SENTENZA N. 27
ANNO 1982
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Leopoldo ELIA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio sull'ammissibilità ai sensi dell'art. 2, comma primo, legge cost. 11 marzo 1953, n. 1 della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione parziale degli artt. 28, primo comma, limitatamente alle parole "locali delle associazioni sindacali nazionali", 35, primo comma, limitatamente alle parole "di quindici" e "di cinque" e secondo comma limitatamente alle parole "di quindici" e "di cinque", e 37 limitatamente alle parole "dagli altri enti", della legge n. 300 del 20 maggio 1970, recante il titolo "Norme sulla tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento", iscritto al n. 27 registro referendum.
Vista l'ordinanza 11 dicembre 1981 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione ha dichiarato legittima la suddetta richiesta;
udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 1982 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;
uditi l'avv. Claudio Chiola per i presentatori e l'avvocato dello Stato Piergiorgio Ferri, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di Cassazione. ha esaminato, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, la richiesta di referendum popolare presentata il 14 gennaio 1981 da Romanelli Stefano, Rinaldi Enrico, Midulla Maria Grazia, Mancino Leonardo, Cavallari Maria, Fabbri Maurizio Roberto, De Petris Loredana, De Angelis Spada Marco, Catelani Carlo, Zandri Maurizio Claudio e Castiglione Morelli Pasquale sul seguente quesito: "Volete che siano abrogati gli artt. 28, primo comma, limitatamente alle parole "locali delle associazioni sindacali nazionali", 35, primo comma, limitatamente alle parole "di quindici" e "di cinque" e secondo comma limitatamente alle parole "di quindici" e "di cinque", e 37 limitatamente alle parole "dagli altri enti", della legge n. 300 del 20 maggio 1970, recante il titolo "Norme sulla tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento?".
2. - Con ordinanza dell'11 dicembre 1981, l'Ufficio centrale ha dato atto che la richiesta é stata preceduta dall'attività di promozione conforme ai requisiti di legge, che é stata presentata da soggetti che vi erano legittimati, che il deposito, effettuato in due giorni immediatamente successivi, é avvenuto nel termine di tre mesi dalla vidimazione dei fogli, che la richiesta di abrogazione é stata regolarmente formulata e trascritta su ciascun foglio, che il numero definitivo dei sottoscrittori regolari supera quello di 500.000 voluto dalla Costituzione; considerato che é indubbio il carattere legislativo dell'atto normativo sottoposto a referendum e che al riguardo non sono intervenuti atti di abrogazione né pronunce di illegittimità costituzionale, ha dichiarato legittima la richiesta anzidetta.
Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato per la conseguente deliberazione il giorno 15 gennaio 1982, dandone, a sua volta comunicazione ai presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'art. 33, comma secondo, della legge 25 maggio 1970, n. 352.
3. - In una memoria presentata l'11 gennaio 1982 il Comitato promotore, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Claudio Chiola, osserva quanto segue.
Con riguardo alla richiesta concernente l'art. 28 afferma che con la formula come sopra articolata si é inteso mantenere il carattere collettivo dell'azione sindacale, affiancando ai sindacati anche altri organismi più intimamente legati agli interessi dei lavoratori; con riguardo alla richiesta concernente l'art. 35, asserisce che si é inteso conseguire un allargamento dell'area di applicabilità della disciplina e delle garanzie dello Statuto dei lavoratori pur non giungendo tale ampliamento alla applicabilità integrale, stante il limite numerico minimo di due dipendenti per unità produttiva; infine, con riguardo alla richiesta concernente l'art. 37, spiega che si é inteso eliminare l'ostacolo testuale alla applicabilità dello Statuto all'impiego pubblico statale, restando salve le discipline speciali di cui all'ultimo comma dell'art. 37 stesso, ed il connesso e delicato problema della concreta applicabilità nell'impiego statale e pubblico in genere delle singole norme dello Statuto e dei relativi istituti. Onde potrebbe identificarsi il carattere di unitarietà ed omogeneità dell'oggetto del referendum nel suo scopo complessivo di ridurre o eliminare i limiti originariamente posti dal legislatore all'applicazione delle garanzie apprestate dallo Statuto per i lavoratori agli organi rappresentativi degli interessi di questi ultimi, attraverso il riconoscimento, accanto a quello sindacale, del "canale associativo" quale strumento più idoneo a rappresentarne gli interessi.
Dalla risposta positiva degli elettori deriverebbe quindi un effetto propositivo oltre che meramente abrogativo, ma ciò non varrebbe ad inficiare l'ammissibilità del referendum, non potendosi ritenere che questo sia limitato alla mera eliminazione di norme.
Con l'abrogazione infatti potrebbe sempre determinarsi l'insorgere di nuove norme, in quanto eliminare disposizioni dall'ordinamento significa sempre modificarlo producendo una diversa situazione normativa. In altri termini, nella capacità abrogativa del referendum sarebbe immanente la possibilità di innovare l'ordinamento. Il che si ricaverebbe dalla giurisprudenza della Corte in materia e segnatamente dalle sentt. n. 16/78; 25, 26 e 27/81.
Sarebbe poi irrilevante in questa sede la eventuale violazione indiretta di norme costituzionali provocata dalla richiesta abrogazione, poiché questa se mai, potrebbe essere valutata in un giudizio di legittimità successivo alla effettuazione del referendum.
Comunque tale violazione sarebbe da escludere perché nessuna delle norme in esame rappresenterebbe il risultato di una scelta legislativa costituzionalmente vincolata o comunque collegata a dei precetti costituzionali in modo tale che l'abrogazione possa comportare una qualche violazione dei precetti stessi, ma rifletterebbe soltanto una scelta politica del legislatore.
E ciò varrebbe specificamente in relazione all'art. 28, definito appunto una scelta politica e discrezionale del legislatore con la sent. n. 54/74 della Corte; in relazione all'art. 35, similmente definito con la stessa decisione, nonché in relazione all'art. 37, ed in particolare con riferimento alla discriminazione fra impiego statale ed altri rapporti di pubblico impiego. La Corte avrebbe ritenuto inapplicabile lo Statuto dei lavoratori all'impiego statale non per motivi di principio ma essenzialmente perché l'espressione "altri enti pubblici" non comprende implicitamente lo Stato (sent. 118/76) e quindi esprime, anche qui, una scelta discrezionale del legislatore. Ed anzi tale concetto sarebbe stato ribadito dalla Corte con la sent. n. 68/80, ove si é affermato che l'esclusione dell'applicabilità dello Statuto dei lavoratori all'impiego statale, pur se in qualche modo ricollegabile al principio del buon andamento della p.A. stabilito dall'art. 97 Cost., non sarebbe tuttavia una esigenza insuperabile ma un dato modificabile dal legislatore.
Passando poi alla verifica analitica dell'ammissibilità della richiesta referendaria in esame, la memoria riafferma che i quesiti sarebbero indubbiamente omogenei ed univoci. In proposito osserva che gli artt. 28, 35 e 37 sono diretti a disciplinare l'ambito di efficacia delle norme sostanziali dello Statuto ed a garantirne l'effettiva osservanza in funzione delle connessioni inscindibili fra la tutela delle libertà dei lavoratori e la promozione di organismi collettivi visti come il fondamentale strumento per la realizzazione di una tutela effettiva.
L'ampliamento che conseguirebbe alla abrogazione nel senso richiesto rivelerebbe l'unitarietà del tema proposto agli elettori e la sua rispondenza ai criteri enunciati dalla giurisprudenza della Corte e segnatamente dalla sent. n. 16/78. Ed anzi, aggiunge in particolare su questo punto la memoria, all'allargamento del campo di applicazione delle garanzie previste dallo Statuto conseguente all'abbattimento del limite numerico di cui all'art. 35 sopra indicato conseguirebbe necessariamente l'estensione della legittimazione alla speciale azione ex art. 28 a tutti gli organismi rappresentativi degli interessi dei lavoratori. La richiesta referendaria, quindi, si muoverebbe in senso unitario tendente a livellare le disparità di trattamento fra i lavoratori, e ciò varrebbe in particolare anche per quanto riguarda il quesito concernente l'art. 37, che appunto risponderebbe alla stessa logica di equiparazione tra i lavoratori. Anche estendendo la verifica in rapporto alla esigenza di coerenza del quesito o dei quesiti rappresentata con la sent. n. 27/81 la risposta circa l'ammissibilità sarebbe ugualmente positiva. Ed invero l'eventuale regime privilegiato a favore di rappresentanze sindacali, non affiliate alle confederazioni nazionali (affiliazione invece richiesta dall'art. 19) che potrebbe derivare dalla proposta modifica dell'art. 28, non avrebbe rilievo al riguardo perché lo stesso legislatore avrebbe differenziato la legittimazione attiva all'azione ex art. 28, affidandola ad organismi sindacali esterni all'impresa, mentre per le rappresentanze sindacali il vincolo di affiliazione con le organizzazioni sindacali esterne presupporrebbe comunque l'esistenza, all'interno, di un organismo a base associativa composto dagli stessi lavoratori. E d'altra parte la rappresentanza sindacale aziendale ben potrebbe essere costituita anche da un solo lavoratore, purché, ai sensi dell'art. 19 dello Statuto, operi in collegamento con le associazioni sindacali maggiori, e ciò per favorire la presenza sindacale nelle minori unità di lavoro. Onde risulterebbe in concreto ammissibile la minore sindacalizzazione derivante dall'accoglimento della richiesta referendaria e si rivelerebbe infondato il rilievo di incoerenza della richiesta stessa che sotto questo profilo volesse formularsi.
Sarebbe da escludere poi che possa ritenersi operante nella specie il limite degli impegni internazionali, anche di quelli che scaturiscano dalle convenzioni adottate in sede di conferenza dell'organizzazione internazionale del lavoro e ratificate con legge 23 marzo 1958, n. 367.
Sviluppando infine quanto già accennato per escludere nella specie l'operatività del limite delle disposizioni a contenuto costituzionalmente vincolato elaborato dalla giurisprudenza della Corte in relazione alla ammissibilità del referendum (sentt. 16/78, 24/81 e 26/81), la memoria osserva che le scelte legislative, pur collegate a diverse disposizioni costituzionali di cui sono attuazione, rappresenterebbero tuttavia solo una delle possibili soluzioni al riguardo, e non già l'unica forma di possibile attuazione delle disposizioni stesse, il che confermerebbe che tali scelte hanno carattere pienamente discrezionale e non costituzionalmente necessitato.
E questi concetti varrebbero in particolare anche con riguardo all'art. 37 dello Statuto, in relazione all'art. 97 Cost., rappresentando la soluzione ivi adottata in ordine all'applicabilità dello Statuto nell'impiego pubblico in genere e statale in specie una delle possibili scelte al riguardo. Non si potrebbe infatti ritenere che l'art. 97 precluda in linea di principio l'applicazione dello Statuto dei lavoratori all'impiego statale, applicazione che in caso di risposta positiva degli elettori resterebbe comunque limitata a svolgere una funzione integratrice rispetto alle norme speciali esistenti in materia, parallelamente a quanto già oggi accade per gli altri rapporti di pubblico impiego.
D'altra parte sebbene l'art. 97 Cost. riguardi tutte le amministrazioni pubbliche, ciò non ha impedito che il legislatore, con una sua scelta discrezionale, escludesse appunto l'applicabilità dello Statuto all'impiego statale mentre lo ha reso applicabile alle altre amministrazioni pubbliche, dimostrando così che l'art. 37 non può considerarsi norma a contenuto costituzionalmente vincolato rispetto all'art. 97 Cost..
La memoria insiste quindi perché la Corte voglia dichiarare l'ammissibilità della predetta richiesta di referendum abrogativo.
4. - In una memoria, anch'essa presentata, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, l'11 gennaio 1982, l'Avvocatura generale dello Stato osserva anzitutto che i quesiti presenterebbero caratteri di evidente eterogeneità, per cui non sarebbe ravvisabile nella specie un quesito comune e razionalmente unitario così come invece sarebbe richiesto secondo la giurisprudenza della Corte.
Le tre domande non si presterebbero invero ad un'unica scelta del corpo elettorale, il quale verrebbe chiamato a dare, in modo inscindibile, tre risposte che non presuppongono una unitaria presa di posizione sui problemi economico- sociali coinvolti nel referendum. Approfondendo l'indagine su questo punto, l'Avvocatura pone in evidenza che: mentre il quesito concernente l'art. 28 riflette la possibile rilevanza diffusa dei comportamenti antisindacali, ai fini dell'attivazione della relativa repressione giudiziaria, gli altri quesiti rifletterebbero invece una diversa scelta circa la differenziazione o meno del regime dei rapporti di lavoro. Altro elemento di eterogeneità sarebbe poi particolarmente ravvisabile fra i quesiti concernenti gli artt. 35 e 37, riguardando, il primo, un problema attinente alla dimensione dell'impresa ed il secondo una questione che investe l'assimilazione del settore pubblico al privato.
Inoltre, prosegue la memoria, la particolare tecnica con cui sono formulati i quesiti porrebbe una serie di altri motivi di inammissibilità che possono sintetizzarsi come segue.
Anzitutto, attraverso, l'alterazione del costrutto logico e sostanziale della norma conseguente alla soppressione delle parole, si otterrebbe un risultato consistente non soltanto nella eliminazione di una norma, conforme all'effetto abrogativo, ma anche in una modificazione positivamente innovativa dell'ordinamento, che invece esulerebbe dalla logica e dallo spirito del referendum.
La detta peculiarità tecnica della formula abrogativa in esame, poi, eluderebbe l'esigenza di semplicità, chiarezza e coerenza del quesito, affermata nella giurisprudenza della Corte in materia. Invero, non risulterebbe evidente la precisa ed autonoma portata normativa della enucleazione dal testo della disposizione delle parole indicate nei quesiti, date le conseguenze complesse e non immediatamente individuabili della eventuale abrogazione.
Passando poi ad illustrare più particolarmente l'aspetto innovativo dei quesiti proposti, l'Avvocatura, per quanto concerne l'art. 28, osserva che il semplice termine "organismo" risultante dall'abrogazione sarebbe di carattere incerto ed equivoco, e condurrebbe alla creazione di una disciplina ispirata a principi diversi da quelli in vigore, il che porterebbe da un processo distruttivo, quale é il referendum, ad un vero e proprio processo creativo di norme giuridiche.
Per quanto concerne l'art. 35, attraverso la soppressione del limite numerico ivi indicato, si giungerebbe in realtà alla indicazione del nuovo e diverso limite di due dipendenti per l'applicabilità dello Statuto, per cui in sostanza, attraverso un effetto abrogativo soltanto apparente, si creerebbe una nuova disposizione.
Per quanto riguarda infine l'art. 37, l'Avvocatura osserva che attraverso la soppressione delle parole indicate si creerebbe una nuova formula legislativa oltre tutto di dubbio significato, in quanto l'innovazione si inserirebbe nella già complessa elaborazione interpretativa della norma operata in sede di applicazione giurisprudenziale, suggerendo così effetti certamente additivi e, comunque, remoti ed incerti. Inoltre l'effetto abrogativo verrebbe ad incidere anche sulla materia della giurisdizione, che non potrebbe considerarsi incondizionatamente sottoponibile a referendum.
Invero la innovazione proposta condurrebbe ovviamente a profonde modificazioni ed ampliamenti dei poteri del giudice sulla pubblica amministrazione, con riguardo anche ai poteri di annullamento degli atti, e per tale via il referendum agirebbe in senso non conforme all'art. 113, terzo comma, Cost., che richiederebbe una positiva determinazione per legge dei casi in cui si consente un annullamento giurisdizionale di atti della p.A., determinazione che non potrebbe effettuarsi in sede di referendum, istituzionalmente dotato di una creatività giuridica esclusivamente negativa.
L'Avvocatura chiede pertanto dichiararsi inammissibile la richiesta di referendum in esame.
5. - Ad integrazione del contraddittorio espressamente previsto dall'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970 nella camera di consiglio del 15 gennaio 1982 sono stati uditi l'avv. prof. Claudio Chiola per il comitato promotore del referendum ed il sostituto avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Considerato in diritto
1. - Oggetto della richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte é chiamata a decidere, sono gli artt. 28, primo comma, limitatamente alle parole "locali delle associazioni sindacali nazionali", 35, primo e secondo comma, limitatamente alle parole "di quindici" e "di cinque"e 37, limitatamente alle parole "dagli altri enti" della legge 20 maggio 1970, n. 300, concernente "Norme sulla tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento".
2. - Occorre pertanto verificare, a norma degli artt. 2, primo comma legge 11 marzo 1953, n. 1 e 33 legge 25 maggio 1970, n. 352, se esistono ragioni ostative a tale ammissibilità derivanti dall'art. 75 della Costituzione nell'interpretazione datane da questa Corte.
Mentre é evidente che le norme in esame, le quali riguardano aspetti della regolamentazione dell'attività sindacale e della tutela degli interessi dei lavoratori, non rientrano nelle ipotesi escluse espressamente dal referendum (leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali), a più attento esame occorre procedere per quanto riguarda l'esistenza di cause ostative implicite nella previsione del citato art. 75. Al riguardo é opportuno anzitutto ricordare che fin dalla sent. n. 16/78 la giurisprudenza della Corte ha individuato, in linea di principio, fra i criteri da osservare ai fini del giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo la necessaria sussistenza, in caso di quesiti plurimi, di una matrice unitaria, e la correlativa inammissibilità di domande eterogenee, che si discostino dagli scopi in vista dei quali l'istituto del referendum abrogativo é stato introdotto, come strumento di genuina manifestazione della volontà popolare.
La Corte ha poi ribadito e sviluppato tali concetti in occasione dei successivi giudizi (v. particolarmente sentt. n. 26, 27, 28, 29/81), ritenendo sempre decisiva, ai fini della ammissibilità di quesiti plurimi, l'esistenza di connotati di sostanziale unitarietà nelle disposizioni oggetto dei quesiti stessi, estendendo l'analisi al riscontro della sufficiente chiarezza e semplicità della formulazione delle domande, a garanzia della piena consapevolezza della scelta dell'elettore e quindi della sua libertà di voto; é stato evidenziato in particolare che le caratteristiche di chiarezza, semplicità ed univocità dei quesiti si realizzano ove sia riscontrabile nelle norme oggetto del referendum, obbiettivamente considerate nella loro struttura e nella loro finalità, un comune principio la cui eliminazione o la cui permanenza verrà a dipendere dalla risposta che il corpo elettorale fornirà al dilemma sottopostogli.
Conclusivamente può affermarsi che l'elemento essenziale della omogeneità dei quesiti referendari debba in concreto essere inteso nel senso che l'unitarietà della proposta abrogativa emerga dalla constatata esistenza di un principio comune univocamente ispiratore delle norme investite e dalla parallela univocità delle conseguenze abrogative, in modo da consentire una scelta libera dell'elettore, con particolare riguardo alla necessità che le conseguenze dell'abrogazione siano chiaramente e immediatamente intelligibili al momento del voto, onde realizzare pienamente lo scopo essenziale dell'istituto del referendum, cioè la libera, consapevole e precisa espressione della volontà popolare in ordine ai quesiti proposti.
3. - Ciò premesso, occorre ora considerare:
a) con l'eliminazione dal testo dell'art. 28 delle parole "locali delle associazioni sindacali nazionali", si vuol conseguire l'estensione della facoltà di proporre ricorso al Pretore contro i comportamenti antisindacali del datore di lavoro, facoltà prima limitata appunto agli "organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse", a qualsiasi "organismo che vi abbia interesse";
b) con l'eliminazione del numero minimo di dipendenti posto dall'art. 35 quale limite per l'applicabilità dell'art. 18 (reintegrazione nel posto di lavoro nel caso di riconosciuta illegittimità del licenziamento) nonché del titolo terzo dello Statuto dei lavoratori (disciplina dell'attività sindacale) si vuole che la predetta normativa sia applicabile, in relazione a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupi "più dipendenti", e, quindi, in caso estremo, anche due soltanto;
c) con l'eliminazione delle parole dell'art. 37 sottoposte a referendum si vuole rendere applicabile lo Statuto dei lavoratori ai "dipendenti pubblici" in genere, salvo restando il disposto dell'ultima parte dell'articolo stesso.
4. - Ciò posto, passando alla verifica della rispondenza dei quesiti ai criteri sopra richiamati, deve giungersi ad una risposta negativa.
Invero le proposte abrogative si articolano in realtà su temi distinti per il loro oggetto e non omogenei riflettenti, da un lato, l'organizzazione dell'attività sindacale dal punto di vista dei soggetti legittimati a promuoverla e, dall'altro, il campo di applicazione della tutela degli interessi dei lavoratori sotto duplice, differenziato profilo. Di talché, nella specie, l'elettore ben potrebbe non concordare su tutte le proposte avanzate, non legate da un nesso di inscindibile coerenza logica e sostanziale, mentre é, invece, costretto a fornire una risposta unica in sede di espressione del voto. Ben potrebbe cioè l'elettore condividere l'una o l'altra delle soluzioni abrogative ma non tutte, mentre dovrebbe invece necessariamente rispondere "sì" o "no" in relazione al loro complesso.
Infatti, la risposta positiva all'attribuzione agli "organismi" predetti della facoltà di azione sindacale non suppone necessariamente la risposta altrettanto positiva alla riduzione del numero minimo di dipendenti e, ancor meno, alla estensione a tutti i dipendenti pubblici dell'applicabilità dello Statuto dei lavoratori, essendo ben ipotizzabile che la visione dei connessi problemi economico-sociali si presenti in modo diversificato all'elettore appunto per la loro diversa oggettività, investendo essi, da un lato, la titolarità dell'azione sindacale, e dall'altro l'unificazione di tutti i rapporti di lavoro sotto una comune disciplina, gravide entrambi oltre tutto di conseguenze non chiaramente definibili a priori.
Ciò esime la Corte dal portare il suo esame sulla chiarezza ed univocità dei singoli quesiti referendari.
5. - Né la situazione in esame é comparabile con quelle concernenti i referendum sulla legge 22 maggio 1975, n. 152 recante "Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico" (sent. 16/78) e sul d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 recante "Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica" (sent. 22/81), che potrebbero presentare qualche apparente analogia con l'attuale questione all'esame della Corte.
In entrambi i casi ora citati, é vero, questa Corte ha ritenuto omogenea la proposta di abrogazione sulla base della riconosciuta esistenza del comune intento di garanzia dell'ordine pubblico e della difesa della libertà democratica contro la delinquenza perseguito dalle leggi complessivamente sottoposte a referendum e della correlativa unitarietà delle proposte abrogative che rispettivamente le concernevano. Ma si trattava allora di quesiti che consentivano la riduzione ad un concetto unitario delle varie norme o parti di norme sottoposte a referendum e quindi ad una inequivocabile unitarietà delle risposte, per la ben precisa delimitazione della materia già formalmente operata dal legislatore; mentre, come testé si é visto tale necessaria coerenza esula dalla materia in esame, di fronte alla quale l'elettore, come già rilevato, potrebbe assumere atteggiamenti e formulare giudizi non necessariamente univoci.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione parziale degli artt. 28, 35 e 37 della legge 20 maggio 1970, n. 300, iscritta al n. 27 Reg. ref., nei termini indicati in epigrafe, dichiarata legittima con ordinanza 11 gennaio 1981 dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di Cassazione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 febbraio 1982.
Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA.
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1982.