Sentenza n. 41 del 1971
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SENTENZA N. 41

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 121 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773, promosso con ordinanza emessa il 12 febbraio 1969 dal tribunale di Venezia nel procedimento penale a carico di Gulmini Orfeo, iscritta al n. 274 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 200 del 6 agosto 1969.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 gennaio 1971 il Giudice relatore Angelo De Marco;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

Con ordinanza 12 febbraio 1969, emessa nel corso del procedimento penale a carico di Orfeo Gulmini, imputato, fra l'altro, di contravvenzione all'art. 121; primo e secondo comma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con r.d. 18 maggio 1931, n. 773; per avere esercitato il mestiere di barcaiuolo, senza l'iscrizione nell'apposito registro, il tribunale di Venezia, ad istanza del p.m., dichiarava rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di detto articolo, per contrasto con l'art. 4, primo comma, della Costituzione.

Osservava, al riguardo, il tribunale che la questione appariva non manifestamente infondata, "in quanto, ponendo la norma denunciata dei limiti non legati ad alcun criterio obbiettivo di giudizio, contrasta col principio di diritto al lavoro, inteso come libertà, sancito dall'art. 4 della Costituzione".

Dopo gli adempimenti di legge, la questione così sollevata, é venuta ora alla cognizione della Corte.

E, intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, che, con la memoria di intervento, in base ai principi affermati da talune sentenze di questa Corte, chiede che la questione venga dichiarata infondata.  

Considerato in diritto 

1. - L'art. 121 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, sotto il titolo "Dei mestieri girovaghi e di alcune classi di rivenditori", dispone testualmente: " Salve le disposizioni di questo testo unico circa la vendita ambulante delle armi, degli strumenti atti ad offendere e delle bevande alcoliche, non può essere esercitato il mestiere ambulante di venditore o di distributore di merci, generi alimentari o bevande, di scritti o disegni, di cenciaiuolo, saltimbanco, cantante, suonatore, servitore di piazza, facchino, cocchiere, conduttore di autoveicoli di piazza, barcaiuolo, lustrascarpe e mestieri analoghi, senza previa iscrizione in un registro apposito presso l'autorità locale di pubblica sicurezza. Questa rilascia certificato dell'avvenuta iscrizione.

L'iscrizione non é subordinata alle condizioni prevedute dall'art. 11 né a quella preveduta dal capoverso dell'art: 12, salva sempre la facoltà dell'autorità di pubblica sicurezza di negarla alle persone che ritiene capaci di abusarne.

É vietato il mestiere di ciarlatano".

La legittimità costituzionale di questa norma, con l'ordinanza di rinvio, viene posta in dubbio per asserito contrasto con l'art. 4, comma primo, della Costituzione, peraltro sotto il limitato profilo " dell'apposizione di limiti non collegati ad alcun criterio obbiettivo di giudizio", con evidente riferimento alla potestà discrezionale dell'autorità di pubblica sicurezza di negare l'iscrizione alle persone che ritiene capaci di abusarne.

2. - Questa Corte ha avuto più volte occasione di identificare il contenuto ed il significato dell'art. 4 della Costituzione e, soprattutto, per quanto può interessare nel presente giudizio, ha affermato taluni principi, in base ai quali può ben ritenersi, in linea generale, che il principio della libertà di scegliere un'attività di lavoro non é leso né compresso in modo tale da essere annullato per effetto di limitazioni poste dalla legge a tutela di altri interessi e di altre esigenze sociali, come l'iscrizione in albi professionali, la determinazione di requisiti particolari, per l'ammissione a posti di lavoro, la determinazione di modi e condizioni per l'assunzione di lavoratori (sentenze 5 giugno 1956, n. 1; 26 gennaio 1957, n. 33; 7 aprile 1957, n. 53; 7 aprile 1958, n. 30; 13 febbraio 1960, n. 6; 15 marzo 1960, n. 12; 7 giugno 1963, n. 105).

In particolare, poi, con la sentenza n. 33 del 1957, pronunciata proprio in un giudizio nel quale si contestava la legittimità costituzionale dello stesso art. 121 della legge di pubblica sicurezza, di cui si contende in questa sede, in riferimento all'art. 21 della Costituzione (per la parte in cui si richiede l'iscrizione nell'apposito registro anche dei venditori ambulanti di scritti o disegni), questa Corte dichiarava la questione infondata, considerando che la norma impugnata, come si rileva dal successivo art. 122, é di carattere generale, ispirata alla tutela dell'adolescenza e ad esigenze preventive di pubblica sicurezza, per le quali la legge ritiene opportuno che non manchi un certo controllo delle persone che esercitano mestieri girovaghi.

3. - Sulla base dei richiamati precedenti giurisprudenziali, anche sotto il limitato profilo come sopra prospettato, la questione risulta infondata.

Come questa Corte ha più volte affermato (da ultimo sentenza n. 32 del 1969), discrezionalità non significa arbitrio, in quanto l'amministrazione deve sempre indirizzare la sua azione e la sua volontà all'esatta osservanza della legge che le conferisce la relativa potestà.

Risulta dalla sopra richiamata sentenza n. 33 del 1957 che questa Corte ha esclusa la illegittimità costituzionale della norma in cui si prevede un certo controllo sulle persone che esercitano i mestieri girovaghi, giustificato dalla tutela della adolescenza e dalle esigenze preventive di pubblica sicurezza, cui la norma dell'art. 121 si ispira, come si evince dal successivo art. 122.

I limiti di questo controllo, quindi, ben lungi dal non essere collegati ad alcun criterio obbiettivo di giudizio, risultano ben chiari dalle finalità sopra enunciate che ispirano la norma, finalità alle quali, attenendosi al citato art. 122, deve adeguarsi la discrezionalità dell'apprezzamento, in base al quale si può pervenire al diniego della iscrizione.

Che se poi di questa potestà, in concreto, si facesse cattivo uso, sarebbe sempre aperta al cittadino, che se ne ritenesse leso, la via della tutela giurisdizionale amministrativa, sotto il profilo dell'eccesso di potere.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 121 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, sollevata, con l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento all'art. 4; primo comma, della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 4 marzo 1971.