Sentenza n. 52 del 1957
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 52

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 18 gennaio 1957 recante "provvedimenti in materia di riscossione di diritti erariali", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Commissario dello Stato presso la Regione siciliana, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 30 gennaio 1957 ed iscritto al n. 4 del Registro ricorsi 1957.

Visto l'atto di costituzione del Presidente della Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 20 marzo 1957 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Cesare Arias per i ricorrenti e l'avv. Antonio Navarra per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

L'Assemblea regionale siciliana, in data 18 gennaio 1957, ha approvato una legge in materia di riscossione di diritti erariali, con la quale si dispone: 1) di affidare nell'ambito dell'isola ad un istituto od ente di diritto pubblico il servizio di riscossione, accertamento, liquidazione, riparto e versamento dei diritti erariali sui pubblici spettacoli e sulle scommesse, nonché dell'imposta unica sui giochi di abilità e concorsi pronostici, della I. G. E. derivante dai proventi di detti spettacoli e scommesse, e del diritto erariale sulle rappresentazioni, esecuzioni e radiodiffusioni di opere di pubblico dominio (artt. 1 a 3); 2) di estendere all'Assessorato regionale per le finanze la competenza ad accertare le violazioni delle norme sui predetti diritti erariali (art. 4); 3) di concedere al detto Assessorato, al fine di controllare l'andamento del servizio, la facoltà di inviare, presso l'ente o istituto incaricato della riscossione, un proprio funzionario oppure un ispettore delle tasse e imposte indirette sugli affari (art. 5).

Questa legge é stata comunicata al Commissario dello Stato presso la Regione siciliana il 21 gennaio 1957.

Con ricorso notificato il 26 gennaio 1957 al Presidente della Giunta regionale siciliana e depositato in cancelleria il 30 gennaio, il Presidente del Consiglio dei Ministri, unicamente al Commissario dello Stato, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, hanno impugnato la legge anzidetta davanti a questa Corte e ne hanno chiesto la dichiarazione di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 14, 15 e 17 dello Statuto speciale per la Regione siciliana e per violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 37 dello Statuto stesso.

A norma degli artt. 34 e 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, é stata pubblicata notizia del ricorso sia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, sia nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana.

La Regione, con deduzioni depositate il 18 febbraio 1957, si é costituita in giudizio a mezzo dell'avvocato Antonio Navarra, che la rappresenta e la difende.

L'Avvocatura generale dello Stato denuncia anzitutto l'incompetenza della Regione a legiferare in materia di tributi erariali in genere e di riscossione dei tributi erariali in specie.

Osserva poi che, anche a riconoscere che alla Regione spetti il potere di legiferare in materia di tributi erariali, la legge regionale impugnata sarebbe costituzionalmente illegittima perché nessun interesse particolare della Regione giustificherebbe una disciplina della riscossione diversa da quella vigente nello Stato. Inoltre, attribuendosi la potestà di riscuotere tutta l'imposta unica sui giuochi di abilità e sui concorsi pronostici, la Regione avrebbe violato anche l'art. 36, secondo comma, dello Statuto siciliano, in virtù del quale la tassa di lotteria, sostituita dall'imposta unica in questione, rientra tra i tributi riservati allo Stato.

Sotto altro aspetto l'illegittimità costituzionale della legge impugnata, sempre secondo l'Avvocatura dello Stato, deriverebbe dall'aver detta legge ecceduto dai limiti territoriali della Regione in quanto colpisce enti, come il C.O.N.I. e l' U.N.I.R.E. , che svolgono la loro attività sull'intero territorio nazionale. La legge stessa violerebbe i principi e gli interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato. L'imposta, infatti, é a carattere progressivo e la determinazione dell'aliquota non può farsi senza stabilire l'ammontare complessivo del gettito lordo. Inoltre la legge regionale aggraverebbe la posizione dei contribuenti dai quali lo Stato riscuote attualmente l'imposta unica senza aggravio di spesa. La legge sarebbe infine incostituzionale sia perché prevede il riparto della quota dell'imposta per concorsi pronostici spettante ai Comuni siciliani, riparto che, per principi fondamentali e inderogabili della legislazione statale, deve avvenire in sede nazionale, sia perché, in violazione dell'art. 20 dello Statuto speciale per la Sicilia, affida ad organi regionali, o ad organi statali periferici, che pone in rapporto di subordinazione gerarchica rispetto all'Assessorato regionale, potestà amministrative tributarie e di polizia.

Per tutti questi motivi la difesa dello Stato conclude chiedendo che si dichiari l'illegittimità costituzionale della legge impugnata.

La Regione siciliana, con deduzioni depositate il 18 febbraio 1957, eccepisce, in via pregiudiziale, l'incompetenza della Corte sulla impugnativa delle leggi siciliane; sostiene poi che l'impugnazione é improponibile a causa della omissione del procedimento preventivo di cui all'art. 127 della Costituzione, che fissa le condizioni per poter promuovere davanti alla Corte costituzionale la questione di legittimità delle leggi regionali.

Nel merito oppone che la Regione siciliana, come affermato dalla sentenza 17 gennaio 1957, n. 9, di questa Corte, ha potestà legislativa anche in materia di tributi erariali e che l'art. 2 del decreto legislativo 12 aprile 1948, n. 507, ha già riconosciuto alla Regione siciliana il potere di riscuotere direttamente le entrate di sua spettanza; che l'attribuzione di questa potestà implica la competenza regionale ad organizzare i propri servizi.

Sostiene che la legge impugnata non viola affatto principi ed interessi generali, né comunque spetterebbe alla Corte la valutazione delle ragioni, che hanno indotto la Regione ad introdurre un particolare metodo di riscossione, mentre arbitraria sarebbe la equiparazione tra imposta unica sui giochi di abilità e concorsi pronostici ed il gioco del lotto, la cui entrata é riservata allo Stato.

Rileva che la legge attiene solo alla riscossione e non tocca il diritto sostanziale esistente. Afferma infine che la facoltà ispettiva é uno dei mezzi per l'esercizio dei controlli sulle operazioni di riscossione, onde non contrasta bensì rientra nella previsione generica della potestà amministrativa regionale (art. 20 Statuto siciliano).

Conclude pertanto chiedendo che il ricorso sia dichiarato improponibile o comunque respinto nel merito.

Successivamente, in una memoria depositata il 6 marzo, l'Avvocatura dello Stato ha sviluppato la tesi, già esposta nelle precedenti deduzioni, secondo cui l'imposta unica sui giuochi di abilità e sui concorsi pronostici deve essere equiparata alle entrate del monopolio del lotto, espressamente riservata allo Stato dallo art. 36, secondo comma, dello Statuto siciliano.

Fa notare che l'imposta unica, istituita con legge 22 dicembre 1951, n. 1379, aveva sostituito la speciale tassa di lotteria, di cui al D.P.R. 14 aprile 1948, n. 496, riservata all'erario, fin dalla sua istituzione, come cespite derivante dall'applicazione del principio monopolistico sulle attività di gioco.

La dizione "monopolio del lotto" dell'art. 36 dello Statuto siciliano starebbe, del resto, ad indicare non solo la precipua attività dell'esercizio del lotto, ma anche le attività ad essa affini che comunque possono riguardare detto principio monopolistico.

Dal suo canto la difesa della Regione siciliana, con memoria depositata il 7 marzo, illustra i motivi precedentemente esposti e in particolar modo sostiene che nessuna norma costituzionale é stata violata dalla legge impugnata, con la quale la Regione ha inteso dare una organizzazione più funzionale ad un servizio, quale quello della riscossione dei tributi erariali, di riconosciuta competenza regionale.

 

Considerato in diritto

 

In ordine alle eccezioni pregiudiziali sollevate dalla Regione sulla incompetenza della Corte costituzionale a giudicare in via principale delle controversie circa la legittimità costituzionale delle leggi siciliane e sulla inammissibilità del ricorso per inosservanza dei termini e delle condizioni di cui all'art. 127 della Costituzione é da rilevare che questa Corte ha già esaminato e deciso tali questioni con la sentenza n. 38 del 27 febbraio 1957.

Con la detta sentenza la Corte ha affermato essere un dato certo dell'ordinamento positivo e una necessaria conseguenza del nostro sistema costituzionale il principio dell'unità della giurisdizione costituzionale e che il principio stesso impone di considerare come provvisoria la speciale competenza dell'Alta Corte nei giudizi di legittimità delle leggi siciliane e delle leggi dello Stato rispetto alla Regione, nonché nelle controversie sulla costituzionalità dei regolamenti dello Stato. La competenza dell'Alta Corte siciliana é stata pertanto ritenuta assorbita in quella, più ampia e diversamente regolata, della Corte costituzionale dal momento della entrata in funzione di questa Corte.

Nella stessa sentenza n. 38 é stato inoltre precisato che la affermazione della competenza di questa Corte non importa deroga, quanto al modo e ai termini di proposizione del giudizio, alle disposizioni contenute nell'art. 28 dello Statuto siciliano, le quali bene si inseriscono nella particolare condizione di autonomia riconosciuta alla Regione siciliana dal suo Statuto speciale.

Nell'impugnazione in esame i termini e le condizioni di cui all'art. 28 dello Statuto speciale sono stati rispettati. Il ricorso é stato infatti proposto anche dal Commissario dello Stato e notificato il quinto giorno successivo alla comunicazione della legge approvata dall'Assemblea regionale.

Le eccezioni pregiudiziali sopra accennate debbono quindi essere respinte.

Sul merito deve preliminarmente osservarsi che la questione sollevata in via principale nel ricorso dal Commissario dello Stato, circa la potestà legislativa della Regione siciliana in materia tributaria in genere e di riscossione di tributi erariali in specie, non é fondata. Anche su questa questione la Corte costituzionale ha già avuto modo di delineare i principi in base ai quali la questione stessa deve essere risolta.

Con sentenza n. 9 del 17 gennaio 1957 questa Corte ha infatti precisato che alla Regione siciliana spetta una potestà normativa, concorrente e sussidiaria, anche riguardo ai tributi erariali; che questo potere normativo si esplica nell'ambito del territorio regionale nel rispetto dei limiti derivanti non solo dalle leggi costituzionali ma anche dai principi e dagli interessi generali cui si uniformano le leggi dello Stato. Inoltre, la necessità di ricollegare ad un sistema unitario sul territorio nazionale l'obbligazione tributaria, impone alla potestà legislativa regionale, in questa materia, una ulteriore limitazione consistente nel dovere di uniformarsi all'indirizzo e ai principi fondamentali della legislazione statale per ogni singolo tributo.

Le affermazioni e precisazioni sopra ricordate valgono ovviamente anche per quel che concerne la competenza della Regione ad emanare norme sulla riscossione dei tributi non espressamente riservati allo Stato.

Anzi questa Corte, sin dalla citata sentenza n. 9 del 17 gennaio 1957, ha deciso che la materia della riscossione dei tributi di spettanza della Regione é proprio una di quelle in relazione alle quali al generico riconoscimento della potestà normativa regionale, in base all'art. 36 dello Statuto siciliano, é presto seguito, con il decreto legislativo 12 aprile 1948, n. 507, l'effettivo trasferimento alla Regione della funzione amministrativa. Per effetto di questo trasferimento la Regione é subentrata nella posizione giuridica dello Stato nei confronti degli organi amministrativi incaricati del servizio di riscossione (art. 3, legge regionale lo luglio 1947, n. 2).

I criteri di interpretazione sin qui esposti sono stati successivamente ribaditi nelle sentenze nn. 11, 13 e 14 del 18 gennaio 1957 e nn. 18 e 19 del 19 gennaio 1957, e ancora una volta riaffermati nella decisione n. 42 del 1 marzo 1957.

In base agli stessi principi si possono adeguatamente impostare anche le questioni che interessano la controversia in esame.

Discende infatti da essi che la illegittimità costituzionale della legge regionale impugnata non potrebbe derivare da una generica preclusione, per la Regione siciliana, di emanare norme in materia di riscossione di diritti erariali, bensì dalla violazione dei limiti oggettivi sopraindicati.

A questo proposito sfuggono ad ogni censura, sul piano della costituzionalità, le norme contenute nella legge impugnata nella parte in cui esse prevedono che il servizio di accertamento, liquidazione e riscossione, e riparto tra i comuni interessati, dei diritti erariali in questione sia affidato, nel territorio della Regione, e alle condizioni da stabilirsi in apposita convenzione, ad un istituto di diritto pubblico o ad un ente particolarmente attrezzato per l'espletamento del servizio (artt. 1 a 3). Del pari non può esser posta in dubbio la facoltà della Regione di disciplinare la materia amministrativa della riscossione. Spetta pertanto alla Regione il potere di organizzare, nel modo che ritenga più funzionale, i servizi di riscossione ad essa affidati, ed esorbita dal sindacato di questa Corte, non essendo apprezzabile, sul piano della legittimità costituzionale, tutto quanto attiene alla scelta dei mezzi tecnici per l'organizzazione dei servizi stessi.

Sotto questo aspetto le deduzioni dell'Avvocatura dello Stato, nel punto in cui si prospetta un preteso difetto di interesse regionale a regolare la riscossione dei detti diritti in difformità della legislazione dello Stato, non possono avere rilevanza ai fini del giudizio.

Non appare sostenibile la tesi che l'affidamento del servizio della loro liquidazione e percezione ad un istituto od ente particolarmente attrezzato contrasti con i principi ed interessi generali o, più specificamente, con i principi della legislazione statale sulla riscossione dei tributi. In verità, a parte che la legislazione tributaria non é affatto ispirata al principio che l'imposta debba essere riscossa a mezzo degli stessi organi dell'ente titolare del diritto di imposta, é decisivo, nel caso, il rilievo che quegli stessi diritti in relazione ai quali la Regione, con la legge impugnata, ha esercitato il potere di disciplinarne la riscossione, sono, nella legislazione nazionale, affidati per l'esazione proprio ad un ente, la Società Italiana Autori ed Editori (S.I.A.E.), con il quale é stata stipulata apposita convenzione (v. D. M. 17 novembre 1951, in Gazzetta Ufficiale, 9 gennaio 1952, n. 7).

Parimenti non può ritenersi costituzionalmente illegittima la legge impugnata nella parte nella quale si prevede la competenza dei funzionari dell'Assessorato regionale per le finanze ad accertare le contravvenzioni alle disposizioni sui diritti erariali sui pubblici spettacoli (art. 4), e che il controllo sulla riscossione, in forma ispettiva, oltre che a funzionari dell'Assessorato regionale possa essere demandato ad un ispettore delle tasse e imposte indirette sugli affari. Per l'art. 20 dello Statuto siciliano la Regione, nelle materie in cui é titolare del potere normativo, esercita la funzione amministrativa. E non é dubbio che si ricomprendano istituzionalmente in questa funzione sia la potestà di polizia tributaria che le leggi riconoscono all'autorità finanziaria (nella fattispecie, art. 64 legge 30 dicembre 1923, n. 3276), sia il potere di vigilanza sull'attività degli enti che esercitano funzioni di interesse pubblico. La forma di controllo prescelto, la sua adattabilità all'attività in rapporto alla quale si svolge, gli effetti pratici rispetto allo scopo e, più in generale, la organizzazione del suo funzionamento, costituiscono altrettanti aspetti di un problema la cui soluzione é rimessa alla scelta della Regione secondo esigenze tecniche e pratiche che essa sola é libera di apprezzare. Inoltre essendo, come si é già detto, da tempo intervenuto in questa materia il trapasso dallo Stato alla Regione del relativo servizio, per effetto di questo trapasso, sia pure in via transitoria, si é verificata la messa a disposizione, ai fini dell'esercizio del servizio, dell'apparato burocratico statale. Non si può pertanto revocare in dubbio che la Regione possa disporre, per il controllo ispettivo in materia tributaria, di qualificato personale statale, ciò trovandosi, oltre tutto, testualmente stabilito dall'art. 3, secondo comma, della legge regionale 1 luglio 1947, n. 2, non impugnata dallo Stato e già in vigore all'atto dell'emanazione del ricordato D.P.R. n. 507 del 12 aprile 1948.

Ciò posto, é da esaminare se la legge impugnata, nelle parti che si riferiscono all'imposta unica sui giuochi di abilità e sui concorsi pronostici, si sottragga oppure no alla censura di illegittimità costituzionale sollevata dall'Avvocatura dello Stato. Questa censura, con la quale si contesta che la Regione siciliana abbia il potere di riscuotere anche la detta imposta, si appalesa fondata, giacché tal potere é in contrasto con la disposizione contenuta nel secondo comma dell'art. 36 dello Statuto siciliano.

Giova in proposito ricordare che con il D.P.R. 14 aprile 1948, n. 496, l'esercizio dell'attività di giuoco, ivi compresi i concorsi pronostici e giuochi di abilità, divenne oggetto di monopolio statale, e che sia il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.) che l'Unione Nazionale Incremento Razze Equine (U.N.I.R.E.), ai quali fu concesso di esercitare i concorsi pronostici connessi con le attività sportive di rispettiva competenza, furono obbligati a corrispondere allo Stato una tassa pari al 16 per cento di tutti gli introiti lordi.

La legge istitutiva di questa imposta - detta tassa di lotteria - non fu impugnata dalla Regione, la quale non partecipò mai ai proventi di questo tributo, di cui non vi é traccia nei bilanci preventivi di ciascun esercizio finanziario.

La ragione della riserva statale sulla tassa di lotteria é da ricercare nel fatto che tale cespite, come risultante dalla privativa statale sulle attività di gioco, deve essere equiparato ai proventi del gioco del lotto, e quindi cade sotto il disposto del ricordato secondo comma dell'art. 36 dello Statuto siciliano.

Seguì la legge 22 dicembre 1951, n. 1379, la quale assorbì nella tassa di lotteria - elevandone l'aliquota - ogni tassa sugli affari e ogni altro tributo diretto o indiretto, che prima erano separatamente percetti, relativi ai giuochi di abilità e ai concorsi pronostici (art. 5). Queste imposte vennero incorporate nell'imposta di lotteria e ne assunsero la natura, tanto che l'imposta venne, da allora, denominata imposta "unica" sui giuochi di abilità e sui concorsi pronostici (art. 1). Ciò chiaramente denota l'unicità dell'imposta e l'effetto "sostitutivo" - come é detto nella legge stessa (citato art. 5) - della imposta medesima alle altre imposte che prima erano separatamente dovute. Risulta quindi confermato, anzi accentuato, nella rilevata unicità, il carattere di imposta di monopolio e com'essa si riannodi al ricordato disposto del secondo comma dell'art. 36 dello Statuto siciliano.

Diversa cosa é se l'unificazione dei tributi in un unico tributo di lotteria a carattere monopolistico pregiudichi o meno la questione relativa al riparto del gettito tra lo Stato e la Regione. Tale questione esula dall'oggetto del presente giudizio, che riguarda la riscossione del tributo. Rispetto a questo punto, in base alle cose fin qui dette, non può non concludersi che trattandosi di una imposta di lotteria, a regime di monopolio, non separabile nella sua liquidazione e riscossione, il potere di riscossione non possa che spettare allo Stato e non alla Regione.

In conseguenza debbono ritenersi assorbite le ulteriori ragioni di ricorso poste in luce dall'Avvocatura dello Stato circa la pratica impossibilità - a causa del sistema organizzato su piano nazionale, di determinazione delle aliquote, di liquidazione dell'imposta, di ripartizione del gettito alle Amministrazioni dello Stato interessate ed ai Comuni - della riscossione e del riparto del tributo su base regionale; e circa la invadenza della legge regionale impugnata al di fuori del territorio della Regione, in quanto si colpirebbero enti, come il C.O.N.I. e l' U.N.I.R.E. , che svolgono la loro attività su tutto il territorio nazionale, con una organizzazione necessariamente centralizzata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) respinge la eccezione di incompetenza della Corte sollevata dalla difesa della Regione siciliana;

2) respinge le eccezioni di improponibilità e inammissibilità sollevate dalla stessa difesa;

3) in parziale accoglimento del ricorso, e in riferimento alla disposizione contenuta nel secondo comma dell'art. 36 dello Statuto della Regione siciliana, dichiara la illegittimità costituzionale della legge regionale siciliana approvata il 18 gennaio 1957, recante provvedimenti in materia di riscossione dei diritti erariali, nella parte che si riferisce alla imposta unica sui giuochi di abilità e sui concorsi pronostici.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 aprile 1957.

 

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA

 

Depositata in cancelleria il 13 aprile 1957.