SENTENZA N. 48
ANNO 1965
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri con ricorso notificato il 18 luglio 1964, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 23 successivo ed iscritto al n. 11 del Registro ricorsi 1964, per conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione siciliana, sorto a seguito del decreto assessoriale 14 luglio 1962, n. 2084, emesso sul ricorso dell'Esattore delle imposte dirette di Belmonte Mezzagno avverso l'ordinanza 16 marzo 1962, n. 11259, dell'Intendente di finanza di Palermo.
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione siciliana;
udita nell'udienza pubblica del 17 marzo 1965 la relazione del Giudice Giuseppe Chiarelli;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e l'avv. Pietro Virga, per la Regione siciliana.
Ritenuto in fatto
L'Assessore per le finanze e il demanio della Regione siciliana con decreto 14 luglio 1962, n. 2084, respingeva il ricorso presentato dall'esattore delle imposte dirette di Belmonte Mezzagno avverso l'ordinanza 16 marzo 1962, n. 11259, dell'Intendente di finanza di Palermo, con la quale gli erano state irrogate delle pene pecuniarie.
In riferimento al detto decreto, il Presidente del Consiglio dei Ministri, con ricorso contro il Presidente protempore della Regione siciliana, notificato il 18 luglio 1964 e depositato il 23 successivo, ha sollevato conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione stessa, per violazione dell'art. 20 in relazione agli artt. 14, 17 e 36 dello Statuto della Regione, in relazione anche all'art. 2 del decreto legislativo presidenziale 12 aprile 1948, n. 507.
Si assume nel ricorso che la legge 7 gennaio 1929, n. 4, sulla repressione delle violazioni di leggi finanziarie, alla quale si richiama l'art. 150 del T.U. sulla riscossione delle imposte dirette (approvato con D.P.R. 15 maggio 1963, n. 858), ha una particolare funzione nel sistema tributario dello Stato, per cui nelle sue norme vanno riconosciuti dei principi generali che costituiscono limite alla competenza della Regione. Si rileva inoltre che il ricordato art. 150, nel disciplinare più organicamente, rispetto alla legislazione precedente, la devoluzione allo Stato delle pene pecuniarie, ha confermato che contro il provvedimento dell'Intendente é ammesso ricorso al Ministero delle finanze. In base a tali considerazioni, si nega che dalle norme provvisorie di cui al decreto legislativo 12 aprile 1948, n. 507, le quali hanno attribuito alla Regione competenza in materia di riscossione dei tributi di sua pertinenza, possa dedursi un trasferimento alla Regione della competenza a decidere ricorsi di esattori contro provvedimenti che abbiano irrogato pene pecuniarie a loro carico, tanto più in quanto gli esattori in Sicilia riscuotono anche tributi erariali; comunque, anche per i tributi della Regione, la competenza di questa per la loro riscossione non può estendersi al campo delle pene pecuniarie. In ogni caso, si aggiunge, mancano esplicite norme che abbiano previsto il trasferimento alla Regione delle dette competenze. Il ricorso conclude perché sia dichiarata la competenza degli organi dello Stato e sia annullato il decreto dell'Assessore regionale, innanzi indicato.
Il Presidente della Regione siciliana, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Virga, si é costituito in giudizio con atto pervenuto alla Corte il 4 agosto 1964.
Con tale atto si eccepisce preliminarmente l'irricevibilità del ricorso, essendo decorso il termine di 60 giorni, di cui all'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Si fa presente in proposito che la decisione dell'Assessore, che é del 14 luglio 1962, fu immediatamente comunicata all'Intendente di finanza, che ne diede comunicazione al Ministero, e non vale ad escludere l'irricevibilità del gravame il fatto che il provvedimento fu reso noto alla Presidenza del Consiglio con lettera 20 maggio 1964.
Nel merito si afferma, in primo luogo, che in materia di riscossione di tributi di esattorie, non solo la Regione siciliana ha competenza esclusiva, ma, per il combinato disposto del decreto legislativo 12 aprile 1948, n. 507, e degli artt. 2 e 3 della legge regionale 1 luglio 1947, n. 2, ad essa competono indistintamente tutti i poteri relativi, essendo subentrata nella posizione giuridica dello Stato; poteri, si soggiunge, che sono stati finora pacificamente esercitati dalla Regione.
Inoltre, si afferma che l'applicazione delle sanzioni amministrative costituisce una facoltà accessoria al potere amministrativo relativo a una determinata materia, mentre dagli artt. 3 e 4 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, si desume che l'applicazione della sanzione amministrativa della pena pecuniaria é strettamente inerente all'esercizio dell'attività in relazione alla quale viene accertato l'illecito. Né, prosegue la difesa della Regione, ha valore il richiamo alla posizione della legge n. 4 del 1929 nel sistema tributario generale. Nella specie la Regione ha dato applicazione alla legge stessa, e comunque non può sostenersi che ogni volta che ci sia un rinvio a tale legge la competenza si sposti dalla Regione allo Stato, giacché altra cosa é la organicità di una determinata legislazione e altra la esclusività della sua applicazione da parte dello Stato.
La Regione conclude che il ricorso sia dichiarato irricevibile, e, subordinatamente, che sia dichiarato infondato e sia riconosciuta la competenza delle autorità amministrative regionali per l'applicazione delle sanzioni in materia esattoriale.
Nella discussione orale le difese delle parti hanno illustrato le tesi rispettive.
Considerato in diritto
L'eccezione di irricevibilità del ricorso per decorrenza di termini non può essere accolta.
Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che, in applicazione di un principio generale di diritto processuale, la notificazione o la conoscenza del provvedimento impugnabile, ai sensi dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, debbono intendersi riferite agli organi legittimati a proporre il ricorso: vale a dire, per lo Stato, al Presidente del Consiglio dei Ministri; per la Regione, al Presidente della Giunta regionale (sentenza n. 82 del 1958).
Nella specie, non essendo stato provato che il Presidente del Consiglio dei Ministri abbia avuto conoscenza del provvedimento dell'Assessore regionale prima della nota del Ministero delle finanze 20 maggio 1964, deve ritenersi la tempestività del ricorso, notificato il 18 luglio successivo.
Nel merito, il ricorso é fondato.
Non v'ha dubbio che, come questa Corte ha ripetutamente affermato (sentenze nn. 9, 14, 17 e 52 del 1957) e com'é stato ricordato dalla difesa della Regione, in base al decreto legislativo 12 aprile 1948, n. 507, la materia della riscossione dei tributi é stata trasferita dallo Stato alla Regione siciliana. Spetta conseguentemente alla Regione il potere di organizzare i servizi di riscossione ad essa affidati (sentenza n. 52 del 1957) e rientra nella organizzazione di questi servizi la disciplina del rapporto esattoriale, in quanto diretto a tale riscossione.
Se non che, la materia trasferita alla Regione in base alla ricordata norma, pur comprendendo l'organizzazione dei servizi di riscossione, e quindi del servizio esattoriale, non si estende a quelle funzioni di sorveglianza sull'esecuzione del rapporto esattoriale che danno luogo alla applicazione di sanzioni amministrative, e in particolare all'irrogazione delle cosiddette pene pecuniarie, e che costituiscono un sistema, unitariamente disciplinato, di attività sopraordinata al servizio di riscossione, nel quale non possono essere considerate confuse. Tali funzioni, affidate dalle vigenti leggi statali all'Intendente di finanza e al Ministero delle finanze (art. 150 del T.U. approvato con D.P.R. 15 maggio 1963, n. 858; artt. 55-59 della legge 7 gennaio 1929, n. 4), non hanno formato specificamente oggetto di norme di attuazione dello Statuto regionale, come questa Corte ebbe già occasione di rilevare nella sentenza n. 11 del 1957.
Deve quindi ritenersi tuttora in vigore la competenza del Ministro delle finanze a decidere sul ricorso gerarchico contro il decreto dell'Intendente di finanza che applichi le pene pecuniarie ai sensi delle ricordate norme di leggi statali, e deve di conseguenza essere annullato l'impugnato decreto dell'Assessore regionale per le finanze.
Ai fini del presente giudizio non occorre prendere in esame la tesi della difesa dello Stato circa la posizione della legge 7 gennaio 1929, n. 4, nel sistema tributario generale, e circa l'asserita inderogabilità delle sue norme da parte della Regione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
respinge l'eccezione di irricevibilità del ricorso presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri;
dichiara la competenza dello Stato a decidere il ricorso presentato dall'esattore delle imposte dirette del Comune di Belmonte Mezzagno contro l'ordinanza n. 11259 del 16 marzo 1962 dell'Intendente di finanza di Palermo e pertanto annulla il decreto n. 2084/62, in data 14 luglio 1962, dell'Assessore per le finanze e il demanio della Regione siciliana.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 giugno 1965.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 26 giugno 1965.