Sentenza n.157 del 1980
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SENTENZA N.157

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente  

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, come modif. dall'art. 3 del d.l. 2 marzo 1974, n. 30, conv. in legge 16 aprile 1974, n. 114 e modif. dall'art. 3 della legge 3 giugno l975, n. 160, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 ottobre 1976 dal pretore di Ferrara nel procedimento civile vertente tra Cardi Agnese e l'INPS, iscritta al n. 702 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10 del l2 gennaio 1977;

2) ordinanza emessa il 14 dicembre 1976 dal pretore di Modena nel procedimento civile vertente tra Vivarelli Emma e l'INPS, iscritta al n. 10 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5t del 23 febbraio 1977;

3) ordinanza emessa il 15 giugno 1977 dal pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra Anelli Domenica e l'INPS, iscritta al n. 367 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 265 del 28 settembre 1977;

4) ordinanza emessa il 7 marzo 1979 dal pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Salvini Bonaccini Giuseppina e l'INPS, iscritta al n. 379 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 168 del 20 giugno 1979.

Visti l'atto di costituzione di Vivarelli Emma e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 novembre 1980 il Giudice relatore Oronzo Reale;

udito l'avvocato dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Con le quattro ordinanze di cui in narrativa i pretori di Ferrara, Modena, Genova e Bologna sollevano la medesima questione di legittimità costituzionale, tutti con riferimento all'art. 3 della Costituzione, due con riferimento anche all'art. 38. I giudizi possono essere quindi riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - La questione non è fondata con riferimento ad alcuno dei due invocati parametri costituzionali.

Risulta chiaramente dal testo dell'art. 26 della legge n. 153 del 1969, istitutiva della pensione sociale, ed è confermato dai lavori parlamentari che si conclusero con la sua approvazione, quali siano la natura, la destinazione e il fine della pensione sociale. La legge stabilisce che i destinatari sono i cittadini ultrasessantacinquenni residenti nel territorio nazionale che, < comunque, non siano titolari di redditi a qualsiasi titolo di importo pari o superiore a L. 156.000 annue >, con esclusione dal loro calcolo del reddito dominicale della casa di abitazione. Di questa regola costituisce esplicita applicazione la condizione che i beneficiari della pensione sociale < non abbiano titolo a rendite o prestazioni economiche previdenziali od assistenziali, ivi comprese le pensioni di guerra >.

Il legislatore del 1969 intese introdurre, < per la prima volta, nell'ordinamento giuridico italiano ... un principio di sicurezza sociale >, il < diritto, cioè, di tutti i cittadini anziani e bisognosi alla assistenza > (confr. relazioni del ministro pro ponente e del relatore della legge al Senato).

Come la dottrina ha posto in evidenza, l'istituzione della pensione sociale si inquadra nell'attuazione del primo (non del secondo) comma dell'art. 38 della Costituzione, che attribuisce ad < ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere > il < diritto al mantenimento ed alla assistenza sociale >.

La natura assistenziale della pensione sociale è fra l'altro sottolineata dal fatto che essa è a carico dello Stato.

Questa essendo la natura della pensione sociale, il presupposto della mancanza di altri redditi di importo complessivo superiore a quello della pensione, non irragionevolmente opera anche in confronto della pensione di guerra, come il legislatore ha stabilito.

Le giuste considerazioni dei giudici a quibus sul carattere risarcitorio della pensione di guerra come dovuto atto di riparazione verso chi ha sopportato un sacrificio in ragione del compimento di un dovere, la difesa della Patria, costituzionalmente imposto, possono assumere il solo rilievo di una critica alla misura entro la quale lo Stato ha dovuto contenere il riconoscimento economico di quel sacrificio.

Ma la pensione di guerra nella sua modesta entità non cessa di costituire, per chi la percepisce, un elemento di quel reddito complessivo minimo che costituisce la soglia (progressivamente aumentata con le leggi successive a quella del 1969) al di là della quale viene meno l'intervento assistenziale della collettività che si esprime nella pensione sociale; allo stesso modo (come si può osservare per analogia) il dovere dei parenti di somministrare gli alimenti (art. 438 c.c.) non sussiste quale che sia la fonte del reddito che esclude l'esistenza dello stato di bisogno.

Non esiste, quindi, la violazione dell'art. 3 della Costituzione, denunciata dai giudici a quibus, per il preteso trattamento differenziato che l'art. 26 della legge n. 153 del 1969 (nella sua formulazione originaria e in quella risultante dall'art. 3 del d.l. n. 30 del 1974 convertito nella legge n. 114 del 1974) stabilirebbe a danno dei pensionati di guerra, non escludendo il loro reddito dal novero di quelli la cui somma costituisce il limite della concessione ed entità della pensione sociale.

3. - Né è vero quel che afferma il pretore di Modena che, < a differenza di chi abbia invece diritto a qualsiasi altra prestazione di previdenza e di assistenza >, il pensionato di guerra sia escluso dalla pensione sociale. Al contrario, come si è già ricordato, l'art. 26 (tanto nella formulazione del 1969, quanto e più incisivamente in quella del 1974), esclude dalla pensione sociale < coloro che hanno titolo a rendite o prestazioni economiche previdenziali ed assistenziali ... erogate con carattere di continuità dallo Stato o da altri enti pubblici o da Stati Esteri >, con la sola eccezione degli assegni familiari, evidentemente per la loro destinazione finale al sostentamento di persone diverse dal beneficiario della pensione sociale.

4. - Tanto meno esiste violazione dell'art. 3 della Costituzione per il fatto, singolarmente denunziato dal pretore di Genova, che < chi ha subito danno (di guerra) maggiore (indennizzato con maggiore pensione di guerra) non ha diritto alla pensione sociale, mentre acquisisce tale diritto chi ha subito un danno minore >.

Di tutta evidenza, ciò avviene non con violazione, ma con attuazione del principio di eguaglianza.

5. - Certo il legislatore avrebbe potuto nella sua discrezionalità, privilegiare le pensioni di guerra escludendone la rilevanza come del resto aveva fatto nell'art. 27 della legge 18 marzo 1968, n. 313 sul riordinamento della legislazione pensionistica di guerra ad ogni fine, anche previdenziale od assistenziale. Ma ciò, sempre nella sua discrezionalità non volle fare quando, successivamente, istituì la pensione sociale e ne dispose espressamente la non cumulabilità con le pensioni di guerra. Il che fu, sempre espressamente, confermato nell'art. 77 del testo unico sulle pensioni di guerra 23 dicembre 1978: nel quale l'apparente antinomia tra il primo comma, che ripete la irrilevanza del reddito da pensioni di guerra ai fini previdenziali ed assistenziali, e il secondo comma, che fa salve espressamente le disposizioni sulle pensioni sociali escludenti la loro cumulabilità con le pensioni di guerra, costituisce solo una ineleganza del testo, cioè del modo del coordinamento che non ne vulnera la chiarezza e l'efficacia, né consente rilievi di incostituzionalità, essendo la disposizione certamente non irragionevole, come innanzi si è dimostrato.

6. - I soli pretori di Ferrara e di Genova riferiscono anche all'art. 38, oltre che all'art. 3, della Costituzione il loro dubbio di incostituzionalità dell'art. 26 della legge istitutiva della pensione sociale più volte richiamata. Ma lo fanno: il pretore di Genova senza alcuna specificazione sulle ragioni del preteso contrasto fra la norma ordinaria e quella costituzionale; il pretore di Ferrara indicando il contrasto nel fatto che l'art. 38 della Costituzione < prevede espressamente il diritto, per ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, al mantenimento e alla assistenza sociale >.

Poiché la pensione sociale ha appunto il fine di soccorrere i cittadini sprovvisti dei mezzi necessari per vivere (quale che sia la fonte di questi mezzi), la censura risulta già confutata dalle precedenti considerazioni.

Se poi la censura sottointendesse che, escludendo il cumulo di pensione sociale e pensione di guerra, la legge non assicurerebbe la sufficienza dei detti mezzi, essa investirebbe i limiti nei quali lo Stato è in grado di provvedere all'assistenza dei cittadini bisognosi, che siano o non siano titolari di pensioni di guerra, e, di tutta evidenza, non assurgerebbe al rango di questione costituzionale.

Quanto al richiamo che il pretore di Genova fa impropriamente all'art. 3 della legge 3 giugno 1975, n. 160, è sufficiente rilevare che la detta norma limitandosi ad elevare l'importo della pensione sociale e corrispondentemente l'importo del reddito ostativo alla corresponsione della pensione sociale è estranea alla questione di costituzionalità sottoposta alla Corte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153 e del l'art. 3 del d.l. 2 marzo 1974, n. 30 (convertito in legge con la legge 16 aprile 1974, n. 114 e come modificato dall'art. 3 della legge 3 giugno 1975, n. 160) come in epigrafe sollevata dai pretori di Ferrara, Modena, Genova e Bologna in relazione agli artt. 3 e 38 della costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27/11/80.

Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA -  Edoardo  VOLTERRA – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Guglielmo  ROEHRSSEN –  Oronzo REALE - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Livio  PALADIN – Arnaldo  MACCARONE – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI – Giuseppe FERRARI

Giovanni  VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 15/12/80.