SENTENZA N. 169
ANNO 1975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 408 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24 luglio 1973 dal pretore di Avigliano nel procedimento penale a carico di Caivano Angela Maria Carmela ed altri, iscritta al n. 394 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 294 del 14 novembre 1973.
Udito nella camera di consiglio del 10 aprile 1975 il Giudice relatore Nicola Reale.
Ritenuto in fatto
Nel corso di procedimento penale a carico di Caivano Angela Maria Carmela e altri, il pretore di Avigliano ha sollevato, con ordinanza del 24 luglio 1973 e in riferimento all'articolo 24, primo e secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 408 c.p.p., nella parte in cui non prevede che il decreto di citazione a giudizio sia notificato anche agli eredi della persona offesa dal reato e del querelante, che siano deceduti prima di costituirsi parte civile.
Ritualmente notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza ed instaurato il giudizio innanzi alla Corte, nessuna delle parti si é in questo costituita né é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - L'art. 408 c.p.p. non prevede che, in caso di decesso della persona offesa dal reato o del querelante non ancora costituiti parte civile, il decreto di citazione a giudizio sia notificato agli eredi.
La mancata previsione di tale obbligo, secondo il giudice a quo, impedirebbe a questi soggetti di essere tempestivamente informati della data fissata per il dibattimento (le cui formalità d'apertura segnano il momento preclusivo per la costituzione in giudizio della parte civile) e, quindi, comprometterebbe la facoltà, che ad essi é espressamente riconosciuta (art. 22 c.p.p.), di intervenire nel processo penale per far valere nei confronti dell'autore del reato il diritto al risarcimento dei danni subiti in dipendenza dell'illecito. In conseguenza di ciò, essi potrebbero agire per la tutela dei loro diritti soltanto in un separato giudizio civile, nel quale, peraltro, a causa dei principi in materia di efficacia riflessa del giudicato penale (artt. 25, 27 e 28 c.p.p.), l'accertamento dei fatti e della responsabilità e la stessa proponibilità dell'azione sarebbero variamente condizionati dalle risultanze del processo penale. Di qui il contrasto con l'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione.
2. - La questione non é fondata.
Per vero, come questa Corte ha già chiarito con la sentenza n. 206 del 1971, la citazione a giudizio prevista dalla norma impugnata mira ad assicurare la partecipazione, al processo penale, di soggetti che siano in grado di fornire un contributo all'accertamento della verità dei fatti e al convincimento del giudice, quali sono, appunto, l'offeso dal reato, il querelante o il denunziante, laddove il semplice danneggiato lamenta il pregiudizio che ha sofferto e ne chiede il ristoro al di fuori della dialettica del processo. Si comprende quindi perché la norma impugnata non estenda l'obbligo della notifica del decreto di citazione a giudizio agli eredi della persona offesa dal reato e del querelante. Detti soggetti sono infatti meri titolari di pretese risarcitorie e, pertanto, non possono, salvo che si siano costituiti parte civile, non essere considerati estranei al processo penale, il cui oggetto specifico consiste nell'accertamento del reato.
Tale sistema, che risponde pienamente alle esigenze di concentrazione e di speditezza del processo penale (le quali rischierebbero di essere gravemente compromesse dalla spesso difficile ricerca individuale di tutti i possibili eredi) e al carattere di preminenza, che la giurisdizione penale riveste rispetto a quella civile (sent. n. 190 del 1971), non può dirsi in contrasto con i precetti costituzionali sanciti nei primi due commi dell'art. 24 Cost., i quali non vietano che il legislatore ordinario possa variamente disciplinare il diritto di difesa in funzione delle peculiari caratteristiche dei diversi tipi di procedimento e dei superiori interessi di giustizia, purché il suo esercizio sia garantito in modo effettivo ed adeguato alle circostanze (sent. n. 255 del 1974).
3. - Invero, proprio in considerazione di siffatte esigenze, questa Corte, con la sentenza n. 55 del 1971, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 28 c.p.p. nella parte in cui dispone che nel giudizio civile o amministrativo l'accertamento dei fatti materiali che furono oggetto di un giudizio penale sia vincolante anche nei confronti di coloro che sono rimasti ad esso estranei perché non posti in grado di intervenirvi. Tale orientamento é stato successivamente ribadito con la sentenza n. 99 del 1973, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 27 c.p.p. nella parte in cui prevede che nel giudizio civile o amministrativo la pronunzia penale abbia autorità di cosa giudicata, quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità e alla responsabilità del condannato o di colui al quale sia stato concesso il perdono giudiziale, anche nei confronti del responsabile civile che sia rimasto estraneo al giudizio penale perché non posto in grado di parteciparvi. Da ultimo, con la sentenza n. 165 del 1975, questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 25 c.p.p., nella parte in cui stabilisce che la preclusione all'esercizio dell'azione civile, in dipendenza della formula assolutoria con cui siasi concluso il giudizio penale, operi anche nei confronti dei soggetti che a detto giudizio sono rimasti estranei in quanto non legittimati a costituirsi in esso parte civile o, comunque, di fatto, non posti in grado di parteciparvi.
4. - Per effetto di tali pronunce, che hanno modificato la disciplina del codice di rito in materia di efficacia riflessa del giudicato penale, al danneggiato che per qualsivoglia ragione non sia stato posto in grado di intervenire nel processo penale é ormai assicurata la possibilità di far valere i propri diritti in un separato giudizio civile senza essere condizionato da preclusioni derivanti dallo svolgimento o dall'esito di quel processo.
E ciò é sufficiente, secondo i principi costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di questa Corte, per escludere che la mancata previsione, nella norma impugnata, della notifica del decreto di citazione a giudizio anche agli eredi della persona offesa e del querelante, comporti violazione della garanzia costituzionale del diritto di difesa nel suo duplice aspetto di diritto alla tutela giurisdizionale e di diritto al contraddittorio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 408 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione, dal pretore di Avigliano con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 1975.
Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 3 luglio 1975.