Sentenza n. 28 del 1961
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SENTENZA N. 28

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 27 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, promosso con ordinanza emessa il 6 aprile 1960 dal Tribunale di Novara nel procedimento civile vertente tra Paggi Giovanni e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 54 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 137 del 4 giugno 1960.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 22 marzo 1961 la relazione del Giudice Francesco Pantaleo Gabrieli;

uditi l'avv. Franco Agostini, per Paggi Giovanni, l'avv. Guido Nardone, per l'Istituto nazionale della previdenza sociale, e il sostituto avvocato generale dello Stato Valente Simi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

Nel procedimento civile vertente tra Paggi Giovanni e l'I.N.P.S. il Tribunale di Novara ha pronunciato ordinanza in data 6 aprile 1960, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale affinché decida, se non sia da ritenersi illegittimo l'art. 27 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, in relazione agli artt. 2 e 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e 76 della Costituzione.

Nell'ordinanza si premette che il Paggi vedeva respinta dal comitato esecutivo centrale dell'I.N.P.S. la domanda intesa ad ottenere la liquidazione della pensione di vecchiaia in quanto, essendo egli titolare di pensione a carico del Ministero dei trasporti-ferrovie dello Stato, non avrebbe diritto alla pensione autonoma nell'assicurazione generale obbligatoria, ma soltanto ad un supplemento, pari al 20 per cento dei contributi versati, ai sensi dell'art. 27 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818.

Il Paggi conveniva, pertanto, in giudizio l'I.N.P.S. ed eccepiva la illegittimità costituzionale, sotto il profilo dell'eccesso di delega, del citato articolo 27, assumendo che il medesimo, emanato in virtù dell'art. 37 della legge delegante 4 aprile 1952, n. 218, avrebbe modificato in senso restrittivo le norme concernenti le pensioni di vecchiaia dell'I.N.P.S. Per le quali, gli unici requisiti - tutti ricorrenti nella specie - per il conseguimento della pensione di vecchiaia sono: il compimento del 60 anno di età; un'anzianità assicurativa di almeno 15 anni e l'avvenuto versamento di n. 416 contributi settimanali (art. 2 cit. legge n. 218 del 1952).

A motivare la rilevanza della questione sollevata e la non manifesta infondatezza di essa, nella ordinanza si osserva che l'art. 10 della legge 4 aprile 1952, n. 218, sia pure ad altri effetti, riconosce il principio del cumulo delle pensioni, mentre l'art. 27 in questione lo ha implicitamente negato con l'introdurre, in sua vece, il menzionato supplemento di pensione in misura del 20 per cento dell'ammontare dei contributi base "qualunque sia il numero dei contributi complessivamente risultanti"; cioè, tanto nel caso in cui l'assicurato abbia maturato il diritto alla pensione intera nell'assicurazione generale obbligatoria, quanto nel caso opposto.

Si osserva, inoltre, che la legge delegante aveva dato mandato al Governo di emanare norme di attuazione e di coordinamento in conformità dei principi e dei criteri ai quali essa legge si informa e che la norma dell'art. 27 della legge delegata non sembra possa considerarsi norma di attuazione, in quanto contrasterebbe con le norme della legge alla quale dovrebbe darsi attuazione, né di coordinamento, giacché va al di là di una semplice armonizzazione di una serie di norme. L'ordinanza é stata ritualmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, nonché pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 137 del 4 giugno 1960.

Si sono costituiti in giudizio sia il Paggi che l'I.N.P.S. É intervenuto, altresì, il Presidente del Consiglio dei Ministri. Il primo, rappresentato e difeso dall'avv. Vezio Crisafulli e dall'avv, Franco Agostini con elezione di domicilio presso lo studio del primo, in Via Pasubio, n. 1, ha dedotto quanto segue.

La delega era stata conferita al potere esecutivo per emanare norme transitorie e di attuazione della legge 4 aprile 1952, n. 218, nonché per coordinare le vigenti norme sulle assicurazioni sociali con quelle della legge medesima. Conseguentemente, l'art. 27 della citata legge delegata n. 818 concreterebbe un evidente eccesso di tale delega, in quanto non solo non costituirebbe attuazione della su riportata legge n. 218, né potrebbe in alcun modo considerarsi norma di coordinamento di essa con le altre norme che disciplinano le assicurazioni sociali, ma, anzi, sarebbe in netto contrasto con l'una e le altre. Infatti, detto articolo disconosce il diritto dell'assicurato, titolare di altra pensione sostitutiva dell'assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia ecc., ad ottenere quest'ultima pensione, attribuendo, invece, il minore diritto ad un supplemento di pensione pari al 20 per cento dell'ammontare dei contributi base con le integrazioni di legge.

La stessa legge del 1952 e le altre disposizioni, osserva ancora il Paggi, riconoscono il diritto dell'assicurato alla pensione, anche se é in godimento di altro trattamento previdenziale, non statuendo alcuna limitazione, anzi prevedendo espressamente il cumulo (art. 10 della legge n. 218 del 1952). L'assicurato in possesso dei prescritti requisiti assicurativi ha diritto alla pensione di vecchiaia indipendentemente da altro trattamento di quiescenza, trattandosi di un diritto soggettivo che non può essere limitato se non con legge formale.

Dopo aver, poi, rammentato che già altre disposizioni del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, sono state denunciate a questa Corte perché violatrici dell'articolo 76 della Costituzione in quanto contrastanti con i principi e criteri direttivi ai quali l'articolo 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, condizionava la validità delle norme delegate, il Paggi conclude chiedendo che la Corte dichiari la illegittimità costituzionale del ripetuto art. 27 per violazione dell'art. 76 della Costituzione.

L'I.N.P.S., rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Aureli, Mario Pizzicannella, Guido Nardone e Pierino Pierini, premette nelle proprie deduzioni (depositate il 18 giugno 1960) che uno dei principi informatori dell'ordinamento previdenziale é quello che tende a rendere in ogni caso possibile l'utilizzazione della contribuzione obbligatoria versata dal lavoratore e con il suo concorso. E si citano, a riprova, gli istituti della prosecuzione volontaria dell'assicurazione obbligatoria e del coordinamento dell'assicurazione obbligatoria con quella facoltativa (artt. 57, 85, n. 2, 88, primo e secondo comma, del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, e art. 25 del R.D. 28 agosto 1924, n. 1422).

In applicazione del cennato principio - continua l'I.N.P.S. - si é provveduto in ogni occasione a garantire al lavoratore, passato dall’assicurazione obbligatoria ad un altro trattamento previdenziale, il diritto di utilizzare l'assicurazione obbligatoria rimasta interrotta, mediante la trasformazione del contributo obbligatorio in un elemento accessorio e supplementare del trattamento speciale più favorevole, misurato quasi sempre mediante il coefficiente del 20 per cento.

Per comprovare questa affermazione si citano gli articoli: a) 32 del R.D.L. 26 ottobre 1919, n. 1996, modificato dalla legge 19 agosto 1938, n. 1560, per i marittimi; h) art. 11 del R.D. 24 luglio 1931, n. 1098, per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia; c) art. 15 R.D. 3 maggio 1937, n. 1021, per i dipendenti delle esattorie e ricevitorie delle imposte dirette; d) art. 14 del R.D.L. 12 maggio 1938, n. 908, per gli addetti alle gestioni appaltate delle imposte di consumo.

Il ripetuto principio avrebbe ricevuto il suo completamento - sempre secondo l'I.N.P.S. - con la legge 2 aprile 1958, n. 322, che ha reso comunicanti i trattamenti speciali di previdenza con l'assicurazione generale obbligatoria, in vista del medesimo fine della utilizzazione previdenziale dell'intera vita di lavoro dell'assicurato.

Per confermare ulteriormente la esattezza del proprio assunto, l'I.N.P.S. rileva:

a) che la legge 4 aprile 1952, n. 218, nel disciplinare l'istituzione della prosecuzione volontaria dell'assicurazione obbligatoria ha, in certo modo, ristretta la possibilità del lavoratore, che ha compiuto l'età pensionabile, di raggiungere i requisiti di contribuzione richiesti per conseguire il diritto a pensione, in quanto ha posto come condizione necessaria per ottenere di proseguire volontariamente il rapporto assicurativo interrotto, il possesso dell'anno di contribuzione nel quinquennio precedente l'interruzione (art. 5);

b) che la stessa legge ha definitivamente ridisciplinato l'assicurazione facoltativa (art. 29), restituendole la sua fisionomia propria di assicurazione basata sulla continuazione di risparmio e commisurandone le prestazioni ai consueti coefficienti tecnici derivanti dalle tavole di sopravvivenza, dopo aver provveduto a rivalutare i contributi versati fino al 1957.

Da tale riordinamento sarebbe conseguita la pratica impossibilità di utilizzare il contributo base obbligatorio (che si trasforma in prestazione mediante l'applicazione di un coefficiente e di un moltiplicatore fisso), come contributo facoltativo, poiché, dato il suo simbolico valore - (che é presso a poco quello d'anteguerra)-, l'utilità che ne ricaverebbe l'assicurato sarebbe irrisoria.

Ciò posto, il legislatore delegato - argomenta l'I.N.P.S. - trovandosi a dover disciplinare la sorte delle contribuzioni obbligatorie rimaste interrotte per il passaggio del lavoratore nell'ambito di un trattamento particolare di previdenza, e sopravvenute in seguito ad un' attività di lavoro subordinato intrapresa dopo maturato il diritto a pensione, non poteva avvalersi degli istituti della prosecuzione volontaria e della assicurazione facoltativa che la stessa legge n. 218, come ora si é detto, aveva modificati e resi inadatti allo scopo di conseguire l'attuazione del sopravvivente principio della conservazione della contribuzione obbligatoria insufficiente. Ma lo stesso legislatore ha trovato nell'art. 27 della legge n. 218 una direttiva, peraltro già attuata nei casi particolari innanzi citati: quella direttiva, cioè, secondo la quale la contribuzione versata dopo maturato il rischio non é inutile, ma attribuisce all'assicurato un diritto ad un trattamento supplementare.

L'art. 27 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, attua, dunque, questa direttiva nell'intento di conservare e generalizzare l'altra e principale finalità dell'ordinamento previdenziale: consentire al lavoratore di utilizzare tutti i contributi versati durante la sua vita di lavoro.

E poiché detta norma - conclude l'I.N.P.S. - condiziona il diritto a tale supplemento al solo maturarsi del rischio, rendendolo indipendente dai periodi di attesa e dai minimi di contribuzione necessaria per ottenere la pensione (minimi e periodi secondo l'id quod plerumque accidit irraggiungibili entro i limiti dell'età di 60 anni, per chi ha compiuto la propria vita di lavoro fino a conseguire la pensione di un trattamento speciale), la lieve diminuzione del valore che, in rari casi, il supplemento subisce rispetto all'intera pensione, trova un ampio compenso anche sotto il profilo economico.

Con ciò si intende, naturalmente, affermare per qual via può ritenersi sanata l'eventuale illegittimità della norma. Con la quale, invece, si ripete, si attua un coordinamento fra i principi della legge n. 218 e quelli generali dell'ordinamento previdenziale, rispetto ad una fattispecie - utilizzazione dei contributi obbligatori versati per periodi di lavoro marginale - che era stata tenuta sempre presente dal legislatore previdenziale; per la quale, peraltro, in seguito al sopravvenire della legge delegante, occorreva disporre una nuova disciplina. Il che, uniformandosi ai criteri (art. 27 legge n. 218 e legge speciale citata) della legge delegante che l'ordinamento previdenziale dettava, compiutamente avrebbe fatto il legislatore delegato.

Chiede, pertanto, l'I.N.P.S. che la Corte dichiari manifestamente infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso come per legge dall'Avvocatura dello Stato, nell'atto di intervento depositato il 30 aprile 1960 premette che la liquidazione di un supplemento di pensione nella misura del 20 per cento dei contributi base, preveduto nell'art. 27 impugnato, non é, come può apparire a prima vista, un diniego di pensione, ma la fissazione della pensione nella misura normale derivante dal sistema previdenziale contributivo, detrattane la parte, non rilevante, di carattere assistenziale. E per chiarire tale assunto l'Avvocatura osserva che secondo i principi generali di cui all'art. 2 della legge delegante, la pensione viene liquidata nella misura del 45 per cento sulle prime 1500 lire di contribuzione, del 33 per cento sulle seconde 1500 lire e del 20 per cento su ogni residuo di contribuzione. Conseguentemente, il supplemento in parola altro non é che una pensione liquidata in toto sulla base del 20 per cento, senza tener conto delle aliquote particolari esistenti per le prime 3000 lire di contribuzione.

La divergenza tra l'art. 27 e l'art. 2 consisterebbe, pertanto, non già nella sostituzione alla pensione di un supplemento, ma nel calcolo della pensione senza tener conto delle più favorevoli aliquote dettate per le prime 3000 lire di contribuzione.

Premette ancora l'Avvocatura che, in virtù dell'art. 27, chi già dispone di pensione derivante da una forma sostitutiva di assicurazione può utilizzare i contributi versati nell'assicurazione obbligatoria generale, anche se essi non avrebbero dato, di per sé, il diritto a prestazioni assicurative.

Si tratta, cioè, di una norma unica relativa a tutti i contributi, sia a quelli che sarebbero andati perduti, perché insufficienti a conferire il diritto a pensione, sia a quelli che, invece, in via normale, avrebbero attribuito il diritto alla pensione nell'assicurazione generale. La norma, pertanto, ha due aspetti: uno, nel quale si rivela come più favorevole ai lavoratori assicurati; l'altro, nel quale appare meno favorevole ad essi di quello che sarebbe risultato dalla considerazione distinta e dal pieno cumulo delle prestazioni della assicurazione obbligatoria e della forma sostitutiva.

Ciò premesso, si osserva che la disposizione in parola indubbiamente non contrasta con la legge delegante e col sistema quando stabilisce, riunendo le due assicurazioni, che le contribuzioni sufficienti per il diritto a pensione, vengono considerate ai fini di attribuire un supplemento a favore degli interessati.

Ma la disposizione appare legittima - continua l'Avvocatura - anche per la parte in cui non attribuisce all'assicurato il beneficio delle maggiori aliquote innanzi cennate.

La legge delegante - si argomenta - ha tracciato all'art. 10 il criterio che le prestazioni della assicurazione generale e quelle della forma sostitutiva debbono sommarsi e considerarsi come unica prestazione rispetto ai limiti della pensione previsti dall'articolo stesso.

Consegue da ciò, che quei benefici eccezionali assistenziali i quali tendono a far raggiungere alla pensione nell'assicurazione generale un livello da consentire un minimo di mantenimento, non possono trovare applicazione quando il soggetto assicurato fruisca anche di altra pensione in una delle forme cosiddette sostitutive. La legge delegata, pertanto, interpretando le disposizioni precedenti, esattamente avrebbe ritenuto che l'aliquota speciale fissata per le prime 3000 lire di contribuzione rientri in quel gruppo di benefici che tendono ad assicurare il livello minimo e che, quindi, non trovano applicazione quando si abbia il cumulo delle forme pensionistiche. Benefici, ripetesi, di carattere assistenziale che si aggiungono alla previdenza solo se necessari per raggiungere il ripetuto minimo.

L'art. 27, quindi, é norma di attuazione della legge delegante - conclude l'Avvocatura - più che nei suoi precisi articoli, nei criteri generali che la informano, espressi dall'art. 10, ed é anche norma di coordinamento, perché pone una disposizione generale che contempla e supera quelle particolari conformi dettate dalle singole leggi previdenziali, per gli stessi motivi volte a regolare il cumulo tra le prestazioni nell'assicurazione obbligatoria e le prestazioni sostitutive.

Si chiede, pertanto, che la Corte respinga la eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 27 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818.

Le parti hanno depositato, nei termini, memorie illustrative.

La difesa del Paggi, ricollegandosi alle precedenti deduzioni, rileva che il lavoratore assicurato nella assicurazione obbligatoria di invalidità, vecchiaia ecc., indipendentemente dal fatto di essere titolare di pensione in diversi trattamenti di previdenza, ha diritto alla pensione della detta assicurazione obbligatoria, acquistando, con lo stato giuridico di pensionato, determinati benefici economici. Gli artt. 2 e 10 della legge del 1952, n. 218, confermano la cumulabilità dei due cennati trattamenti di pensione. Soggiunge che la distinzione proposta dall'Avvocatura tra diritti strettamente assicurativi e diritti assistenziali non ha fondamento nel regime giuridico delle prestazioni in oggetto; che se mai potrebbero considerarsi assistenziali le prestazioni previste dall'art. 10 citato ai fini di integrare il minimo pensionabile anche quando non sia raggiunto con i contributi versati, ma non le prestazioni previste in misura percentuale sui contributi effettivi dall'art. 2, nella parte in cui questo modifica l'art. 12 del R.D.L. n. 636 del 1939.

Quanto al potere di coordinamento delegato dall'art. 37 della legge del 1952, n. 218, esso dovrebbe riguardare il problema della utilizzazione dei contributi versati nell'assicurazione obbligatoria del lavoratore passato ad altro trattamento assicurativo; problema risoluto dagli artt. 2 e 10 della citata legge del 1952 nel senso che, quando i contributi sono sufficienti per il diritto alla pensione debbono essere calcolati integralmente. L'articolo 27 della stessa legge disciplina, poi, la utilizzazione dei versamenti effettuati dopo che il diritto a pensione é maturato. Al legislatore delegato rimaneva a regolare l'utilizzazione dei contributi versati prima che il diritto a pensione fosse maturato, ma insufficienti a perfezionare tale diritto. Entro questi limiti si può giustificare la norma impugnata.

Infine, le disposizioni delle leggi speciali richiamate sono inconferenti ai finì della controversia.

La difesa dell'I.N.P.S. insiste nell'affermare che l'art. 27 del decreto n. 818 del 1957 va inserito nelle norme intese a garantire al lavoratore, specie nei casi in cui il rapporto assicurativo rimane interrotto, la utilizzazione delle contribuzioni affluenti, per titoli diversi, ma nascenti dalle esplicazioni di una attività lavorativa, in fondi previdenziali distinti. Richiamandosi, poi, agli artt. 37 e 38 del R. D. L.4 ottobre 1935, n. 1827, aggiunge che il legislatore ha voluto affidare alle assicurazioni obbligatorie una funzione di tutela generale di tutti i lavoratori compresi i pubblici dipendenti; che esiste una connessione tra assicurazione generale e trattamenti sostitutivi, i quali condizionano il sorgere dell'obbligo generale assicurativo, dando luogo ad entità giuridiche vincolate quanto meno da una condizione di reciproca interpretazione in virtù del principio della continuità del rapporto assicurativo, vigente nell'ordinamento previdenziale.

Infine, il coordinamento dei due rapporti previdenziali é stato regolato dall'art. 27 della legge delegata col principio della supplementarità, desunto da quanto é stabilito dal legislatore ordinario in casi analoghi e da direttive seguite dalla stessa legge delegante (ex artt. 12 e 27 legge 4 aprile 1952, n. 218).

L'Avvocatura dello Stato ritorna sull'argomento, che l'ammontare dei contributi base, stabilito dalla norma impugnata, non costituisce parte di pensione, ma la stessa pensione spettante per l'assicurazione generale, decurtata da modesti coefficienti preferenziali; ribadisce, inoltre, il carattere di norma di attuazione e di coordinamento della disposizione dell'art. 27 della legge delegata.

All'udienza del 22 marzo 1961 la difesa delle parti illustra ulteriormente i precedenti argomenti, insistendo nelle già prese conclusioni.  

Considerato in diritto 

La Corte é chiamata a decidere, se la norma dell'art. 27 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818 (legge delegata), emanata in virtù dell'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218 (legge delegante), abbia ecceduto i limiti della delega, in quanto stabilisce di corrispondere un supplemento annuo del 20 per cento dell'ammontare dei contributi-base "... ai beneficiari di pensioni a carico di forme obbligatorie previdenziali sostitutive dell'assicurazione per la invalidità e la vecchiaia... che abbiano dato titolo alla esclusione o all'esonero da detta assicurazione ... qualunque sia il numero dei contributi complessivamente risultanti..,

Presupposto di questa disposizione é che il lavoratore, già assicurato nell'assicurazione generale obbligatoria e passato ad un nuovo lavoro, coperto da forma sostitutiva di assicurazione, abbia maturato il diritto a pensione a carico di quest'ultima. Il lavoratore, relativamente all'originario rapporto assicurativo I.N.P.S., può avere continuato a versare, col sistema della contribuzione volontaria (art. 16 legge cit. n. 218), i contributi fino a completare l'ammontare stabilito per il diritto a pensione nell'assicurazione obbligatoria; può, invece, avere versato un numero di contributi insufficiente a coprire il minimo richiesto per il diritto a pensione di detta assicurazione. L'ampia formulazione legislativa del citato art. 27 consentirebbe di liquidare la posizione assicurativa I.N.P.S. col coefficiente del 20 per cento dei contributi-base, qualunque sia il numero dei contributi versati o accreditati. In tale modo il legislatore delegato avrebbe inteso regolare gli effetti di due distinti rapporti previdenziali, l'uno derivante dall'assicurazione obbligatoria generale, che può non essersi perfezionato, l'altro originato da una forma sostitutiva di detta assicurazione, che ha dato luogo ad un autonomo diritto a pensione. Ma così disponendo, ha violato i limiti posti dalla delega (articolo 37 legge 4 aprile 1952, n. 218).

Giova, infatti, ricordare che per quanto ampio possa considerarsi, il potere di coordinamento, oggetto di delega legislativa, va inteso nel senso di colmare le lacune e disarmonie esistenti nel settore del sistema giuridico cui la delega si riferisce; e che i principi direttivi desunti dalla legge delegante non possano legittimare una norma in contrasto con una disposizione della stessa legge delegante (Corte cost. sent. n. 16 del 19 gennaio 1957; sent. n. 42 del 25 giugno 1958; sent. n. 24 del 18 aprile 1959, sent. n. 2 dell'11 marzo 1961).

Ciò premesso, a sostegno della legittimità dell'art. 27 si assume che il supplemento valutato in misura del 20 per cento sulla contribuzione-base attua il principio, vigente nell'ordinamento previdenziale, della utilizzazione dei contributi versati, di per sé insufficienti a dare vita al diritto a pensione e che lo stesso coefficiente del 20 per cento é stato assunto come criterio in varie norme della legge delegante riguardanti il trattamento di posizioni assicurative. Ma le disposizioni invocate o sono irrilevanti ai fini del decidere (esempio: R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, artt. 57, 85, n. 2, 88, commi primo e secondo; R.D. 28 agosto 1924, n. 1422, art. 25 secondo comma); o riguardano situazioni che il legislatore ha creduto di regolare espressamente con norme che, non accogliendo una disciplina né uniforme, né univoca, non possono dare vita ad un criterio direttivo nella sfera previdenziale (esempio: R.D. 24 giugno 1931, n. 1098, art. 11; R.D. 3 maggio 1937, n. 1021, art. 15; R.D. 20 ottobre 1939, n. 1863, art. 14; legge 31 marzo 1956, n. 293, art. 17; R.D.L. 26 ottobre 1919, n. 1996, art. 32, modificato dalla legge 19 agosto 1938, n. 1560, e dalla legge 25 luglio 1952, n. 915, art. 9). Né, tanto meno, si può ritenere che il coefficiente del 20 per cento debba considerarsi un criterio adottato dalla legge del 1952, giacché essa indica vari coefficienti con finalità diverse (artt. 9, 12, 13, 18, 27 nel testo modificato dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218). Ché, anzi, l'avere la legge delegante previsto particolari situazioni assicurative, come quella del lavoratore che, con diritto a pensione, continua a lavorare alle dipendenze altrui (art. 12), e del lavoratore che differisce la liquidazione della pensione (art. 27), stabilendo che i contributi versati dopo l'età pensionabile si traducono in un supplemento di pensione calcolato in misura non uniforme, sta a significare che questa materia é stata sottratta al potere delegato. Invero, trattandosi di porre limiti ad un diritto soggettivo, quale é il diritto a pensione, riconosciuto dalla legge delegante, come detti limiti non si possono desumere in via di interpretazione da disposizioni che riguardano differenti situazioni giuridiche, così non possono comprendersi nel potere di coordinamento, ove la formulazione della delega non lo consenta.

Inoltre, il coefficiente del 20 per cento disposto dall'art. 27, arbitrariamente decurta la pensione I.N.P.S. anche nell'ipotesi dell'intero versamento di contributi, disconoscendo la possibilità del cumulo delle due pensioni già perfezionate, la pensione ex assicurazione obbligatoria e la pensione ex trattamento sostitutivo, ponendosi in contrasto con la legge del 1952. E per quanto dal sistema legislativo previdenziale non possa desumersi un principio per il coordinamento delle pensioni, tuttavia in alcuni casi il cumulo é ammesso, come per la legge del 1952 n. 218. La quale nell'art. 2 (artt. 9 e 12 del testo modificato) stabilisce che, quando l'assicurato nell'assicurazione obbligatoria sia in possesso dei requisiti richiesti (anzianità di età e di assicurazioni e minimo di contributi versati o accreditati: nella specie l'assicurato aveva tali requisiti), ha diritto a liquidare la pensione costituita da coefficienti espressamente stabiliti; e nel successivo art. 10 prevede espressamente il cumulo, confermato da questa Corte con la sentenza n. 35 del 24 maggio 1960. Né, come vorrebbe la difesa, la disposizione impugnata potrebbe legittimarsi, considerandola norma di collegamento tra le due pensioni; perché nella legge delegante non é dato ravvisare nessuna disposizione cui possa riferirsi l'art. 27. Ché anzi al collegamento provvede lo stesso art. 10, il quale, dopo avere stabilito che le pensioni ex assicurazioni obbligatorie non possono essere inferiori ad un determinato minimo (comma secondo), soggiunge che tale integrazione non si applica a chi fruisce di due pensioni, qualora, in virtù del cumulo, il pensionato abbia un beneficio mensile superiore al cennato minimo garantito.

Si sostiene, infine, che l'art. 27 sia una norma di attuazione del citato art. 10, in quanto precisa come il cumulo delle due pensioni debba eseguirsi. Ma una norma in tale senso sarebbe superflua perché, come si é detto, lo stesso art. 10 stabilisce le modalità del cumulo.

Rileva, da ultimo, la Corte che, essendo state dichiarate incostituzionali varie norme del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818 (sent. n. 24 del 18 aprile 1959; sent. n. 34 del 24 maggio 1960; sent. n. 35 del 24 maggio 1960; sent. n. 2 dell'11 marzo 1961), sia necessario che il legislatore riveda l'intera materia.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'articolo 27 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, sul riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia e i superstiti, in relazione all'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e con riferimento all'art. 76 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 1961.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 27 maggio 1961.