanò altro provvedimento legislativo (l. reg. 22 aprile 1975 n. 33) con cui revocò tutte le precedenti concessioni di autolinee in atto nei bacini del traffico della soc. Stefer e della soc. Romana Nord ed affidò tali servizi, in attesa della concessione definitiva ad un'azienda regionale (l'Acotral), alle due predette società, a capitale esclusivamente pubblico (art. 1).

In conformità all'art. 6, sopra riportato, della legge generale n. 12 del 1973, l'art. 5 della l. n. 33 del 1975 testualmente stabilì: "Il personale dipendente dalle imprese di trasporto private che cessino la loro attività ai sensi della presente legge diritto, a richiesta, ad essere utilizzato dalle soc. Stefer e Romana Ferrovie del Nord, fermo restando il trattamento giuridico ed economico goduto al momento del trasferimento della gestione dei servizi".

Con l'art. 1 della l. 2 dicembre 1975 n. 79, ossia con la disposizione impugnata dai giudici a quibus, si stabilì che i provvedimenti relativi al trattamento giuridico ed economico e all'inquadramento del personale considerato dall'art. 5 della citata legge n. 33 dello stesso anno, sarebbero stati adottati dalla Giunta regionale, previe trattative da condurre dalle due predette società con le organizzazioni sindacali di categoria e regionali confederali.

7. - Così puntualizzato il quadro della normativa regionale, in cui si inserisce la norma impugnata, giova rilevare che al personale dipendente dalle imprese private che cessavano dall'esercizio del servizio pubblico dei trasporti automobilistici non spettava, in base alla legislazione statale, il diritto alla stabilità del rapporto di lavoro.

A1 riguardo non gioverebbe invocare la disciplina speciale per il personale degli autoservizi extraurbani contenuta negli artt. 26 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, 1 l. 24 maggio 1952 n. 628 nonché 5 l. 22 settembre 1960 n. 1054.

Secondo un costante orientamento della Corte di cassazione, per vero, la stabilità del rapporto di lavoro prevista dalla normativa speciale é subordinata alla circostanza che permangano immutate le condizioni in cui si svolge il servizio gestito dalla impresa che ha cessato la sua attività, sicché il diritto del lavoratore non sussiste nel caso di mutamento di tali condizioni, come si verifica nel caso, più volte ricordato dalla giurisprudenza ordinaria, di intervento della pubblica autorità che provveda - e ciò é avvenuto appunto nella specie - al riordinamento del servizio.

8. - Il diritto alla stabilità del rapporto di lavoro, con il mantenimento delle posizioni giuridiche ed economiche già acquisite, é riconosciuto perciò al personale in esame dalla legislazione regionale e precisamente dai ricordati artt. 6 l. n. 12 del 1973 e 5 della l. n. 33 del 1975.

Da ciò chiaramente discende come non possa accertarsi la prospettazione delle ordinanze di rimessione, le quali, da un lato, riconoscono, sia pure implicitamente, che rientrava nel potere della Regione disporre la stabilità del rapporto di lavoro, non risultante da alcuna legge statale e, dall'altro, negano invece tale potere rispetto alla norma puramente complementare e strumentale relativa alle modalità di concreta attribuzione della posizione giuridica ed economica dei lavoratori nell'ambito delle imprese alle cui dipendenze erano passati.

In realtà le due norme, pur se contenute in due testi legislativi formalmente distinti, costituiscono sostanzialmente un precetto di carattere unitario, il quale in un momento logicamente anteriore attribuisce un diritto, e, quindi, regola il procedimento per la sua attuazione concreta: sicché ad esse per evidenti esigenze logiche non può non riconoscersi la medesima natura giuridica.

9. - I1 conferimento ai lavoratori del diritto alla stabilità ineriva, come non é contestato, al potere di riordinamento degli autoservizi di interesse regionale: e ciò sia per intuitive ragioni di carattere squisitamente sociale (la Corte non é in possesso di una documentazione ufficiale, ma dagli scritti difensivi si evince che trattavasi di circa quindicimila dipendenti), sia, sotto il profilo prettamente tecnico, per evitare che potessero andare disperse l'esperienza e la professionalità dei dipendenti delle imprese già concessionarie.

Se così é, allo stesso potere organizzativo era collegata anche la disposizione impugnata, concernente, come più volte si é detto, le modalità con cui concretamente tale stabilità doveva essere assicurata.

I1 che risulta evidente sol che si rilevi come il nuovo inquadramento nelle due società affidatarie (soc. Stefer e soc. Romana Ferrovie del Nord) non era un fatto che riguardasse il singolo dipendente, ma si estendeva a tutti i lavoratori sia per assicurare un analogo trattamento sia per gli effetti che ne discendevano sull'intero personale ai fini dell'attribuzione delle funzioni, del conferimento delle promozioni e della carriera in genere.

Esso non poteva quindi essere effettuato che mediante criteri generali ed uniformi e dietro comparazione delle posizioni dei lavoratori stessi, comparazione che risultava ovviamente difficile, dato che le imprese private che erano cessate dalla concessione avevano caratteristiche affatto diverse (sia per le dimensioni che per la struttura interna).

Questi ultimi rilievi confermano che anche la norma impugnata concerneva l'organizzazione del pubblico servizio nella fase attuativa, incidendo sulle funzioni amministrative, per cui la Regione poteva legittimamente intervenire.

10. - Con la seconda questione sollevata i giudici a quibus denunciano la indicata disposizione con riferimento all'art. 39 della Costituzione, in quanto essa affiderebbe alle associazioni sindacali la tutela di interessi individuali sottraendola ai titolari.

Anche tale questione é priva di giuridico fondamento.

L'intervento delle associazioni sindacali, come testualmente e inequivocabilmente dispone la legge impugnata, era diretto soltanto a compiere delle "trattative" con le due società affidatarie. Tale intervento si inseriva perciò in una fase procedimentale necessaria per disciplinare il nuovo inquadramento, con provvedimenti che erano di competenza della Giunta regionale.

Come si é detto, questi provvedimenti dovevano essere emanati con criteri generali ed uniformi nonché con un esame comparativo delle varie posizioni individuali, sicché la partecipazione delle associazioni sindacali alla fase preliminare delle trattative con le due società trovava la sua ragion d'essere nell'apporto che le associazioni medesime avrebbero potuto dare alla Regione per la migliore riuscita della complessa operazione.

Nessun potere dispositivo o deliberativo era riconosciuto in materia alle dette associazioni, la cui partecipazione, ripetesi, si fermava soltanto alla fase delle trattative, mentre il provvedimento conclusivo spettava esclusivamente alla Giunta regionale.

Ed é bene notare come contro il suindicato provvedimento il lavoratore aveva il potere di ricorrere al giudice (ordinario) per la tutela dei suoi diritti eventualmente misconosciuti (e cioè la conservazione delle posizioni giuridiche ed economiche già acquisite), come espressamente é riconosciuto dall'ordinanza della Corte di cassazione (che, appunto perciò, ha ritenuto che non poteva essere invocato quale parametro anche l'art. 24 della Costituzione) e come altresì espressamente é ammesso dalla Regione Lazio nella sua memoria illustrativa.

11. - Infine risulta infondata l'ultima questione dedotta, secondo cui la norma impugnata violerebbe l'art. 76 Costituzione, in quanto conterrebbe una delega legislativa senza la determinazione di principi e criteri direttivi.

Al riguardo, non può anzitutto condividersi il presupposto da cui muovono i giudici a quibus, che ritengono applicabile il cit. art. 76 Cost. alla legislazione regionale: il principio generale della inderogabilità delle competenze costituzionali esclude invece, come già questa Corte ha deciso (sent. 9 giugno 1961 n. 32) e come ritiene la migliore dottrina, la possibilità di estendere alle Regioni le disposizioni degli artt. 76 e 77 della Costituzione: disposizioni che hanno carattere eccezionale e pertanto non possono trovare applicazione al di là dell'ordinamento dello Stato.

Senza dire che, in base a quanto sopra é stato precisato, la disposizione denunciata non conteneva alcuna delega legislativa, ma attribuiva alla Regione il potere di porre in essere gli atti di mera amministrazione per l'inquadramento del personale nell'ambito delle due società a cui, dopo la revoca delle precedenti concessioni, erano stati affidati gli autoservizi di interesse regionale.

In conclusione, deve dirsi che tutte le proposte questioni sono infondate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi:

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge della Regione Lazio 2 dicembre 1975 n. 79, sollevate dal Pretore di Roma con le ordinanze indicate nel relativo registro ai numeri 1023/79, 57/80 e 442/81;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. l sollevate dal pretore di Roma e dalla Corte di cassazione con le altre ordinanze indicate in epigrafe in riferimento agli artt. 39, 76 e 117 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 marzo 1983.

Leopoldo ELIA -  Antonino DE STEFANO - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 23 marzo 1983.