SENTENZA N. 2
ANNO 1967
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizi riuniti promossi con i seguenti ricorsi:
1) ricorso del Presidente della Regione siciliana notificato il 9 dicembre 1964, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 29 successivo ed iscritto al n. 18 del Registro ricorsi 1964, per conflitto di attribuzione sorto a seguito di tre decreti del Ministro delle finanze del 9 settembre 1964 con i quali erano stati respinti i ricorsi gerarchici presentati rispettivamente dai ricevitori provinciali di Palermo, Agrigento e Siracusa avverso i provvedimenti degli Intendenti di finanza che intimavano il versamento nelle casse dello Stato del maggior provento derivante dalla applicazione della legge 10 dicembre 1961, n. 1346;
2) ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri notificato il 30 dicembre 1964, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 9 gennaio 1965 ed iscritto al n. 1 del Registro ricorsi 1965, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della circolare 26 ottobre 1964, n. 25800, con la quale l'Assessore per le finanze della Regione siciliana ha impartito disposizioni perché i proventi della maggiorazione dell'addizionale di cui alla legge 10 dicembre 1961, n. 1346, limitatamente alla parte afferente ai tributi di spettanza regionale, venissero versati nelle casse della Regione;
3) ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri notificato il 6 aprile 1965, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 16 successivo ed iscritto al n. 6 del Registro ricorsi 1965, per conflitto di attribuzione sorto a seguito di tre decreti in data 14 e 22 gennaio 1965 con i quali l'Assessore per le finanze della Regione siciliana ha accolto i ricorsi proposti dal Banco di Sicilia ed ha conseguentemente annullato i tre decreti con i quali gli Intendenti di finanza rispettivamente di Agrigento, Caltanissetta e Palermo avevano affermato l'obbligo del Banco ricevitore di versare all'Erario dello Stato i proventi dell'addizionale di cui alla legge 10 dicembre 1961, n. 1346.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Presidente della Regione siciliana;
udita nell'udienza pubblica del 19 ottobre 1966 la relazione del Giudice Giovanni Battista Benedetti;
uditi gli avvocati Pietro Virga e Antonio Sorrentino, per il Presidente della Regione siciliana, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Il presente giudizio trae origine da tre ricorsi per regolamento di competenza.
Col primo, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 29 dicembre 1964, il Presidente della Regione siciliana, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Pietro Virga e Antonio Sorrentino, ha impugnato e chiesto l'annullamento di tre decreti del Ministro delle finanze del 9 settembre 1964 con i quali erano stati respinti i ricorsi gerarchici presentati rispettivamente dai ricevitori provinciali di Palermo, Agrigento e Siracusa avverso i provvedimenti degli Intendenti di finanza che intimavano il versamento nelle casse dello Stato del maggior provento derivante dalla applicazione della legge 10 dicembre 1961, n. 1346.
Ha sostenuto la difesa della Regione che i predetti provvedimenti, emessi in violazione degli artt. 20 e 36 dello Statuto siciliano e dell'art. 2 del D. L. 12 aprile 1948, n. 507, sul regime provvisorio dei rapporti finanziari fra Stato e Regione, concretano una invasione della sfera di competenza regionale in quanto il potere di decidere dei ricorsi gerarchici che riguardano la materia della riscossione delle imposte, per la quale é già intervenuto il passaggio delle funzioni dello Stato alla Regione, spetta all'Assessore per le finanze qualunque sia l'ente titolare dell'imposta (Stato, Regione, Provincia o Comune). Nella specie, peraltro, ad avviso della difesa, trattasi di tributo di spettanza regionale nonostante che l'art. 4 della legge n. 1346 del 1961 disponga che il maggior provento derivante dall'aumento dell'addizionale é riservato all'"erario", non potendosi tale termine identificare, né nel linguaggio comune, né in quello giuridico, col termine "Stato". Per erario si intende genericamente il complesso dei mezzi finanziari di cui dispone l'amministrazione pubblica e come tale l'erario non é esclusivo dello Stato, ma può essere anche di pertinenza della Regione.
Il citato art. 4 non ha inteso escludere dal provento le Regioni, nel qual caso il legislatore lo avrebbe esplicitamente precisato, ma ha voluto escludere che il provento fosse devoluto agli enti autarchici locali.
Con deduzioni depositate il 23 dicembre 1964 il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto il rigetto del ricorso della Regione.
Dopo aver ricordato che lo Stato conserva il potere di modificare l'ordinamento tributario, anche se il gettito di tributi, soppressi o modificati, é in tutto o in parte devoluto alla Regione e conserva, altresì, il diritto di istituire nuovi tributi, senza con ciò invadere la sfera di competenza regionale, l'Avvocatura sostiene che la legge 10 dicembre 1961, n. 1346, non si é limitata a disporre una semplice variazione dell'aliquota di un tributo, ma ha istituito un nuovo tributo in forma addizionale, e, in parte, di aumento di preesistenti addizionali, stabilendo inoltre espressamente che il maggior provento "derivante dall'applicazione della legge é riservato all'Erario".
L'assunto della Regione che anch'essa ha un erario e che la riserva all'erario mira ad escludere solo gli enti locali minori, é priva di fondamento. Nel linguaggio giuridico comune il termine erario, senza alcuna specificazione, indica le casse dello Stato, ed erariali sono definiti, in contrapposto a quelli regionali o locali, i tributi imposti dallo Stato e di spettanza del medesimo. Nessun dubbio, poi, può sussistere se il termine é adoperato in una legge statale e questa ha per titolo "Aumento a favore dell'Erario dell'addizionale istituita con R. D. L. 30 novembre 1937, n. 2145 e successive modificazioni". L'appartenenza del tributo allo Stato trova del resto conferma nei lavori preparatori e nella specifica destinazione data al provento della maggiore addizionale dall'art. 7 della legge 16 dicembre 1961, n. 1308, col quale una parte di tale provento fu destinata alla copertura dell'onere derivante allo Stato dal miglioramento del trattamento economico dei magistrati.
Venendo quindi alla questione di competenza sollevata col ricorso, l'Avvocatura afferma non esservi dubbio che spetti allo Stato, e per esso al Ministro per le finanze, e non già all'Assessore regionale, decidere i ricorsi previsti dall'art. 145 del T.U. 15 maggio 1963, n. 858, quando riguardino la riscossione o il versamento di tributi erariali dello Stato.
Col secondo ricorso, depositato in cancelleria il 9 gennaio 1965, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha impugnato e chiesto l'annullamento della circolare 26 ottobre 1964, n. 25800, con la quale l'Assessore regionale per le finanze ha impartito disposizioni perché i proventi della maggiorazione dell'addizionale di cui alla legge 10 dicembre 1961, n. 1346, limitatamente alla parte afferente ai tributi di spettanza regionale (con esclusione, quindi, di quella concernente l'imposta sulle società spettante allo Stato) venissero versati nelle casse della Regione.
Afferma l'Avvocatura che tale circolare é illegittima perché, dirottando nelle casse regionali il provento di un tributo che la legge istitutiva destina alle casse dello Stato, la Regione ha in sostanza modificato una disposizione di legge statale, usurpando un potere che spetta soltanto al Parlamento. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 dello Statuto e 2 del D. L. 12 aprile 1948, n. 507, la Regione può riscuotere solo i tributi di sua spettanza (che sono quelli elencati nel bilancio di previsione 1947-48 approvato con decreto del Presidente della Regione 5 luglio 1947, n. 14) e non anche tributi nuovi, come quello in esame, istituiti con legge successiva, ed espressamente riservati all'erario con uno scopo del tutto specifico di copertura di maggiori spese esclusivamente statali.
Il Presidente della Regione siciliana, con deduzioni depositate il 18 gennaio 1965, si é costituito in giudizio sollevando in via preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso per acquiescenza al provvedimento impugnato per non avere il Presidente del Consiglio impugnato né la legge regionale 17 settembre 1964, n. 17, con la quale veniva approvato il bilancio regionale per l'esercizio semestrale 1 luglio-31 dicembre 1964, nel quale, al capitolo 87, figurava il provento derivante dall'addizionale; né una serie di altri provvedimenti, resi noti agli organi periferici dell'amministrazione finanziaria dello Stato, con i quali veniva disposto affinché il provento dell'addizionale venisse versato in deposito provvisorio presso le casse regionali.
Nel merito la difesa regionale osserva che la circolare impugnata é legittima perché con essa l'Assessore non ha fatto altro che dare applicazione, per la parte di competenza della Regione, alla legge 10 dicembre 1961, n. 1346, portando a conoscenza degli uffici finanziari che le somme che sarebbero state riscosse in Sicilia in dipendenza della citata legge avrebbero dovuto essere versate nelle casse regionali.
L'appartenenza alla Regione del maggior gettito dell'addizionale si basa proprio sugli artt. 36 dello Statuto e 2 del D. L. 12 aprile 1948, n. 507, ai quali si fa richiamo ex adverso per sostenere la spettanza del provento allo Stato. Col citato decreto legislativo che detta la disciplina provvisoria dei rapporti finanziari fra Stato e Regione, si é voluto, infatti, stabilire che, fino a quando non fosse stato diversamente disposto, le entrate che la Regione avrebbe potuto percepire per il suo fabbisogno sarebbero state solo quelle figuranti nel bilancio 1947-48, ma non si é al tempo stesso stabilito che anche il gettito derivante da tali entrate dovesse rimanere invariabile e che, conseguentemente, gli aumenti di gettito dipendenti da inasprimento di aliquote si sarebbero dovute versare alla tesoreria dello Stato. Nel caso in esame, analogamente a quanto verificatosi per altre imposte, la legge statale ha solo apportato delle semplici variazioni alle aliquote di tributi preesistenti. L'opposta tesi, sostenuta dall'Avvocatura, secondo la quale la legge n. 1346 del 1961 ha comportato l'istituzione di un nuovo tributo e non già il semplice aumento di una addizionale di imposta già esistente, non ha fondamento sia perché disattesa dalla stessa lettera della legge, sia perché l'addizionale, dato il suo carattere di accessorietà a un tributo preesistente, non può costituire un tributo nuovo.
In una memoria depositata in cancelleria il 10 marzo 1965 l'Avvocatura confuta anzitutto l'eccezione d'inammissibilità del ricorso per acquiescenza osservando che i provvedimenti regionali indicati nelle deduzioni della Regione, oltre a non essere stati portati a conoscenza del Presidente del Consiglio, risultano emessi in pendenza del ricorso proposto il 6 luglio 1962, per la risoluzione del conflitto di attribuzione sorto per effetto della precedente circolare n. 313 del 20 febbraio 1962 dell'Assessore al bilancio, quando cioè tutta la questione era sub iudice. Da ciò - ad avviso dell'Avvocatura - la inutilità di promuovere nuovi giudizi di costituzionalità contro tali provvedimenti che del resto dovevano ritenersi superati dal D. P. Reg. 4 febbraio 1963, n. 2/A e dalla circolare 10 giugno 1963, n. 445, che revocavano la circolare impugnata.
Né ha rilevanza il fatto che la Regione abbia inserito nel bilancio 1 luglio-31 dicembre 1964, approvato con legge regionale 17 settembre 1964, n. 17, un capitolo per memoria (n. 87) relativo al provento derivante dall'aumento dell'addizionale, poiché l'istituzione di un capitolo di bilancio non ha effetti sostanziali e, se é per memoria, non ha neppure effetti formali attuali.
Circa poi l'appartenenza del tributo, l'Avvocatura osserva che tale questione deve essere risolta interpretando la volontà del legislatore, al quale nessuna norma costituzionale vieta d'introdurre un nuovo tributo sotto forma di addizionale o di maggiorazione di addizionale. Nella specie la volontà del legislatore risulta evidente dato che la legge del 1961 ha introdotto una nuova addizionale (quella relativa all'imposta sulle società) ed ha aumentato di cinque centesimi per ogni lira le addizionali preesistenti, precisando che i relativi proventi sono riservati allo Stato per sopperire, ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, a nuove sue spese.
Il terzo ed ultimo ricorso, depositato in cancelleria il 16 aprile 1965, é stato proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri per impugnare e chiedere l'annullamento di tre decreti in data 14 e 22 gennaio 1965 con i quali l'Assessore per le finanze della Regione ha accolto i ricorsi proposti dal Banco di Sicilia ed ha conseguentemente annullato i tre decreti con i quali gli Intendenti di finanza rispettivamente di Agrigento, Caltanissetta e Palermo avevano affermato l'obbligo del Banco ricevitore di versare all'Erario dello Stato i proventi dell'addizionale di cui alla legge 10 dicembre 1961, n. 1346.
Ritiene l'Avvocatura che i denunciati decreti, analogamente alla circolare dell'Assessore n. 25800 del 26 ottobre 1964, oggetto del precedente ricorso, siano in aperta violazione: dell'art. 4 della legge 10 dicembre 1961, n. 1346, che riserva espressamente allo Stato il maggior provento dell'addizionale e degli artt. 20 e 36 dello Statuto speciale e dell'art. 2 del D. L. 12 aprile 1948, n. 507. A dimostrazione delle anzidette violazioni l'Avvocatura svolge i motivi già enunciati nei suoi precedenti scritti difensivi aggiungendo, per quanto riguarda la questione relativa alla competenza del Ministro per le finanze a decidere i ricorsi gerarchici avverso i provvedimenti intendentizi che infliggono pene pecuniarie agli esattori e ricevitori provinciali, che tale questione, con sentenza di questa Corte n. 48 del 1965, é stata decisa nel senso della competenza dell'organo statale.
Il Presidente della Regione siciliana non si é costituito in questo ultimo giudizio.
La difesa della Regione in data 6 ottobre 1966 ha depositato nella cancelleria di questa Corte ulteriori deduzioni intese a dimostrare che, a decorrere dalla data 1 gennaio 1966 nella quale é entrato in vigore il D.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, contenente norme di attuazione dello Statuto in materia finanziaria, la spettanza alla Regione dell'aumento dell'addizionale disposto dalla legge n. 1346 del 1961 non può essere più contestata. L'art. 2, comma primo, del citato decreto riserva, infatti, alla Regione tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato indicate nelle leggi medesime. Tra tali eccezioni non rientra il tributo in discussione, sia perché non può considerarsi nuovo, per essere stato istituito in data anteriore alle norme stesse, sia perché la legge che lo prevede non lo destina alla copertura di particolari e specifici oneri finanziari ma, per come si desume dalla relazione al disegno di legge, alla generica esigenza di fronteggiare la "copertura di nuove spese portate da leggi in corso". Mancherebbero quindi entrambi i requisiti richiesti dalla citata norma di attuazione per poter ritenere il tributo di spettanza dello Stato.
Le recenti norme di attuazione, ad avviso della difesa, sarebbero inoltre idonee a confermare l'assunto sulla spettanza del tributo alla Regione anche per il periodo anteriore al 1 gennaio 1966. Tali norme, infatti, hanno valore di una mera esecuzione delle disposizioni dello Statuto, e sono quindi ricognitive ed interpretative di esso; non hanno, nel presente caso, voluto introdurre precetti nuovi, ma solo inteso chiarire il contenuto della ripartizione provvisoria attuata con il D. L. 12 aprile 1948, n. 507.
Considerato in diritto
1. - I tre ricorsi, congiuntamente trattati, possono essere decisi con unica sentenza stante la loro manifesta connessione.
2. - Preliminare alla comune questione di merito é l'eccezione di inammissibilità, sollevata dalla difesa della Regione, nei riguardi del ricorso depositato il 9 gennaio 1965, con il quale il Presidente del Consiglio dei Ministri impugnava la circolare 26 ottobre 1964, n. 25800, dell'Assessore per le finanze, relativa al "versamento del provento dell'addizionale di cui alla legge 10 dicembre 1961, n. 1346, nella cassa della Regione".
Una presunta acquiescenza a tale provvedimento viene desunta dalla omessa impugnazione sia di alcuni atti amministrativi del maggio e giugno 1962, riguardanti il versamento in deposito provvisorio nella cassa regionale dell'addizionale in questione, sia della legge 17 settembre 1964, n. 17, approvativa del bilancio regionale del semestre 1 luglio-31 dicembre 1964, contenente il capitolo n. 87 relativo al provento di detta addizionale.
L'eccezione non é fondata.
Per quanto concerne le note dell'Assessore al bilancio numero 42900 del 23 maggio 1962 e n. 42942 del 9 giugno dello stesso anno, che sono gli atti amministrativi ai quali la difesa della Regione fa riferimento, é evidente che un'autonoma loro impugnativa era del tutto superflua. A parte la circostanza che tali atti non furono mai notificati all'organo legittimato a proporre un eventuale ricorso, e cioè al Presidente del Consiglio dei Ministri, é da tener presente che essi figurano emessi quando la Corte era già stata investita della questione relativa alla spettanza dell'addizionale in esame col precedente ricorso prodotto avverso la circolare dell'Assessore n. 313 del 20 febbraio 1962, ricorso che la Corte non poté esaminare nel merito, posto che nelle more del giudizio il provvedimento impugnato fu revocato (sentenza n. 115 del 1963).
Del pari priva di fondamento si presenta l'eccezione di inammissibilità in quanto basata sull'omessa impugnazione della legge regionale di bilancio n. 17 del 1964. A parte l'ovvio rilievo che da tale mancata impugnativa in via principale non potrebbe inferirsi la preclusione per lo Stato di difendere in questa sede le sue posizioni giuridiche, é evidente che, nel caso della legge di cui si discute, l'impugnativa non era necessaria dato che l'iscrizione in bilancio di un capitolo - per altro per memoria e cioè senza la previsione di entrata - é fatto di per sé non produttivo di alcun effetto sostanziale e quindi di nessuna modificazione dell'ordinamento giuridico.
3. - I tre ricorsi implicano l'esame di una comune questione di fondo alla cui risoluzione é subordinata la decisione della legittimità o meno dei singoli atti che hanno formato oggetto dei distinti gravami.
La Corte é chiamata a statuire in ordine alla spettanza del provento derivante dall'applicazione della legge 10 dicembre 1961, n. 1346, ma, per la definizione del presente giudizio, tale questione va risolta in base alla disciplina provvisoria dei rapporti finanziari fra lo Stato e la Regione siciliana, contenuta nel D. L. 12 aprile 1948, n. 507, il cui art. 2 si assume essere stato violato dagli atti impugnati.
Dall'ambito così circoscritto della questione resta quindi esclusa ogni pronuncia sulla spettanza del tributo in esame alla stregua delle disposizioni previste dal D. P. R. 26 luglio 1965, n. 1074, recante norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria.
Le considerazioni ampiamente svolte dalla difesa regionale nelle ulteriori deduzioni e nella discussione orale sul carattere interpretativo ed integrativo e sulla conseguente efficacia retroattiva di siffatte norme, non possono essere condivise dal momento che, per espressa disposizione dello stesso decreto (articolo 11), esso "entra in vigore dalla data di inizio dell'esercizio finanziario successivo alla sua pubblicazione" (1 gennaio 1966) e solo "da tale data cessa di avere effetto l'art. 2 del D. L. 12 aprile 1948, n. 507".
Dall'esame della legge 10 dicembre 1961, n. 1346, é facile dedurre, ad avviso della Corte, quale sia stata la precisa volontà del legislatore in ordine all'appartenenza del maggiore provento che si voleva realizzare. Il titolo della legge che parla di "aumento a favore dell'Erario dell'addizionale istituita con R.D.L. 30 novembre 1937, n. 2145, e successive modificazioni", collegato con il disposto dell'art. 4, secondo il quale "il maggior provento, derivante dall'applicazione della presente legge, é riservato all’ Erario", non lasciano dubbi di sorta sul fatto che la nuova entrata dovesse affluire unicamente alle casse dello Stato.
A disattendere tale affermazione non giova rilevare che il termine "Erario" può essere riferito anche alla Regione, perché nella legge il termine é stato inequivocabilmente usato per indicare il tesoro dello Stato. La sicura conferma di ciò può trarsi dai relativi lavori parlamentari ed in specie dalla relazione al Senato nella quale, dopo la premessa che il ricorso alle addizionali, non nuovo nella nostra legislazione, é stato dettato dalla necessità di sopperire ad esigenze vuoi degli enti locali vuoi del bilancio dello Stato, leggesi che "il maggior gettito della addizionale istituenda é tutto devoluto all'Erario - artt. 1 e 4", nonché dalla relazione alla Camera in cui si precisa che "il maggior gettito é destinato all'Erario, rinnovellando così una norma che già visse la vita di un anno (dal 1 gennaio al 31 dicembre 1952) per effetto della legge 2 gennaio 1952, n. 1".
Del pari infondato é l'assunto secondo il quale il provento di cui trattasi spetterebbe alla Regione dato che la legge 10 dicembre 1961, n. 1346, non ha voluto istituire un nuovo tributo, ma ha solo inteso maggiorare le aliquote di tributi preesistenti, quali l'imposta di registro, successione ed altre, già appartenenti ad essa Regione.
A parte l'ovvio rilievo che l'aumento di un'addizionale é cosa diversa dalla maggiorazione delle aliquote dei tributi sui quali viene applicata, l'addizionale del 1961 non può considerarsi un aumento puro e semplice di quella istituita col R. D. L. 30 novembre 1937, n. 2145, date le profonde diversità di scopo e di destinazione delle due addizionali. La cosiddetta addizionale E.C.A., che é compresa tra le entrate tributarie della Regione siciliana, é destinata a sopperire alle esigenze di enti locali poiché il suo gettito é devoluto in parte agli enti comunali di assistenza ed in parte alle Province, mentre la nuova addizionale - come chiaramente risulta dalla legge e relativi lavori parlamentari - é stata istituita per soddisfare esigenze che non rientrano nella competenza della Regione ma sono esclusivamente statali. La legge del 1961 ha in sostanza inteso assicurare allo Stato un nuovo provento, sotto forma di un aumento di un'addizionale preesistente, da imputarsi a distinto capitolo d'entrata.
Negli stessi termini, con titoli e disposizioni pressoché identici, le leggi 2 gennaio 1952, n. 1, e 22 dicembre 1954, n. 1213, avevano disposto maggiorazioni autonome dell'addizionale E. C. A. e la spettanza dei relativi proventi allo Stato non ebbe a formare oggetto di contestazione.
Si può quindi concludere in ordine alla questione comune ai tre ricorsi che il provento dell'addizionale del 1961 é una entrata tributaria erariale nuova rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione della Regione per l'esercizio 1947-48 e come tale non spettante alla Sicilia in virtù della disciplina provvisoria di cui al D. L. 12 aprile 1948, n. 507.
4. - Venendo ora all'esame dei singoli provvedimenti che hanno formato oggetto dei ricorsi va presa anzitutto in considerazione la circolare 26 ottobre 1964, n. 25800, con la quale l'Assessore per le finanze disponeva che il provento derivante dall'addizionale, eccezion fatta per la parte relativa all'imposta sulle società, fosse versato nella cassa della Regione.
L'illegittimità di tale provvedimento é evidente. La Regione, attribuendosi il provento di un'entrata, che l'art. 4 della legge riserva espressamente all'Erario dello Stato, ha unilateralmente alterato i termini dei rapporti allora vigenti fra la finanza statale e la finanza regionale, violando le disposizioni contenute negli artt. 36 dello Statuto e 2 del D. L. n. 507 del 1948 che delimitavano la sua competenza alle sole entrate tributarie tassativamente indicate nel citato bilancio 1947-48.
A tale violazione fa riscontro una correlativa invasione della sfera di competenza riservata allo Stato, il quale, come questa Corte ha avuto occasione di precisare (sentenze nn. 52 del 1957
e 5 del 1958) ha conservato, in vigenza del regime provvisorio, il potere di modificare l'ordinamento tributario e di imporre nuovi tributi, anche nel territorio della Sicilia, riservandone a sé il gettito.L'atto in questione va quindi annullato.
Analoga pronuncia per i medesimi motivi va poi adottata nei riguardi dei tre decreti oggetto del ricorso depositato il 16 aprile 1965 con i quali l'Assessore per le finanze della Regione, in accoglimento dei ricorsi proposti dal Banco di Sicilia, annullava i decreti intendentizi che avevano affermato l'obbligo del Banco, quale ricevitore provinciale, di versare all'Erario dello Stato il provento della addizionale in discussione.
La competenza a decidere sui ricorsi gerarchici che riguardino la riscossione e il versamento di tributi erariali di pertinenza dello Stato spetta al Ministro per le finanze e non all'Assessore regionale. La Corte ha ripetutamente affermato che il trasferimento dallo Stato alla Regione delle funzioni concernenti la riscossione dei tributi, nonché delle funzioni collegate al servizio esattoriale, si é verificato per i tributi di competenza regionale e non per quelli che lo Stato si sia originariamente riservati e, come quello di specie, abbia in prosieguo legittimamente imposto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riunisce i tre ricorsi indicati in epigrafe;
respinge l'eccezione di inammissibilità per acquiescenza proposta dalla Regione siciliana;
respinge il ricorso 29 dicembre 1964 proposto dalla Regione siciliana e in accoglimento dei ricorsi del Presidente del Consiglio dei Ministri depositati il 9 gennaio e 16 aprile 1965:
dichiara che spetta allo Stato l'aumento dell'addizionale di cui alla legge 10 dicembre 1961, n. 1346, e che spetta pertanto al Ministro per le finanze, e non all'Assessore per le finanze della Regione siciliana, decidere i ricorsi gerarchici proposti dai ricevitori provinciali di Caltanissetta, Agrigento e Palermo avverso i provvedimenti degli Intendenti di finanza, che affermavano l'obbligo di versare all'Erario dello Stato il provento dell'addizionale;
annulla, per conseguenza, la circolare 26 ottobre 1964, numero 25800, nonché i decreti nn. 061/65, 062/65 e 0104/65 in data 14 e 22 gennaio 1965, dell'Assessore per le finanze della Regione siciliana.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1967.
Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI
Depositata in cancelleria il 21 gennaio 1967.