SENTENZA N. 275
ANNO 1976
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 112 e 118, comma secondo, del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato,, approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, promosso con ordinanza emessa l'11 dicembre 1974 dalla Corte dei conti - Sezione III - sul ricorso di Bianchi Luigi, iscritta al n. 270 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 132 del 19 maggio 1976.
Visto l'atto di costituzione di Bianchi Luigi;
udito nell'udienza pubblica del 9 dicembre 1976 il Giudice relatore Antonino De Stefano;
udito l'avv. Giovanni Capanna, per il Bianchi.
Ritenuto in fatto
Bianchi Luigi, dopo aver prestato servizio per 24 anni nel Corpo della Guardia di finanza, in cui raggiungeva il grado di maresciallo capo, passava, a seguito di concorso riservato, nell'impiego civile, come applicato dell'Ufficio del Registro, e dopo altri cinque anni di attività veniva, a domanda, collocato a riposo con decorrenza 1 marzo 1957.
Con decorrenza 25 maggio 1959, il Ministero delle finanze liquidava all'interessato la pensione diretta calcolata sulla base del solo servizio militare prestato e del grado in esso raggiunto, poiché tale trattamento risultava più favorevole di quello liquidabile per effetto della riunione del servizio militare e di quello civile, stante la modesta qualifica (10 archivista) in quest'ultimo conseguita.
Contro tale decreto e contro un successivo provvedimento di riliquidazione della pensione il Bianchi ricorreva alla Corte dei conti, lamentando che nessuna maggiorazione gli era stata riconosciuta per il servizio civile svolto, e denunciando l'incostituzionalità, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, degli artt. 1 e 2 della legge 11 aprile 1938, n. 420 e 11 della legge 29 aprile 1949, n. 221, a termine dei quali era stata liquidata la sua pensione.
Con ordinanza 11 dicembre 1974, la Corte dei conti, Sezione III giurisdizionale, dopo aver rilevato che le norme anzidette erano state abrogate e sostanzialmente riprodotte negli artt. 112 e 118, comma secondo, del nuovo testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato - approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 - ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale di tali articoli, ora applicabili alla fattispecie, in quanto prevedono la possibilità che, in alcuni casi di riunione di servizi (come quello in esame), una parte di servizio resti improduttivo di pensione, pur essendo il servizio complessivo inferiore al limite massimo (40 anni) valutabile per la pensione.
Si osserva nell'ordinanza che le norme denunciate, pur disponendo la liquidazione di "un unico trattamento di quiescenza sulla base della totalità dei servizi prestati e secondo le norme applicabili in relazione alla definitiva cessazione dal servizio" (art. 112), e che il trattamento di quiescenza liquidato sulla base della riunione dei servizi "non può, comunque, essere inferiore a quello che sarebbe spettato in relazione al servizio precedente" (art. 118, comma secondo), possono in pratica non produrre alcun miglioramento sul trattamento pensionistico, così come avvenuto nel caso di specie, in cui il ricorrente, sulla base della totalità dei servizi (29 anni), avrebbe avuto diritto ad una pensione inferiore a quella liquidatagli con la valutazione del solo servizio militare (24 anni).
Da ciò l'incostituzionalità delle indicate norme, sia per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, poiché in applicazione delle stesse può essere assicurato trattamento uguale a situazioni di fatto diseguali; sia per contrasto con l'art. 36 della Costituzione, che enuncia il principio della proporzione tra retribuzione (immediata o differita) e quantità e qualità del lavoro svolto, potendosi verificare che il servizio civile, prestato dopo quello militare. rimanga improduttivo di pensione.
L'istituto della riunione dei servizi, che nella grande maggioranza dei casi costituisce un beneficio e rappresenta un diritto per i dipendenti pubblici, si risolve, così, in un danno nella ipotesi considerata dei sottufficiali che passano all'impiego civile.
Né varrebbe obiettare che il sottufficiale, passando all'impiego civile, viene implicitamente ad accettarne anche le conseguenze negative previste dalla legge, perché così argomentando si disconoscerebbe quel vizio fondamentale che inficia tutte le accettazioni di condizioni più o meno sfavorevoli che il lavoratore, come contraente economicamente più debole, si trova sempre costretto ad accettare, pur di ottenere il posto di lavoro.
L'ordinanza di rinvio, dopo le notificazioni e comunicazioni di rito, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 132 del 19 maggio 1976.
Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, con deduzioni depositate in cancelleria il 10 giugno 1976 e quindi fuori termine, perché oltre i 20 giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza nella Gazzetta Ufficiale; e si é costituito Bianchi Luigi, rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Capanna, il quale, nell'atto depositato in cancelleria il 7 giugno 1976, conclude per l'incostituzionalità delle norme impugnate.
Considerato in diritto
1. - L'ordinanza solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 112 e 118, comma secondo, del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, approvato con il d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, "in quanto prevedono che, in alcuni casi di riunione di servizi, il secondo periodo resti improduttivo di pensione". Per l'art. 112, il dipendente che abbia prestato, presso la stessa o presso diverse amministrazioni statali, servizi per i quali é previsto il trattamento di quiescenza a carico del bilancio dello Stato, ha diritto alla riunione dei servizi stessi, ai fini del conseguimento di un unico trattamento di quiescenza, sulla base della totalità dei servizi prestati e secondo le norme applicabili in relazione alla definitiva cessazione dal servizio (tenendosi conto perciò dello stipendio percepito alla data di tale cessazione). A mente del comma secondo del successivo art. 118, il trattamento di quiescenza suddetto non può, comunque, essere inferiore a quello che sarebbe spettato in relazione al servizio precedente.
Il giudice a quo osserva che in quest'ultima ipotesi il secondo periodo di servizio non spiega alcun effetto ai fini del trattamento di quiescenza, anche se la totalità dei servizi non abbia raggiunto l'anzianità (40 anni), che di regola permette al dipendente civile dello Stato di conseguire il massimo del trattamento di riposo.
Donde l'asserito contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione.
2. - La questione é fondata.
Va innanzi tutto ricordato che la precedente disciplina, dettata dalla legge 11 aprile 1938, n. 420, configurava la unitarietà del trattamento di riposo nella ipotesi di pluralità di servizi alle dipendenze dello Stato, siccome principio di carattere generale, sancito in correlazione con il divieto di cumulo tra pensioni e stipendi a carico dello Stato. Secondo l'art. 1, infatti, i titolari di pensioni a carico dello Stato, riassunti in servizio statale e provvisti di retribuzione pensionabile, perdevano il godimento della pensione, e all'atto del definitivo collocamento a riposo liquidavano un nuovo trattamento di quiescenza sulla base della totalità dei servizi prestati e con le norme relative all'ultimo impiego. In ogni caso, si precisava, il nuovo trattamento non poteva essere inferiore a quello precedentemente goduto.
In prosieguo di tempo vi fu - come questa Corte osservava nella sentenza n. 105 del 1963 - una mitigazione della regola generale della incumulabilità assoluta di pensioni ordinarie e stipendi, consentendosi, con l'art. 14 della legge 12 aprile 1949, n. 149, modificato dall'art. 14 della legge 8 aprile 1952, n. 212, il cumulo di una pensione ordinaria con uno stipendio, ma solo per la parte del trattamento pensionistico non eccedente le lire 60 mila. Restava, peraltro, fermo il principio, per effetto del richiamo alla legge n. 420 del 1938, operato dal secondo comma del citato art. 14 della legge n. 149 del 1949, della liquidazione, all'atto della cessazione dall'ultimo impiego, di un trattamento di quiescenza unitario sulla base della totalità dei servizi prestati. E l'art. 11 della legge 29 aprile 1949, n. 221, conseguentemente disponeva che "per coloro i quali fruiscono di una pensione sostituita ad altra che per avvenuta cessazione dal servizio fu o poteva essere liquidata, sarà presa a base del calcolo della nuova pensione quella liquidazione da cui risulti il trattamento più favorevole".
Con la legge 5 dicembre 1964, n. 1268, di delega al Governo per la emanazione di norme sul trattamento economico del personale in attività di servizio ed in quiescenza delle Amministrazioni statali, si pervenne, invece, ad un opposto orientamento. Tra i criteri direttivi stabiliti da tale legge vi era, infatti, all'art. 3, comma settimo, lett. c), "la modifica della disciplina del cumulo di un trattamento di quiescenza non privilegiato con un trattamento di attività, nel senso di conservare integra la pensione in godimento". Si accordava altresì agli interessati la facoltà di optare per la ricongiunzione ai fini della pensione dei due servizi, precisandosi che, ove non fosse esercitata tale facoltà, il nuovo eventuale trattamento di quiescenza sarebbe stato liquidato sulla base del servizio effettivamente prestato nel nuovo impiego. La cumulabilità di pensione e stipendio, e la conseguente possibilità di due distinti trattamenti di quiescenza a carico dello Stato, diveniva, dunque, la regola: cui si derogava o per libera scelta degl'interessati o, obbligatoriamente, nei casi in cui il nuovo servizio costituisse "derivazione, continuazione o rinnovo" del precedente rapporto.
In attuazione di siffatti criteri, il legislatore delegato emanava il d.P.R. 5 giugno 1965, n. 758, recante "nuove norme sul cumulo di pensioni e stipendi a carico dello Stato e di enti pubblici". L'art. 1 sanciva il principio del cumulo, disponendo, al secondo comma, che, all'atto della cessazione del nuovo rapporto, fosse liquidato il trattamento di quiescenza in base al servizio prestato nel rapporto stesso; e che tale trattamento fosse cumulabile con la pensione o assegno già conseguiti in dipendenza del primo rapporto d'impiego. L'art. 2 disciplinava la facoltà di optare per la ricongiunzione del nuovo con il precedente servizio, ai fini del trattamento di quiescenza. L'art. 4 vietava, invece, il cumulo nella ipotesi indicata dalla legge di delega, puntualizzandone i casi nel secondo comma; e fra essi figurava, alla lett. c), la "immissione nell'impiego civile di sottufficiale o graduato, in applicazione delle particolari disposizioni concernenti riserva di posti in favore di dette categorie di militari" (fattispecie presa appunto in considerazione nel giudizio a quo). In casi siffatti, il trattamento di quiescenza, al termine del nuovo servizio, doveva essere liquidato "sulla base della totalità dei servizi prestati e secondo le norme relative all'ultimo impiego", fermo rimanendo che tale trattamento non potesse essere comunque inferiore a quello che sarebbe spettato in dipendenza del precedente servizio (art. 2, comma terzo, richiamato dall'ultimo comma dell'art. 4).
Le norme del d.P.R. n. 758 del 1965 sono state di poi trasfuse nel dinanzi citato testo unico n. 1092 del 1973, sotto il Titolo IX (cumulo di pensioni e stipendi): e precisamente, gli artt. 1 e 2 negli artt. 130 e 131, mentre il divieto di cumulo di cui all'art. 4 trova pressoché testuale rispondenza nell'art. 133. Per effetto del combinato disposto dell'ultimo comma dell'art. 133 e del quarto comma dell'art. 131, all'atto della osservazione del nuovo rapporto spetta il trattamento di quiescenza da liquidarsi sulla base della totalità dei servizi prestati, versandosi nella ipotesi di una obbligatoria riunione di servizi. Donde l'applicazione degli artt. 112 e 118, secondo comma, dello stesso testo unico, denunciati con l'ordinanza in epigrafe.
3. - Nella grande maggioranza dei casi la riunione del nuovo con il precedente servizio costituisce - come giustamente osserva il giudice a quo - un notevole beneficio, tanto che l'art. 112 del testo unico la qualifica come "un diritto" dei pensionati, ed il successivo art. 131 offre al personale, cui sia consentito il cumulo, la facoltà di optare, invece, per tale riunione, presentando domanda ai sensi dell'art. 151.
Invero, il passaggio del dipendente statale da una carriera all'altra implica quasi sempre un miglioramento del trattamento economico, e quindi una pensione più favorevole, visto che questa, per il menzionato art. 112, viene liquidata in base allo stipendio goduto alla data della cessazione definitiva.
Ciò non toglie che in talune, sia pure non frequenti, ipotesi la riunione possa condurre, al contrario, ad un trattamento definitivo di quiescenza meno favorevole di quello che sarebbe spettato sulla base del solo primo rapporto: come può accadere - secondo quanto prospetta l'ordinanza - nel caso di passaggio di sottufficiali all'impiego civile. Né a tale inconveniente offre congruo riparo il secondo comma dell'art. 118, disponendo, come si é detto, che il trattamento di quiescenza non può essere inferiore a quello che sarebbe spettato in relazione al servizio precedente. In tale guisa, infatti, si impedisce possa concretarsi la paradossale situazione in cui verserebbe il sottufficiale che, dopo aver prestato l'ulteriore servizio civile, si vedesse addirittura soggetto ad una riduzione della pensione che avrebbe potuto liquidare in ragione del solo servizio militare; ma non si evita i1 verificarsi di un'assoluta irrilevanza, in ordine al conclusivo trattamento di quiescenza, dello stesso servizio civile, pur ex se pensionabile e come tale assoggettato alla ritenuta di legge. Né va sottaciuto che siffatta irrilevanza consegue ad una riunione, non voluta dall'interessato a seguito di libera opzione, ma imposta per effetto del divieto di cumulo sancito dalla lett. c) del comma secondo dell'art. 133 dello stesso testo unico.
Ben vero che - secondo quanto ritenuto da questa Corte con le sentenze n. 105 del 1963 e n. 155 del 1969 - il divieto del cumulo tra pensione e stipendio, o la riduzione del trattamento di pensione in concorso con un trattamento di attività, non appaiono costituzionalmente illegittimi, atteso che la funzione previdenziale della pensione non si esplica, o almeno viene notevolmente ridotta, quando il lavoratore si trovi ancora in godimento di un trattamento di attività. Ma da ciò non può farsi discendere come rigorosa ed imprescindibile conseguenza che il trattamento di quiescenza debba essere unico per tutto il servizio utile, pur se comporti la mancata valutazione di parte di esso, che normalmente sarebbe invece computabile. Né va al riguardo trascurato che uno dei presupposti essenziali della liquidazione del trattamento di quiescenza dei dipendenti statali é costituito appunto dalla durata complessiva del servizio prestato che, per i civili, é normalmente utilizzabile fino ad un massimo di quaranta anni, e che, entro tale limite, é di regola decisivo ai fini della misura della pensione.
Una volta riconosciuto, per costante giurisprudenza di questa Corte, che la pensione deve essere considerata una forma di retribuzione differita, direttamente legata alla natura ed agli aspetti del lavoro prestato (sentenza n. 176 del 1975), e che la discrezionalità del legislatore ordinario deve in ogni caso rispettare il criterio della proporzionalità rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato durante il servizio attivo (sentenze n. 124 del 1968 e n. 57 del 1973), il combinato disposto delle norme impugnate deve ritenersi in contrasto con il principio della proporzionalità tra prestazione di lavoro e retribuzione, sancita dall'art. 36 della Costituzione, nella parte in cui non prevede, per il caso di cui all'art. 133, comma secondo, lett. c) dello stesso testo unico, la corresponsione, in aggiunta al maggiore trattamento di quiescenza che sarebbe spettato sulla base del solo servizio precedente, di un trattamento supplementare di quiescenza per il periodo successivo, da liquidarsi secondo le vigenti disposizioni, limitatamente a quella parte di detto servizio che, sommato al precedente, non oltrepassi il limite massimo pensionabile.
Nell'anzidetta pronuncia d'incostituzionalità delle denunciate norme, resta assorbito l'ulteriore profilo di illegittimità, prospettato dall'ordinanza, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 112 e 118, comma secondo, del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, approvato con il d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui non prevede, per il caso di cui all'art. 133, comma secondo, lett. c) dello stesso testo unico, la corresponsione, in aggiunta al maggiore trattamento di quiescenza che sarebbe spettato sulla base del solo servizio precedente, di un trattamento supplementare di quiescenza per il successivo periodo di servizio, da liquidarsi secondo le vigenti disposizioni, limitatamente a quella parte di detto servizio che, sommato al precedente, non oltrepassi il limite massimo pensionabile.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 dicembre 1976.
Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1976.