Sentenza n. 13 del 1983

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SENTENZA N. 13

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3, 4, 6, 1, 2 e 3 cpv., 7, 8, 12, 23, 24 e 25 del disegno di legge approvato dall'Assemblea regionale siciliana il 13 novembre 1980 (Provvedimento per l'inserimento delle giovani leve del lavoro nella pubblica amministrazione e nelle attività produttive e sociali), degli artt. 9, 10 e 11 del disegno di legge approvato dall'Assemblea regionale siciliana il 22 gennaio 1981 (Modifiche ed integrazioni alla legge approvata dall'Assemblea regionale nella seduta del 13 novembre 1980) e del disegno di legge approvato dall'Assemblea regionale siciliana il 18 dicembre 1981 (Modifiche ed integrazioni alla legislazione regionale sull'inserimento delle giovani leve di lavoro nella pubblica amministrazione) promossi con ricorsi del Commissario dello Stato per la Regione siciliana notificati il 21 novembre 1980, il 29 gennaio e il 28 dicembre 1981, rispettivamente depositati in cancelleria l'1 dicembre 1980, il 6 febbraio 1981 e il 5 gennaio 1982 ed iscritti al n. 29 del registro ricorsi 1980, al n. 4 del registro ricorsi 1981 ed al n. 2 del registro ricorsi 1982.

Visti gli atti di costituzione del Presidente della Regione Sicilia;

udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1982 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

uditi l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il ricorrente, e gli avvocati Silvio Defina e Salvatore Villari, per la Regione Sicilia.

Ritenuto in fatto

1. - Il Commissario dello Stato per la Regione Sicilia ha impugnato tre disegni di legge, approvati dall'Assemblea regionale rispettivamente il 13 novembre 1980, il 22 gennaio 1981 ed il 18 dicembre 1981, i quali riguardano l'inserimento delle giovani leve del lavoro nella pubblica amministrazione e nelle attività produttive e sociali.

L'impugnativa da parte dello Stato tocca la normativa anzidetta, sostanzialmente sotto i seguenti profili:

1) con riguardo al primo degli atti impugnati - prescindendo dai rilievi che il Commissario aveva formulato nel relativo ricorso, e che la Regione ha poi accolto nel disegno di legge immediatamente successivo - residuano le censure mosse agli artt. 12, 23 e 25. Queste disposizioni offenderebbero gli artt. 3,51 e 97 Cost., e l'art. 17, lett. f, Statuto speciale. Si assume infatti, sotto vario riguardo, che esse riservino concorsi a determinate categorie di disoccupati, in guisa da precludere l'accesso al pubblico impiego degli altri cittadini, i quali, si soggiunge, versano ugualmente in stato di disoccupazione; adottino con riferimento ai concorsi ivi previsti criteri non pertinenti alla valutazione del merito e della professionalità; inquadrino personale precario al di fuori di pubblici concorsi (e manchino peraltro di stabilire se la spesa conseguente gravi sul bilancio della Regione, con l'ulteriore risultato di contraddire al precetto dell'art. 81 Cost.); protraggano la validità delle graduatorie risultanti dai concorsi espletati al punto di ledere le giuste aspettative di quanti abbiano maturato i requisiti prescritti per la partecipazione a nuovi concorsi;

2) in relazione al secondo disegno di legge, sono sottoposte all'esame della Corte le disposizioni contenute nel secondo titolo (artt. da 5 ad 8) del disegno in questione, in base alle quali il governo regionale é autorizzato a predisporre un progetto, della durata di un anno, ai fini della qualificazione professionale per l'accesso alle amministrazioni degli enti territoriali e di quelli sottoposti alla loro tutela. Così configurato, l'intervento del governo regionale non troverebbe alcun idoneo punto di appoggio nel quadro della legislazione statale che governa la materia, essendo scaduto il termine entro cui, ai sensi di detta normativa, gli organi della Regione avrebbero dovuto adottare i progetti per l'avviamento al lavoro. Detti organi, si deduce, possono pur sempre, nell'ambito della propria autonomia, istituire corsi professionali per l'accesso alle pubbliche amministrazioni. Sono quindi censurati, per asserito contrasto con gli artt. 51, 97 e 128 Cost., anche gli artt. 9, 10 e 11 del testo in esame, in quanto prevedono l'accesso all'impiego di determinate categorie di aspiranti, alle quali sarebbe invece consentita solo l'ammissione ai corsi professionali;

3) del terzo disegno di legge vengono, infine, impugnati gli artt. 2, 3, 4 e 10. Il disposto degli artt. 2 e 3 divergerebbe per più versi dalle norme di indirizzo poste nella legge statale (n. 33 del 1980), con la conseguenza di eccedere i limiti della competenza legislativa regionale; e violerebbe, altresì, l'art. 97 della Costituzione, per aver determinato un'ingiustificata dilatazione dei ruoli del personale in servizio presso gli enti pubblici siciliani.

L'art. 4 prescinderebbe dai limiti di età, fissati nella vigente disciplina del pubblico impiego, e si assume che tale previsione determina, nei confronti dei soggetti beneficiari, un privilegio lesivo degli artt. 3 e 51 Cost. Queste stesse norme di raffronto risultano vulnerate, vien dedotto, anche dalle statuizioni poste nel secondo e terzo comma dell'art. 10, le quali ultime precludono ai dipendenti di ruolo, muniti di titolo di studio più elevato, rispetto a quello occorrente per il posto ricoperto, di partecipare agli esami di idoneità per il passaggio ad altre e superiori qualifiche (o categorie o livelli). Ad avviso del ricorrente, la limitazione disposta per i dipendenti di ruolo che si trovano nella posizione testé richiamata difetta di ogni titolo giustificativo. Non vi sarebbe alcuna riserva, ai sensi della legge statale, che possa operare nella specie a favore del personale appartenente alle categorie inferiori (ed in questo senso vien ricordato l'art. 4 della legge regionale n. 125 del 1980, emanato sulla base dell'art. 26 della legge n. 33 del 1980); laddove la soluzione adottata dal legislatore siciliano discriminerebbe ingiustificatamente i dipendenti di ruolo degli enti locali, in servizio nel territorio della Regione, rispetto agli altri dipendenti pubblici. Per altro verso, si asserisce che il secondo comma dell'art. 10 venga a comprimere - nei confronti dei dipendenti degli enti locali siciliani, ed anche qui in violazione del principio costituzionale di uguaglianza - i diritti garantiti ai dipendenti pubblici, nel resto del paese, dalla legislazione statale di principio (cfr. art.41 del d.l. n. 153 del 1980 convertito nella legge n. 299 del 1980); garanzia che opererebbe mediante la riserva del concorso interno per i posti divenuti vacanti in seguito al riassetto di uff1ci e servizi della pubblica amministrazione.

2. - Si é costituito il Presidente della Regione, per sentir dichiarare l'infondatezza delle questioni prospettate alla Corte. In prossimità dell'udienza, la difesa della Regione produce una memoria comune ai tre giudizi, nella quale sono diffusamente svolte le argomentazioni che militerebbero per il rigetto dei tre ricorsi proposti dal Commissario dello Stato. La Regione deduce in sostanza che la normativa impugnata si mantiene nel rispetto delle norme statali, ancor quando si voglia ritenere che queste costituissero un limite dell'autonomia legislativa ad essa garantita, e in nessun caso confligge con i precetti costituzionali invocati dall'organo ricorrente. A quest'ultimo riguardo si afferma, in particolare, che gli artt. 51 e 97 della Costituzione si compongono a sistema con altre statuizioni del testo fondamentale, fra le quali rientra, senza dubbio, la previsione del diritto al lavoro: la disciplina posta dalla Regione trarrebbe infatti fondamento - come del resto la legislazione statale, alla quale, vien dedotto, essa si adegua - anzitutto dall'esigenza di rendere operante detto diritto e garantirne l'osservanza, senza ledere tuttavia altri principi o norme costituzionali.

3. - All'udienza pubblica del 24 marzo 1982, l'Avvocatura dello Stato ha prospettato all'attenzione della Corte la conclusione che la materia del contendere possa ritenersi cessata. La difesa del Presidente del Consiglio ha in proposito dedotto che le controversie rimesse alla Corte traggono origine da una serie di disegni di legge, approvati dall'Assemblea Regionale siciliana, ciascuno dei quali é stato impugnato dallo Stato e successivamente promulgato dal Presidente della regione, con l'espressa esclusione, però, delle norme oggetto di censura. Precisamente: il disegno di legge approvato dall'Assemblea regionale il 13 novembre 1980 é divenuto la legge del 2 dicembre 1980, n. 125, promulgata in pari data dal Presidente della Regione: le statuizioni impugnate, e così omesse dal testo promulgato, sono quelle contenute negli artt. 2, 3, 4, 6, 7, 8, 12, 18, 23, 24 e 25 del relativo disegno di legge; il disegno di legge approvato il 22 gennaio 1981 (recante modifiche e integrazioni alla legge approvata dall'Assemblea regionale il 13 novembre 1980) é stato promulgato dal Presidente della Regione il 30 gennaio 1981 (legge n. 8 del 1981): sono eccettuati dalla promulgazione gli artt. 9, 10 e 11, sempre in quanto impugnati dal Commissario dello Stato; il disegno di legge approvato dall'Assemblea il 18 dicembre 1981 é stato promulgato il 29 dicembre dello stesso anno (legge n. 171 del 1981), eccezion fatta, anche qui, delle norme impugnate: gli artt. 2, 3 e 4, nonché il comma secondo e terzo dell'art. 10. Le disposizioni or ora citate, ha soggiunto la difesa del Presidente del Consiglio, figurano peraltro soppresse, secondo la testuale previsione dell'art. 4 del disegno di legge approvato dall'Assemblea regionale il 4 marzo 1982 ("Norme integrative della legislazione regionale in materia di occupazione giovanile"), in ordine al quale lo Stato non ha prodotto ricorso. Ad avviso dell'Avvocatura, la materia del contendere non ha più ragione di sussistere nei confronti non soltanto di queste ultime norme, caducate per effetto di una successiva statuizione dello stesso legislatore siciliano, ma anche per le rimanenti altre, censurate nei ricorsi in esame. Ciò in base all'altra e assorbente considerazione che é stata omessa l'inserzione di tutte queste disposizioni nel testo delle relative leggi, quale risulta successivamente promulgato dal Presidente regionale. Proprio su questo autonomo rilievo, osserva la difesa dello Stato, questa Corte ha fatto affidamento in una precedente occasione, (cfr. sentenza n. 142 del 1981), per dichiarare la cessazione della materia del contendere, indipendentemente dalla circostanza che la norma regionale siciliana, sottoposta anche in quella specie al suo esame, risultasse successivamente abrogata. Identica conclusione si imporrebbe riguardo all'attuale controversia.

 

Nella stessa udienza, il patrocinio della Regione affermava di non opporsi per parte sua alla richiesta di una pronunzia, la quale definisca come tale effetto possa conseguire alla situazione della specie, e a quelle analoghe di altri casi, nei quali la Corte é stata investita dal sindacato sulle leggi siciliane con ricorso dello Stato.

Si tratta dunque, conveniva la Regione, di stabilire quale ordine di considerazioni conduca a ritenere che la materia del contendere venga a cessare nei confronti delle disposizioni da essa prodotte, le quali, appunto in quanto impugnate dal Commissario dello Stato, non siano poi inserite nel testo della legge, promulgata in pendenza del giudizio di costituzionalità.

Considerato in diritto

1. - I giudizi promossi con i ricorsi in epigrafe vertono, come spiegato in narrativa, su disposizioni contenute in tre distinti e successivi disegni di legge, approvati dall'Assemblea regionale siciliana e concernenti l'inserimento delle giovani leve nella pubblica amministrazione e nelle attività produttive e sociali. Il Commissario dello Stato asserisce - e la Regione dal canto suo nega - che la disciplina ivi dettata offende i precetti degli artt. 3, 51, 81, 97 e 128 Cost., nonché i limiti posti - anche in relazione alle previsioni di principio della normazione statale (art. 26 legge 29 febbraio 1980, n. 33) - alla competenza attribuita al legislatore regionale, ex art. 17, lett. f, dello Statuto speciale. Data la connessione delle questioni prospettate, i relativi giudizi vengono riuniti e congiuntamente decisi.

2. - Prima di tutto s'impone un rilievo.

Come, anche qui, si precisa in narrativa, ciascuna delle anzidette leggi approvate dall'Assemblea é stata, dopo l'instaurazione del presente giudizio, promulgata dal Presidente regionale e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana. Dal testo promulgato risultano però ogni volta omesse le norme oggetto di censura, con il testuale riferimento all'impugnativa esperita dallo Stato ai sensi dell'art. 28 dello Statuto. Va aggiunto che le disposizioni impugnate con l'ultimo dei ricorsi in esame sono state poi rimosse, per espressa previsione di altra legge regionale non impugnata dallo Stato, anch'essa promulgata e pubblicata (legge 13 marzo 1982, n. 6, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione il 20 marzo 1982).

In considerazione di quanto si é ora esposto, l'Avvocatura dello Stato ha nell'udienza pubblica del 24 marzo 1982 espresso l'avviso, poi condiviso dalla difesa della Regione, che la Corte possa dichiarare la cessazione della materia del contendere.

Tale conclusione va subito accolta con riguardo alle disposizioni che risultano estinte ad opera di un'espressa e più recente manifestazione di volontà dello stesso legislatore regionale.

Resta, però, il fatto che l'assunto prospettato dalla difesa del Presidente del Consiglio dovrebbe valere indistintamente per tutte le disposizioni investite dai tre ricorsi in esame. Questa Corte - osserva infatti l'Avvocatura - ha in altra occasione (sentenza n. 142/81) ravvisato la ragione assorbente della cessazione della materia del contendere proprio in ciò, che la legge siciliana contenente la norma oggetto di impugnazione risultava promulgata e pubblicata nelle more del giudizio. La pronunzia testé richiamata, prosegue la difesa dello Stato, ha anzi inteso prescindere dalla circostanza che la disposizione impugnata fosse stata anche in quel caso caducata da una successiva statuizione legislativa della Regione. Occorre allora fermarsi a considerare il preliminare profilo dell'indagine, così proposto all'attenzione della Corte.

3. - La sentenza n. 142 del 1981 segue ad altre, che riguardano la promulgazione delle leggi siciliane impugnate dallo Stato, sempre in pendenza del conseguente giudizio di costituzionalità. Qualche cenno di questi precedenti giurisprudenziali giova al corretto inquadramento ed esame della specie.

Secondo Statuto (artt. 13, secondo comma; 29, secondo comma) le leggi approvate dall'Assemblea regionale sono promulgate - nell'ipotesi che viene in rilievo - "trascorsi trenta giorni dall'impugnazione, senza che al Presidente della Regione sia pervenuta sentenza di annullamento", e "immediatamente" dopo pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Regione. Di fronte alla citata previsione, la Corte ha in più di una pronunzia affermato (cfr. sentenze nn. 9 del 1958, 60 del 1958, 31 del 1961) che, una volta assorbita nella propria la competenza in origine assegnata dallo Statuto speciale (artt. 25, 28 e 29) all'Alta Corte per la Sicilia, ne discendevano le seguenti conseguenze: a) modi e termini della proposizione del giudizio di legittimità rimangono quelli che regolavano l'impugnativa davanti l'Alta Corte, in conformità del particolare regime di autonomia garantito alla Regione: il che dunque va detto anche del termine stabilito in Statuto per l'impugnazione delle leggi regionali da parte del Commissario dello Stato (art. 28), nonché di quello previsto per la relativa decisione (art. 29, primo comma); b) resta fermo, peraltro, il carattere ordinatorio di quest'ultimo termine, che é di venti giorni dalla "ricevuta dell'impugnazione", c) correlativamente, il termine di trenta giorni dall'impugnazione, entro il quale, ai sensi dell'art. 29, secondo comma, va promulgata la legge, per la quale non sia intanto pervenuta al Presidente regionale "sentenza di annullamento", crea "non già un obbligo perentorio di promulgazione e pubblicazione immediata, ma soltanto la facoltà della Regione di promulgare e pubblicare la legge anche in pendenza del proposto giudizio di legittimità". La Corte ha peraltro chiarito che l'esercizio di tale facoltà "rientra nell'apprezzamento e quindi nella responsabilità dell'organo esecutivo regionale; mentre la sentenza, la quale dichiari l'illegittimità costituzionale della legge, opera giuridicamente nella pienezza dei suoi effetti, del tutto identici a quelli che avrebbe se la promulgazione e la pubblicazione non fossero avvenute" (sentenza n. 31 del 1961).

Sulla base dei criteri sopra richiamati, può ora enuclearsi il necessario presupposto perché - intervenuta, dopo i trenta giorni dall'impugnazione da parte dello Stato, la promulgazione della legge regionale - continui in questa sede a sussistere la materia del contendere. Occorre a tal fine che il Presidente regionale abbia, in relazione alla legge impugnata, seguito l'una o l'altra delle possibili vie dischiuse, ritiene la Corte, dal disposto dell'art. 29, secondo comma, dello Statuto: promulgando, oppur no, la legge necessariamente nella sua interezza, pur quando l'impugnativa abbia investito solo in parte il contenuto del testo normativo. La sua scelta discrezionale, e di organo responsabile innanzi l'Assemblea, consiste nello stabilire se l'atto, nei confronti del quale lo Stato ha prodotto ricorso, vada posto in vigore prima della decisione rimessa a questa Corte. Qualora il Presidente regionale decida di posporre la promulgazione della legge alla definizione del giudizio promosso dallo Stato, e questo si concluda con l'accoglimento del ricorso, alla facoltà di promulgare, della quale egli dispone mentre pende il processo, subentrerà l'obbligo di non promulgare le disposizioni dichiarate illegittime. Se la legge é invece promulgata nelle more del giudizio, si tratta di far salva in tutta la sua virtuale pienezza la sfera degli effetti che possono scaturire dall'eventuale pronuncia di incostituzionalità: la quale deve infatti colpire con la stessa decorrenza temporale le disposizioni illegittime e alcun'altra contestuale disposizione, la cui illegittimità fosse dichiarata ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in via conseguenziale. É un risultato che va garantito; e ciò esige, anche nello speciale sistema dell'autonomia siciliana, che le norme prodotte dall'ente autonomo ed impugnate dallo Stato subiscano, quanto all'entrata in vigore, la stessa sorte della legge in cui son poste: se questa é promulgata e pubblicata in pendenza del giudizio, lo sono necessariamente esse pure.

4. - É chiaro, a questo punto, che la specie versa fuori dall'ipotesi sopra delineata, nella quale la promulgazione della legge siciliana investita dal ricorso dell'organo statale non comporta la cessazione, avanti la Corte, della materia del contendere. Il Presidente regionale non si é infatti avvalso della facoltà di promulgare, quale si atteggia in pendenza del giudizio: sia perché, secondo una prassi ormai diffusa (cfr., per esempio, l. reg. 10 agosto 1978 n. 35; 4 dicembre 1978 n. 59; 16 febbraio 1979 n. 9; 14 settembre 1979 n. 213; 4 giugno 1980 n. 53; 12 agosto 1980 n. 87; 2 dicembre 1980 n. 125; 30 gennaio 1981 n. 8: rispettivamente nella Gazzetta Ufficiale della Regione del 12 agosto e 6 dicembre 1978; 17 febbraio e 15 settembre 1979; 4 giugno, 23 agosto e 3 dicembre 1980 e 31 gennaio 1981), non ha attestato l'avvenuta perfezione dell'intera legge approvata dall'organo legislativo, ma ha escluso dal testo promulgato le disposizioni gravate da censura; sia perché ha emesso l'atto promulgativo così configurato prima ancora della scadenza del termine - stabilito nell'art. 29, secondo comma, dello Statuto - dei trenta giorni dalla "ricevuta dell'impugnazione".

Viene invece in considerazione il potere di cui l'organo della promulgazione é investito con riguardo a qualsiasi legge regionale. Tale organo, va avvertito, ha tenuto conto dell'impugnativa proposta ai sensi dell'art. 28 dello Statuto al solo effetto di discriminare le disposizioni, sulle quali essa era venuta ad incidere, rispetto alle altre della medesima legge. La promulgazione é congegnata come s'è or ora visto sull'evidente presupposto che esclusivamente il residuo contesto delle norme

- quelle indenni, appunto, dai rilievi del Commissario dello Stato - fosse assistito da idoneo titolo per poter acquistare efficacia. Peraltro, l'esercizio del potere qui attribuito al Presidente della Regione si é - in ordine a ciascuno dei tre disegni di legge dedotti in controversia - già esaurito: precisamente, si é concretato e risolto nell'atto con cui le disposizioni impugnate risultano scisse dalla legge regionale promulgata. Siamo allora di fronte - occorre concludere - a disposizioni espunte dal vigente testo normativo una volta per tutte, senza che sussista alcuna possibilità di una loro successiva e autonoma promulgazione. Il che basta, sotto il riflesso al quale l'esame della Corte andava limitato, perché la soluzione sancita con la sentenza n. 142/81 soccorra anche nell'attuale giudizio. La materia del contendere deve quindi ritenersi cessata.

L'Assemblea legislativa siciliana, alla quale spetta altresì il controllo sull'operato del Presidente e del Governo regionale, può del resto, beninteso nei limiti della sua competenza, sempre occuparsi della materia, regolata in precedenti statuizioni, come accade nella specie, non promulgate: e di simili previsioni può anche, in tutto o in parte, adottare il disposto. Ma con ciò si produrrebbe comunque un nuovo atto normativo, che il Commissario dello Stato é abilitato ad impugnare.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara cessata la materia del contendere in ordine ai ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1983.

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE –Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 1 febbraio 1983.