SENTENZA N. 32
ANNO 1969
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Aldo SANDULLI, Presidente
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, sulle misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 20 luglio 1967 dal pretore di Firenze nel procedimento penale a carico di Cecconi Romano, iscritta al n. 198 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 28 ottobre 1967;
2) ordinanze emesse il 1 febbraio 1968 dal pretore di Genova nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Motta Mario e di Scioni Francesco, iscritte ai nn. 34 e 35 del Registro ordinanze 1968 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 20 aprile 1968;
3) ordinanza emessa il 13 febbraio 1968 dal pretore di Sestri Ponente nel procedimento penale a carico di Dell'Amico Bruna, iscritta al n. 51 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 127 del 18 maggio 1968;
4) ordinanza emessa il 28 marzo 1968 dal pretore di Lentini nel procedimento penale a carico di Sambasile Cirino, iscritta al n. 135 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 29 gennaio 1969 la relazione del Giudice Angelo De Marco;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Cesare Soprano, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza 20 luglio 1967, pronunziata nel procedimento penale a carico di Romano Cecconi, imputato del reato di cui all'art. 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, per avere reiteratamente contravvenuto alla prescrizione - impostagli dal tribunale di Firenze, quale persona sottoposta a sorveglianza speciale dalla pubblica sicurezza - di non uscire di casa fra le ore 20 e le ore 7,30, il pretore di Firenze sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 e "di ogni altra conseguenziale questione sulla stessa legge (in particolare l'art. 9)" in relazione agli artt. 3, primo comma, e 13, secondo comma, della Costituzione.
Più precisamente, il pretore rilevava che dalla dizione "possono essere affidate dal questore..." contenuta nel denunziato art. 1 risulta chiaramente che la diffida ed i conseguenziali provvedimenti da emanare, sia pure dal tribunale, in caso di inosservanza della diffida stessa, dipendono, in sostanza, da un apprezzamento discrezionale del questore, per effetto del quale, soltanto alcune e non tutte le persone appartenenti alle categorie, tassativamente indicate nello stesso art. 1, sarebbero assoggettate alla misura nell'articolo stesso provveduta, con evidente violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.
Non solo, ma, dato che la diffida é il presupposto necessario delle altre misure, comprese quelle la cui adozione é devoluta alla competenza del tribunale, la dichiarazione di illegittimità costituzionale della diffida travolgerebbe tutte le norme della stessa legge che la presuppongono.
Di qui anche la violazione dell'art. 13, secondo comma, della Costituzione, in quanto la restrizione della libertà personale, per il fatto di dipendere dalla discrezionalità del questore é non da atto legislativo, violerebbe il principio della riserva di legge.
La rilevanza, poi, risulterebbe evidente dato che ove la questione fosse riconosciuta fondata verrebbe a cadere anche l'art. 9, nella violazione del quale consisterebbe il reato attribuito all'imputato.
2. - Con due distinte ordinanze, in data 1 febbraio 1968, emesse nei procedimenti penali a carico di Mario Motta e di Francesco Scioni, entrambi imputati di contravvenzione all'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, rispettivamente, il primo per aver omesso di consegnare, nel termine prescritto, alla questura di Genova il foglio di via obbligatorio rilasciatogli dal questore di Imperia, il secondo per non aver ottemperato al divieto di rientrare in Genova, impostogli dal questore di detta città, il pretore di Genova sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in relazione agli artt. 3 e 13 della Costituzione, in quanto sia la formula usata dall'art. 1 "possono essere diffidati dal questore" sia quella usata dall'art. 2 "il questore può rimandarvele" dimostrano il conferimento al questore del potere discrezionale tanto di impartire la diffida, quanto di rilasciare il foglio di via obbligatorio, potere che si risolve in una scelta orientata da motivi di opportunità, scelta che può venire a creare una disparità di trattamento nei confronti di persone che in eguale misura si trovano nelle condizioni previste dai citati artt. 1 e 2.
3. - Con ordinanza 13 febbraio 1968, emessa nel procedimento penale a carico di Bruna Dell'Amico, imputata del reato di cui all'art. 2 della legge n. 1423 del 1956, per non aver ottemperato all'esplicito divieto di rientrare in Genova, impostole dal questore di detta città, il pretore di Sestri Ponente, sempre sotto il profilo del potere discrezionale attribuito da tali norme al questore, sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della ripetuta legge del 1956, n. 1423, in relazione, peraltro, al solo art. 3, primo comma, della Costituzione.
4. - Infine, con ordinanza 28 marzo 1968, emessa nel procedimento penale a carico di Cirino Sambasile, imputato della contravvenzione di cui all'articolo 9 della legge n. 1423 del 1956, per non aver ottemperato agli obblighi impostigli dal tribunale di Siracusa, con decreto 8 marzo 1966, di sottoposizione a sorveglianza speciale, uscendo nottetempo e senza necessità dalla propria abitazione, il pretore di Lentini sollevava questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1 della legge n. 1423 del 1956, in relazione agli artt. 3, primo comma, e 13, secondo comma, della Costituzione, sempre sotto il profilo che il potere discrezionale accordato al questore dal citato articolo 1 potesse dar luogo a disparità di eguaglianza e, rispettivamente, fosse in contrasto con il principio della riserva di legge.
Dopo le notificazioni, comunicazioni e pubblicazioni di legge i cinque giudizi venivano fissati per la trattazione nell'udienza odierna.
Nel solo giudizio di cui al n. 1 si é costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
Sia con la memoria di costituzione sia con altra memoria depositata il 16 gennaio 1969, l'Avvocatura dello Stato deduce, in sostanza, che la sollevata questione vorrebbe trovar fondamento su una inesatta nozione del contenuto e dei limiti della discrezionalità nel diritto amministrativo, la quale, lungi da ogni sorta di arbitrarietà, va concepita ed esercitata dall'autorità amministrativa entro l'osservanza di precisi e molteplici limiti, la cui violazione determina il vizio dell'eccesso di potere sotto i profili della disparità di trattamento e della manifesta ingiustizia. Inoltre sottolinea che la diffida esula dai provvedimenti di restrizione della libertà personale che costituiscono il contenuto della norma di cui all'art. 13 della Costituzione, e chiede, in conseguenza, che la proposta questione di costituzionalità venga dichiarata manifestamente infondata.
Considerato in diritto
1. - Anzitutto é manifesta l'opportunità di riunire i cinque giudizi, data la sostanziale identità delle questioni in essi proposte.
2. - Comune a tutti i detti giudizi é la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la quale, peraltro, nell'ordinanza 20 luglio 1967 del pretore di Firenze viene motivata più ampiamente che nelle altre, ma sempre sotto il medesimo profilo che, come si é esposto in narrativa, può essere così riassunto:
L'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nel primo comma, dispone: "Possono" - (e non devono o sono) - "essere diffidati dal questore". A questo comma segue, poi, l'elenco delle categorie di persone che si presumono pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità.
Pertanto, al questore verrebbe attribuito un potere discrezionale che gli permetterebbe di sottoporre soltanto alcune e non tutte le persone contemplate dall'art. 1 alla diffida, presupposto necessario per l'applicazione delle misure di prevenzione prevedute dai successivi articoli della legge, con una evidente disparità di trattamento, che si risolve nella violazione del principio di eguaglianza.
3. - La questione, nei medesimi termini, é già stata esaminata dalla Corte con riferimento peraltro alla identificazione delle persone che possono essere comprese nelle categorie elencate nei numeri da 1 a 5 dello stesso art. 1, ma é stata dichiarata infondata (sentenze n. 23 e n. 68 del 1964).
Anche se la diversa prospettazione esclude che le questioni possano considerarsi del tutto identiche, cosicché non é il caso di dichiarare senz'altro, con ordinanza, manifestamente infondata la questione nei presenti giudizi sollevata, non può sfuggire che vi é una notevole analogia.
Tanto chiarito si rileva:
anzitutto la discrezionalità non implica arbitrio: anche nell'esercizio del potere discrezionale l'autorità amministrativa non é libera nelle sue determinazioni; comunque essa deve aver sempre di mira il conseguimento dei fini ad essa assegnati, e non può discostarsene, e deve operare ponderando adeguatamente e imparzialmente i diversi interessi, pubblici e privati, implicati nella fattispecie.
Nel caso presente vi é qualche cosa di più, in quanto nel testo stesso dell'art. 1 impugnato, risulta chiaramente che anche il criterio é notevolmente limitato, dato che il potere si risolve nell'accertamento di una specifica maggiore pericolosità di persone, che già, in potenza, sono da considerare pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità.
Riconosciuta, infatti (come risulta dalle citate sentenze di questa Corte) la legittimità costituzionale del provvedimento di identificazione concreta di coloro che vanno compresi nelle categorie di persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, non si può disconoscere che tale elencazione é, bensì, tassativa, ma non anche vincolante, nel senso che il solo fatto di essere compresi in una di quelle categorie renda obbligatoria, nei confronti di tutti coloro che vi appartengono, l'adozione di misura di prevenzione.
L'appartenenza a quelle categorie é invero condizione necessaria, ma non sufficiente per la sottoposizione a misure di prevenzione: perché in concreto tali misure possano essere adottate, occorre, infatti, anche un particolare comportamento che dimostri come la pericolosità sia effettiva ed attuale e non meramente potenziale.
L'accertamento di questa specifica pericolosità - la quale tra l'altro realizza una differenza tra le persone comprese nelle categorie genericamente ritenute pericolose - si raggiunge necessariamente attraverso un apprezzamento di merito.
Che, poi, come in sostanza é stato ritenuto con le citate sentenze di questa Corte, in ogni apprezzamento di merito, diretto ad accertare la sussistenza degli estremi per l'applicazione di una norma di legge, vi é sempre un certo margine affidato alla discrezionalità, non per questo, chiarita quale sia la natura funzionale dell'accertamento affidato al questore, si può parlare di violazione del principio di eguaglianza, tanto più che in ogni caso l'esercizio del potere discrezionale é soggetto al controllo del giudice, il quale sicuramente si estende alla irrazionalità, alla imparzialità, alla parità di trattamento.
Si deve, quindi, concludere che sotto questo primo profilo la sollevata questione risulta infondata.
4. - Per le stesse ragioni deve essere dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della stessa legge n. 1423 del 1956, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata con le due ordinanze, entrambe in data 1 febbraio 1968, del pretore di Genova e con ordinanza 13 febbraio 1968 del pretore di Sestri Ponente, sempre sotto il profilo che la discrezionalità conferita al questore con la dizione "Il questore può rimandarvele" sia suscettibile a creare una disparità di trattamento nei confronti di persone che egualmente si trovino nelle condizioni da detto art. 2 prevedute.
5. - Comune a tutti i giudizi, tranne quello instaurato per effetto dell'ordinanza 13 febbraio 1968 del pretore di Sestri Ponente, é, infine, la questione di illegittimità tanto dell'art. 1 quanto dell'art. 2 della citata legge, in riferimento all'art. 13, secondo comma, della Costituzione.
Come si é posto in rilievo in narrativa, tale questione poggia sul presupposto della arbitrarietà dei poteri attribuiti al questore con le norme suddette.
Poiché questo presupposto, dato quanto precede, viene a mancare, anche sotto il profilo del contrasto con l'art. 13, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità dei ripetuti artt. 1 e 2 risulta infondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate:
a) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, sulle misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, in riferimento agli artt. 3 e 13, secondo comma, della Costituzione, sollevata con ordinanza 20 luglio 1967 del pretore di Firenze e con ordinanza 28 marzo 1968 del pretore di Lentini;
b) la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge suddetta, in riferimento agli artt. 3 e 13, secondo comma, della Costituzione, sollevata con due distinte ordinanze, in data 1 febbraio 1968, del pretore di Genova;
c) la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della ripetuta legge, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione sollevata con ordinanza 13 febbraio 1968 del pretore di Sestri Ponente.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 1969.
Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE
Depositata in cancelleria il 17 marzo 1969.