SENTENZA N. 144
ANNO 1972
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
Composta dai signori:
Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di
legittimità costituzionale degli artt. 4 della legge 4 agosto 1955, n. 692; 32
del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, convertito nella legge 18 dicembre 1970, n.
1034; 43 del d.l. 27 agosto 1970, n. 621, e dell'articolo unico della legge 18
dicembre 1970, n. 1035, concernenti gli sconti sui medicinali acquistati per la
distribuzione ai mutuati, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 14
luglio 1971 dal pretore di Trento nel procedimento civile vertente tra la
società "Armour Erba" e la Cassa mutua provinciale malattia di
Trento, iscritta al n. 328 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 290 del 17 novembre 1971;
2) ordinanza emessa il 10
novembre 1971 dal pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra la
società "Carlo Erba" e l'Ente nazionale di previdenza e d’assistenza
per gli impiegati dell'agricoltura, iscritta al n. 21 del registro ordinanze
1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 65 dell'8 marzo
1972;
3) ordinanza emessa il 16
dicembre 1971 dal giudice conciliatore di Bogliasco nel procedimento civile
vertente tra l'Istituto farmacologico "E. Boselli-SMEA s.r.1." e la
Cassa mutua provinciale malattia di Trento, iscritta al n. 42 del registro
ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del
22 marzo 1972;
4) ordinanze emesse il 24
gennaio 1972 dal pretore di Firenze in tre procedimenti civili vertenti
rispettivamente tra Dietopharma - Istituto farmaco dietetico italiano e l'Ente
nazionale di previdenza ed assistenza per i dipendenti statali, tra il
Laboratorio chimico farmaceutico "A. Menarini" e l'ENPAS, e tra
l'Istituto farmaco biologico "Stroder" e l'Istituto nazionale per
l'assicurazione contro le malattie, iscritte ai nn. 70, 71 e 72 del registro
ordinanze 1972 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97 del
12 aprile 1972.
Visti gli atti di
costituzione delle società "Armour Erba" e "Carlo Erba",
dell'Istituto farmacologico "E. Boselli - SMEA s.r.l.", dell'Istituto
farmaco dietetico "Dietopharma", del Laboratorio chimico farmaceutico
"Menarini", della Cassa mutua provinciale malattia di Trento,
dell'ENPAS, dell'ENPAIA e dell'INAM, nonché l'atto d'intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica
del 21 giugno 1972 il Giudice relatore Luigi Oggioni;
uditi gli avvocati Aldo
Sandulli, Giorgio Balladore Pallieri, Paolo Barile, Lorenzo Acquarone e
Giangaleazzo Bettoni, per le industrie farmaceutiche, gli avvocati Antonio
Sorrentino e Arturo Carlo Jemolo, per gli enti mutualistici, ed il sostituto
avvocato generale dello Stato Cesare Soprano, per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel giudizio civile
pendente fra la Cassa mutua provinciale malattia di Trento e la s.p.a. Armour
Erba produttrice di medicinali, avente ad oggetto questioni concernenti lo
sconto sul prezzo dei medicinali acquistati per la distribuzione ai mutuati, in
applicazione dell'art. 32 del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, convertito nella
legge 18 dicembre 1970, n. 1034, che fissa lo sconto medesimo nella misura del
19% a carico dei produttori e del 6% a carico dei farmacisti, il pretore di
Trento, con ordinanza 14 luglio 1971, dopo avere ritenuto manifestamente
infondato il profilo di illegittimità della della norma dedotto dalla soc.
Armour Erba in relazione all'art. 3 della Costituzione nel presupposto della
ingiustificata disparità di trattamento che la norma creerebbe tra le ditte
produttrici di medicinali acquistati da enti mutualistici e quelle produttrici
di medicinali acquistati da altri clienti, ha osservato che, invece, a diversa
conclusione dovrebbe arrivarsi per quanto riguarda l'altro profilo di
illegittimità pure delineato dalla difesa della società in relazione all'art.
53 Costituzione e fondato sul supposto contrasto fra il principio della
capacità contributiva ivi sancito e la norma in esame, che sottoporrebbe tutte
le imprese ad un eguale prelevamento di ricchezza, tale da comprometterne anche
la redditività.
Al riguardo il pretore, pur
affermando nell'ordinanza che gli sconti in parola sono prestazioni patrimoniali,
di fronte alle quali i tributi starebbero con rapporto di specie a genere,
ritiene tuttavia che non tutti i principi che trovano applicazione per i
tributi debbano senz'altro considerarsi necessariamente validi anche per le
prestazioni patrimoniali. Ciò, prosegue il pretore, porterebbe ad escludere che
la nozione di capacità contributiva, prevista dall'art. 53 della Costituzione,
possa trovare applicazione in relazione agli sconti in esame. Senonché questa
conclusione sarebbe suscettibile di gravi conseguenze perché, in forza di essa,
per eludere le garanzie di cui all'art. 53 della Costituzione, basterebbe
inquadrare un prelievo di ricchezza sotto la specie dell'art. 23 Cost.
definendolo cioé prestazione patrimoniale. Di qui "l'indubbio interesse
costituzionale degli aspetti della questione che si riferiscono alla situazione
soggettiva dei produttori gravati dallo sconto, e di riflesso sulla loro
capacità contributiva", questione che il pretore dichiara quindi non
manifestamente infondata formulando, nel dispositivo dell'ordinanza, espresso
riferimento anche all'art. 3, oltre che all'art. 53 della Costituzione.
L'ordinanza, debitamente
notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 290 del
17 novembre 1971.
Avanti alla Corte costituzionale
si é costituita la società Armour Erba, rappresentata e difesa dagli avvocati
Aldo Sandulli, Giorgio Balladore Pallieri, Lodovico Gallarati Scotti e
Giangaleazzo Bettoni, i quali hanno depositato, nei termini, le deduzioni
difensive.
Sotto il profilo dell'art. 3
Cost. la difesa afferma che gli sconti imposti con la norma impugnata sarebbero
ben lungi da quella ragionevolezza e da quella razionalità che dovrebbe
assistere ogni misura del genere, tanto più che lo sconto, sostanzialmente,
porrebbe a carico di una sola categoria di cittadini il risanamento del
bilancio dello Stato perseguito dal d.l. 26 ottobre 1970. Con ciò resterebbe
anche dimostrata la violazione dell'art. 53 Cost. perché, appunto, lo sconto
sarebbe disposto senza alcun riguardo alla possibilità delle imprese di far
fronte al nuovo onere.
Si é anche costituita la
Cassa mutua, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso
dagli avvocati Michele Giorgianni, Arturo Carlo Jemolo e Antonio Sorrentino che
hanno tempestivamente depositato le proprie deduzioni.
La difesa, dopo avere
richiamato i precedenti legislativi della norma impugnata, esclude anzitutto
che il pretore abbia inteso sottoporre specificamente alla Corte la questione
in relazione all'art. 3 Cost. ed attribuisce ad una "svista" il
riferimento a quest'ultimo, contenuto nel dispositivo. Rilevato poi che lo
sconto a carico dei produttori, in realtà, dovrebbe decurtarsi dell'1%, di cui
si rivarrebbero nei confronti dei distributori, prosegue affermando che le
argomentazioni contenute nell'ordinanza non solo non varrebbero a dimostrare il
contrasto della norma impugnata con l'art. 53 Cost., ma porterebbero a
conclusioni opposte, se deve ammettersi che non necessariamente le garanzie
previste per i tributi si estendono anche alle prestazioni patrimoniali. E
d'altra parte, in vista della ormai secolare configurazione dell'istituto
giuridico del tributo in senso proprio, eventuali improbabili dissimulazioni di
imposizioni tributarie come prestazioni patrimoniali non sfuggirebbero al
sindacato di legittimità costituzionale.
Comunque insiste
nell'affermare che gli sconti in esame, come semplici prestazioni patrimoniali,
avrebbero una natura distinta dai tributi e non potrebbero quindi rientrare
nella disciplina dell'art. 53 della Costituzione. Ma, se anche potessero
definirsi tributi, prosegue la difesa, mai potrebbe inferirsene la
illegittimità ex art. 53 della Costituzione per eccessiva incidenza sui bilanci
delle aziende, perché la norma costituzionale sarebbe attinente alla
complessiva situazione fiscale del contribuente, e non potrebbe trovare
applicazione di fronte ad una prestazione particolare come lo sconto, che non
considera il reddito globale dei singoli produttori, ma é invece strettamente
proporzionale alla qualità ed al prezzo dei prodotti venduti, colpendo il
particolare negozio o attività che dà origine al debito d'imposta, e non già i
produttori come titolari del complesso dei loro redditi netti.
Infine non sussisterebbe
neppure in fatto la lamentata eliminazione degli utili per effetto dello
sconto, poiché il sistema di fissazione dei relativi prezzi assicurerebbe
tuttora larghissimi margini, come sarebbe palesato dall'interesse dimostrato
alla fornitura agli Enti mutualistici anche dopo la disposizione impugnata. E
ciò anche senza voler considerare che la Costituzione, in definitiva, non
garantirebbe comunque la lucratività di ogni attività industriale.
Si é infine costituito il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, che ha depositato nei termini le proprie deduzioni.
L'Avvocatura mostra di
condividere l'opinione espressa nell'ordinanza di rinvio secondo cui la
prestazione imposta mediante lo sconto in esame non avrebbe natura tributaria,
ed al riguardo osserva che l'art. 32 impugnato configurerebbe lo sconto come
una mera contribuzione, alla pari di quelle pure previste nello stesso titolo 2
della legge, espressamente concernente "provvedimenti per la ripresa
economica", quali le sovvenzioni a carico dello Stato e l'aumento dei
contributi mutualistici, mentre le disposizioni propriamente tributarie
troverebbero collocazione nel titolo 1 della legge. Comunque nella specie
difetterebbero i requisiti peculiari ai tributi, perché l'importo degli sconti
sarebbe destinato specificamente a determinati soggetti esercenti l'attività di
assistenza sanitaria, diversamente da quanto avviene per le imposte, che
sarebbero invece destinate all'esplicazione di tutti i compiti pubblici nella
loro indivisibilità. E diversamente dalle tasse, si tratterebbe di un prelievo
posto a carico di soggetti che non sono i beneficiari dell'attività cui il
prelievo stesso é destinato e che il legislatore ha ritenuto di colpire solo
per il rapporto economico che li lega all'attività stessa. Da ciò dovrebbe
dedursi, secondo l'Avvocatura, l'inapplicabilità nella specie della invocata
regola costituzionale secondo cui tutti devono concorrere alle spese pubbliche
in proporzione della propria capacità contributiva, la quale sarebbe
incompatibile col concetto di mera prestazione patrimoniale, potendo costituire
un giusto criterio per la ripartizione della spesa pubblica fra tutti i
contribuenti, ma rimanendo invece estranea a quei prelievi di ricchezza che
sono posti a carico di una specifica categoria di soggetti, per la loro
particolare situazione economica di vantaggio in relazione ad una specifica
attività, ed in proporzione al vantaggio stesso, come appunto nella specie, in
cui l'ammontare complessivo dello sconto é legato al volume delle vendite.
Né d'altra parte potrebbero
avere rilievo considerazioni concernenti la misura dello sconto, che potrebbe
incidere fino a risolversi in una perdita, perché l'industriale, non avendo
l'obbligo di produrre quei determinati medicinali, potrebbe sottrarsi al
contributo, sia perché, comunque, si tratterebbe di un pericolo solo ipotetico
in quanto la stessa legge (articolo 33) prevederebbe un meccanismo di revisione
dei prezzi di vendita attraverso il Comitato interministeriale dei prezzi.
2. - Con successiva
ordinanza emessa il 10 novembre 1971 nel giudizio civile tra la soc. Carlo Erba
e l'Ente nazionale di previdenza e assistenza per gli impiegati
dell'agricoltura (ENPAIA) ed avente ad oggetto pure l'applicazione dello sconto
in esame, il pretore di Roma ha sollevato analoga questione, svolgendo
argomentazioni in parte simili a quelle contenute nell'ordinanza del pretore di
Trento ed insistendo particolarmente nel presupporre che il concetto di
capacità contributiva, mentre per un verso si ricollegherebbe al criterio della
progressività dell'imposizione, dall'altro implicherebbe un effettivo
collegamento fra l'imposizione e la produzione di ricchezza cui si riferisce
l'imposizione stessa, con la considerazione di indici effettivi che consentano
di determinare la quantità dell'imposta che si può esigere da ciascun
obbligato. La capacità contributiva, quindi, non coinciderebbe con la
percezione di un qualsiasi reddito, ma postulerebbe, per l'assoggettamento
dell'imposta, una disponibilità di mezzi economici che consenta di farvi
fronte.
Con la stessa ordinanza il
pretore ha invece dichiarato manifestamente infondata la censura di
illegittimità della norma impugnata sollevata dalla difesa della soc. Carlo
Erba in relazione all'art. 3 Cost. in termini analoghi a quelli già ritenuti
infondati nell'ordinanza del pretore di Trento.
L'ordinanza é stata
debitamente notificata e comunicata, ed é stata pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale n. 65 dell'8 marzo 1972.
Davanti alla Corte si é
costituita la soc. Carlo Erba, rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo
Sandulli, Giorgio Balladore Pallieri, Lodovico Gallarati Scotti e Giangaleazzo
Bettoni, che hanno depositato tempestivamente deduzioni con cui, oltre a
svolgere le argomentazioni contenute nell'ordinanza, propongono altresì il
profilo di illegittimità costituzionale relativo all'art. 3, primo comma,
Cost., che, a loro dire, potrebbe essere egualmente esaminato dalla Corte in
sede di riunione del presente giudizio agli altri di analogo oggetto in cui
figurerebbe specificamente devoluto all'esame della Corte.
Si é anche costituito
l'ENPAS, rappresentato e difeso dagli avvocati Arturo Carlo Jemolo, Michele
Giorgianni e Antonio Sorrentino, che hanno depositato nei termini le proprie
deduzioni.
La difesa sostanzialmente
obbietta che, se fossero esatti i criteri enunciati nell'ordinanza, la Corte
dovrebbe scendere ad un esame di fatto sulla congruità degli sconti, stabiliti
dal legislatore, in relazione alla convenienza economica dell'impresa. Il che,
peraltro, riguarderebbe l'opportunità delle disposizioni, ed esulerebbe dalla
competenza della Corte, che non sarebbe chiamata ad indagini di fatto. La
difesa riproduce poi le argomentazioni a sostegno della infondatezza della
questione già svolte nel citato giudizio proveniente dalla pretura di Trento.
3. - Con ordinanza emessa il
16 dicembre 1971 nel procedimento civile vertente fra l'Istituto farmacologico
E. Boselli SMEA e la Cassa mutua provinciale di Trento, concernente sempre
questioni relative all'applicazione dello sconto ai sensi della norma dinanzi
citata, il giudice conciliatore di Bogliasco ha sollevato questione di
legittimità della norma stessa, nonché dell'art. 4 della legge 4 agosto 1955,
n. 692, istitutivo dello sconto, allora nella misura del 12% a carico dei
produttori e del 5% a carico dei farmacisti, e dell'art. 43 del d.l. 27 agosto
1970, n. 621, non convertito in legge, "per l'ipotesi che la legge n. 1035
del 1970 ne abbia fatto salvi gli effetti". Sotto il profilo della violazione
dell'art. 53 Cost. i motivi sono analoghi a quelli esposti nella precedente
ordinanza del pretore di Roma; ma il giudice conciliatore ha ritenuto non
manifestamente infondata la questione di legittimità anche in relazione
all'art. 3 della Costituzione per le ragioni già disattese nelle ordinanze dei
pretori di Trento e di Roma, insistendo in particolare sulla irragionevolezza
della diversità di disciplina che colpirebbe comunque una sola categoria di
contribuenti e sarebbe ancora più evidente sia perché destinatari dei benefici
non sarebbero tutti gli enti mutualistici, ma solo alcuni di essi, sia perché
nella determinazione dei prezzi non si potrebbe considerare l'imposizione dello
sconto, sia perché, infine, l'imposizione stessa contrasterebbe col regime di
prezzo fisso dei medicinali di cui all'art. 125 del testo unico delle leggi
sanitarie, dettato a tutela della salute pubblica.
Inoltre, secondo il giudice
a quo, risulterebbero anche violati: l'art. 23 della Costituzione, che pone la
riserva di legge in materia di prestazioni personali, perché la scelta fra il
sistema di assistenza indiretta, con l'acquisto dei medicinali con lo sconto, e
il sistema della gestione diretta della distribuzione dei medicinali stessi
dipenderebbe da una determinazione degli Enti mutualistici assolutamente
discrezionale, senza che la legge precisi i criteri direttivi cui essi debbono
attenersi; l'art. 32 Cost. che garantisce la salute pubblica, perché lo sconto
sui prezzi dei medicinali renderebbe antieconomica la produzione degli stessi e
potrebbe causare la rarefazione delle aziende e dei prodotti nonché il loro
decadimento funzionale; l'art. 41 della Costituzione, perché l'eccessivo onere
imposto con gli sconti finirebbe col provocare la cessazione dell'attività
delle aziende farmaceutiche, ledendo quindi il principio di libertà di
iniziativa economica; l'art. 43 della Costituzione perché la eliminazione dal
mercato di molte aziende farmaceutiche per effetto dell'eccessivo onere imposto
si risolverebbe a favore di un oligopolio delle aziende superstiti,
generalmente estere o miste, per fini diversi e con strumenti diversi da quelli
tassativamente previsti dalla invocata norma costituzionale.
L'ordinanza, notificata e
comunicata come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 78
del 22 marzo 1972.
Avanti alla Corte
costituzionale si é costituito l'Istituto farmacologico sopra menzionato, in
persona del presidente e legale rappresentante dott. S. Ravazzoni,
rappresentato e difeso dagli avvocati Aldo Sandulli e Lorenzo ricquarone che
hanno depositato tempestivamente le proprie deduzioni.
La difesa fa proprie,
svolgendole, le argomentazioni contenute nell'ordinanza e, fra l'altro,
insistendo sulla pretesa violazione dell'art. 3 Cost., precisa che sarebbe
impossibile correggere la sperequazione a danno dei produttori di medicinali,
unica categoria colpita dai prelievi in esame nel quadro del programma
finanziario perseguito dal legislatore, perché il sistema di determinazione dei
prezzi, affidato al CIP, non potrebbe tener conto tempestivamente della
imprevedibile incidenza degli sconti, variabile in funzione dello smercio dei
singoli medicinali.
Si é anche costituita la
Cassa mutua provinciale di Trento, rappresentata e difesa dagli avvocati
Antonio Sorrentino, Carlo Arturo Jemolo e Michele Giorgianni, i quali hanno
depositato le rituali deduzioni difensive.
Quanto alla censura riferita
all'art. 3 Cost. la difesa osserva che, a parte la considerazione che gli
sconti mutualistici sarebbero estesi a tutti gli enti assistenziali, la
controparte non avrebbe interesse a sollevare la questione la quale, se mai,
potrebbe riguardare gli enti mutualistici esclusi dal beneficio. Inoltre tutti
i prodotti medicinali potrebbero essere assegnati ai mutuanti, per cui sarebbe
da escludere in concreto la lamentata sperequazione fra produttori
farmaceutici. Né sarebbe esatto quanto affermato nell'ordinanza circa la
determinazione dei prezzi di vendita dei medicinali, il cui ammontare, invece,
verrebbe fissato in modo non definitivo e in ogni caso lasciando un congruo
margine di guadagno all'imprenditore.
Comunque non potrebbe
ravvisarsi una violazione dell'art. 3 della Costituzione nella imposizione
tributaria a carico di una determinata categoria di contribuenti, rientrando
tale scelta nella discrezionalità del legislatore.
Infondata, poi, sarebbe la
censura sollevata in relazione all'art. 23 Cost. poiché non potrebbe ravvisarsi
una violazione della riserva di legge ivi sancita nella ipotesi che il
legislatore, come nella specie, stabilisca una prestazione subordinata al
verificarsi di un dato presupposto, quale appunto il sistema assistenziale
indiretto.
Né migliore accoglimento
potrebbe avere la dedotta violazione degli artt. 32 e 43 Cost., non potendosi
in concreto ravvisare il paventato scadimento dei prodotti né il costituirsi di
oligopoli, ma dovendosi al contrario questi eventi collocare nel campo delle
mere ipotesi. La libertà di iniziativa economica non comporterebbe poi
l'esigenza di un sistema fiscale che assicuri al soggetto un profitto (profitto
che comunque per i produttori farmaceutici resterebbe pur sempre elevato),
mentre la prestazione in esame perseguirebbe fini evidenti di pubblica utilità
e, di conseguenza, sarebbe anche infondata la questione sollevata in relazione
all'art. 41 della Costituzione.
Riguardo infine alla
violazione dell'art. 53 Cost., ribadisce le tesi difensive dianzi menzionate,
sempre per la ipotesi della realtà del lamentato annullamento dei profitti, il
cui accertamento, comunque, esulerebbe dalla competenza della Corte.
4. - Con tre ordinanze,
identiche nella motivazione, emesse il 24 gennaio 1972 dal pretore di Firenze
nei procedimenti civili vertenti, rispettivamente, fra l'Istituto farmaco
dietetico italiano Dietopharma e l'ENPAS, il Laboratorio chimico farmaceutico
Menarini e l'ENPAS, e l'Istituto farmacologico Stroder e l'INAM, ed aventi
ancora ad oggetto controversie relative agli sconti in esame, sono state
sollevate questioni di legittimità costituzionale del ripetuto art. 32 del d.l.
n. 745 del 1970 per violazione degli artt. 3, 41 e 53 Cost., per motivi
sostanzialmente coincidenti con quelli posti a base delle analoghe censure
sopra riportate.
In particolare, per quanto
riguarda la violazione dell'articolo 53 Cost., si pone in evidenza nelle
ordinanze che il principio della pari capacità contributiva ivi sancito sarebbe
leso anche perché le imprese produttrici sarebbero sottoposte ad identico
prelievo solo per i prodotti oggetto di sconto, indipendentemente dal fatto che
esse producano o vendano tali prodotti in proporzione maggiore o minore
rispetto ai prodotti venduti al libero mercato.
Con le stesse ordinanze,
infine, é stata anche sollevata questione di legittimità costituzionale
dell'art. 1, prima parte, della legge 18 dicembre 1970, n. 1035, per violazione
dell'art. 77 della Costituzione.
Si ricorda in proposito
nelle ordinanze che la maggiorazione dell'aliquota di sconto già prevista
dall'art. 4 della legge 4 agosto 1955, n. 692, venne introdotta con il d.l. 27
agosto 1970, n. 621; che tale provvedimento non fu convertito in legge; che fu
invece convertito in legge il d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, col quale si
riproduceva in materia una identica disciplina, e che con la norma impugnata
vennero espressamente resi "validi gli atti ed i provvedimenti
adottati" e venne attribuita "efficacia ai rapporti giuridici,
compresi quelli tributari, sorti sulla base del d.l. n. 621".
Secondo le ordinanze, ove si
interpretasse tale disposizione, come pretendono gli enti mutualistici nel
giudizio principale, nel senso che in forza di essa potrebbe richiedersi la
maggiorazione di sconto per ogni vendita effettuata fin dal 27 agosto 1970,
anche prima del completamento della relativa liquidazione, perfezionatasi
soltanto dopo la scadenza del d.l. non convertito, la disposizione stessa si
porrebbe in contrasto con l'art. 77 della Costituzione, secondo cui i decreti
non convertiti perdono efficacia fin dall'inizio, ed é consentito al
legislatore, in tale eventualità, di apprestare una disciplina "limitatamente
ai rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti".
Invero, l'efficacia della norma impugnata, così interpretata, si estenderebbe
anche oltre i rapporti "svoltisi interamente ed esauritisi" sotto
l'impero del d.l. non convertito, sarebbe diretta cioé a fare salvi tutti gli
effetti del decreto stesso, e si porrebbe in contrasto con la limitazione di
cui al citato precetto costituzionale, che restringerebbe appunto la facoltà di
convalida solo ai rapporti giuridici già perfezionatisi sotto l'impero del
decreto non convertito.
Le ordinanze, debitamente
notificate e comunicate, sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 97
del 12 aprile 1972.
Nelle prime due cause si é
costituito l'ENPAS, nella terza l'INAM, entrambi rappresentati e difesi dagli
avvocati Michele Giorgianni, Arturo Carlo Jemolo e Antonio Sorrentino, che
hanno depositato, nei termini, difese di identico tenore per ogni causa.
Quanto alla lamentata
violazione degli artt. 3, 41 e 53, vi si ripropongono sostanzialmente le
argomentazioni già svolte nella causa proveniente dal conciliatore di
Bogliasco, specificando, quanto al primo punto, che, ove la censura riferita
alla pretesa arbitrarietà dell'imposizione della prestazione a carico dei soli
produttori farmaceutici volesse interpretarsi nel senso che il legislatore non
potrebbe, in via di principio, stabilire sconti obbligatori, dovendosi
provvedere solo con l'istituzione di imposte ai fini che attraverso gli sconti
stessi si perseguono, ci si troverebbe di fronte ad una tesi evidentemente
arbitraria ed illogica.
Quanto alla pretesa
violazione dell'art. 77, la difesa osserva che l'accertamento dell'eventuale
perfezionamento del diritto allo sconto nel periodo di vigenza del decreto non
convertito sarebbe di stretta competenza del giudice a quo, mentre non
risulterebbe che il pretore abbia compiuto tale indagine, la quale, comunque,
non involgerebbe la legittimità della legge impugnata.
Infine, nelle cause tra
l'Istituto Dietopharma, la società Menarini e l'ENPAS si sono costituite le
dette parti private rappresentate e difese dagli avvocati Aldo Sandulli, Paolo
Barile e Gian Carlo Sparnacci che hanno depositato deduzioni difensive con cui
insistono sulle censure sopra sollevate.
La difesa dell'Istituto
farmacologico E. Boselli (SMEA), della Armour Erba s.p.a., della Carlo Erba
s.p.a., del Laboratorio chimico Menarini e dell'Istituto farmaco dietetico
Dietopharma ha depositato una memoria illustrativa con cui ripropone,
svolgendole ampiamente, le censure già sollevate contro le norme impugnate.
A proposito della
insostenibilità dello sconto, precisa che lo stesso dovrebbe aggiungersi a
quello già praticato nella misura del 35,75% a favore dei grossisti, e, per
quanto riguarda la diversa incidenza da azienda ad azienda, a seconda che si
tratti di produzione di farmaci destinati o no alla distribuzione ai mutuati,
afferma che i primi costituirebbero il 59% della produzione globale, con ricavi
pari al 45,8%, mentre i secondi, pari al 41 %, comporterebbero ricavi del 64,8%.
Ciò con riferimento alla situazione regolata dalla legge n. 692 del 1955,
mentre con la successiva estensione della mutualità e l'aumento dello sconto
tale situazione si sarebbe ulteriormente aggravata, e sarebbe andata comunque
ad incidere sulla posizione economica generale dell'industria farmaceutica, in
progressivo deterioramento, come sarebbe reso evidente dalla flessione
dell'incremento annuo dei consumi, dal prezzo medio ponderale delle specialità
che sarebbe il più basso della Comunità Economica Europea, dall'utile medio
effettivo inferiore a quello di molti altri settori industriali e dalla
progressiva diminuzione del numero delle imprese operanti sul mercato
farmaceutico.
Dopo altre considerazioni di
carattere politico-economico tendenti a dimostrare l'inopportunità
dell'adozione dello sconto in esame, la difesa illustra ampiamente la propria
tesi secondo cui non potrebbe utilmente valutarsi lo sconto stesso ai fini
della determinazione dei prezzi dei medicinali, ne pone in evidenza la presunta
insufficienza ai fini di una corretta interpretazione della realtà, e si
richiama alle direttive che il CIPE avrebbe adottato in previsione della
attuazione del nuovo sistema previsto dall'art. 33 del d.l. n. 745 del 1970,
che dovrebbe portare alla soppressione degli sconti stessi.
A proposito della lamentata
violazione dell'art. 53 Cost. insiste, in particolare, nell'affermare che la
misura dello sconto andrebbe oltre il margine di utile concesso ai produttori
in sede di determinazione del prezzo e sostiene che, nella specie, ci si
troverebbe così in presenza di un caso limite in relazione al quale, data
l'assoluta arbitrarietà e irrazionalità delle norme, che avocherebbero l'intera
ricchezza colpita, distruggendone la fonte, non potrebbe escludersi il
sindacato della Corte ai fini di accertare la violazione del principio di
capacità contributiva; sindacato che, oltre tutto, dovrebbe svolgersi su dati
di comune esperienza quali sarebbero il riferimento necessario ed esclusivo ai
costi di produzione nella determinazione dei prezzi dei prodotti medicinali e
la constatazione dell'eliminazione dei profitti dell'impresa media, e che,
comunque, ben potrebbe esercitarsi a mezzo degli opportuni atti istruttori di
competenza della Corte.
Le norme impugnate, in
conclusione, realizzerebbero un sistema il quale non farebbe corrispondere agli
oneri imposti ai produttori garanzie adeguate dei loro diritti; e non varrebbe
obbiettare che esisterebbe la possibilità di correggere i prezzi in funzione
dello sconto, anche perché l'imposizione dovrebbe tener conto della reale ed
attuale capacità contributiva del soggetto passivo e non già di eventuali e
future modifiche di essa.
La difesa passa poi ad
illustrare diffusamente i profili di illegittimità delle norme impugnate
riferiti alla violazione dell'art. 3 Cost. e rileva anzitutto che, in questa
sede, non sarebbe richiesto che i profili di illegittimità dedotti attengano ad
aspetti della legge pregiudizievoli per la parte che solleva la questione, per
cui non avrebbe fondamento l'eccezione prospettata in questo senso dalla difesa
avversaria riguardo alla lamentata sperequazione a danno degli enti
mutualistici esclusi dallo sconto.
Osserva, poi, tra l'altro,
che, dato l'attuale aggravamento dell'onere dei produttori a seguito
dell'estendersi della mutualità, dovrebbe riesaminarsi la questione con
riferimento alla irrazionalità della scelta di tale categoria di operatori come
soggetti passivi della contribuzione, anche se a suo tempo questo profilo fu
ritenuto infondato dalla Corte con la sentenza n. 70 del 1960,
ed insiste particolarmente sulla sperequazione che la imposizione dello sconto
concreterebbe a danno dei produttori di medicinali destinati alla mutualità.
La violazione dell'art. 32
Cost. poi, secondo la difesa, troverebbe conferma anche nella intempestività
degli aggiornamenti dei prezzi dei medicinali che giungerebbero, anche a
poterne ammettere l'attuazione, solo dopo il danno alla salute pubblica
provocato dall'incidenza dello sconto. Né il fatto che molte ditte seguitino a
produrre medicinali potrebbe condurre a diverse conclusioni circa la realtà
della situazione rappresentata, trattandosi solo di un periodo di fiduciosa
attesa della eliminazione dello sconto per effetto della auspicata sentenza
della Corte.
Neppure gli sconti offerti
da alcune ditte agli enti mutualistici in misura eccedente quello previsto
dalla legge potrebbe trarre in inganno, giacché tratterebbesi di situazioni
marginali e comunque eccezionali, che non inciderebbero sulla sostanziale
criticità della situazione economica generale del settore.
Quanto alla violazione della
riserva di legge di cui all'articolo 23 Cost., la difesa precisa, fra l'altro,
che la norma impugnata attribuirebbe la facoltà di scelta senza dettare criteri
direttivi circa il modo di esercizio della scelta medesima, nel che appunto si
sostanzierebbe la violazione del precetto costituzionale.
Trattando delle questioni
sollevate in relazione agli articoli 41 e 43 Cost. osserva poi fra l'altro che
le limitazioni alla iniziativa economica privata devono fondarsi sul contrasto
dell'iniziativa stessa con l'utilità sociale, mentre la produzione di
medicinali sarebbe coessenziale con tale utilità, e la scomparsa di aziende del
settore dovuta alla soppressione del profitto si risolverebbe non in un
vantaggio, ma in un danno sociale. Né lo scopo sociale dello sconto potrebbe
escludere la fondatezza della questione, poiché si tratterebbe di una utilità
ben conciliabile e comunque non in contrasto con la iniziativa economica di
produzione di medicinali.
Neppure costituirebbe valida
obbiezione il dire che, trattandosi nella specie di materia ricadente
nell'ambito dell'articolo 23 Cost., dovrebbe escludersi l'operatività dell'art.
41 Cost. Ciò varrebbe infatti solo nel caso in cui la prestazione imposta non
sia tale da assorbire integralmente o eccessivamente il profitto, la cui
conservazione sarebbe elemento essenziale dell'attività imprenditoriale,
secondo leggi economiche non disconoscibili, e la cui soppressione, quindi,
comporterebbe sempre e necessariamente anche la violazione della garanzia della
libertà di iniziativa economica.
Con queste conclusioni non
contrasterebbe la sentenza n. 70 del 1960 della Corte perché, se allora fu
ritenuto che venendo in questione l'art. 23 Cost. doveva escludersi
l'operatività dell'art. 41 Cost., ciò avvenne perché non era in discussione,
appunto, la distruzione dell'impresa per soppressione dei profitti.
Venendo infine a trattare
della questione sollevata contro l'articolo unico della legge n. 1035 del 1970,
la difesa esprime l'avviso che la norma impugnata si riferisca solo a quei
rapporti che, diversamente da quelli in esame, abbiano avuto consacrazione in
un atto giuridico intervenuto durante la vigenza del decreto non convertito.
Ma, ove si ritenesse il
contrario, sorgerebbe per i produttori l'obbligo di corrispondere, comunque, lo
sconto anche per il periodo di vigenza del decreto non convertito, ed in ciò si
radicherebbero, per le già esposte ragioni, i limiti segnati dall'art. 77 Cost.
alla facoltà di regolamento ex lege dei rapporti sorti durante la vigenza di un
decreto legge non convertito.
Con separata memoria
nell'interesse della società Carlo Erba e della soc. Armour Erba,
tempestivamente depositata, l'avvocato Bettoni contesta particolarmente la tesi
delle controparti secondo cui non sarebbe applicabile nella specie l'art. 53
della Costituzione data la natura non tributaria delle prestazioni patrimoniali
imposte ai produttori con lo sconto in esame. Ed attraverso la disamina della
giurisprudenza della Corte conclude affermando che lo sconto avrebbe il
carattere di imposizione tributaria anche perché costituirebbe, in sostanza,
una "autoritaria detrazione di ricchezza".
Attraverso una ulteriore
disamina della giurisprudenza della Corte in materia, la difesa insiste
nell'affermare che, nella specie, risulterebbero violati i criteri fissati
dalla invocata norma costituzionale, segnatamente a causa della ingiustificata
ed arbitraria entità dell'imposizione. Ed in proposito la difesa si richiama
sia alle risultanze di una valutazione della redditività delle imprese
farmaceutiche compiuta in occasione di uno studio degli Ispettori
compartimentali delle imposte dirette in cui si affermerebbe che la redditività
media del settore nel 1964 era da valutare fra l'8 e il 13% dei ricavi, sia
alle risultanze più recenti desumibili dalla relazione al CIPE del CIP, in data
27 ottobre 1971, secondo cui tale redditività presenterebbe ora indici
inferiori per le grandi e piccole aziende e superiori per le medie.
Insiste poi nel sostenere la
denunziata violazione dell'articolo 3 Cost. svolgendo le relative
argomentazioni, e ribadendo particolarmente le censure per quanto riguarda la
disparità di trattamento che si verificherebbe tra le imprese produttrici di
farmaci destinati alla mutualità e di farmaci a vendita libera.
La difesa degli enti
mutualistici costituiti ha depositato nei termini una memoria con cui contesta
la fondatezza delle anzidette censure svolgendo ampiamente le argomentazioni
già contenute nelle precedenti deduzioni.
In particolare, per quanto
riguarda la presunta violazione dell'art. 3 Cost., osserva che la lamentata
sperequazione fra imprese che producono prevalentemente farmaci destinati al
consumo dei mutuati e quelle che invece producono farmaci destinati al mercato
libero sarebbe già stata implicitamente ritenuta infondata dalla giurisprudenza
della Corte; ed insiste nell'affermare che coinvolgerebbe una indagine di fatto
e comunque materia affidata alla discrezionalità del legislatore e, come tale,
sottratta alla competenza della Corte.
Per quanto riguarda la
violazione dell'art. 23 Cost., la difesa ricorda che anche nel campo tributario
sarebbero contemplate ipotesi in cui é data facoltà all'ente impositore di
scegliere fra due tributi che hanno presupposti diversi (ad es. imposta di
famiglia e imposta sul valore locativo) o di imporre o meno una determinata
imposta (ad es. i contributi di miglioria).
Circa la dedotta violazione
dell'art. 32 Cost., sostiene che sarebbe esclusa anche dalla natura
programmatica della norma costituzionale e dalla possibilità di adeguare i
prezzi di vendita secondo criteri che consentirebbero un congruo margine di
utile, senza dire che la prospettata eventualità di uno scadimento dei prodotti
potrebbe, se mai, dar luogo soltanto a responsabilità penali dei colpevoli ma
non essere invocata utilmente in questa sede.
Rileva poi che non
potrebbero rientrare nella materia tutelata dall'art. 41 Cost. gli effetti
indiretti che possono avere sui prodotti le imposizioni fiscali o altre
prestazioni economiche, i quali effetti appunto verrebbero in discussione nella
specie. Invero la norma costituzionale non sancirebbe il divieto di sottoporre
l'iniziativa economica ad oneri e controlli per ragioni che non siano
dirigistiche, ma ispirate ad interessi generali, come appunto quelle in esame.
Anche fuori di luogo sarebbe
invocato l'art. 43 Cost., giacché la norma impugnata non prevederebbe in alcun
modo la creazione dell'oligopolio paventato nell'ordinanza di rinvio del
giudice conciliatore di Bogliasco.
Riguardo alla dedotta
violazione del principio della capacità contributiva, la difesa si richiama
anche ai concetti espressi nella più recente giurisprudenza della Corte per
inferirne che, in materia, l'indagine in questa sede potrebbe svolgersi solo
nei limiti della eventuale contestazione della assoluta arbitrarietà o
irrazionalità delle norme impugnate. Ogni altra indagine riguardo alla
incidenza del tributo nella misura dell'utile del produttore concernerebbe un
problema di opportunità della legge e non di legittimità della stessa, e si
risolverebbe, comunque, in un esame analitico di circostanze di fatto, come
tale escluso dalla competenza della Corte. Ciò senza dire che, diversamente
opinando, dovrebbe escludersi in generale la legittimità costituzionale della
fissazione dei prezzi d'imperio, il che non sarebbe concepibile, e che
tratterebbesi comunque di effetti non della legge ma del provvedimento di
fissazione dei prezzi, suscettibile comunque di controllo giurisdizionale.
In ogni caso, secondo la
difesa, l'applicabilità dell'art. 53 Cost. presupporrebbe, in ordine di tempo,
prima l'esistenza di un bene o di un reddito e poi la sottoposizione ad un
onere tributario, mentre nel caso dello sconto, che si risolverebbe
nell'imposizione di un prezzo d'imperio, vi sarebbe solo una incidenza sulla
formazione del reddito. Onde l'invocata norma costituzionale sarebbe anche sotto
questo profilo inapplicabile.
La pur ipotetica
compromissione della redditività delle imprese più deboli per effetto dello
sconto non potrebbe poi incidere nel campo della garanzia costituzionale,
neppure sotto il profilo della pretesa violazione del principio di eguaglianza,
potendosi nel caso parlare solo di una scelta di carattere esclusivamente
politico del legislatore, e come tale incensurabile.
La difesa passa quindi ad
analizzare il metodo di determinazione dei prezzi dei medicinali da parte del CIP,
affermando che si tratterebbe di un sistema empirico che attribuirebbe fra
l'altro ad alcune componenti del costo di produzione una incidenza molto
superiore alla realtà, come avverrebbe in particolare per le spese generali e i
prezzi delle materie prime, e ciò a tutto vantaggio del profitto dei
produttori.
Infine, attraverso una
disamina dell'incremento quantitativo delle vendite dei medicinali collegato
con la espansione della mutualità, ribadisce, anche sotto questo aspetto, la
tesi riguardante la conservazione di ampi margini di utile complessivo per i
produttori, che sarebbero anche testimoniati dalle offerte di sconti agli enti
mutualistici effettuati da numerose ditte su molti prodotti in misura assai
maggiore allo sconto stabilito dalle norme impugnate, secondo dati che la
difesa espone analiticamente nella memoria.
Considerato in diritto
1. - Le sei ordinanze
indicate in epigrafe propongono questioni, in parte comuni ed in parte
connesse; pertanto, i relativi giudizi, congiuntamente discussi nell'udienza
pubblica, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Un primo gruppo di
censure, come si é esposto in narrativa, riguarda l'art. 4 della legge 4 agosto
1955, n. 692, con cui fu istituito lo sconto a favore degli enti mutualistici;
l'art. 32 del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, con cui é stata aumentata la misura
dello sconto, e l'art. 43 del d.l. 27 agosto 1970, n. 621, non convertito in
legge, di cui l'art. 32 suddetto riproduce peraltro esattamente il contenuto,
ed é riferito alla lamentata violazione, sotto vari profili, del principio di
eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.
Le questioni come sopra
sollevate non sono fondate, anzitutto sotto l'aspetto con cui si lamenta l'ingiustificata
sperequazione a danno dei produttori di medicinali destinati all'uso dei
mutuati nei confronti di quelli che, invece, producono farmaci destinati al
consumo ordinario. Trattasi evidentemente di due situazioni non omogenee, per
la diversa destinazione dei prodotti, diretti a categorie di consumatori
caratterizzate da essenziali differenze obbiettive, quali appunto, da un lato,
gli assistiti da enti mutualistici, che per la loro particolare condizione di
lavoratori e la correlativa situazione di inferiorità economica, lo Stato, in
attuazione dei suoi compiti istituzionali sanciti dagli artt. 32 e 38 della
Costituzione, ha giustamente considerato degni di una particolare prestazione;
e, dall'altro, i consumatori ordinari, cui per la intrinseca diversità della
loro posizione, non si é ritenuto di estendere tale particolare protezione.
La razionalità della
differenziazione per quanto riguarda l'assoggettamento agli sconti, scaturisce
strettamente da tale diversità, perché risponde indubbiamente ad un criterio
accettabile dal punto di vista logico l'imporre lo sconto, destinato a
finanziare l'assistenza mutualistica farmaceutica, proprio sui prezzi dei
medicinali che sono destinati a quel tipo di assistenza. Questa Corte ha già
ritenuto infondato un analogo profilo di illegimmità quando, con la sentenza n.
70 del 1960, ha escluso la violazione del principio di eguaglianza per effetto
della imposizione dello sconto in esame a carico della sola categoria dei
produttori di medicinali, rinvenendone la giustificazione nel fatto che
trattasi di quella categoria di industriali la cui attività si ricollega in
particolare all'assistenza farmaceutica e, come tale, ritenuta dal legislatore,
nella sua discrezionalità, la più idonea a sostenerne in parte l'onere.
Quest'ultimo profilo di
illegittimità é stato di nuovo sottoposto anche presentemente alla Corte, che
peraltro non ritiene di discostarsi dalla precedente decisione, poiché
l'incremento della mutualità, che avrebbe provocato un aggravamento della
situazione economica dei produttori, non costituisce un elemento idoneo, pur se
fosse dimostrato, a mutare i termini logici della questione.
Tali argomenti valgono anche
relativamente all'altra censura di illegittimità, secondo cui l'incidenza dello
sconto sarebbe indipendente dalla proporzione fra il volume della vendita di
farmaci destinati o no ai mutuati, il che rappresenta sostanzialmente una
ulteriore specificazione ed articolazione di quanto testé esaminato.
Neppure appare violato
l'invocato principio di eguaglianza per effetto della dedotta limitazione dello
sconto a beneficio di alcuni soltanto degli enti mutualistici esistenti.
Deve osservarsi, anzitutto,
che con il decreto n. 745 del 1970 (art. 32) le norme circa la concessione
dello sconto sono state estese agli altri numerosi enti mutualistici ivi
indicati, oltre quelli già compresi nell'art. 4 della legge del 1955.
Inoltre va ricordato che,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, il confronto fra il trattamento
previdenziale di categorie diverse non può prescindere dalla considerazione di
ordine generale che ogni tipo di assicurazioni, non escluse quelle sociali, é
necessariamente disciplinato da un sistema proprio di norme e di clausole in
funzione di svariati fattori (numero degli assicurati, frequenza e gravità dei
rischi, durata dei rapporti, misura delle retribuzioni e così via), i quali
influiscono sensibilmente sulle condizioni assicurative, e la cui analisi
sfugge, per la sua natura di circostanza di fatto, al controllo della Corte
costituzionale (sent. n. 44 del 1965).
La non omogeneità delle situazioni previdenziali esclude, pertanto, in linea di
principio che le differenze in esse riscontrabili concretino, per ciò solo, la violazione
del principio di eguaglianza, il che é tanto più vero con riferimento alle
ipotesi attualmente in esame.
Infatti, la censura, anche
se riferita ad enti non specificamente indicati, sembrerebbe tuttavia
riguardare i Comuni e le istituzioni locali di assistenza, i quali non
risultano compresi nell'elenco degli enti beneficiari dello sconto. Ma é di
tutta evidenza la diversità delle situazioni raffrontate, sol che si consideri
che gli enti esclusi erogano prestazioni sostanzialmente diverse da quelle cui
sono tenuti gli enti mutualistici, specialmente per quanto riguarda la
somministrazione dei farmaci che vengono in tali casi forniti da farmacie
proprie o convenzionate, o direttamente dagli ospedali, a cui giungono già
convenientemente scontati.
D'altra parte, é noto che la
legge n. 692 del 1955 fu ispirata alla finalità sociale di estendere ai
pensionati di invalidità e vecchiaia il trattamento assistenziale di malattia,
e, come risulta dal testo della stessa legge (art. 2), il legislatore seguì, al
riguardo, il criterio di attribuire agli enti il compito di provvedere alla
erogazione delle prestazioni per quei soggetti che, prima del pensionamento,
erano da essi enti rispettivamente assistiti. Con ciò é già individuabile un
chiaro motivo specifico della indicazione analitica degli enti beneficiari
dello sconto disposto appunto quale mezzo al fine di agevolare i nuovi compiti
assistenziali, e si evidenzia così quella razionale giustificazione che, come
si é detto, costituisce sufficiente motivo per escludere che la diversità di
disciplina adottata per regolare situazioni diverse si ponga in contrasto col
principio di eguaglianza.
Non ha poi, ad avviso della
Corte, maggior pregio la censura secondo cui il principio di eguaglianza
sarebbe violato per la irrazionalità che vizierebbe la imposizione di cui
all'articolo 125 del testo unico delle leggi sanitarie, che prevede il prezzo
fisso per i medicinali e che é stato dettato dalla opportunità di sottrarre
questo delicato settore alla concorrenza, e quindi ad eventuali ribassi di
prezzo, nel timore che questi ultimi potessero in qualche modo influire sulla
qualità dei prodotti e, di conseguenza, sulla salute pubblica.
Ed invero, mentre é agevole
rinvenire una sostanziale coincidenza di fini fra le disposizioni ora
menzionate, poiché entrambe tendono, sia pure attraverso mezzi diversi, alla
tutela della salute pubblica, non potendosi certo dubitare che tale sia lo
scopo anche dello sconto in esame, devesi ritenere che la disposizione sullo
sconto non si pone, comunque, in contrasto con l'esigenza rappresentata dal
citato art. 125, poiché trattasi di sconto non rimesso alla discrezionalità del
fabbricante, ma disposto con legge per i fini di finanziamento della mutualità
e, quindi, operante in un campo del tutto diverso da quello nel quale invece é
destinato ad incidere il citato art. 125.
3. - Devesi ora procedere
alla trattazione della questione sollevata in relazione alla presunta
violazione del principio della capacità contributiva di cui all'art. 53 della
Costituzione, data l'influenza che le considerazioni da svolgere al riguardo,
possono avere circa la soluzione di talune delle altre questioni prospettate.
La illegittimità, sotto il
detto profilo, é stata sostanzialmente dedotta sulla base di argomentazioni
tendenti a dimostrare la eccessività dello sconto imposto a carico dei
produttori, che inciderebbe in misura percentualmente eguale su tutte le
aziende, indipendentemente dalla loro potenzialità economica e dalla
proporzione delle vendite dei prodotti soggetti allo sconto e, comunque,
finirebbe col compromettere la redditività delle aziende.
Questa tesi é stata
sostenuta altresì da considerazioni relative al sistema di determinazione dei
prezzi dei medicinali da parte del CIP (Comitato interministeriale prezzi), in
base alle quali si afferma che, in concreto, il detto organo non potrebbe tener
conto della incidenza dello sconto, sia perché il prezzo dovrebbe essere
riferito esclusivamente ai costi di produzione dei medicinali, e quindi
indipendentemente da un fattore estrinseco e successivo quale lo sconto ex
lege, sia perché, comunque, non potrebbe conoscersi l'effettiva incidenza dello
sconto sull'economia dell'azienda, se non in relazione all'effettivo volume
delle vendite, sia perché, a tutto concedere, l'imposizione dovrebbe essere
riferita alla capacità contributiva attuale dell'azienda, e non a quella che
potrebbe risultare da eventuali e futuri correttivi operati sui prezzi, che
concorrerebbero a modificare la situazione economica solo successivamente, e di
non poco, all'assoggettamento delle imprese allo sconto.
Occorre anzitutto ricordare,
con riguardo alle obbiezioni mosse dall'Avvocatura dello Stato e dalla difesa
degli istituti mutualistici, circa l'applicabilità nella specie della invocata
norma costituzionale e riferite alla asserita natura non tributaria
dell'imposizione in discorso, che appunto escluderebbe l'operatività del
principio della capacità contributiva, che questa Corte con la sentenza n. 70
del 1960, dopo avere riconosciuto nello sconto la sostanza di un sacrificio
pecuniario derivante dalla privazione di una parte dell'utile altrimenti
spettante ai produttori, che si traduce in prelievo di ricchezza a carico dei
soggetti ed a favore di enti pubblici, istituito con atto dell'autorità e senza
il concorso del soggetto passivo, ne ha ravvisato la natura giuridica di
prestazione patrimoniale ai sensi dell'art. 23 della Costituzione.
Questa Corte inoltre con la
sentenza n. 92
del 1972, occupandosi dello sconto sulla vendita dei medicinali imposto
dalla stessa norma ora denunziata a carico di farmacisti, ha ritenuto
applicabile in materia il citato art. 53 Cost. espressamente riconoscendo la
conformità delle norme al "sistema delle leggi tributarie quando prevede
che l'intera obbligazione di sconto ricade in primo tempo e luogo sul
farmacista, salvo successiva rivalsa sul produttore" ed altrettanto
esplicitamente ravvisando un evidente parallelismo fra la situazione del
farmacista e quella del sostituto d'imposta, "rispondente a criteri di
tecnica tributaria, basati sulla finalità di agevolare l'accertamento e la
riscossione dei tributi".
Ed é appena il caso di
aggiungere che l'imposizione dello sconto trova piena analogia in quella serie
di prestazioni coattive che sono imposte per sopperire ai fini pubblici
riservati allo Stato o affidati ai suoi organi speciali o ad enti che lo Stato
stesso crea o riconosce per il conseguimento dei fini stessi, essendo evidenti
la sussistenza del fine pubblico, quale é appunto la tutela della salute, anche
se riferita ad una individuata categoria di soggetti: la destinazione del
provento ad enti pubblici, nonché la coattività della prestazione, che si
concreta nel diritto alla riscossione dell'importo dello sconto da parte
dell'ente e che, sostanzialmente, si atteggia come un vero e proprio
contributo, promanante direttamente dalla legge.
Non vi é dubbio, quindi, che
nella specie si versi in materia regolata dall'art. 53 della Costituzione.
Peraltro, la questione é
infondata nel merito.
Questa Corte, occupandosi di
analoga questione sollevata proprio in relazione alla lamentata eccessività
degli sconti imposti ai farmacisti, con la citata sentenza n. 92 del 1972 ha
già ritenuto che per capacità contributiva deve intendersi l'idoneità
soggettiva all'obbligazione d'imposta deducibile dal presupposto al quale la
prestazione é collegata, senza che spetti al giudice della legittimità delle
leggi valutare e determinare, in funzione dell'art. 53 Cost., l'entità e la
proporzionalità dell'onere tributario imposto, trattandosi di compito riservato
al legislatore, salvo il controllo di legittimità sotto il profilo
dell'assoluta arbitrarietà o irrazionalità delle norme.
Applicando anche al caso in
esame il riferito principio, ne segue che é precluso alla Corte, sia
quell'esame analitico delle varie componenti della situazione economica delle
aziende in funzione della incidenza dello sconto sui loro bilanci, pur così
diffusamente compiuto dalla difesa delle società produttrici e che riflette
precipuamente la valutazione del margine di utile loro spettante in relazione
al calcolo delle componenti del prezzo nella determinazione che ne effettua
l'organo competente; sia, a maggior ragione, la valutazione della situazione
economica generale del settore e particolare delle singole aziende. Ed invero,
non può negarsi, nella specie, la realtà del presupposto del tributo,
identificabile nella concreta esistenza del prezzo di vendita, mentre la misura
dell'obbligazione appare conforme al precetto costituzionale, perché é
rapportata percentualmente al presupposto stesso di cui rappresenta una
funzione, e risulta così direttamente da esso deducibile.
É certamente possibile che
dal maggiore o minore equilibrio del rapporto fra tali elementi nascano, in
pratica, conseguenze di natura economica afferenti la redditività delle
imprese, e quindi la loro stessa funzionalità, ma trattasi di elementi che,
giusta il criterio di massima sopra richiamato, sfuggono al controllo di
legittimità costituzionale, riflettendo un giudizio sulla equità ed opportunità
della legge che andrebbe ad incidere nel campo riservato all'esclusivo
apprezzamento del legislatore, il quale, del resto, ne assume ovviamente piena e
intera responsabilità politica.
Né ricorre quell'aspetto di
assoluta arbitrarietà ed irrazionalità dell'imposizione la quale sola
autorizzerebbe il sindacato della Corte al riguardo.
4. - La difesa delle imprese
ha particolarmente insistito, a questo proposito, sull'impossibilità di
apportare un correttivo di gravezza della imposizione in sede di determinazione
del prezzo base dei medicinali, da parte del CIP e, per questa via, ha
prospettato la irrazionalità del sistema collegando casualmente la presunta
illegittimità della norma impugnata alla circostanza che essa si inserirebbe in
un sistema di determinazione dei prezzi che renderebbe arbitraria ed
irrazionale la disciplina legislativa.
Ma, anzitutto, si deve
osservare che, nella interpretazione che ne é stata fornita dalla
giurisprudenza di questa Corte, e da quella ordinaria, non é dato rinvenire
elementi che suffraghino la lamentata impossibilità di valutare la incidenza
dello sconto sulla situazione economica delle aziende ai fini della determinazione
del prezzo, e rivelino così la presenza del vizio lamentato, ed anzi é dato
desumere il contrario.
L'art. 2 del d.lg.lgt. n.
363 del 1946, si limita infatti a prevedere genericamente una fase istruttoria
del procedimento di determinazione dei prezzi, affidato alla Commissione
centrale prezzi, che ha facoltà di avanzare proposte al CIP e l'art. 13 del
D.L.C.P.S. n. 896 del 1947 accenna all'accertamento dei costi delle merci, dei
servizi e delle prestazioni che il CIP può affidare ad ispettori all'uopo nominati,
che hanno facoltà di prendere in esame registri, libri e corrispondenza delle
imprese interessate, oltre che ad indagini, accertamenti e rilievi che lo
stesso Comitato può richiedere ad uffici statali, ai fini dell'espletamento del
suo compito istituzionale, che resta definito dall'art. 1 del d.lg.lgt. n. 347
del 1944 nel "coordinamento e nella disciplina dei prezzi" e che si
concreta (art. 4 dello stesso d.l.l.) nella facoltà di determinare i prezzi di
qualsiasi merce, in ogni fase di scambio, anche all'importazione ed alla
esportazione, nonché i prezzi dei servizi e delle prestazioni, e modificare, se
del caso, quelli già fissati dalle competenti autorità.
Questa disciplina
legislativa, dettata dalla esigenza di unificazione e perequazione dei prezzi
ai fini della tutela della stabilità della moneta e del valore reale dei
salari, pur nella sua lata formulazione, prevede dunque una fase di
accertamento di elementi obbiettivi, che si estende indubbiamente alla totalità
dei fattori economici che incidono sui prezzi (sent. 103 del 1957). E la pur
ampia discrezionalità del CIP richiede comunque l'uso dei criteri tecnici il
cui ambito, come pure questa Corte ha già avuto occasione di affermare
espressamente con la menzionata sentenza, é segnato "dall'accertamento del
costo delle merci con un margine di utile".
Ciò vuol dire, anzitutto,
che é necessario che le attività del CIP come ha riconosciuto ripetutamente la
giurisprudenza del Consiglio di Stato, si svolgano in forme tali da garantirne
la piena legittimità attraverso l'osservanza dei criteri suddetti e mediante
l'emanazione di provvedimenti motivati congruamente, in modo da consentire
un'efficace applicazione dell'ordinario sindacato di legittimità; e, più
precisamente, può affermarsi che il provvedimento del CIP trova limiti
indubbiamente anche nel sistema economico in cui é destinato ad operare e deve
tener conto, quindi, delle regole proprie di un'economia di mercato per cui il
prezzo deve essere remunerativo, cioé determinato in considerazione anche della
realizzazione di un profitto da parte delle imprese.
Comunque, anche nella
ipotesi che si trattasse di un sistema non del tutto armonizzato con la
disposizione legislativa impugnata nei sensi lamentati dalle case produttrici,
tratterebbesi in ogni modo di una prassi amministrativa, certamente
suscettibile di adeguamento alla nuova situazione economica del settore, e
concretantesi in provvedimenti amministrativi impugnabili avanti al Consiglio
di Stato e mai potrebbe inferirsene la illegittimità delle norme impugnate
sotto il profilo delineato, dato che la determinazione dei prezzi obbedisce a
criteri che non costituiscono certo applicazione delle stesse norme impugnate,
le quali, come é pacifico, riguardano esclusivamente l'imposizione dello sconto.
L'art. 33 del decreto 26 ottobre 1970 offre, d'altra parte, un diretto ed
idoneo strumento legislativo di adeguamento nel senso indicato, con la espressa
attribuzione al CIP sia del compito di effettuare, entro il 31 ottobre 1971, e
successivamente ogni tre anni, una indagine sul rapporto fra costi di
produzione ed i prezzi dei medicinali, sia di effettuare entro il 31 dicembre
dello stesso anno una revisione dei prezzi di tutti i medicinali sulla base di
un nuovo meccanismo di determinazione dei prezzi da stabilirsi dal CIPE
(Comitato interministeriale per la programmazione economica). E proprio l'ampia
documentazione di studi ed indagini prodotta in atti é valida testimonianza
della concretezza della materia che si offre agli organi competenti per la realizzazione
di tale comando legislativo.
Né può portare a diversa
conclusione la lamentata circostanza, secondo cui l'adeguamento in discorso
avverrebbe comunque solo in un momento successivo all'entrata in vigore dello
sconto, perché tale successione temporale, insita del resto i nel tipo di
fenomeno economico in esame, rappresenta, comunque, un elemento di fatto che,
anche per la brevità dei tempi di adeguamento legislativamente previsti, non é
tale da indurne l'arbitrarietà o l'irrazionalità del sistema. Neppure può
giovare alla tesi della difesa delle imprese produttrici la prospettata
impossibilità tecnica di procedere ad una determinazione dei prezzi che sia
frutto di una valutazione preventiva della incidenza dello sconto. Invero, é da
considerare che non mancano elementi su cui fondare le determinazioni in
discorso se, come é noto, la scienza economica conosce la previsione (in quanto
esista, come nella specie indubbiamente esiste), di una linea assegnabile al
divenire di determinati fatti economici, tale da garantire un sufficiente
margine di attendibilità, specie se di ordine particolare, cioé relativa a
questo o quel settore circoscritto dell'economia di un dato Paese, dove é più
agevole tener conto delle principali circostanze più direttamente influenti,
con riferimento alle condizioni dell'industria in date fasi del ciclo
produttivo, ovvero alla stima delle disponibilità e dei bisogni, da cui dipende
appunto il futuro andamento del mercato. Circostanze, le quali possono
indubbiamente, una volta riaccostate e coordinate, servire come base a
concrete, anche se prudenti, prospettive d'insieme.
Tutte le considerazioni
sopra esposte valgono ad escludere l'irrazionalità della disciplina impugnata
in relazione al sistema di determinazione dei prezzi e valgono quindi anche ad
escludere la fondatezza della questione di legittimità prospettata, sotto
l'ulteriore particolare profilo, della violazione dell'art. 3 Cost. per effetto
della asserita valutabilità soltanto ex post della incidenza dello sconto sui prezzi
e conseguentemente sulla situazione economica delle singole imprese.
5. - Quanto premesso rende
altresì agevole la soluzione delle questioni sollevate con riferimento alla
presunta violazione degli artt. 32, 41 e 43 della Costituzione.
Tali censure, infatti, sono
sostanzialmente tutte fondate sulla pretesa eccessiva entità dello sconto in
funzione del criterio con cui é fissato il prezzo e sulle conseguenze del
lamentato squilibrio che si verificherebbero quando l'antieconomicità della
produzione dovesse provocare o la cessazione della attività delle imprese,
incidendo così sulla libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), o la
concentrazione in oligopoli della produzione stessa, dando luogo alla
denunziata situazione di contrasto con i requisiti previsti per la riserva di
legge o il trasferimento di imprese allo Stato od enti pubblici o a comunità di
lavoratori o di utenti (art. 43 Cost.); o, infine, il deterioramento
qualitativo o la riduzione delle disponibilità dei medicinali, con le possibili
conseguenze negative per la salute pubblica, in violazione della relativa
garanzia costituzionale (art. 32 Cost.).
Anche qui, in realtà, si
configura nelle censure un contrasto non tanto tra le norme impugnate e gli
invocati principi e garanzie costituzionali, quanto tra questi ed il sistema di
determinazione dei prezzi ad opera del CIP: e valgono le considerazioni sopra
svolte per escludere l'influenza di tali elementi in ordine alla fondatezza
delle questioni sollevate.
D'altra parte,
l'infondatezza delle censure riferite ai principi di cui agli artt. 41 e 43
Cost. é evidente anche sotto altro aspetto, ove si tenga presente la
definizione dello sconto come prestazione patrimoniale, cui la Corte é
pervenuta con la già menzionata sentenza n. 70 del 1960, definizione dalla
quale consegue ovviamente che la materia in esame rientra nella sfera di
applicazione dell'art. 23 Cost. ed é pertanto estranea all'art. 41 Cost., che
disciplina, invece, la iniziativa economica privata, ed all'art. 43 Cost., che
a sua volta consente alla legge, fra l'altro, la possibilità di attribuire a
enti pubblici, per ragioni di utilità generale, e in esclusiva, determinate
categorie di imprese. La Corte, del resto, con la ripetuta sentenza n. 70 del
1960 ebbe già a dichiarare infondata la questione sollevata contro l'art. 4
della legge del 1955 sotto il profilo della violazione dell'art. 41 Cost.
proprio perché la ritenne assorbita per i suddetti motivi.
A proposito, poi, della
questione sollevata in relazione all'art. 32 Cost. é altresì da osservare che i
paventati effetti negativi sulla salute, si configurano solo come eventuali
accidentalità di fatto, al di fuori della previsione normativa impugnata ed in
contrasto con la disciplina della produzione farmaceutica, che si svolge previa
registrazione di ogni singolo prodotto, successiva al rigoroso esame ed alla
approvazione da parte degli organi sanitari competenti (Ministero della sanità)
e che é tutelata, comunque, da precise norme penali. Onde anche sotto questo
profilo trattasi di materia non suscettibile di raffronto con le norme
costituzionali invocate.
6. - Parimenti infondata é
la censura sollevata in relazione alla presunta violazione dell'art. 23 Cost.,
sotto altro particolare profilo.
L'illegittimità dovrebbe
riscontrarsi nella assoluta discrezionalità che la norma impugnata
attribuirebbe agli enti mutualistici per quanto riguarda la scelta del sistema
di assistenza indiretta, con l'acquisto di medicinali presso i normali canali
commerciali e la relativa applicazione dello sconto, in luogo della gestione
diretta della distribuzione dei medicinali stessi, e nel contrasto che così si
concreterebbe con l'invocato precetto costituzionale.
La riserva di legge di cui
all'art. 23, peraltro, ha lo scopo di garantire che la determinazione degli
estremi della prestazione imposta sia effettuata in sede legislativa onde
garantire il cittadino dagli abusi che una troppo lata discrezionalità in
materia potrebbe provocare da parte del potere esecutivo. Ora, dopo la sentenza
n. 70 del 1960, che ha dichiarato la illegittimità dell'art. 4 della legge n.
692 del 1955 solo per quella parte che consentiva al Ministro della sanità di
fissare discrezionalmente la misura dello sconto anche in eccedenza alla misura
ivi prevista, la norma é, sotto questo aspetto, in armonia col dettato
costituzionale, risultando gli altri elementi della prestazione predeterminati
dalla legge. Ed il fatto che la imposizione patrimoniale in esame così
delimitata nella sua potenziale incisività, possa essere resa operante a
seguito di scelta degli enti espressamente a ciò autorizzati dalla legge stessa
non attiene al momento impositivo della prestazione, coperto interamente dalla
norma legislativa, ma al suo momento attuativo, il cui verificarsi, rispetto
all'esigenza garantistica che sta alla base della norma costituzionale, é
indifferente, una volta che, come si é detto, la prestazione risulti
sufficientemente precisata dalla legge.
Ai fini del rispetto della
norma costituzionale invocata non é pertanto necessario che la legge detti
criteri direttivi agli enti mutualistici per quanto riguarda la adozione
dell'uno o dell'altro sistema di assistenza.
7. - Infine, anche la
censura concernente il presunto contrasto dell'articolo unico della legge 1035
del 1970 con l'articolo 77 Cost. é infondata.
Si afferma sostanzialmente
nelle ordinanze del pretore di Firenze che, aderendo alla interpretazione
estensiva della norma impugnata sostenuta dagli enti mutualistici nei giudizi
principali, si riconoscerebbe il diritto degli stessi a conseguire il beneficio
dello sconto per il periodo di vigenza del decreto non convertito 27 agosto
1970, n. 621, relativamente ai rapporti "svoltisi interamente ed
esauritisi" sotto la vigenza del decreto stesso.
Ed il giudice a quo, sia
pure implicitamente, mostra di aderire a tale tesi interpretativa perché
proprio nella detta estensione ravvisa la violazione dei limiti di cui all'art.
77 della Costituzione alla regolamentazione dei rapporti giuridici sorti sulla
base del decreto non convertito e, motivando sul punto della rilevanza, accenna
al riguardo esplicitamente che vi é contesa fra le parti circa "la
decorrenza" dello sconto obbligatorio.
Se é vero che, come afferma
la difesa degli enti mutualistici, si pone nella specie una questione di interpretazione
delle norme impugnate di competenza del giudice a quo é anche vero che, sia
pure implicitamente, lo stesso giudice ha mostrato di accogliere quella
interpretazione della norma che egli ritiene contraria al precetto
costituzionale, ed ha quindi adempiuto al suo obbligo, il che rende ammissibile
la questione stessa, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa degli enti.
Peraltro, quanto al merito,
é sufficiente ricordare che questa Corte, con la sentenza n. 89 del 1966,
ha già riconosciuto che l'art. 77 Cost. si propone soltanto lo scopo di
regolare le conseguenze della mancata conversione dei decreti-legge, senza
porre alcun limite alla facoltà del legislatore stesso di disciplinare, secondo
una scelta demandata alla sua valutazione politica, i rapporti sorti sulla base
dei decreti non convertiti. In altri termini, la disposizione costituzionale
non pone al potere di regolamentazione retroattiva in discorso altri limiti se non
quelli rappresentati dal rispetto delle altre norme e principi costituzionali,
che, sotto il profilo ora in esame, non vengono in discussione, tanto più che
la norma impugnata rappresenta la fedele traduzione, in termini di legislazione
ordinaria, del precetto costituzionale, attribuendo essa testualmente efficacia
"ai rapporti giuridici, compresi quelli tributari, sorti sulla base del
d.l. 27 agosto 1970, n. 621".
Indipendentemente quindi
dalla maggiore o minore estensione dell'efficacia della norma impugnata, la cui
determinazione resta nel campo riservato alla competenza del giudice a quo, la
questione deve essere dichiarata infondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dei seguenti articoli: art. 4 della
legge 4 agosto 1955, n. 692, sulla estensione della assistenza di malattia ai
pensionati di invalidità e vecchiaia; art. 32 del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745,
convertito nella legge 18 dicembre 1970, n. 1034, concernente provvedimenti
straordinari per la ripresa economica; art. 43 del d.l. 27 agosto 1970, n. 621,
che ha sostituito il comma terzo del predetto art. 4 della legge n. 692 del
1955; articolo unico della legge 18 dicembre 1970, n. 1035, sulla disciplina
dei rapporti giuridici sorti sulla base del decreto- legge 27 agosto 1970, n.
621; questioni sollevate con le ordinanze di cui in epigrafe in riferimento
agli artt. 3, 23, 32, 41, 43, 53 e 77 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 1972.
Giuseppe CHIARELLI - Luigi
OGGIONI
Depositata in cancelleria il
24 luglio 1972.