Sentenza n. 22 del 1961
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SENTENZA N. 22

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale del disegno di legge approvato dal Consiglio regionale sardo il 16 giugno 1959, riapprovato il 25 maggio 1960, contenente norme relative al turismo, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato l'8 giugno 1960, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 15 giugno 1960 ed iscritto al n. 12 del Registro ricorsi 1960.

Vista la costituzione in giudizio del Presidente della Regione autonoma della Sardegna;

udita nell'udienza pubblica del 1 marzo 1961 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il ricorrente, e l'avvocato Pietro Gasparri, per il Presidente della Regione autonoma della Sardegna.  

Ritenuto in fatto 

Con ricorso notificato al Presidente della Giunta regionale sarda l'8 giugno 1960, il Presidente del Consiglio dei Ministri, ha chiesto che questa Corte dichiari l'illegittimità costituzionale del disegno di legge approvato dal Consiglio regionale sardo il 16 giugno 1959, riapprovato il 25 maggio 1960, contenente norme relative al turismo, perché ritenuto in contrasto con gli artt. 3, prima parte e lett, p, e 56 dello Statuto speciale per la Sardegna.

Rispetto a ciascuna delle disposizioni dell'atto normativo impugnato, i motivi d'impugnativa vengono così specificati:

a) l'art. 1 nell'attribuire all'Assessore regionale al turismo compiti che le leggi statali assegnano all'Amministrazione statale ha violato il principio fondamentale, secondo cui siffatto trasferimento di competenze non può essere altrimenti disposto che con apposita norma di attuazione, per opera dello Stato;

b) l'art. 2 é illegittimo per avere subordinato l'attività di propaganda turistica degli enti provinciali pel turismo alle direttive impartite dall'Assessorato regionale al turismo, poiché detti enti hanno per legge ordinamento ed amministrazione propri ed agiscono alla diretta dipendenza del Ministero del turismo e dello spettacolo. Anche se l'articolo si dovesse interpretare come se lasciasse sopravvivere la concorrente competenza di detto Ministero, permarrebbe la sua invalidità, perché, nel possibile contrasto di direttive, ove gli enti provinciali per il turismo seguissero quelle della Regione, l'Amministrazione statale verrebbe privata dell'effettività delle sue funzioni;

c) l'art. 3 é, poi, da considerare incostituzionale per un triplice ordine di motivi. Anzitutto perché esso, nell'affidare ad organi regionali il riconoscimento delle stazioni di cura, soggiorno e turismo, nonché la revoca di tale riconoscimento e la dispensa dalla costituzione della relativa azienda autonoma, viene a privare di queste funzioni l'Amministrazione dello Stato, a cui esse spettano in base all'ordinamento statale. Inoltre, perché dal riconoscimento delle stazioni di cura, soggiorno e turismo, che l'articolo stesso assegna alla competenza della Regione, consegue l'applicazione del contributo speciale di cura nonché l'eventuale autorizzazione alle speciali contribuzioni di cui all'art. 15 R.D.L. n. 765 del 1926: conseguono cioè effetti di rilievo tributario (non incidenti sul turismo, in quanto il primo é corrisposto da coloro che nella località riconosciuta stazione di cura, soggiorno e turismo esercitano industrie, commerci, arti e professioni, e le secondo sono corrisposte, oltre che dai turisti, dai residenti in quelle località) esorbitanti dalla materia affidata alla Regione perché attinenti a quella parte della disciplina dei tributi spettante allo Stato. Infine, perché, con l'attribuire alla Regione il potere di dispensare i Comuni dall'obbligo della formazione delle aziende autonome (potere che, invece, spetta ai Prefetti e si esercita quando sussistano giustificati motivi eccezionali che non trovino riscontro in movimenti turistici di interesse nazionale) invade la materia dell'ordinamento degli enti locali, non rientrante nella competenza regionale;

d) l'art. 4 a sua volta, attribuendo al Presidente della Giunta regionale le nomine dei Presidenti degli enti provinciali per il turismo, dei Presidenti delle aziende di soggiorno cura e turismo, nonché dei componenti i comitati di dette aziende, esautora gli organi statali a cui queste nomine sono affidate dalle leggi dello Stato, così come esautora gli organi non statali ai quali solamente spetta la nomina di alcuni dei membri dei comitati predetti, mentre essa esula dalla potestà legislativa attribuita alla Regione in materia;

e) l'art. 5, poi, viola gli artt. 3, lett. b e p, 45 e 56 dello Statuto, nonché i principi dell'ordinamento statale sull'autonomia dei Comuni perché affida all'Amministrazione regionale la vigilanza e la tutela delle aziende di soggiorno e cura, mentre secondo le leggi statali le aziende stesse seguono per questa parte la disciplina delle aziende municipalizzate e come tali sono sottoposte al controllo dei Comuni. Inoltre, per i Comuni dispensati dall'obbligo di costituire le aziende, il controllo esercitabile dalla Regione dovrebbe essere limitato agli atti, mentre la formula adoperata dall'art. 5 é così generica da rendere possibile l'estensione anche agli organi;

f) l'art. 6 conduce anch'esso all'esautoramento di organi statali quando affida all'Amministrazione regionale la funzione della "classifica alberghiera" (che per legge dello Stato spetta agli enti provinciali per il turismo, i cui provvedimenti sono soggetti a ricorso gerarchico al Ministro per il turismo e lo spettacolo), nonché quella relativa all'applicazione delle norme sul "vincolo alberghiero" e, altresì, all'annullamento di questo vincolo, di competenza dello stesso Ministro. Esautoramento che non viene eliminato pel fatto che la norma regionale prevede la previa intesa con i competenti organi statali. Si assume che analogo esautoramento l'articolo stesso induce allorché attribuisce all'Amministrazione regionale competenza in materia di "tariffe alberghiere", sia che tale competenza debba essere intesa come riferita alla determinazione di queste tariffe (nel caso si avrebbe incidenza in materia non attinente, almeno in parte, al turismo e, pertanto, sottratta alla Regione, perché spettante ai comitati provinciali prezzi) sia che essa debba essere intesa come riferentesi solo al controllo sulla loro osservanza, ora spettante agli enti provinciali per il turismo ed al Ministero del turismo e dello spettacolo;

g) infine, l'art. 7 é illegittimo perché interferisce sulla competenza statale, per quanto riguarda il coordinamento sul piano nazionale delle attività turistiche, e, pertanto, in contrasto col principio generale da esso desumibile secondo il quale competente a valutare ed a tutelare gli interessi nazionali é lo Stato che di quegli interessi é esclusivo portatore.

Il ricorso é stato depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 15 giugno 1960; del deposito é stata data notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 155 del 25 giugno 1960 e nel Bollettino della Regione autonoma della Sardegna, n. 30 del 21 giugno 1960.

La Regione autonoma della Sardegna - in persona del suo Presidente Efisio Corrias, rappresentato dall'avv. Pietro Gasparri - si é costituita in giudizio, depositando le proprie deduzioni in cancelleria il 28 giugno 1960. Essa, quanto ai motivi del ricorso che si riferiscono complessivamente a tutte le disposizioni della legge impugnata, obietta:

La censura, con la quale si afferma che con la legge impugnata il legislatore abbia usurpato allo Stato il potere di emanare norme di attuazione, si fonda su una interpretazione dell'art. 56 St. sar., erronea sotto diversi profili. Anzitutto, un'apposita norma di attuazione, da emanare con la procedura prevista da questo articolo, é necessaria solo quando si tratti di porre in essere un "passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione". Passaggio che si ha quando tutto un complesso organico periferico dello Stato, sorto prima della nascita dell'ente regionale per amministrare materie poi divenute, in virtù dello Statuto, di competenza regionale, viene trapiantato giuridicamente nell'organismo della Regione insieme con il relativo personale divenuto per lo Stato superfluo. Ipotesi del tutto diversa é, invece, quella che ricorre nella specie, del trasferimento ad organi della Regione delle funzioni già esercitate da organi centrali dello Stato, che delle stesse funzioni rimangono investiti per quanto riguarda il rimanente territorio della Repubblica. Poiché tale trasferimento non comporta modificazioni della struttura organizzativa dello Stato, deve ritenersi sufficiente che la Regione abbia precisato con proprie leggi a quale dei propri organi le funzioni in questione devono essere affidate ed abbia effettivamente costituiti gli organi stessi (salvi gli opportuni accordi con le corrispondenti amministrazioni statali riguardo al completamento delle pratiche in corso ed alla ripartizione degli oneri finanziari).

Si osserva, inoltre, come allo stato attuale sia da dubitare che norme di attuazione possano essere ancora emanate, ed addirittura se possa considerarsi ancora esistente o comunque possa rinnovarsi o sostituirsi la Commissione paritetica prevista dall'art. 56; mentre non é, per contro, da dubitare che il processo di attuazione dell'autonomia regionale non deve subire ingiustificati ritardi ed arresti.

Comunque, impropriamente si é sollevato in questa sede il problema della necessità delle norme di attuazione quale problema di legittimità di una legge regionale. La legge impugnata non si presenta come una disposizione traslativa di funzioni intesa a sostituire l'ipotetica legge statale all'uopo necessaria; volendo, invece, disporre in ordine all'apparato amministrativo regionale, é perciò da ritenere valida di per sé, a prescindere dalle eventuali condizioni esterne necessarie perché gli organi amministrativi regionali possano cominciare a funzionare. La legge in esame non contiene norme di competenza statale, poiché le attività amministrative da essa previste certamente spettano alla Regione, ai sensi degli artt, 6 e 3, lett. p, dello Statuto, così come ad essa spetta di legiferare sull'ordinamento degli uffici della Regione e, conseguentemente, di determinare quali organi dell'Amministrazione regionale debbano esercitare le attività predette e quali debbano essere le procedure relative. Sicché anche ad ammettere, in ipotesi, la necessità di un atto normativo dello Stato per far cessare la competenza in materia dei propri organi, un tale atto costituirebbe "una condizione di efficacia della legge regionale in esame, non già una condizione della sua validità"; con la conseguenza che il problema della necessità di una previa norma di attuazione potrebbe essere sollevato solo se gli organi regionali cominciassero ad agire in sostituzione dei corrispondenti organi statali, e ciò con il mezzo dell'elevamento di apposito conflitto di attribuzione.

Osserva, poi, la difesa della Regione come la seconda doglianza di carattere generale, con la quale si assume la violazione del limite alla competenza legislativa regionale costituito dal rispetto degli interessi nazionali, non può farsi valere innanzi alla Corte costituzionale, ma, se mai, innanzi al Parlamento, e ciò a parte la considerazione che é stata omessa ogni specificazione circa gli interessi che si presumono lesi.

Passando ad esaminare le censure elevate nei confronti delle singole norme, la difesa stessa obietta:

a) Con riguardo a quelle relative all'art. 1, si fa osservare come la parte del medesimo che contempla l'esistenza, nell'ordinamento amministrativo della Regione, di un Assessorato per il turismo é pienamente legittima, perché rientra nella potestà organizzativa della Regione. Ma ugualmente legittima é anche l'altra parte con cui si determinano le incombenze del detto Assessorato, mediante rinvio materiale alle norme sulle attribuzioni del Commissariato per il turismo, senza apportare ad esse alcuna modificazione, come pure sarebbe stato possibile. E poiché le attribuzioni sono state trasferite alla Regione in virtù dell'art. 6 dello Statuto, la doglianza non appare fondata. Non può dirsi che l'articolo in parola violi la regola secondo cui le leggi regionali non devono riguardare funzioni attribuite ad organi statali, perché essa non si rivolge ad esse, bensì solo all'Assessorato regionale. Se poi la censura si volesse riferire alla mancanza di apposita norma di attuazione, varrebbero le considerazioni prima richiamate a confutazione dello stesso appunto mosso alla legge nel suo complesso.

b) Con riguardo all'art. 2 si rileva, in primo luogo, che gli enti provinciali per il turismo, in quanto costituiti per operare nel territorio e su materia di competenza regionale, rientrano tra quegli "enti amministrativi della Regione", riguardo ai quali la Sardegna ha competenza legislativa primaria ai sensi dell'art. 3, lett. a, e competenza amministrativa piena ai sensi dell'art. 6. Sicché non può che spettare all'Assessorato regionale per il turismo di dirigere e coordinare l'attività di questi enti. In secondo luogo, che nessun conflitto potrebbe sorgere tra le direttive assessoriali e le eventuali direttive ministeriali, perché la competenza regionale a dare direttive per la propaganda intesa a convogliare le correnti turistiche in Sardegna non esclude l'analoga competenza dello Stato riguardo alle correnti turistiche da convogliare in Italia ed allo sviluppo del turismo interno: ed anzi le due propagande si integrano e si potenziano a vicenda. Si possono, se mai, ipotizzare rivalità fra quelle che si effettuano da parte di Regioni diverse; ma ciò é normale e può essere anche vantaggioso, ma, comunque, esula dalla questione sollevata.

Quanto all'art. 3, si afferma come una competenza legislativa in ordine all'imposta di cura e al contributo speciale di cura potrebbe essere riconosciuta alla Regione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3, lett. a e p, e 8 dello Statuto. Ma nella specie si può prescindere da tale questione perché la legge in esame non contiene nessuna disposizione di carattere tributario, limitandosi a stabilire la competenza a porre in essere degli atti amministrativi, i quali costituiscono solo il presupposto per l'applicazione dei tributi previsti dalle leggi statali.

Quanto all'art. 4 si fa notare come le nomine dei titolari, sia degli enti provinciali per il turismo che delle aziende autonome di cura, soggiorno e turismo, rientrano nella già richiamata competenza primaria, attribuita alla Regione dall'art. 3, di stabilire l'ordinamento degli enti amministrativi della Regione; e non e dubbio che fra tali enti rientrano quelli menzionati.

Si aggiunge come, in ogni caso, le nomine cui si riferisce la norma impugnata fanno parte della categoria degli atti amministrativi in materia di turismo, che la Regione é competente a compiere in base al combinato disposto degli artt. 3, lett. p, e 6 dello Statuto.

Per l'art. 5 si afferma, anzitutto, l'infondatezza del motivo basato sulla violazione dei principi delle leggi dello Stato contenuti nel T.U. 15 ottobre 1925, n. 1578, sulla municipalizzazione dei pubblici servizi, che dovrebbero valere anche per le aziende di cura, e ciò perché - anche ad ammettere tale assurda assimilazione - il limite alla competenza regionale é costituito (a termini dell'art. 3) non già dai principi delle leggi statali bensì dai "principi dell'ordinamento giuridico dello Stato".

Quanto, poi, all'accenno alla presunta violazione di principi dell'ordinamento statale sull'autonomia dei Comuni, si rileva, anzitutto, che essi, se limitati ad un determinato settore della legislazione, non possono avere la generalità necessaria a farli assurgere a principi dell'ordinamento; e poi che, in ogni caso, manca ogni precisazione del contenuto del principio che si assume violato, precisazione che costituisce onere a carico del ricorrente. Si osserva, altresì, che l'art. 5 non incide sui controlli spettanti ai Comuni, che restano impregiudicati, ma, invece, su quelli che gli artt. 16 e 55. del T.U. n. 1578 del 1925 attribuiscono alle Giunte provinciali amministrative ed ai Prefetti. Per la parte dell'impugnativa riferentesi ai controlli sui Comuni esonerati dal costituire l'azienda autonoma, si mette in rilievo come la norma debba essere interpretata, conformemente alla regola costituzionale precisata nella sentenza di questa Corte n. 24 del 1957, nel senso della limitazione dei controlli stessi ai soli atti, con esclusione di ogni estensione agli organi. Una diversa interpretazione che fosse eventualmente adottata, in via di fatto, dalla Regione potrebbe, se mai, dar luogo ad un conflitto di attribuzioni.

Per l'art. 6 la doglianza rivolta contro le disposizioni concernenti le tariffe alberghiere, se venga riferita solo alla determinazione di queste tariffe, appare sfornita di fondamento, in quanto rientra perfettamente nella competenza regionale, la quale non riguarda solo il turismo, ma si estende a tutta l'industria alberghiera, e rispetto a quest'ultima niente ha più diretta attinenza della disciplina dei prezzi praticati dagli albergatori.

Se poi la doglianza si riferisce al controllo sull'osservanza delle tariffe medesime, interpretandosi la norma impugnata nel senso che la Regione abbia voluto avocare a sé la competenza di controllo affidata dalle leggi dello Stato agli enti provinciali per il turismo, del pari la disposizione sarebbe legittima, in quanto rientrante nella materia dell'"ordinamento degli enti amministrativi delle Regioni", di competenza regionale. Anche se si ritenesse che la medesima voglia riferirsi a quelle competenze in materia di prezzi che sono attribuite ad organi dello Stato, e cioè in particolare alla vigilanza sulla osservanza delle norme relative alla pubblicità dei prezzi alberghieri, che per l'art. 14 R.D.L. 24 ottobre 1935, n. 2049, é affidata ai Prefetti ed al Ministro per il turismo, si tratterebbe sempre di attribuzioni che rientrano in pieno nella competenza regionale in materia turistico - alberghiera. Riguardo ad esse, pertanto, la necessità del concerto con l'autorità statale prevista dall'atto normativo impugnato, costituisce una garanzia di coordinamento, magari opportuna, ma non strettamente richiesta dallo Statuto, ed espressione, quindi, solo di uno scrupolo della Regione nei confronti dello Stato. La difesa della Regione conclude in ordine all'art. 6 con l'osservare come la questione cui esso dà luogo si risolve in un problema di interpretazione da sciogliere, in sede di applicazione, in modo conforme al rispetto dei limiti costituzionali, con la conseguenza che ove l'interpretazione data dall'Amministrazione regionale riuscisse troppo lata sorgerebbe una vertenza sulla validità dell'atto amministrativo senza che debba essere toccata la costituzionalità della legge.

Per quanto riguarda, infine, l'ultimo degli articoli impugnati, il 7, si fa notare come esso, preoccupandosi del coordinamento delle attività turistiche sul piano nazionale, non solo non viola il principio della competenza esclusiva statuale alla valutazione e alla tutela degli interessi nazionali, ma anzi fa ad esso omaggio.

In base a questi rilievi la Regione conclude, chiedendo che questa Corte dichiari inammissibile il ricorso prodotto dalla Presidenza del Consiglio per quanto attiene all'asserita lesione degli interessi statali, e, comunque, lo respinga in ogni sua parte.

Con la memoria depositata il 25 gennaio 1961 l'Avvocato generale dello Stato ha illustrato i motivi di ricorso. Ha in particolare confutato la tesi sostenuta dalla Regione sulla cessazione di efficacia dell'art. 56 dello Statuto, affermando (con il richiamo a precedenti sentenze della Corte) che le Regioni prima dell'emanazione delle norme di attuazione non possono legiferare nelle materie di loro competenza per la parte che riguarda le funzioni attribuite ad organi dello Stato, ciò che vale a più forte ragione per le materie (com'é quella del turismo) che presentano vaste interferenze con altri settori riservati allo Stato. Sicché le norme di attuazione non possono considerarsi mera condizione sospensiva dell'efficacia della legge regionale che opera il trasferimento di tali funzioni, costituendo, invece, condizione per la validità della medesima. Quanto all'eccezione di incompetenza della Corte a giudicare dell'allegata violazione dell'interesse nazionale ha osservato che, costituendo questo un limite della competenza regionale, ogni sua esorbitanza determina un vizio di illegittimità. Passa, poi, ad illustrare le considerazioni prima svolte a sostegno dei motivi di impugnativa riferentisi ai singoli articoli.

Anche la difesa della Regione ha presentato il 2 febbraio una memoria ad illustrazione della questione di carattere generale, in ordine al valore da attribuire all'art. 56. Essa insiste sul carattere non permanente del meccanismo normativo da esso previsto, quale sarebbe comprovato da due ordini di considerazione. Il primo, desunto dal concetto stesso di norme d'attuazione, le quali (a differenza di quelle di applicazione) riguardano solo gli atti necessari a far divenire operante un ente già potenzialmente esistente: sicché esse non possono essere invocate nel caso della Regione sarda, che é ormai una realtà in atto. Il secondo, deducibile dall'avvenuta estinzione degli organi cui l'art. 56 affida il compito di predisporre le norme in parola e dell'impossibilità che vi é di poterli sostituire.

Aggiunge la difesa della Regione che - anche a volere ritenere ancora vigente l'art. 56 - l'avvenuta attuazione dell'organizzazione regionale ha avuto come conseguenza di lasciare allo Stato non più la titolarità, bensì solo l'esercizio delle competenze trasferite ad essa dallo Statuto, Ciò si desumerebbe dall'art. 57, secondo cui le leggi statali trovano applicazione nella Regione fino a quando quest'ultima non disponga diversamente con le proprie norme primarie (per la cui emanazione non si rendono, quindi, necessarie norme di attuazione) secondo sarebbe stato affermato da questa Corte con la sentenza n. 2 del 1960. Quando la Regione si sia costituita ed abbia emanato le proprie norme organizzative non é più vincolata a richiedere per le ulteriori manifestazioni della propria volontà normativa il concorso dello Stato, salvo i casi in cui si tratti di trasferire ad essa l'apparato burocratico statale cui in precedenza spettava la funzione, oppure di imporre doveri a carico di organi statali: ipotesi, queste, che non si verificano nella specie, in cui é solo l'esercizio della funzione che si trasferisce all'ente locale, senza alcuna alterazione dell'organizzazione cui prima essa apparteneva. Non può opporsi che in tal caso un atto dello Stato si renda necessario allo scopo di fissare la data del trasferimento dell'esercizio della funzione, poiché all'uopo basta un accordo fra le autorità interessate dei due enti, da rendere noto con opportuna pubblicità. Neppure sarebbe da obiettare che tale trasferimento possa importare la risoluzione di problemi complessi, poiché i dubbi derivabili dall'interpretazione di norme non devono essere risolte in via preventiva, trovando essi (ove non sia possibile un accordo) la loro soluzione legale attraverso l'elevamento di appositi conflitti di attribuzione.

A conclusione diversa non si potrebbe giungere neppure invocando le esigenze del coordinamento relativamente a quelle norme le quali possano interessare lo Stato e la Regione. Infatti, l'ipotesi ora prospettata é quella tipica per la quale sarebbe prospettabile l'opportunità di una disciplina ai sensi dell'art. 56: disciplina però non più attuabile per il motivo dedotto in precedenza. Si aggiunge che anche ad ammettere che la mancanza di un coordinamento preventivo sia suscettibile di recare nocumento allo Stato, vi sarebbe modo di impedirlo sollevando la questione di merito, per contrasto di interessi, avanti alle Camere.

Si conclude facendo osservare che, comunque, anche a volere affermare la necessità di un intervento della legge statale, questo dovrebbe porsi quale condizione solo per l'esercizio delle attività amministrative della Regione, non già per quello del potere normativo, potendosi, al più, considerare le manifestazioni del medesimo inoperanti, non mai incostituzionali.  

Considerato in diritto

1. - Preliminare si presenta l'esame del motivo di ricorso con cui viene contestato il potere della Regione sarda di esercitare la competenza legislativa primaria ad essa attribuita nella materia del turismo dall'art. 3, lett. p, dello Statuto, prima che siano state emanate le norme di attuazione di cui all'art. 56 del medesimo.

Non appare fondata la tesi sostenuta dalla difesa della Regione, secondo la quale l'emanazione di tali norme debba richiedersi solo quando l'esercizio dei poteri assegnati all'ente regionale importi il trasferimento a questo di un settore prima appartenente all'organizzazione diretta dello Stato, e non già nel caso ricorrente nella specie, in cui si dispone la pura e semplice assunzione da parte dell'ente stesso di funzioni che non danno luogo ad alcuno spostamento di uffici. Contrasta, infatti, con tali tesi il testuale e tassativo disposto del citato art. 56, che richiede la previa emanazione delle norme in parola tanto per l'una che per l'altra delle ipotesi prospettate.

Neppure da accogliere é l'interpretazione restrittiva che si vorrebbe dare al termine "attuazione", intendendolo, in contrapposto a quello di "applicazione", nel significato di "prima attuazione", caratterizzata dalla funzione di rendere operante in concreto l'ente prima fornito di vita solo potenziale, con conseguente cessazione della funzione stessa al momento dell'effettiva costituzione degli organi necessari a conferirgli la capacità di agire. Checché si possa pensare della distinzione proposta fra l'attuazione e l'applicazione di norme giuridiche, é certo che essa non giova a fornire un valido criterio interpretativo dell'art. 56. Infatti, risulta chiaramente dalla correlazione da questo posta fra le norme relative al passaggio degli uffici (il quale evidentemente presuppone l'avvenuta formazione degli organi costituzionali regionali) e quelle di attuazione, come ad entrambe sia stato affidato lo stesso compito di stabilire i tempi ed i modi per il progressivo adattamento, attraverso tappe successive, del preesistente ordinamento nuovo. Il che trova pieno riscontro nella prassi seguita con l'emanazione dei successivi decreti presidenziali 19 maggio 1949, n. 250, 19 maggio 1950, n. 327,15 gennaio 1951, n. 55, i quali hanno provveduto a regolare le modalità per le assunzioni e per l'esercizio di alcuni dei compiti trasferiti alla Regione. Come, d'altra parte, si renderebbe possibile limitare il compito dell'attuazione alla pura e semplice "prima formazione" degli organi costituzionali della Regione, quando l'esercizio di parecchie competenze ad essa attribuite presuppone, per preciso disposto statutario (es. art. 3, lett. d e e), una previa specificazione della sfera loro propria, non effettuabile senza un apposito intervento normativo?

Del resto la stessa difesa della Regione riconosce che il trasferimento delle funzioni, anche quando non importi passaggio di uffici dall'uno all'altro ente, richiede, tuttavia, una serie di predisposizioni relative alla determinazione della data del trasferimento stesso, alla definizione delle pratiche in corso, alla ripartizione degli oneri finanziari, ed anche, a volte, al coordinamento delle attività trasferite con quelle rimaste allo Stato, che in nessun caso possono rimanere affidate alla legge regionale. Conviene, altresì, nel ritenere la impossibilità che da tale legge si facciano discendere obblighi a carico di funzionari statali. Se questo é, non può contestarsi l'invalidità dell'atto impugnato, poiché esso, per il fatto di affidare agli organi della Regione tutte le attività inerenti al turismo (come le direttive agli enti provinciali, le nomine dei loro presidenti, il riconoscimento delle stazioni di cura, la vigilanza e tutela sulle medesime, nonché sui Comuni dispensati dal costituirle, l'emissione di provvedimenti sulle tariffe e sul vincolo alberghiero), se divenisse operante, precluderebbe implicitamente, data la impossibilità di duplicazione di funzioni aventi lo stesso oggetto, l'esercizio delle competenze assegnate dalle leggi dello Stato ai propri uffici nella materia stessa, e conseguentemente verrebbe ad imporre ad essi (in contrasto con le premesse accolte) obblighi per lo meno negativi, di astensione dal fare.

Né può ritenersi consentito, per il danno che ne deriverebbe alla certezza dei rapporti, affidare la determinazione della data e delle modalità del passaggio ad "accordi" fra Stato e Regione, come vorrebbe la difesa di quest'ultima, perché tale specie di atti non é in nessun modo prevista quale forma di attuazione degli Statuti regionali.

Nessun argomento a favore di una diversa soluzione può dedursi, poi, dall'art. 37 dello Statuto, secondo cui nelle materie attribuite alla Regione rimangono in vigore le leggi dello Stato fino a quando esso non abbia disposto con proprie norme. Infatti, contrariamente a quanto la difesa della Regione ritiene, il detto articolo, lungi dal sottrarre l'esercizio della legislazione regionale alla condizione della previa emanazione delle norme di attuazione, dispone per il caso in cui, pur dopo il verificarsi di tale evento, la Regione si astenga dal legiferare.

Si deve, quindi, concludere che l'appartenenza alla Regione delle competenze ad essa attribuite dallo Statuto non é di per sé sufficiente a consentirle l'esercizio in concreto delle medesime (sempreché esse abbiano attinenza con l'ordinamento e le funzioni di uffici statali) fino a quando non sia intervenuto l'apposito decreto legislativo del Capo dello Stato, al quale esclusivamente spettano le determinazioni necessarie per l'inizio delle attività regionali. La giurisprudenza della Corte é costante nell'affermazione del principio enunciato (come risulta dalle sentenze nn. 14, 15, 20 del 1956, 9, 11, 13, 14, 19, 39 del 1957, 1 del 1958, 44 e 65 del 1959, 19 e 43 del 1960), non contraddetta, come inesattamente ritiene la difesa della Regione, dalla sentenza n. 2 del 1960.

2. - Neppure degna di accoglimento può ritenersi la tesi, avanzata in via subordinata dalla Regione, secondo cui le norme dalla medesima emanate anteriormente a quelle presidenziali di attuazione, sarebbero da ritenere non già invalide, bensì solo inefficaci. Pur senza prendere posizione sul problema se competa alla Regione di sottoporre le proprie leggi a termine iniziale e a condizione sospensiva, é da porre in rilievo che la sospensione di efficacia inerente a tali dichiarazioni accessorie di volontà deve risultare in modo esplicito, o almeno potersi desumere univocamente dallo stesso contenuto delle statuizioni. Se, invece, come avviene nella specie, il testo non offra alcun elemento sufficiente a far ritenere lo stato di pendenza voluto conferire alle norme emanate, queste, in virtù dei principi generali in materia, non potranno non entrare in vigore nel quindicesimo giorno dalla pubblicazione con la conseguenza di vincolare alla loro osservanza, se non altri, le autorità sottoposte al potere d'impero esercitato dal legislatore regionale. Né il rimedio a tale evenienza potrebbe affidarsi a postume impugnative da parte dello Stato contro i singoli atti con cui si desse esecuzione alle norme così pubblicate (come pensa la difesa regionale) dovendo, invece, farsi valere nel senso di precludere la possibilità della loro emanazione. Ciò che può ottenersi solo per effetto della dichiarazione di invalidità della legge che li consente: invalidità la quale colpisce la pretesa, argomentabile dallo stesso tenore dell'atto, di divenire operativa prima che sì sia verificato l'evento che condiziona l'efficacia dell'atto medesimo.

3. - Nessuna influenza sulle conclusioni alle quali si é pervenuti deve essere attribuita al fatto che le disposizioni sul procedimento di formazione delle norme di attuazione siano inserite fra quelle transitorie dello Statuto sardo, e neppure alla cessazione (avvenuta al momento dell'entrata in funzione dell'organizzazione ordinaria della Regione) di alcuni degli organi designati dall'art. 56 ad intervenire in detto procedimento (Alto Commissario e Consulta regionale). Non si potrebbe argomentare da tali circostanze la volontà del Costituente di limitare nel tempo l'obbligo della previa emanazione delle norme di attuazione, perché (a parte il rilievo che il titolo VIII, sotto il quale é collocato l'art. 56, comprende non solo le disposizioni transitorie, ma anche quelle finali) con tale interpretazione contrastano le esigenze, già messe in rilievo dei rapporti fra Stato e Regione, quali risultano dal sistema costituzionale in cui lo Statuto si inserisce. Pertanto, solo l'apposizione di un espresso termine di decadenza avrebbe potuto condurre a diversa conclusione.

D'altra parte, non si rende possibile, per risolvere la questione nascente dalla circostanza richiamata, né giovarsi (come pure é stato sostenuto) dell'opera della vecchia Commissione paritetica nominata in passato (dato che, anche a prescindere dalle difficoltà che in pratica potrebbero impedire la convocazione di tale collegio, questo é ormai venuto a perdere il carattere rappresentativo che ne giustifica l'intervento) e neppure ricorrere alla applicazione, in via di analogia, della VIII dispos. trans. della Costituzione, che affida alla sola legge della Repubblica l'emanazione delle norme riguardanti il trasferimento dei poteri dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario, e ciò per la diversità della ratio di questa disposizione rispetto a quella dell'art. 56. Infatti, lo speciale procedimento di formazione delle norme previste da quest'ultimo costituisce applicazione del principio dell'art. 116, diretto a potenziare l'autonomia di alcune Regioni, fra cui é la Sardegna, e vuole salvaguardare l'esigenza di far risultare le modalità del trasferimento dei poteri quanto più possibile aderenti alle necessità dell'ente, quali possono essere avvertite e prospettate dai suoi rappresentati. Si rende, pertanto, indispensabile che l'operazione di integrazione della disposizione statutaria incompleta, affidata all'interprete, non comprometta il mantenimento della garanzia costituzionale voluta assicurare e la mantenga negli stessi termini in cui era stata predisposta. Il problema così formulato appare di facile soluzione quando lo si prospetti nella sua giusta luce, e cioè lo si riconduca ai principi relativi al passaggio delle competenze da organi straordinari ad altri ordinari dello stesso ente. É da ricordare al riguardo che l'Alto Commissario per la Sardegna e la Consulta regionale, istituiti, all'origine, quali organi di decentramento dell'organizzazione diretta dello Stato (secondo disponeva il R.D.L. 27 gennaio 1944, n. 21, e successive modificazioni, ed il D.L. 12 dicembre 1944, n. 417, e successive modificazioni) vennero ad assumere, dal momento dell'entrata in vigore dello Statuto speciale, adottato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, la diversa veste di organi provvisori dell'ente che doveva costituirsi, ed in tale qualità si conferirono loro le competenze di cui agli artt. 55 e 56 (da essi effettivamente adempiute, con la loro partecipazione alla formazione delle norme di attuazione di cui ai decreti presidenziali 19 maggio 1949, n. 250, e 19 maggio 1950, n. 327). Così essendo, appare evidente che, una volta entrati in funzione gli organi ordinari dell'ente, é a questi che devono ritenersi trasferite quelle fra le competenze stesse che erano destinate, per la loro natura, a perdurare oltre il periodo iniziale della prima formazione.

Non presenta, poi, difficoltà identificare tali organi quando si tenga presente, da una parte, che lo stesso art. 56, nel suo ultimo comma, ha direttamente provveduto a designare nel Consiglio regionale l'organo successore della Consulta nel compito della emanazione dei pareri ivi richiesti e, dall'altra, che, essendo il Presidente regionale subentrato nella funzione, provvisoriamente affidata all'Alto Commissario, di capo e rappresentante della Regione, é ad esso che deve ritenersi passato il Compito della nomina dei due membri, i quali, insieme agli altri due, di nomina governativa, devono entrate a comporre la Commissione paritetica.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara la illegittimità costituzionale della legge approvata dal Consiglio regionale sardo il 16 giugno 1959, riapprovata il 25 maggio 1960, contenente "Disposizioni relative al turismo", in relazione all'art. 56 Statuto.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 1961.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria l'11 maggio 1961.