Sentenza n. 204 del 1976
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SENTENZA N. 204

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (norme sui licenziamenti individuali), promosso con ordinanza emessa il 7 febbraio 1974 dal pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Foresti Franco e l'Opera universitaria dell'università degli studi di Bologna, iscritta al n. 231 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 180 del 10 luglio 1974.

Udito nella camera di consiglio del 4 giugno 1976 il Giudice relatore Edoardo Volterra.

Ritenuto in fatto

Nel corso del procedimento vertente fra Franco Foresti e l'Opera universitaria dell'università degli studi di Bologna, il pretore di Bologna, con ordinanza emessa il 7 febbraio 1974, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui delimita l'applicabilità delle norme della legge stessa (tra cui quella sull'indennità di anzianità di cui all'art. 9) ai prestatori di lavoro che rivestano la qualifica d'impiegato e di operaio "... e per quelli assunti in prova... dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro...", perché in contrasto con gli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione.

Secondo il pretore, la normativa impugnata, mentre privilegerebbe i cittadini titolari di un rapporto di lavoro stabile nei confronti di quegli altri titolari di un rapporto di lavoro, comunque precario, concreta un'arbitraria differenziazione dei cittadini lavoratori, frustrando il diritto al lavoro di ogni cittadino in quella che é la sua naturale esplicazione, e cioé, la legittima aspettativa di un lavoro stabile.

Il contratto di lavoro in prova sarebbe un contratto di lavoro completo in tutte le sue parti ed in ogni caso contrasterebbe con l'art. 36 della Costituzione escludere l'indennità di anzianità che ha natura retributiva.

Considerato in diritto

1. - L'ordinanza in epigrafe denunzia l'illegittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604:

a) nella parte in cui delimita l'applicabilità delle norme della legge stessa ai prestatori di lavoro che rivestano la qualifica d'impiegato e d'operaio;

b) nella parte in cui delimita l'applicabilità delle medesime norme (e specificamente quella sull'indennità di anzianità di cui all'art. 9) ai prestatori di lavoro assunti in prova dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e in ogni caso quando siano decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro.

Tale ultima delimitazione, secondo il giudice a quo, violerebbe l'art. 3 della Costituzione in quanto "privilegerebbe i cittadini titolari di un rapporto stabile nei confronti di quegli altri titolari di un rapporto, comunque precario", nonché l'art. 36 in quanto frustrerebbe "il diritto al lavoro di ogni cittadino in quella che é la sua naturale esplicazione e cioè la legittima aspettativa di un lavoro stabile". Violerebbe inoltre anche l'art. 35, dato che l'assunzione in prova sarebbe "un contratto di lavoro completo in tutti i suoi elementi: e come tale una particolare modalità di estrinsecazione di lavoro tipico".

2. - La prima questione enunciata in forma alquanto vaga, ma che risulta implicitamente dal contesto dell'ordinanza, é chiaramente non rilevante nel giudizio a quo nel quale non si contesta la qualifica di operaio del prestatore di lavoro, sebbene l'applicabilità della normativa di cui all'art. 10 della legge n. 604 del 1966 a coloro che sono stati assunti in prova.

3. - La seconda questione, esplicitamente enunciata, e di cui il giudice a quo motiva la rilevanza, non é fondata.

Poche notazioni bastano a dar conto di come al rapporto di lavoro in prova, caratterizzato dalla facoltà di recesso, non possano, per intrinseca natura di questo, essere applicati i principi contenuti nella legge 15 luglio 1966, n. 604, e di come tale esclusione non contrasti in alcun modo con il dettato costituzionale e particolarmente con gli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione.

Se infatti l'assunzione in prova (la cui durata viene delimitata, proprio dall'impugnato art. 10 della legge n. 604, a garanzia del lavoratore) é posta dall'ordinamento a conferma delle qualificazioni tecniche che si presuppongono già formalmente acquisite, é chiaro come le norme sulla stabilità del posto di lavoro contenute nella più volte richiamata legge n. 604 non possano in alcun modo regolare la fattispecie in esame senza sconvolgerne l'intima funzione, giustificata dalla obiettiva necessità di valutare in concreto le capacità lavorative del soggetto e pertanto non in contrasto né con il principio d'eguaglianza né con la tutela del lavoro, né con i principi sulla giusta retribuzione.

Né é da accogliersi l'argomentazione del giudice a quo che la disposizione della legge impugnata, distinguendo fra assunzione definitiva e assunzione in prova per la quale si é verificato il recesso, frustrerebbe "la legittima aspettativa di un lavoro stabile" con conseguente affermata violazione degli artt. 35 e 36 della Costituzione. Al contrario, l'art. 10 della legge n. 604 del 1966 dispone che al lavoratore assunto in prova, in ogni caso, decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro, é riconosciuta l'applicabilità della normativa prevista dalla legge n. 604 del 1966 per i lavoratori la cui assunzione é definitiva. Ugualmente non può accogliersi l'affermazione del medesimo giudice che l'assunzione in prova sia un contratto di lavoro completo in tutti i suoi elementi equiparabile a tutti gli effetti a quelli del contratto definitivo. Con ciò non si tiene conto dell'elemento specifico che individua la causa dell'assunzione in prova e distingue questa dal contratto definitivo, cioé accertamento di determinate qualificazioni tecniche del prestatore, necessarie allo svolgimento dell'attività per la quale intende essere assunto e la subordinazione del rapporto di lavoro alla condizione sospensiva negativa che nessuna delle parti receda entro il termine fissato dal legislatore.

4. - Per quanto poi riguarda l'indennità di anzianità, questa Corte con varie sentenze (fra cui n. 75 del 1968, 14 del 1970, 104 del 1971, 85 del 1972, 188 del 1973, 85 del 1974), ribadendo il principio che tale indennità riveste carattere retributivo, costituente parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene differita al momento della cessazione del rapporto, ha ripetutamente affermato il contrasto fra l'art. 36 della Costituzione e le diverse disposizioni di legge che escludono o limitano il diritto del prestatore di lavoro ad un'indennità proporzionata al periodo di servizio, nel caso di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ma i motivi che hanno sorretto tali decisioni non possono essere invocati per quanto concerne il rapporto giuridico di assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova, rapporto che ha natura giuridica nettamente distinta da quella del contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Già la Corte (sentenze n. 14 del 1970 e 169 del 1973), esaminando la differenza fra il contratto di apprendistato e quello di assunzione in prova, ha chiaramente delineato le caratteristiche di questo ultimo. "Tanto meno" ha affermato la Corte "varrebbe ad equiparare il contratto in esame (di apprendistato) a quello in prova, per giustificare, costituzionalmente, l'inapplicabilità della indennità di anzianità.

L'assunzione in prova (art. 2096 cod. civ.) é contratto diverso da quello di apprendistato... La prova ha una funzione di conferma di qualificazioni tecniche che si presuppongono già formalmente acquisite, mentre l'apprendistato ha per funzione la loro acquisizione".

Più specificatamente, la giurisprudenza ordinaria ha precisato che l'assunzione in prova é un contratto subordinato alla condizione che ciascuna delle due parti non receda prima della scadenza del termine. Se ciò non si verifica, compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il rapporto di lavoro diviene quello di un contratto a tempo indeterminato e pertanto é indubbio che al termine di esso venga corrisposta l'indennità di anzianità per il servizio prestato, computandosi in questo anche il periodo di prova. Diverso invece é il caso di recesso durante il periodo di prova poiché, anche senza arrivare alla conclusione che il valido recesso farebbe sì che giuridicamente un contratto di lavoro non fosse mai esistito, asserzione che non eliminerebbe, peraltro, la sussistenza in fatto del rapporto di lavoro, può correttamente dirsi che il contratto di lavoro nel periodo di prova, non seguito da assunzione, si configura come contratto a tempo determinato. Manca, così, il presupposto della indennità, che ha, nella indeterminatezza della durata della prestazione, la sua logica giustificazione.

L'interpretazione della giurisprudenza ordinaria della vigente normativa coincide, quanto a motivi di giustificazione della medesima sul piano della legittimità costituzionale, con quanto ha ritenuto la Corte in materia d'indennità di anzianità, la quale ha sì natura di retribuzione differita, ma ha la funzione di sussidio patrimoniale, la cui necessità deriva dalla cessazione di un contratto di lavoro il cui termine finale non era stato predeterminato dalle parti. Mancando tale funzione appare quindi razionalmente stabilito dalla normativa contenuta negli artt. 9 e l0 della legge n. 604 del 1966, in riferimento agli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione, che la indennità di anzianità non debba essere corrisposta all'atto della cessazione del rapporto di lavoro di un prestatore assunto in prova. Ciò a prescindere da altri eventuali diritti, spettanti al lavoratore, in funzione della durata del rapporto, in relazione ai quali non é stata sollevata questione di legittimità costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara:

1) inammissibile per manifesta irrilevanza la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui delimita l'applicabilità della normativa ai prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio;

2) non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui delimita l'applicabilità della normativa e specificamente dell'art. 9 ai prestatori di lavoro assunti in prova, dal momento in cui la loro assunzione diviene definitiva e in ogni caso quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro in riferimento agli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione, promossa con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO – Leopoldo ELIA.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1976.