Sentenza n.119 del 1981
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 119

AANO 1981

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI, Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 22 della legge 13 luglio 1967, n. 583 (Miglioramenti del trattamento posto a carico del Fondo speciale di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia e modifiche alle leggi 4 dicembre 1956, n. 1450 e 11 dicembre 1962, n. 1790), unico della legge 20 marzo 1968, n. 369 (Nuova decorrenza per l'applicazione delle norme contenute nell'art. 22 della legge 13 luglio 1967, n. 583 sui trattamenti posti a carico del Fondo speciale di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia e loro estensione ad altre forme di pensione) e 31 della legge 3 giugno 1975, n. 160 (Norme per il miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 30 marzo 1976 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Mancini Alberto e l'INPS, iscritta al n. 393 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 164 del 23 giugno 1976;

2) ordinanza emessa il 5 gennaio 1977 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Angelini Enrico ed altri e l'INPS, iscritta al n. 297 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 205 del 27 luglio 1977;

3) ordinanza emessa il 14 gennaio 1977 dal tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento civile vertente tra Stipa Viris e l'INPS, iscritta al n. 209 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 126 del 9 maggio 1979;

4) ordinanza emessa il 14 gennaio 1977 dal tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento civile vertente tra Crispo Pasquale e l'INPS, iscritta al n. 210 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 126 del 9 maggio 1979.

Visti gli atti di costituzione di Mancini Alberto, rappresentato e difeso dagli avvocati Parisio Ravajoli e Valente Simi, di Angelini Enrico ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Parisio Ravajoli, e dell'INPS, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Belloni, Carlo Casalena e Paolo Boer, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 4 marzo 1981 il Giudice relatore Antonino De Stefano;

uditi l'avv Parisio Ravajoli per Mancini e Angelini ed altri, l'avv. Valente Simi per Mancini e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Le disposizioni dell'art. 22 della legge 13 luglio 1967, n. 583, e dell'articolo unico della legge 20 marzo 1968, n. 369, relative alla istituzione di una "ritenuta progressiva" per contributo di solidarietà al Fondo sociale, di cui alla legge 21 luglio 1965, n. 903, posta a carico dei titolari di pensioni erogate dall'assicurazione generale obbligatoria e dai fondi sostitutivi o integrativi gestiti dall'INPS, di importo eccedente le lire 7.200.000, sono state sottoposte al giudizio di questa Corte, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, con ordinanza emessa il 30 marzo 1976 dal tribunale di Roma (Sez. lavoro).

La questione è stata sollevata su eccezione di Alberto Mancini, appellante contro una sentenza del pretore di Roma, con la quale gli era stata negata la restituzione di somme trattenute dall'INPS per il suddetto contributo. Nell'ordinanza si fa presente che la ritenuta è stata abolita, in forza dell'art. 31 della legge 3 giugno 1975, n. 160, dal 1 gennaio 1976 (da quando cioè si prevedeva che il finanziamento del Fondo sociale sarebbe passato a totale carico dello Stato). La questione investe tuttavia le norme impugnate nella loro persistente applicabilità nel periodo precedente, ossia fino a tutto il 1975, a partire però dal 10 gennaio 1974, giacché solo con l'entrata in vigore della riforma tributaria, per effetto del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, il giudice a quo ritiene che le norme stesse siano divenute censurabili sotto i su indicati profili. Era appunto in riferimento a quel periodo che la questione era stata prospettata dall'appellante, il quale aveva chiesto la restituzione delle trattenute praticategli in tale lasso di tempo.

Nella motivazione il giudice a quo osserva, circa la "rilevanza", che essa è evidente, non potendosi, se la questione di legittimità costituzionale non venga risolta, decidere sul proposto appello.

Quanto alla "non manifesta infondatezza", il giudice a quo rileva che la questione è nuova, rispetto a quella dichiarata da questa Corte non fondata con la sentenza n. 146 del 1972, giacché, anche se riguarda le medesime norme, sorge in un contesto legislativo - quello creatosi con l'avvento della riforma tributaria - nel 1972 ancora di là da venire. Ed osserva che, in base all'assunto della difesa dell'appellante, la decurtazione delle suddette pensioni disposta dalle norme in questione costituirebbe una imposizione fiscale che, non ragguagliata alla capacità contributiva, e in contrasto con il principio della parità di trattamento tra tutti i cittadini, porrebbe i titolari delle pensioni stesse in una condizione di ingiusta disuguaglianza.

Secondo l'ordinanza di rinvio, ciò non può sicuramente escludersi se si considera, anzitutto, la motivazione della sentenza di questa Corte n. 146 del 1972, là dove si afferma che "la ritenuta progressiva sulle alte pensioni, disposta dalle norme impugnate, ha sostanzialmente carattere di prestazione imposta" e che le pensioni, "salvo espresse eccezioni, non si sottraggono al regime tributario"; e se si pone mente, altresì, alla relazione al disegno di legge governativo, divenuto poi legge 3 giugno 1975, n. 160, abrogativa come sopra detto del contributo, nella quale si fa espresso riferimento alla esenzione dalla imposta di ricchezza mobile delle pensioni erogate dall'INPS quale causa giustificatrice delle suddette norme delle leggi del 1967 e del 1968 e si menziona come motivo della prevista abrogazione del contributo il fine di evitare la doppia imposizione cui sarebbero state assoggettate, per effetto della riforma fiscale, le pensioni dell'INPS. Queste infatti, già esenti dalla R.M., con il permanere in vigore delle norme impugnate anche dopo la riforma tributaria, risultavano assoggettate, fino a tutto il 1975, oltre che alla ritenuta per il Fondo sociale, alla imposta sul reddito delle persone fisiche.

2. - Nei confronti delle stesse norme, delle leggi n. 583 del 1967 e n. 369 del 1968, ma con estensione della impugnazione all'art. 31 della legge n. 160 del 1975, analoga questione di legittimità costituzionale è stata sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, con una seconda ordinanza, in data 5 gennaio 1977, del tribunale di Roma (Sez. 1).

Anche in questo caso la eccezione risulta proposta, su istanza degli attori, nel corso di un giudizio promosso da Enrico Angelini ed altri, titolari di pensioni del Fondo di previdenza per il personale di volo, di importo superiore a quello oltre il quale era prevista la trattenuta, contro l'INPS, per la restituzione delle somme percepite dall'istituto a quel titolo, a partire dal 1 gennaio 1974. Ed anche i motivi della "non manifesta infondatezza" ricalcano quelli accolti nel precedente provvedimento di rimessione, attraverso il richiamo alle argomentazioni della sentenza di questa Corte n. 146 del 1972 (circa il parallelo istituito nella motivazione di essa con l'imposta di ricchezza mobile da cui le pensioni INPS erano esenti) e della relazione alla legge n. 160 del 1975 (dove la prevista abrogazione della "ritenuta" appare preordinata all'intento di evitare una doppia imposizione), in base alle quali, ad avviso del giudice a quo, non appare possa escludersi con la necessaria certezza che la trattenuta in questione abbia carattere impositivo. Per cui - se ne conclude - in costanza della disciplina dettata dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, che assoggetta le pensioni stesse all'imposta sul reddito delle persone fisiche, le norme che hanno istituito la trattenuta, e ancor più l'art. 31 della legge del 1975, che ne ha sancito la operatività fino al 1 gennaio 1976, sembrano porsi in contrasto (anche perchè il prelievo coattivo che ne risulta viene riferito al tipo di reddito e non alla capacità contributiva), con i principi di eguaglianza tra i cittadini stabiliti dagli articoli 3 e 53 della Costituzione.

3. - Adempiute le prescritte formalità si sono costituiti innanzi alla Corte, nel primo giudizio, il Mancini, difeso dagli avvocati Ravajoli e Simi, e, nel secondo, l'Angelini e gli altri attori del processo di provenienza, tutti difesi dall'avv. Ravajoli. In entrambi si è inoltre costituito l'INPS, difeso dagli avvocati Belloni, Casalena e Boer. In nessuno di essi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

Negli atti di deduzioni, presentati dai pensionati, di contenuto sostanzialmente identico, si osserva che in aggiunta agli argomenti a sostegno della eccezione, che le ordinanze di rinvio desumono dalla motivazione della sentenza di questa Corte n. 146 del 1972, dalla relazione ministeriale alla legge del 1975 e dai riferimenti che esse fanno alla precedente esenzione delle pensioni dalla imposta di R.M., altri se ne possono trarre da una lettera inviata in proposito dallo stesso INPS al Ministero del lavoro, nel marzo 1975. In tale comunicazione l'INPS, in riferimento alla ritenuta in questione, aveva infatti, fra l'altro, affermato apparire illegittimo e illogico il perdurare di una norma, come quella istitutiva del contributo di solidarietà, che, dettata in un contesto legislativo completamente differente, aveva ormai esaurito la sua funzione perequatrice, per diventare, invece, col subentrare della nuova disciplina fiscale, strumento di iniqua tassazione, in contrasto con i principi costituzionali della eguaglianza e dei doveri inerenti alla capacità contributiva, in quanto i pensionati assoggettati alla ritenuta venivano a sopportare, a parità di capacità contributiva, un carico fiscale ingiustificatamente maggiore degli altri cittadini. Si riconosceva, quindi, esplicitamente che la trattenuta per il Fondo sociale non aveva carattere previdenziale, per contributi previdenziali dovendosi intendere normalmente solo quelli che sono prelevati sulla retribuzione dai datori di lavoro, e vengono versati alle gestioni che provvedono alla organizzazione dei trattamenti di pensione.

Alle stesse conclusioni, secondo la difesa dei pensionati, conducono, oltre ai testi normativi, le discussioni parlamentari per la riforma tributaria (dove l'accento cade costantemente sulla globalità del prelievo sul reddito delle persone fisiche, sul suo carattere di imposta unica, che non incide più sui redditi singoli, bensì sul loro complesso con la conseguente abolizione di precedenti molteplici forme di imposizione). Va inoltre considerato che la ritenuta per il Fondo sociale, secondo le norme impugnate, veniva effettuata sulle pensioni dopo la loro liquidazione da parte dell'INPS, quando perciò, entrate nella sfera patrimoniale dei titolari, dovevano ritenersi già "percepite"; che essa era effettuata anche sulle pensioni dell'assicurazione obbligatoria, per le quali è fissato il c.d. tetto (ciò che esclude che la finalità della ritenuta fosse in realtà quella di comprimere le pensioni più elevate per consentire la elevazione di quelle più basse, mentre è chiaro che se questo fosse stato lo scopo della ritenuta, il legislatore non avrebbe rinunciato a perseguirlo abolendo la ritenuta, come invece statuì con la legge del 1975); che al finanziamento del Fondo sociale provvede ora esclusivamente e direttamente lo Stato, il che dimostra come il finanziamento stesso rientri nelle "spese pubbliche" di cui all'art. 53 della Costituzione.

Infine la difesa dei pensionati fa richiamo alla disposizione dell'art. 46, secondo comma, del d.P.R. n 597 del 1973, secondo la quale "costituiscono reddito di lavoro dipendente anche le pensioni". Alla luce di questa norma, a ulteriore conforto della tesi della incostituzionalità, si dimostrerebbe, infatti, che la disuguaglianza di trattamento a cui la ritenuta in questione dà luogo, si ha non solo a parità di quantità, ma anche a parità di qualità di reddito.

4. - L'INPS, costituendosi in giudizio, dichiara di rimettersi alla decisione della Corte. Richiama tuttavia l'attenzione su alcuni elementi, che a suo parere consentono di meglio valutare la natura e la portata delle norme censurate, in senso contrario a quello seguito dalle ordinanze di rinvio. Premesso che la questione sulla legittimità della ritenuta sulle pensioni di maggior importo si accentra sulla natura del prelievo, previdenziale o tributario, rileva che non può ritenersi per nulla pacifico che la tesi giusta sia la seconda, sussistendo, al contrario, valide ragioni per inquadrare il meccanismo di prelievo in questione nell'ambito del sistema previdenziale, nel qual caso il conflitto con l'art. 53 della Costituzione non sarebbe più prospettabile. Ed invero la natura previdenziale della ritenuta troverebbe conferma in diverse disposizioni (art. 20 della legge n. 153 del 1969 sul divieto di cumulo, oltre un certo importo, fra pensione e retribuzione; art. 26 della stessa legge, sulla misura della "pensione sociale", ed altre, sul diritto agli assegni familiari incidente sulla pensione di riversibilità), nelle quali il diritto alla prestazione previdenziale viene ad essere escluso o ridotto dalla disponibilità di un determinato reddito, cosicché la pensione resta disponibile a favore del titolare in misura inferiore a quella liquidata. Anche le norme censurate - sostiene l'INPS - si collocano nell'ambito di questi meccanismi diretti a proporzionare l'erogazione previdenziale alle effettive esigenze del pensionato.

Secondo l'Istituto, inoltre, il carattere previdenziale e non tributario della ritenuta sulle pensioni di maggiore importo, si desume dalla natura dell'ente percettore (lo stesso INPS), dalla funzione di solidarietà che essa assolve, dalla sua devoluzione al Fondo sociale, dalla meccanica con cui opera, che prescinde dal reddito globale del soggetto ma considera solo importo della pensione, dallo stesso arco temporale di dodici mesi, in base al quale si determina l'importo della pensione, che prescinde dall'anno solare, e dalla funzione di compressione dei redditi da pensione più elevati che la norma era destinata ad assolvere.

Infine, per quanto riguarda, in particolare, l'art. 31 della legge n. 160 del 1975, la difesa dell'INPS osserva che in realtà esso ha assolto ad una funzione di mera chiarificazione e interpretazione, in quanto, come già sì e sopra accennato, la operatività del prelievo sarebbe venuta comunque a cessare con il 1 gennaio 1976, e cioè con il trasferimento allo Stato dell'intero finanziamento del Fondo sociale, come previsto dall'art. 1 della legge n. 153 del 1969, e come la stessa Corte, del resto, aveva osservato nella sentenza n. 146 del 1972.

5. - In una successiva memoria, con ampio sviluppo dei motivi già esposti negli atti di deduzioni, la difesa dei pensionati, rilevando che le argomentazioni dell'INPS sono in aperta contraddizione con le posizioni assunte dall'Istituto nella ricordata comunicazione ufficiale del marzo 1975, ne contesta su tutti i punti il fondamento. Soffermandosi, in particolare, sulla natura e struttura del Fondo sociale e del relativo finanziamento, osserva che il Fondo sociale fu istituito con la legge n. 903 del 1965 per erogare, in misura fissa ed egualitaria per tutti i beneficiari, le c.d. pensioni sociali, che, estranee allo schema previdenziale, e inquadrandosi negli schemi della sicurezza sociale, non sono pensioni nel senso proprio del termine, ma piuttosto erogazioni assistenziali. Del resto, che il finanziamento del Fondo sociale rappresentasse, fin da principio, una spesa pubblica e non una manifestazione solidaristica nell'ambito del sistema previdenziale, è dimostrato dal fatto che il legislatore volle escludere da qualsiasi concorso al finanziamento sia i datori di lavoro, sia i lavoratori, sia, infine, almeno in via normale, i pensionati. La posizione dell'INPS, nel gestirlo (e nel continuare a gestirlo anche ora che il finanziamento del Fondo sociale è a totale carico dello Stato) sarebbe semplicemente quella di amministratore per conto dello Stato. Nel corrispondere al Fondo l'ammontare delle ritenute sulle pensioni di maggiore importo, inoltre, la funzione dell'Istituto sarebbe stata solo quella di un "sostituto di imposta".

Secondo la difesa dei pensionati, è anche significativo che le pensioni erogate dal Fondo sociale non vengano corrisposte né agli iscritti alla previdenza degli addetti alle imposte di consumo, né agli iscritti alla previdenza del personale di volo e a quella degli addetti ai servizi di telefonia o ad altre forme speciali di previdenza, i cui pensionati sono stati assoggettati alla ritenuta. Ciò dimostra che il prelievo sulle pensioni attuato attraverso la ritenuta, non opera in funzione di un apporto solidaristico alla stessa categoria, a cui il pensionato che vi è assoggettato appartiene.

6. - Non investe l'art. 31 della legge n. 160 dei 1975, ma solo l'art. 22 della legge n. 583 del 1967 e l'articolo unico della legge n. 369 del 1968, la questione posta all'esame della Corte, circa la legittimità della ritenuta sulle pensioni INPS prevista dalle suddette disposizioni, con due ordinanze, di identica motivazione, entrambe emesse su eccezione di parte, il 14 gennaio 1977, dal tribunale di Ascoli Piceno (Sez. lavoro), nei giudizi di appello promossi da due pensionati dell'INPS (Viris Stipa, nel primo giudizio, e Pasquale Crispo nel secondo) contro le sentenze dei pretore della stessa Ascoli, che avevano respinto le loro istanze di restituzione delle somme trattenute sulle loro pensioni negli anni 1974 e 1975, per il contributo di solidarietà al Fondo sociale.

I motivi delle due ordinanze di rinvio sono analoghi a quelli dei provvedimenti di rimessione del tribunale di Roma. A giudizio del tribunale di Ascoli Piceno, le ritenute in oggetto hanno indubbiamente carattere di imposta. Di conseguenza, quanto meno per il periodo 1 gennaio 1974-1 gennaio 1976, con l'entrata in vigore del d.P.R. n. 597 del 1973, deve ritenersi che, nei casi in questione, le pensioni INPS siano state assoggettate ad una doppia imposizione, il che appare in contrasto con gli artt. 5 e 53 della Costituzione, nelle parti in cui stabiliscono che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e che il sistema tributario deve essere informato a criteri di progressività.

7. - Adempiute le formalità di rito per le notificazioni, le comunicazioni e la pubblicazione delle ordinanze di rinvio, né lo Stipa, né il Crispo si sono costituiti in giudizio. Si è costituito, invece, l'INPS, con atto di deduzioni che ripropone allo stesso modo motivi e conclusioni dell'atto di costituzione nei giudizi promossi dal tribunale di Roma.

É intervenuta, inoltre, in entrambi i giudizi, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato. Negli atti di deduzioni, di identico contenuto, l'Avvocatura chiede anzitutto che, in mancanza di qualsiasi motivazione, anzi di qualsiasi accenno, nei provvedimenti di rimessione, all'esame che il giudice a quo avrebbe dovuto compiere in punto di rilevanza, la questione venga dichiarata inammissibile.

Nel merito, comunque, affermando che la questione non si pone sostanzialmente in termini diversi da quella che, sollevata in riferimento non solo agli artt. 36 e 38, ma anche agli artt. 3 e 53 della Costituzione, fu dichiarata dalla Corte priva di fondamento con la sentenza n. 146 del 1972, l'Avvocatura dello Stato chiede che la eccezione di incostituzionalità sia respinta. A suo dire, infatti, la ritenuta di cui si discute ha chiaramente carattere di contributo progressivo straordinario e temporaneo a carico di soggetti che, secondo la discrezionale valutazione del legislatore, hanno la capacità contributiva. Tale contributo troverebbe fondamento nel principio della solidarietà sociale, nell'ambito della previdenza sociale unitariamente concepita ed attuata.

8. - Le cause sono state chiamate e discusse nell'udienza del 30 gennaio 1980. Rinviate a nuovo ruolo con ordinanza n. 145 del 1980, sono state fissate per l'udienza del 4 marzo 1981.

Gli avvocati Ravajoli e Simi per Mancini, e solo Ravajoli, per Angelini ed altri, hanno presentato due memorie aggiunte, richiamando, a sostegno del carattere tributario della ritenuta progressiva, la sopravvenuta sentenza di questa Corte n. 157 del 1980, che ha precisato il carattere assistenziale della pensione sociale. In ciò - se ne argomenta - mentre da un lato viene a trovare piena conferma la tesi dei pensionati circa il carattere tributario della ritenuta progressiva in questione, riceve una recisa smentita, dall'altro, quella sostenuta dai difensori dell'INPS, della natura "previdenziale" della ritenuta stessa.

Esposti inoltre, in un prospetto, gli importi della ritenuta progressiva che, in forza delle norme impugnate, hanno inciso sulle pensioni INPS, a partire da quelle di lire 7.200.000, e via via fino a quelle di lire 24.000.000 annue, nelle memorie si osserva come, poste queste cifre a confronto con gli importi dell'IRPEF dovuta su redditi di pari ammontare, il peso della ritenuta progressiva sia pressoché equivalente a quello dell'imposta sui redditi. Ammesso pure, quindi, che la "ritenuta" potesse rappresentare, prima della introduzione dell'IRPEF, una adeguata surrogazione (data la esenzione concessa per la imposta di R.M.) sul piano della giustizia tributaria, quando, dopo l'entrata in vigore della riforma tributaria, al peso della "ritenuta" si è assommato l'ulteriore peso dell'IRPEF, è venuta a realizzarsi una vera e propria "doppia imposizione", con irrazionale discriminazione del cittadino contribuente-pensionato dell'INPS, rispetto ad ogni altro cittadino contribuente percipiente pari reddito. Il che appare chiaro, sempre in cifre, dalle ingenti somme pagate dai titolari di pensioni INPS (a partire da quelle di lire 7.200.000) dopo prelevata la ritenuta in questione, per l'IRPEF, e conferma quindi, sotto ogni aspetto, la illegittimità delle disposizioni denunciate.

9. - All'udienza pubblica, la difesa dei pensionati costituiti nei due primi giudizi, richiamati gli atti di deduzioni e le successive memorie, ha ribadito e ulteriormente illustrato gli argomenti svolti a sostegno della fondatezza della questione; mentre l'Avvocatura dello Stato, costituita nei giudizi promossi con le due ordinanze del tribunale di Ascoli Piceno, si è riportata alle conclusioni già espresse, in contrario, negli atti scritti.

Considerato in diritto

1. - Con l'art. 22 della legge 13 luglio 1967, n. 583, veniva istituito, con decorrenza 1 gennaio 1968, un "contributo di solidarietà" a favore dei Fondo sociale, di cui alla legge 21 luglio 1965, n. 903, ed a carico delle pensioni erogate dal Fondo speciale di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia, il cui importo annuo superasse le lire 7.200.000. A tal fine l'INPS, in sede di liquidazione della pensione, doveva provvedere ad operare una "ritenuta progressiva" (del 16 per cento della pensione fino a 12 milioni di lire, e del 32 e del 48 per cento, rispettivamente per le parti eccedenti i 12 milioni fino a 18 milioni, ed oltre i 18 milioni); il contributo così prelevato andava poi direttamente versato dal medesimo Istituto al Fondo sociale.

L'articolo unico della legge 20 marzo 1968, n. 369, nel differire la decorrenza della ritenuta al 1 aprile 1968, la estendeva, sempre con le medesime percentuali e negli stessi limiti, a tutti i titolari di pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, nonché dei fondi sostitutivi od integrativi dell'assicurazione medesima, gestiti dall'INPS.

Successivamente la ritenuta è stata abolita, in forza dell'art. 31 della legge 3 giugno 1975, n. 160, a decorrere dal 1 gennaio 1976.

Secondo le ordinanze di rinvio dei tribunali di Roma e di Ascoli Piceno, premesso che al accennato contributo va riconosciuto carattere tributario, e che, a far tempo dal 1 gennaio 1974, le pensioni erogate dall'INPS, già esenti dall'imposta di ricchezza mobile, sono state assoggettate, in virtù del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, all'imposta unica sul reddito delle persone fisiche, le su indicate disposizioni avrebbero dato luogo, per gli anni 1974 e 1975, ad un fenomeno di doppia imposizione fiscale, venendo a colpire i titolari delle pensioni, su cui si è applicata la ritenuta, a parità di reddito e di capacità contributiva, in misura ingiustificatamente maggiore rispetto agli altri cittadini, nonché (considerata la natura di reddito da lavoro delle pensioni) rispetto agli altri lavoratori: sotto tale aspetto esse sarebbero, perciò, in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione.

2. - Le ordinanze di rimessione sottopongono a questa Corte la stessa questione di costituzionalità; pertanto i relativi giudizi vengono riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3. - L'Avvocatura dello Stato, intervenuta per il Presidente del Consiglio dei ministri nei giudizi relativi alle due ordinanze del tribunale di Ascoli Piceno, ha preliminarmente eccepito che in esse non risulta dimostrata, neppure sommariamente, la rilevanza della sollevata questione nei processi di provenienza.

L'eccezione va accolta. La Corte osserva che il giudice a quo, nella cui primaria competenza rientra appunto il giudizio sulla rilevanza, in ciascuna delle due ordinanze non ha, invece, dedicato il benché minimo accenno alla fattispecie sottoposta al suo giudizio, né si è dato il dovuto carico di motivare in qual modo la soluzione della proposta questione necessariamente rilevasse ai fini del decidere. Pertanto, per costante giurisprudenza di questa Corte (si vedano, da ultimo, le sentenze n. 134 del 1980 e nn. 43 ed 81 del 1981), il radicale difetto di motivazione in punto di rilevanza implica che la questione debba essere dichiarata inammissibile, non avendo per tal verso il giudice a quo ottemperato al precetto dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che prescrive all'autorità giurisdizionale remittente di precisare "i termini ed i motivi" posti a base dell'ordinanza con cui la questione viene sollevata.

4. - La medesima questione, come si è già detto, è stata anche sollevata con due ordinanze del tribunale di Roma. Per il suo esame nel merito, va innanzi tutto ricordato che questa Corte si è già espressa sul "contributo di solidarietà" imposto a favore del Fondo sociale, dichiarando non fondata, con la sentenza n. 146 del 1972, la questione di costituzionalità che allora le era stata deferita per l'asserito contrasto con gli artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione, degli artt. 22 della legge n. 583 del 1967 ed unico della legge n. 369 del 1968, istitutivi di detto contributo. In quell'occasione la Corte pervenne alla sua pronuncia, riconoscendo, fra l'altro, che "la ritenuta progressiva sulle alte pensioni... ha sostanzialmente carattere di prestazione imposta" al fine di concorrere alla copertura delle rilevanti spese conseguenti alla "istituzione delle nuove pensioni sociali". In attesa che il relativo onere - per effetto dell'art. 1 della legge 30 aprile 1969, n. 153 - venisse assunto, a decorrere dal 1 gennaio 1976, a completo carico dello Stato, sopperiva infatti, accanto agli altri mezzi di copertura, "un contributo progressivo straordinario e temporaneo a carico di coloro che - secondo la valutazione del legislatore - hanno la capacità contributiva". É stato così messo in preminente evidenza il nesso teleologico tra il carattere obbligatorio della prestazione patrimoniale autoritativamente imposta e la destinazione del relativo provento alla realizzazione di un interesse pubblico, quale la collaborazione nell'apprestamento dei mezzi per l'attuazione di quel principio generale di sicurezza sociale, sancito nel primo comma dell'art. 38 della Costituzione, cui è appunto informata la istituzione delle pensioni sociali (come questa Corte ha di recente riaffermato anche nella sentenza n. 157 del 1980). La "ritenuta progressiva sulle alte pensioni" veniva perciò sostanzialmente collocata sul piano dei tributi: ed infatti la Corte, premesso che le pensioni dei lavoratori "non si sottraggono al regime tributario", sottolineava che quelle assoggettate a contributo beneficiavano, d'altra parte, della "esenzione dal pagamento della ricchezza mobile", concessa ai sensi dell'art. 124 del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827.

L'ambito normativo preso allora in considerazione dalla Corte è stato, peraltro, incisivamente modificato - come posto in rilievo dal giudice a quo - per effetto della sopravvenuta riforma tributaria. In applicazione dei principi cui essa è informata, è stata infatti istituita, con il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, e con decorrenza dal 1 gennaio 1974, una imposta sul reddito complessivo netto delle persone fisiche (IRPEF), alla quale sono state assoggettate anche le pensioni, mentre è venuta meno la loro esenzione dall'imposta di ricchezza mobile, abolita con la stessa decorrenza.

Le pensioni assoggettate alla "ritenuta" sono state dunque, nel biennio che intercorre tra il 1 gennaio 1974 (inizio dell'applicazione dell'IRPEF) ed il 1 gennaio 1976 (cessazione dell'efficacia delle disposizioni istitutive del contributo di solidarietà), incise da un duplice prelievo per effetto di due concomitanti imposizioni, la cui progressività, caratteristica di entrambe, non è stata nemmeno coordinata. Appare in conseguenza vulnerato il principio dell'eguaglianza in relazione alla capacità contributiva, sancito dagli artt. 3 e 53 della Costituzione, atteso che, nei confronti dei titolari di altri redditi, e più specificamente di redditi da lavoro dipendente (cui la pensione, ai fini dell'applicazione dell'IRPEF, è assimilata dall'art. 46, comma secondo, del citato d.P.R. n. 597 del 1973), i titolari delle pensioni su cui si è applicato tanto l'IRPEF quanto la ritenuta a favore del Fondo sociale, sono stati, a parità di reddito e di capacità contributiva, colpiti in misura ingiustificatamente e notevolmente maggiore.

Alla eliminazione di siffatta incongruenza appariva preordinato il disegno di legge presentato dal Governo e divenuto legge n. 160 del 1975, del cui contesto fa appunto parte il denunciato art. 31. Nella relazione che lo accompagnava si legge, infatti, quanto segue: "L'articolo 31 riguarda il contributo di solidarietà al Fondo sociale previsto - secondo aliquote progressive che vanno dal 16 al 48 per cento - per le sole pensioni a carico di Fondi gestiti dall'istituto nazionale della previdenza sociale; tale contributo fu imposto con le leggi 13 luglio 1967, n. 583 e 20 marzo 1968, n. 369, nella considerazione che all'epoca le pensioni stesse erano esenti dalla imposta di ricchezza mobile. Poiché con la riforma fiscale entrata in vigore dal 1 gennaio 1974 sono stati assoggettati alla nuova imposizione fiscale anche i trattamenti pensionistici dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, si ritiene equo abrogare il predetto contributo di solidarietà al Fondo sociale al fine di evitare la doppia imposizione cui le pensioni dell'Istituto nazionale della previdenza sociale sono attualmente soggette: quella fiscale, alla stregua di tutti i cittadini, e quella di solidarietà riservata al solo pensionato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale". Ma, va subito aggiunto, l'incongruenza è rimasta, sia pure limitatamente al biennio che si considera, una volta che effettivamente la norma prodotta ha abolito il contributo di solidarietà solo a far tempo dal 1 gennaio 1976, e non dal 1 gennaio 1974.

Va perciò dichiarata la illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 22 della legge n. 583 del 1967, unico della legge n. 369 del 1968 e 31 della legge n. 160 del 1975, nella parte in cui prevede che la ritenuta progressiva a favore del Fondo sociale sulle pensioni eccedenti l'importo di lire 7.200.000 annue, venga applicata anche successivamente al 1 gennaio 1974.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, con le ordinanze del 14 gennaio 1977 del tribunale di Ascoli Piceno, degli artt. 22 della legge 13 luglio 1967, n. 583 (Miglioramenti del trattamento posto a carico del Fondo speciale di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia e modifiche alle leggi 4 dicembre 1956, n. 1450 e 11 dicembre 1962, n. 1790) ed unico della legge 20 marzo 1968, n. 369 (Nuova decorrenza per l'applicazione delle norme contenute nell'art. 22 della legge 13 luglio 1967, n. 583 sui trattamenti posti a carico del Fondo speciale di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia e loro estensione ad altre forme di pensione).

2) dichiara la illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 22 della legge 13 luglio 1967, n. 583 (Miglioramenti del trattamento posto a carico del Fondo speciale di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia e modifiche alle leggi 4 dicembre 1956, n. 1450 e 11 dicembre 1962, n. 1790), unico della legge 20 marzo 1968, n. 369 (Nuova decorrenza per l'applicazione delle norme contenute nell'art. 22 della legge 13 luglio 1967, n. 583 sui trattamenti posti a carico del Fondo speciale di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia e loro estensione ad altre forme di pensione) e 31 della legge 3 giugno 1975, n. 160 (Norme per il miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale), nella parte in cui prevede che la ritenuta progressiva a favore del Fondo sociale sulle pensioni eccedenti l'importo di lire 7.200.000 annue, venga applicata anche successivamente al 1 gennaio 1974.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1981.

Leonetto AMADEI – Giulio  GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 7 luglio 1981.