SENTENZA N. 54
ANNO 1968
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Aldo SANDULLI, Presidente
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 293 e 294 del Codice di procedura civile promosso con ordinanza emessa il 13 luglio 1966 dal pretore di Livorno nel procedimento civile vertente tra Romano Aldo e Caserta Vincenzo, iscritta al n. 172 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 239 del 24 settembre 1966.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 22 aprile 1968 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso d'un giudizio per risarcimento danni da scontro di autoveicoli il pretore di Livorno, con ordinanza 13 luglio 1966, ha denunciato gli artt. 293 e 294 del Codice di procedura civile in riferimento agli artt. 24, comma secondo, e 3 della Costituzione.
L'art. 293 sarebbe sospetto perché non consente al contumace di costituirsi oltre "l'udienza di precisazione delle conclusioni, ossia nella fase che potrebbe dirsi di discussione". Dopo quell'udienza non si chiuse il primo grado del procedimento, ma si instaura un nuovo stato del giudizio, per cui la norma che ne preclude l'accesso al contumace comprometterebbe il diritto di difesa e non avrebbe adeguata giustificazione. Infatti, anche ammettendo la costituzione tardiva, l'esigenza d'un ordinato e rapido svolgimento del processo sarebbe garantita ugualmente dalle preclusioni segnate negli artt. 294, 184 e perfino 293, terzo comma; né, secondo il pretore di Livorno, é assolutamente necessario che la discussione orale sia preceduta da conclusioni già precisate nella apposita udienza: tanto é vero che il P.M., anch'esso parte nel giudizio, può costituirsi dopo quest'udienza, il che tra l'altro dà luogo a una disparità di trattamento rispetto al convenuto.
Anzi, siccome nella discussione orale proprio il contraddittorio può suggerire una riapertura della istruzione, anche per un altro motivo la norma impugnata sarebbe illegittima ex art. 3: infatti essa toglie ogni possibilità di difesa perfino al contumace che non si sia potuto costituire in tempo per causa impeditiva estranea alla sua volontà.
Quest'ultimo, inoltre, non potendosi costituire in prima istanza, non ha modo di chiedervi la rimessione in termini prevista dallo stesso art. 294: cosicché perde un grado del giudizio, non potendo ottenere in appello la rimessione al primo giudice (art. 354 del Codice di procedura civile) e, senza alcuna giustificazione, é trattato diversamente dal contumace che invece riesca a provare la causa di impedimento prima dell'udienza di precisazione.
2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri é intervenuto con atto depositato il 14 ottobre 1966.
In esso l'Avvocatura dello Stato risponde che le norme denunciate riconoscono al contumace ogni possibilità di difesa compatibile con la tutela delle altre parti costituite; che anche a costoro del resto, dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni, é precluso richiedere nuovi mezzi di prova, produrre nuovi documenti, proporre nuove eccezioni; che la loro attività processuale, dopo tale udienza, é vincolata dall'attività svolta prima, proprio come per il contumace; che perciò quelle norme non contrastano all'art. 24 della Costituzione poiché sono "coerenti alle caratteristiche" del processo di primo grado (v. Corte costituzionale sentenze 1957 n. 46; 1962 n. 63; 1963 n. 113; 1964 nn. 2, 47, 91).
Inoltre la disparità di trattamento fatta al P. M. si giustificherebbe con la posizione di quest'ultimo, diversa da quella delle altre parti nel giudizio e disciplinata da un titolo distinto del Codice con precetti in parte analoghi a quelli che si riferiscono ai giudici.
Infine, secondo la difesa dello Stato, l'esistenza d'un termine produce necessariamente una diversità di trattamento fra chi l'abbia osservato e chi comunque non l'abbia osservato. Perciò si giustificano pienamente le norme impugnate quando consentono o meno la costituzione del contumace a seconda che provi la causa impeditiva prima o dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni e quando nel secondo caso gli tolgono, in appello, il rimedio previsto dall'art. 354 del Codice di procedura civile.
Considerato in diritto
1. - Si sono denunciati gli artt. 293 e 294 del Codice di procedura civile perché, non consentendo al contumace di costituirsi dopo la rimessione della causa al collegio, ne comprometterebbero il diritto di difesa e violerebbero il principio d'eguaglianza (artt. 24 e 3 della Costituzione).
La questione é infondata.
Il procedimento contumaciale é disciplinato in modo che la tutela del diritti del contumace non vada a danno dell'altra parte e della speditezza del giudizio. Se, da un lato, dopo la dichiarazione della contumacia si permette all'assente di purgarla, dall'altro, gli si pone un limite di tempo entro cui costituirsi, cioè l'udienza che chiude l'istruzione. La costituzione in giudizio é perciò configurata come una facoltà che il contumace deve esercitare entro quel termine se vuol partecipare al processo: in verità la legge non gli nega il diritto di difendersi nella seconda fase del giudizio, ma glielo riconosce purché egli si costituisca nella fase precedente.
Certo al pari del Codice di procedura civile del 1865 avrebbe potuto ammettere anche la costituzione in udienza; ma se non lo ha fatto é per un motivo tutt'altro che arbitrario, com'é quello di stimolarlo a una presenza tempestiva nella fase che più richiede il contraddittorio, dovendosi precisare la controversia e svolgere le prove: di modo che non si può consentire una discussione orale a chi non ha partecipato a quell'istruzione che ne é il presupposto. Del resto un'analoga norma é dettata per l'intervento volontario (art. 268 Codice procedura civile) e dimostra la coerenza del sistema. E, se invece il P. M. può spiegare il suo intervento anche dopo l'istruzione, la giustificazione sta in ciò che esso agisce per una migliore attuazione della legge, poco importando se sia o meno da considerare parte nella causa: infatti nel giudizio sulla razionalità di una certa disciplina non si deve guardare soltanto alla posizione formale di chi ne é destinatario ma anche alla funzione od allo scopo a cui essa é preordinata.
2. - Si assume che la contumacia, anche fuori dai casi della nullità della citazione o della notificazione, può essere involontaria, determinata da un fatto non imputabile al soggetto: poiché il giudice d'appello che accerti l'involontarietà non può rimettere la causa al primo grado (art. 354) sarebbe ingiusto negare la purgazione della contumacia dopo l'istruttoria. Ma le norme impugnate, anche per chi le esamini sotto questo profilo, conservano la giustificazione che s'é ricordata più sopra: e ciò non tanto perché si tratti d'un caso marginale, quanto perché una diversa normazione sviserebbe la struttura del processo con danno della sua economia: ché il convenuto, per potersi costituire nella seconda fase del giudizio di primo grado, dovrebbe chieder di provare l'involontarietà della contumacia, sì che la causa normalmente finirebbe per essere rimessa al giudice istruttore. Il che accadrebbe assai più spesso di quanto non si creda, poiché si infittirebbero le richieste, fondate o non fondate, di provar la contumacia involontaria. Inoltre, siccome la prova della involontarietà potrebbe anche non riuscire, in tali casi il giudizio sarebbe rallentato inutilmente; conseguenza che fra l'altro urterebbe contro la natura e gli scopi di questo tipo di procedimento giudiziale.
Piuttosto c'é da ricordare come il contumace, che non si sia potuto costituire in primo grado, possa difendersi in appello opponendo eccezioni, producendo documenti e chiedendo l'ammissione di altri mezzi probatori; anzi può farlo, secondo una recente giurisprudenza, senza incontrare quei limiti che l'art. 345 pone invece alle nuove eccezioni avanzate dalla sua controparte: compenso, questo, alla perdita d'un grado del giudizio, in un sistema costituzionale che non garantisce i due gradi. Dopo ciò neanche in vista della contumacia involontaria si può negare l'aderenza delle norme alle caratteristiche strutturali del giudizio o scorgervi la violazione del diritto di difesa o ingiustificate disparità di trattamento.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 293 e 294 del Codice di procedura civile proposta, in riferimento agli artt. 24, comma secondo, e 3 della Costituzione, dal pretore di Livorno con l'ordinanza citata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 1968.
Aldo SANDULLI - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI
Depositata in cancelleria il 29 maggio 1968.