SENTENZA N. 38
ANNO 1973
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Dott. Giuseppe VERZÌ,Presidente
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 161 della legge 22 aprile 1941, n. 633 (protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), e dell'art. 700 del codice di procedura civile, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 10 novembre 1970 dal pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Konopka Magda e Battistini Attilio ed altri, iscritta al n. 2 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 del 10 marzo 1971;
2) ordinanza emessa il 20 dicembre 1970 dal pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Fallarino Ernesto, Medi Mandour ed il "Corriere d'Italia", iscritta al n. 87 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 106 del 28 aprile 1971.
Visti gli atti di costituzione di Battistini Attilio, di Goria Giulio, della società "Il Rinnovamento" editrice del quotidiano "Paese Sera", della società editrice "Il Messaggero" e di Fallarino Ernesto;
udito nell'udienza pubblica del 21 febbraio 1973 il Giudice relatore Edoardo Volterra;
uditi l'avv. Carlo Striano, per il Battistini, l'avv. Nino Gaeta, per "Paese Sera", l'avv. Fabio Montefoschi, per "Il Messaggero", e l'avv. Dario Di Gravio, per il Fallarino.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del procedimento promosso da Magda Konopka nei confronti di Attilio Battistini ed altri, il pretore di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 700 del codice di procedura civile e dell'art. 161 della legge 22 aprile 1941,n.633. La prima disposizione viene censurata in quanto, in relazione agli artt. 10 cod. civ., 96 e 97 della legge 22 aprile 1941, n. 633, consente di inibire l'uso dell'immagine altrui anche nell'ipotesi in cui questa, per essere nella disponibilità di un'impresa giornalistica, deve ritenersi destinata alla pubblicazione a mezzo stampa. La seconda é impugnata nella parte in cui consente, in relazione agli artt. 10 cod. civ., 96 e 97, 156 e 168 della legge n. 633 del 1941, il sequestro della fotografia e del materiale relativo, considerati oggetti idonei a costituire mezzo per la violazione del diritto all'immagine, anche quando, per essere nella disponibilità di un'impresa giornalistica, siano destinati alla pubblicazione a mezzo stampa.
2. - Nell'ordinanza di rimessione, pronunciata il 10 novembre 1970, il giudice a quo ha posto il dubbio in ordine alla compatibilità delle norme anzidette con l'art. 21 Cost., in particolare laddove esso esclude che la stampa possa essere soggetta a censura ovvero a sequestro fuori dai casi espressamente previsti.
Ha precisato che la questione di legittimità costituzionale si propone nella fattispecie in un modo particolare rispetto al caso deciso con la sentenza n. 122 del 1970 trattandosi di provvedimenti diretti ad incidere non sulla stampa in senso vero e proprio ma su atti preparatori o su cose che si pongono come strumento per l'esercizio del diritto di cronaca. Pertanto l'inibizione dell'uso dell'immagine destinata alla stampa configurerebbe sostanzialmente un'ipotesi di censura preventiva, mentre il sequestro della fotografia e del relativo materiale renderebbe ancor più penetrante l'intervento del giudice con contenuto di censura.
Il pretore ha peraltro rilevato come la Corte costituzionale abbia più volte affermato la distinzione tra stampa e attività preparatoria della stessa in relazione alla tutela accordata, e come la medesima abbia riconosciuto le autorizzazioni e censure, cui si riferisce l'art. 21, in quei provvedimenti cautelari di assenso preventivo che devono riflettere il contenuto della pubblicazione. Ha osservato del pari che l'art. 21, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, incontra dei limiti naturali derivanti dal sistema costituzionale ed in particolare dall'art. 2 che prevede il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo.
Conclude tuttavia nel senso dell'impossibilità di negare l'esistenza di un problema di legittimità costituzionale la cui risoluzione non può che essere demandata alla Corte costituzionale.
3. - L'ordinanza é stata ritualmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte si sono costituiti Attilio Battistini, direttore responsabile dei periodici "Playmen" e "Men", rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Striano, la società editrice "Il Messaggero", rappresentata e difesa dall'avv. Fabio Montefoschi, la società "Il Rinnovamento", editrice del quotidiano "Paese Sera", rappresentata e difesa dall'avv. Nino Gaeta, Giulio Goria, direttore di "Paese Sera", rappresentato e difeso dall'avv. Vinicio de Matteis.
4. - La difesa del Battistini osserva in primo luogo che con la sentenza n. 122 del 1970 la Corte costituzionale ha già fissato i criteri in ordine alla libertà di formazione, circolazione e diffusione della stampa, derivandone l'inapplicabilità dell'art. 700 cod. proc. civ., in relazione al sequestro di pubblicazioni. Analoga interpretazione dovrebbe valere in ordine all'inibizione dell'uso dell'immagine ed al sequestro di fotografie destinate alla stampa. Ove peraltro essa non potesse essere accolta si dovrebbe ritenere fondata la proposta questione di legittimità costituzionale, poiché sarebbe certo che l'inibizione e il sequestro si risolverebbero in un autentico divieto di pubblicazione di notizie, imposto alla stampa in via preventiva e cautelare, con palese contrasto con l'art. 21 della Costituzione.
5. - Anche la società editrice "Il Messaggero" ritiene che il problema sollevato dal pretore di Roma sia stato implicitamente risolto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 122 del 1970 nel senso dell'inapplicabilità delle norme denunciate all'ipotesi di immagini e cose destinate alla stampa. In linea subordinata peraltro conclude per l'accoglimento della questione.
6. - La società "Il Rinnovamento" e Giulio Goria, dopo aver sottolineato il carattere essenziale della riproduzione fotografica nel giornale moderno e quindi il risolversi in censura preventiva vietata dall'art. 21 della Costituzione l'interdizione della pubblicazione di qualsiasi fotografia, concludono per la dichiarazione di illegittimità delle norme denunciate, rammentando anche un precedente costituito dalla decisione della Cassazione penale, adottata prima della entrata in funzione della Corte costituzionale, di ritenere illegittimo il divieto di pubblicazione di fotografie di persone incolpate di reato.
7. - Questione di identico tenore veniva sollevata il 20 dicembre 1970 dal pretore di Roma nel procedimento civile promosso da Ernesto Fallarino nei confronti di Medi Mandour ed il "Corriere d'Italia". L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Si é costituito dinanzi alla Corte costituzionale il Fallarino rappresentato e difeso dall'avv. Dario Di Gravio.
8. - La difesa del Fallarino, premesso che l'art. 21 della Costituzione può prevalere sui diritti inviolabili dell'uomo, di cui all'art. 2, in tanto in quanto sussista un interesse pubblico alla divulgazione del pensiero o del fatto di cronaca - interesse che nella specie si rivelerebbe inesistente - sottolinea la particolarità del problema sottoposto all'esame della Corte costituzionale trattandosi non di sequestro di pubblicazioni ma di cose che solo per illazioni possono ritenersi destinate alla stampa.
La questione pertanto risulterebbe infondata, laddove invece occorrerebbe dichiarare l'illegittimità costituzionale degli artt. 10 cod. civ., 93, 96, 97 e 156 e seguenti della legge n. 633 del 1941, nelle parti in cui non prevedono, da un lato, il risarcimento del danno anche quando l'esposizione o la pubblicazione dell'immagine altrui, delle lettere e degli epistolari sia consentita dall'esercizio di un diritto tutelato dalla Costituzione (libertà di stampa), dall'altro l'intervento del giudice civile in via cautelare nella stessa ipotesi, ed in ultimo la possibilità di sequestro di lettere epistolari e ritratti prima della loro utilizzazione a fini di stampa.
9. - Nella memoria successivamente depositata, la difesa del Fallarino, dopo aver ribadito con ampie argomentazioni che nel sistema delineato dal legislatore ordinario agli artt. 96 e 97 della legge n. 633 del 1941 si é operata una congrua delimitazione tra l'interesse alla pubblicazione dell'immagine e quello alla riservatezza della stessa, insiste nelle conclusioni già rassegnate.
Considerato in diritto
1. - I due giudizi, discussi congiuntamente alla pubblica udienza, vanno riuniti e decisi con una stessa sentenza, in quanto si riferiscono alle medesime disposizioni di legge e a questioni identiche.
Le relative ordinanze pretorili, precisato che in base alla sentenza n. 122 dell'anno 1970 non può procedersi in forza dell'art. 700 del codice di procedura civile al sequestro di una pubblicazione contenente l'immagine di una persona riprodotta nonostante il divieto, e ricordata altresì la sentenza n. 38 dell'anno 1961, nonché la sentenza n. 115 dell'anno 1957, sollevano, rispetto all'art. 21 della Costituzione, in particolare al secondo e terzo comma, la questione di legittimità degli artt. 700 del codice di procedura civile e 161 della legge 22 aprile 1941, n. 633, in relazione agli artt. 10 del codice civile, 96, 97, 156, 168 della citata legge 22 aprile 1941 in quanto consentono di inibire la diffusione dell'immagine altrui e di sequestrarla anche quando questa, per essere nella materiale disponibilità di un'impresa giornalistica, deve ritenersi destinata alla pubblicazione a mezzo stampa.
Tale essendo il thema decidendi, non devono essere prese in considerazione le difese del Fallarino nella parte in cui propongono deduzioni ovvero formulano eccezioni che non sono state sollevate nelle ordinanze di rinvio.
2. - La questione non é fondata.
La specie in esame si diversifica da quella di cui alla sentenza n. 122 del 1970 richiamata dal giudice e dalle parti, la quale verteva sull'ammissibilità del sequestro di pubblicazioni contenenti immagini.
La Corte ha escluso che gli artt. 96 e 97 della legge 22 aprile 1941, n. 633, e l'art. 10 del codice civile attengano alla materia del sequestro preventivo ed ha escluso altresì che il giudice, anche in base all'art. 700 del codice di procedura civile, abbia il potere di procedere al sequestro di una pubblicazione, all'infuori dei casi in cui concorrano le due condizioni contemplate dall'art. 21, terzo comma, della Costituzione, cioè di delitti per cui la legge vigente espressamente autorizzi il provvedimento o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
La questione sulla quale oggi é chiamata a pronunziarsi la Corte é invece quella di legittimità costituzionale dell'art. 161 della legge 22 aprile 1941, n. 633, in quanto applicabile agli oggetti contenenti immagini che non siano state ancora pubblicate, ma che per essere nella materiale disponibilità di un'impresa giornalistica, si ritengano destinate alla pubblicazione, e dell'art. 700 del codice di procedura civile in quanto applicabile ai medesimi oggetti.
Il secondo e il terzo comma dell'art. 21 della Costituzione si riferiscono al materiale stampato mediante il quale si manifesta e si estrinseca il pensiero umano, ma non si riferiscono, quando, come si dirà in appresso, vengono in considerazione i diritti inviolabili della personalità umana, anche alle attività strumentali e alle cose che siano dirette e che servano alla preparazione e formazione del materiale destinato alla stampa. Il fine della citata norma costituzionale é quello di evitare che preventivi interventi cautelari amministrativi o giudiziari, non diretti a reprimere delitti espressamente previsti, impediscano o ostacolino la libera circolazione delle pubblicazioni, considerate dalla norma medesima come mezzo precipuo per la diffusione del pensiero manifestato e per l'esercizio dell'attività di informazione.
Come già rilevato dalla Corte nella sentenza n. 115 del 1957 e confermato con le sentenze n. 44 del 1960, n. 159 del 1970 e n. 93 del 1972, il divieto di cui al comma secondo della medesima norma concerne provvedimenti della pubblica autorità diretti ad esercitare controlli o assensi preventivi sul contenuto delle pubblicazioni.
Non contrastano con le norme costituzionali ed anzi mirano a tutelare e a realizzare i fini dell'art. 2 affermati anche negli artt. 3, secondo comma, e 13, primo comma, che riconoscono e garantiscono i diritti inviolabili dell'uomo, fra i quali rientra quello del proprio decoro, del proprio onore, della propria rispettabilità, riservatezza, intimità e reputazione, sanciti espressamente negli artt. 8 e 10 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo, gli artt. 10 del codice civile, 96 e 97 della legge 22 aprile 1941, n. 633, i quali del resto, come ha affermato la Corte nella richiamata sentenza n. 122 del 1970, non attengono alla materia del sequestro preventivo.
Ciò premesso, risulta evidente che la tutela dei diritti sulla propria immagine, su quelle dei genitori, dei coniugi e dei figli, sanciti dai citati articoli e che venga esercitata anche rispetto alle attività strumentali e alle cose le quali siano dirette e servano all'organizzazione, predisposizione, preparazione e formazione del materiale che si presume destinato ad essere pubblicato, non trova ostacolo nel precetto costituzionale di cui all'art. 21 della Costituzione e in particolare ai commi secondo e terzo.
3. - Non contrastano con la norma costituzionale di raffronto anche nella loro applicazione rispetto alle immagini che si presumano destinate ad essere pubblicate a mezzo stampa gli artt. 156 e 168 della legge 22 aprile 1941, n. 633, i quali statuiscono sull'utilizzazione economica del diritto di autore e di altri diritti connessi all'esercizio di questi. Il primo afferma la facoltà di agire in giudizio per ottenere l'accertamento del diritto di utilizzazione economica e l'interdizione della sua violazione. Il secondo estende le norme relative all'utilizzazione economica nei giudizi a difesa dei diritti che si riferiscono alla paternità e all'integrità dell'opera. Nessuna di tali disposizioni é incompatibile con i principi e con le norme di cui all'art. 21 della Costituzione.
4. - Nemmeno contrasta alla norma costituzionale citata l'art. 161 della legge 22 aprile 1971, n. 633, il quale, statuendo anch'esso sui diritti di utilizzazione economica, attribuisce all'autorità giudiziaria la facoltà di ordinare, agli effetti dell'esercizio dei poteri previsti dagli artt. 156, 157, 158, 159, 160 della medesima legge, la descrizione, l'accertamento, la perizia ed anche il sequestro di ciò che si ritenga costituire violazione del diritto di utilizzazione ed in casi particolarmente gravi anche il sequestro dei proventi dovuti all'autore dell'opera o del prodotto contestato. Tali disposizioni tutelano l'utilizzazione economica del diritto d'autore e sono dirette ad assicurare la prova e a determinare l'indisponibilità della cosa, sia per preservarla da distruzione o alterazione, sia per assicurare l'attribuzione dell'opera all'avente diritto, sia per impedire ulteriori danni derivanti da violazione del diritto di autore. Trattasi pertanto di norma diretta alla tutela di diritti patrimoniali e non a porre limitazioni alla libera estrinsecazione e manifestazione del pensiero, ne ad assoggettare la stampa ad autorizzazioni o censure. L'applicazione del predetto art. 161 prescinde infatti da esami e valutazioni sul prodotto del pensiero o sul contenuto di pubblicazioni al fine di permetterne o vietarne la diffusione in quanto siano o meno conformi a determinati principi o a determinati indirizzi ideologici.
5. - Nemmeno contrasta alla norma costituzionale l'applicazione dell'art. 700 del codice di procedura civile quando manchi la possibilità di applicare misure tutelari tipiche, per la tutela richiesta dagli interessati dei diritti di cui all'art. 10 cod. civ. e agli artt. 96 e 97 della legge 22 aprile 1941, n. 633, rispetto alle immagini che si ritengono non legittimamente divulgabili anche se si presumono destinate ad essere pubblicate a mezzo stampa. L'applicazione in tali casi dell'art. 700 cod. proc. civ. ai fini di proteggere il diritto alla riservatezza e di evitare pregiudizi imminenti e irreparabili al decoro e alla reputazione degli interessati e dei loro congiunti, mentre non può identificarsi con l'esercizio di un'attività di censura, costituisce un mezzo efficace per attuare la protezione provvisoria di diritti della personalità rientranti in quelli inviolabili che la Costituzione salvaguarda, tenuto anche conto della estrema importanza di tali diritti, della gravità e dell'irreversibilità del danno che la violazione di essi arreca agli interessati e che può incidere irrimediabilmente sulla loro posizione sociale e su quella dei loro congiunti, dell'impossibilità di ripararlo adeguatamente, dell'esigenza di un pronto intervento per impedire che il pregiudizio si verifichi.
Si può, pertanto, concludere che le norme in esame nelle parti denunziate dal giudice a quo non sono in contrasto con la norma costituzionale di raffronto e che quindi le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal pretore di Roma con le ordinanze di rimessione 10 novembre 1970 e 20 dicembre 1970 devono essere dichiarate non fondate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 161 della legge 22 aprile 1941, n. 633, sulla protezione del diritto di autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, e dell'art. 700 del codice di procedura civile, in relazione all'art. 10 del codice civile e agli artt. 96, 97, 156, 168 della predetta legge 22 aprile 1941, proposte dalle ordinanze in epigrafe in riferimento all'art. 21 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 1973.
Giuseppe VERZÌ – Giovanni BATTISTA BENEDETTI – Francesco PAOLO BONIFACIO – Luigi OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE - Paolo ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA.- Edoardo VOLTERRA
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 12 aprile 1973.