Tribunale di primo grado delle Comunità europee
(Seconda Sezione), 12 dicembre 2006
T-228/02, Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran – Consiglio dell’Unione europea
Nella causa T‑228/02,
Organisation des
Modjahedines du peuple d’Iran, con sede
in Auvers-sur-Oise (Francia),
rappresentata dall’avv. J.-P. Spitzer,
dal sig. D. Vaughan, QC, e dall’avv. É. de
Boissieu,
ricorrente,
contro
Consiglio dell’Unione
europea,
rappresentato dai sigg. M. Vitsentzatos e
M. Bishop, in qualità di agenti,
convenuto,
sostenuto da
Regno Unito di Gran
Bretagna e Irlanda del Nord,
rappresentato inizialmente dal sig. J.E. Collins, successivamente
dalle sig.re R. Caudwell e C. Gibbs, in qualità di agenti, assistiti dalla
sig.ra S. Moore, barrister,
interveniente,
avente ad oggetto, da un lato, una domanda di
annullamento della posizione comune del Consiglio 2 maggio 2002, 2002/340/PESC,
che aggiorna la posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di
misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU L 116,
pag. 75), della posizione comune del Consiglio 17 giugno 2002,
2002/462/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931 e che abroga la
posizione comune 2002/340 (GU L 160, pag. 32), nonché della
decisione del Consiglio 17 giugno 2002, 2002/460/CE, che attua l’articolo 2,
paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure
restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a
combattere il terrorismo, e che abroga la decisione 2002/334/CE
(GU L 160, pag. 26), in quanto la ricorrente compare nell’elenco
delle persone, dei gruppi e delle entità ai quali si applicano tali disposizioni,
e dall’altro una domanda di risarcimento,
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),
composto dai sigg. J. Pirrung, presidente, N.J.
Forwood e S. Papasavvas, giudici,
cancelliere: sig. E. Coulon
vista la fase scritta del procedimento e in seguito
alla trattazione orale del 7 febbraio 2006,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Antefatti della
controversia
1 Risulta
dal fascicolo che la ricorrente, l’Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran
(Mujahedin-e Khalq in persiano), è stata fondata nel 1965 e si è fissata
l’obiettivo di sostituire il regime dello Scià di Persia, poi quello dei
mullah, con un regime democratico. Nel 1981 essa ha partecipato al Consiglio
nazionale della resistenza iraniana (NCRI), organo che si definisce come il
«parlamento in esilio della resistenza» iraniana. All’epoca dei fatti
all’origine della controversia in esame, essa sarebbe stata composta da cinque
organizzazioni separate, nonché da una sezione indipendente che costituiva un
braccio armato operante in Iran. Secondo quanto afferma, tuttavia, la
ricorrente e tutti i suoi aderenti hanno espressamente rinunciato a qualsiasi
attività militare dal giugno 2001 ed essa non ha più, attualmente, alcuna
struttura armata.
2 Con
ordinanza 28 marzo 2001, il Secretary of State for the Home Department
(Ministro dell’Interno del Regno Unito, in prosieguo: lo «Home Secretary») ha
incluso la ricorrente nell’elenco delle organizzazioni vietate ai sensi del
Terrorism Act 2000 (legge del 2000 sul terrorismo). La ricorrente ha proposto
due ricorsi paralleli contro tale ordinanza, uno in appello (appeal) dinanzi
alla Proscribed Organisations Appeal Commission (Commissione d’appello relativa
alle organizzazioni vietate, POAC), l’altro per cassazione (judicial review)
dinanzi alla High Court of Justice (England and Wales), Queen’s Bench Division
(Administrative Court) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles)
divisione della reale magistratura (formazione amministrativa), in prosieguo:
la «High Court»].
3 Il
28 settembre 2001, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (in prosieguo:
il «Consiglio di sicurezza») ha adottato la risoluzione 1373 (2001), che
stabilisce strategie dirette alla lotta con tutti i mezzi contro il terrorismo
e, in particolare, contro il suo finanziamento. Il n. 1, lett. c), di
tale risoluzione dispone, segnatamente, che gli Stati congelino senza indugio i
fondi e gli altri strumenti finanziari o risorse economiche delle persone che
commettono o tentano di commettere atti di terrorismo, li agevolano o vi
partecipano, delle entità appartenenti a tali persone o da esse controllate, e
delle persone ed entità che agiscono in nome o dietro istruzione di tali
persone o entità.
4 Il
27 dicembre 2001, ritenendo che fosse necessaria un’azione della Comunità al
fine di attuare la risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza, il
Consiglio ha adottato, a norma degli artt. 15 UE e 34 UE, la
posizione comune 2001/930/PESC, relativa alla lotta al terrorismo
(GU L 344, pag. 90), e la posizione comune 2001/931/PESC,
relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo
(GU L 344, pag. 93).
5 Ai
sensi dell’art. 1, n. 1, della posizione comune 2001/931, essa si
applica «alle persone, gruppi ed entità, elencati nell’allegato, coinvolti in
atti terroristici». Il nome della ricorrente non compare nel detto elenco.
6 L’art. 1,
nn. 2 e 3, della posizione comune 2001/931 definisce, rispettivamente,
cosa debba intendersi per «persone, gruppi ed entità coinvolti in atti
terroristici» e per «atto terroristico».
7 Ai
sensi dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931, l’elenco
riportato nell’allegato è redatto sulla base di informazioni precise o di
elementi del fascicolo che mostrano che è stata adottata una decisione da parte
di un’autorità competente nei confronti delle persone, dei gruppi e delle
entità menzionati, che si tratti dell’apertura di indagini o di azioni penali
per un atto terroristico, il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale
atto o la sua agevolazione, basate su prove o indizi seri e credibili, o si
tratti di una condanna per tali fatti. Per «autorità competente» s’intende
un’autorità giudiziaria o, se le autorità giudiziarie non hanno competenza in
materia, un’equivalente autorità competente nel settore.
8 Conformemente
all’art. 1, n. 6, della posizione comune 2001/931, i nomi delle
persone ed entità riportati nell’elenco in allegato sono riesaminati
regolarmente almeno una volta per semestre onde accertarsi che il loro
mantenimento nell’elenco sia giustificato.
9 Ai
sensi degli artt. 2 e 3 della posizione comune 2001/931,
10 Ritenendo
che fosse necessario un regolamento per attuare a livello comunitario le misure
descritte nella posizione comune 2001/931, il 27 dicembre 2001 il Consiglio ha
adottato, sulla base degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, il
regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche,
contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo
(GU L 344, pag. 70). Da tale regolamento emerge che, salve le
deroghe da esso previste, devono essere congelati tutti i fondi detenuti da una
persona fisica o giuridica, da un gruppo o da un’entità ricompresi nell’elenco
di cui al suo art. 2, n. 3. Allo stesso modo, è vietato mettere fondi
o servizi finanziari a disposizione di tali persone, gruppi o entità. Il
Consiglio, deliberando all’unanimità, elabora, riesamina e modifica l’elenco di
persone, gruppi o entità ai quali si applica il regolamento, in conformità
delle disposizioni di cui all’art. 1, nn. 4-6, della posizione comune
2001/931.
11 L’elenco
iniziale delle persone, gruppi ed entità ai quali si applica il regolamento
n. 2580/2001 è stato stabilito con la decisione del Consiglio 27 dicembre
2001, 2001/927/CE, relativa all’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, del
regolamento (CE) n. 2580/2001 (GU L 344, pag. 83). Il nome della
ricorrente non vi compare.
12 Con
sentenza 17 aprile 2002,
13 Il
2 maggio 2002 il Consiglio ha adottato, ai sensi degli artt. 15 UE e
34 UE, la posizione comune 2002/340/PESC, che aggiorna la posizione comune
2001/931 (GU L 116, pag. 75). Il suo allegato aggiorna l’elenco
delle persone, dei gruppi e delle entità ai quali si applica la posizione
comune 2001/931. Il punto 2 di tale allegato, intitolato «gruppi ed entità»,
comprende, tra gli altri, il nome della ricorrente, identificata come segue:
«Organizzazione Mujahedin-e Khalq (MEK o MKO)
[eccetto il “Consiglio nazionale di resistenza dell’Iran” (NCRI)] [anche nota
come Esercito di liberazione nazionale dell’Iran (NLA, ala militare della MEK),
Mujahidin del popolo dell’Iran (PMOI), Consiglio nazionale di resistenza (NCR),
Società musulmana degli studenti iraniani]».
14 Con
decisione del Consiglio 2 maggio 2002, 2002/334/CE, che attua l’articolo 2,
paragrafo 3 del regolamento (CE) n. 2580/2001, e che abroga la decisione
2001/927/CEE, il Consiglio ha adottato un elenco aggiornato delle persone, dei
gruppi e delle entità ai quali si applica il detto regolamento. Il nome della
ricorrente compare in questo elenco negli stessi termini impiegati
nell’allegato della posizione comune n. 2002/340.
15 Il
17 giugno 2002, il Consiglio ha adottato, da un lato, la posizione comune
2002/462/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931 e che abroga la
posizione comune 2002/340 (GU L 160, pag. 32), e, dall’altro, la
decisione 2002/460/CE, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento
(CE) n. 2580/2001, e che abroga la decisione 2002/334 (GU L 160,
pag. 26). Il nome della ricorrente è stato confermato negli elenchi
previsti, rispettivamente, dalla posizione comune 2001/931 e dal regolamento
n. 2580/2001 (in prosieguo, congiuntamente: gli «elenchi controversi» e,
per quest’ultimo, l’«elenco controverso»).
16 Con
sentenza 15 novembre 2002,
17 Da
allora, il Consiglio ha adottato diverse posizioni comuni e decisioni che
aggiornano gli elenchi controversi. Quelle vigenti al momento della chiusura
della fase orale erano, rispettivamente, la posizione comune del Consiglio
21 dicembre 2005, 2005/936/PESC, che aggiorna la posizione comune
2001/931 e che abroga la posizione comune 2005/847/PESC (GU L 340,
pag. 80), e la decisione del Consiglio 21 dicembre 2005, 2005/930/CE, [che
attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001], e che
abroga la decisione 2005/848/CE (GU L 340, pag. 64). Gli atti
così adottati hanno sempre confermato il nome della ricorrente negli elenchi
controversi.
Procedimento e
conclusioni delle parti
18 Con
atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 26 luglio 2002,
la ricorrente ha proposto un ricorso nell’ambito del quale ha chiesto che il
Tribunale voglia:
– annullare
le posizioni comuni 2002/340 e 2002/462, nonché la decisione 2002/460, per le
parti che la riguardano;
– di
conseguenza, dichiarare inapplicabili nei suoi confronti tali posizioni comuni
e la detta decisione;
– condannare
il Consiglio a risarcirle il danno subito nella misura di un euro;
– condannare
il Consiglio alle spese.
19 Nel
suo controricorso, il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:
– dichiarare
il ricorso in parte irricevibile ed in parte infondato;
– condannare
la ricorrente alle spese.
20 Con
ordinanza 12 febbraio 2003, sentite le parti, il presidente della Seconda
Sezione del Tribunale ha ammesso il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del
Nord ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio. L’interveniente
ha depositato la sua memoria, diretta al rigetto del ricorso, e la ricorrente
ha depositato le sue osservazioni in merito nei termini impartiti.
21 Su
relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione) ha deciso di
passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del
procedimento di cui all’art. 64 del regolamento di procedura del
Tribunale, ha invitato le parti, con lettera della cancelleria 1° dicembre
22 Con
le sue osservazioni, depositate nella cancelleria nel Tribunale il 21 dicembre
2005, il Consiglio ha sostenuto che non era necessario prendere posizione per
quanto riguarda le posizioni comuni, dato che il ricorso, a suo avviso, è
comunque irricevibile a tal riguardo. Quanto alle decisioni comunitarie che
attuano il regolamento n. 2580/2001, secondo il Consiglio «si deve considerare
che il ricorso è diretto contro la decisione 2005/848/CE» del Consiglio, del
29 novembre 2005, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del
regolamento (CE) n. 2580/2001, e che abroga la decisione 2005/722/CE
(GU L 314, pag. 46), «o contro qualsiasi altra decisione avente
lo stesso oggetto che sarà in vigore alla data in cui il Tribunale pronuncerà
la sua sentenza, per la parte in cui tale decisione riguarda la ricorrente».
23 Nelle
sue osservazioni, depositate nella cancelleria il 2 gennaio 2006, la ricorrente
sostiene che «si deve considerare il presente ricorso diretto contro la
posizione comune del Consiglio 29 novembre 2005, 2005/847/PESC», che aggiorna
la posizione comune 2001/931 e che abroga la posizione comune 2005/725/PESC
(GU L 314, pag. 41) e la «decisione 2005/848». La ricorrente ha
inoltre allegato a tali osservazioni una serie di nuovi documenti che sono
stati versati al fascicolo. Con lettera della cancelleria 19 gennaio 2006, le
dette osservazioni e i detti documenti sono stati notificati al Consiglio, che
li ha ricevuti il 27 gennaio 2006.
24 Con
lettera depositata nella cancelleria il 25 gennaio 2006, la ricorrente ha
presentato osservazioni scritte sulla relazione d’udienza, facendo valere che
il ricorso doveva ormai essere considerato diretto altresì contro la posizione
comune 2005/936 e la decisione 2005/930. Essa ha allegato a tale lettera
un’ulteriore serie di nuovi documenti. Le parti sono state informate del fatto
che in udienza sarebbe stata adottata una decisione in merito al versamento dei
detti allegati al fascicolo.
25 Le
parti hanno svolto le loro osservazioni orali e risposto ai quesiti orali del
Tribunale all’udienza del 7 febbraio 2006. Durante tale udienza, il Consiglio
ha fatto valere l’irregolarità della produzione dei nuovi documenti che la
ricorrente ha depositato nella cancelleria il 18 e il 25 gennaio 2006 (v. punti
23 e 24, supra). Il Consiglio ha aggiunto di non essere in grado di prendere
utilmente posizione su tali documenti, dato il carattere tardivo della loro
comunicazione. Esso ha quindi chiesto al Tribunale di non ammettere al
fascicolo i documenti in questione ovvero di ordinare la riapertura della fase
scritta per consentirgli di far valere il suo punto di vista per iscritto. Il
Tribunale ha riservato la sua decisione su tale richiesta, nonché sul
versamento al fascicolo dei documenti menzionati al punto 24, supra.
26 In
risposta ad un quesito del Tribunale, la ricorrente ha dichiarato che, come
ammesso dal Consiglio nelle sue osservazioni depositate nella cancelleria il
23 dicembre 2005 (v. punto 22, supra), si deve considerare il ricorso
in esame diretto contro la posizione comune 2005/936 e la decisione 2005/930,
nonché, eventualmente, contro qualsiasi altro atto vigente al momento della
pronuncia dell’emananda sentenza, che abbia lo stesso oggetto della detta
posizione comune e della detta decisione e che produca lo stesso effetto nei
suoi confronti, per la parte in cui tali atti la riguardino.
Sulle conseguenze procedurali dell’abrogazione e
della sostituzione degli atti inizialmente impugnati
27 Come
risulta dal punto 17, supra, gli atti inizialmente impugnati con il ricorso in
esame, cioè le posizioni comuni 2002/340 e 2002/462 nonché la decisione
2002/460 (in prosieguo: la «decisione inizialmente impugnata»), sono stati
abrogati e sostituiti a più riprese, dal momento del deposito dell’atto
introduttivo, da atti che hanno sempre confermato la presenza della ricorrente
sugli elenchi controversi. Si tratta, al momento della chiusura della fase
orale, della posizione comune 2005/936 e della decisione 2005/930.
28 A
questo proposito occorre rammentare che, quando una decisione è sostituita, nel
corso del giudizio, da una decisione avente lo stesso oggetto, questa va
considerata un elemento nuovo che consente al ricorrente di adeguare le sue
conclusioni e i suoi motivi. Sarebbe, infatti, in contrasto col principio di
sana amministrazione della giustizia e con quello dell’economia processuale
costringere il ricorrente a proporre un nuovo ricorso. Sarebbe inoltre ingiusto
che l’istituzione in questione, per far fronte alle critiche contenute in un
ricorso presentato al giudice comunitario contro una decisione, potesse
adeguare la decisione impugnata o sostituirgliene un’altra e valersi, in corso
di causa, di tale modifica o di tale sostituzione per privare la controparte
della possibilità di estendere le sue conclusioni e le sue difese iniziali
all’ulteriore decisione o di presentare ulteriori conclusioni o difese contro
di essa (sentenze della Corte 3 marzo 1982, causa 14/81, Alpha
Steel/Commissione, Racc. pag. 749, punto 8; 29 settembre 1987, cause
riunite 351/85 e 360/85, Fabrique de fer de Charleroi e Dillinger
Hüttenwerke/Commissione, Racc. pag. 3639, punto 11, e 14 luglio 1988,
causa 103/85, Stahlwerke Peine-Salzgitter/Commissione,
Racc. pag. 4131, punti 11 e 12; sentenza del Tribunale 3 febbraio
2000, cause riunite T‑46/98 e T‑151/98, CCRE/Commissione,
Racc. pag. II‑167, punto 33).
29 Nelle
sentenze 21 settembre 2005, causa T-306/01, Yusuf e Al Barakaat International
Foundation/Consiglio e Commissione (Racc. pag. II-3533, impugnata; in
prosieguo: la «sentenza Yusuf», punto 73), e causa T-315/01, Kadi/Consiglio e
Commissione (Racc. pag. II-3649, impugnata; in prosieguo: la «sentenza
Kadi», punto 54), il Tribunale ha esteso tale giurisprudenza all’ipotesi in cui
un regolamento che riguarda direttamente e individualmente un privato è
sostituito, in corso di giudizio, da un regolamento che ha il medesimo oggetto.
30 Nel
caso in esame occorre quindi accogliere, conformemente a tale giurisprudenza,
la richiesta della ricorrente, considerare che il suo ricorso è diretto, al
momento della chiusura della fase orale, all’annullamento della posizione
comune 2005/936 e della decisione 2005/930, per la parte in cui tali atti la
riguardano, e consentire alle parti di riformulare le conclusioni, i motivi e
gli argomenti alla luce di tali nuovi elementi, il che comporta il loro diritto
di presentare conclusioni, motivi e argomenti supplementari.
31 Di
conseguenza occorre, da un lato, autorizzare il versamento al fascicolo dei
documenti allegati alle osservazioni della ricorrente sulla relazione
d’udienza, depositate nella cancelleria il 25 gennaio 2006 (v. punto 24 supra),
e, dall’altro, respingere la domanda del Consiglio diretta ad ottenere che non
siano ammessi al fascicolo né i documenti in questione, né quelli allegati alle
osservazioni della ricorrente in risposta al quesito scritto del Tribunale,
depositate nella cancelleria il 18 gennaio 2006 (v. punti 23 e 25 supra).
Infatti, la produzione di documenti nuovi e la presentazione di nuove offerte
di prova devono essere considerate relative al diritto delle parti di
riformulare le loro conclusioni, i loro motivi ed argomenti, alla luce degli
elementi nuovi menzionati ai punti precedenti. Quanto al problema se il
versamento tardivo al fascicolo dei documenti di cui trattasi giustifichi, nel
caso di specie, una riapertura della fase scritta in nome dei diritti della
difesa del Consiglio (v. punto 25 supra), si rinvia al punto 182 infra.
32 Per
il resto, il Tribunale ritiene di poter essere validamente investito solo di
una domanda diretta all’annullamento di un atto pregiudizievole esistente. Se è
vero che la ricorrente può essere autorizzata, come dichiarato al punto 30
supra, a riformulare le sue conclusioni in modo che esse riguardino
l’annullamento degli atti che, in corso di giudizio, hanno sostituito gli atti
inizialmente impugnati, tale soluzione non può autorizzare il controllo teorico
della legittimità di atti ipotetici non ancora adottati (v. ordinanza del
Tribunale 18 settembre 1996, causa T‑22/96, Langdon/Commissione,
Racc. pag. II‑1009, punto 16 e giurisprudenza ivi citata).
33 Ne
consegue che la ricorrente non può essere autorizzata a riformulare le sue
conclusioni in modo che esse siano rivolte non solo contro la posizione comune
2005/936 e la decisione 2005/930, ma anche, eventualmente, contro qualsiasi
altro atto vigente alla data della pronuncia dell’emananda sentenza, avente lo
stesso oggetto dei detti atti e che produce lo stesso effetto nei suoi
riguardi, per la parte in cui tali atti la riguardano (v. punto 26 supra).
34 Ai
fini del ricorso in esame, il sindacato giurisdizionale del Tribunale riguarderà
quindi solo gli atti già adottati, ancora vigenti ed impugnati al momento della
chiusura della fase orale, vale a dire la posizione comune 2005/936 (in
prosieguo: la «posizione comune impugnata») e la decisione 2005/930 (in
prosieguo: la «decisione impugnata») (in prosieguo, congiuntamente: gli «atti
impugnati»), anche qualora i detti atti fossero stati a loro volta abrogati e
sostituiti da atti diversi al momento della pronuncia della presente sentenza.
35 In
tale ipotesi, infatti, da un lato la ricorrente conserverebbe un interesse ad
ottenere l’annullamento degli atti impugnati, in quanto l’abrogazione di un
atto di un’istituzione non equivale ad un’ammissione della sua illegittimità e
produce un effetto ex nunc, a differenza di una sentenza di annullamento, in
forza della quale l’atto annullato è eliminato retroattivamente
dall’ordinamento giuridico ed è considerato come mai esistito. Dall’altro, come
ammesso dal Consiglio in udienza, in caso di annullamento degli atti impugnati,
tale istituzione sarebbe tenuta ad adottare le misure rese necessarie
dall’esecuzione della sentenza, conformemente all’art. 233 CE, il che
potrebbe comportare che essa modifichi o revochi, se del caso, gli eventuali
atti che hanno abrogato e sostituito gli atti impugnati successivamente alla
chiusura della fase orale (v., in tal senso, sentenza del Tribunale13 dicembre
1995, cause riunite T‑481/93 e T‑484/93, Exporteurs in Levende
Varkens e a./Commissione, Racc. pag. II‑2941, punti 46-48).
Sul secondo capo delle
conclusioni
36 Con
il secondo capo delle sue conclusioni, come riformulato in udienza, la
ricorrente chiede al Tribunale di dichiarare gli atti impugnati inapplicabili
nei suoi confronti, in conseguenza del loro parziale annullamento oggetto del
primo capo delle conclusioni.
37 È
giocoforza constatare che il secondo capo delle conclusioni, così formulato,
non ha alcuna portata autonoma rispetto al primo. Considerato quest’ultimo,
esso dev’essere quindi considerato senza oggetto.
Sulla domanda di
annullamento della posizione comune impugnata
Argomenti delle parti
38 La
ricorrente sostiene che il ricorso in esame è ricevibile, dato che tanto la
posizione comune impugnata quanto la decisione impugnata la riguardano
direttamente e individualmente, in quanto la danneggiano. Essa fa valere, più
in particolare, che il Tribunale è competente, salvo incorrere nel diniego di
giustizia, per il controllo della legittimità della posizione comune di cui
trattasi.
39 Secondo
la ricorrente, infatti, i principi dello stato di diritto sanciti
all’art. 6, n. 2, UE, si impongono all’insieme degli atti
dell’Unione, compresi quelli adottati nell’ambito della politica estera e di
sicurezza comune (PESC) o della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia
penale (comunemente chiamata «giustizia e affari interni») (GAI). Poiché il
diritto alla tutela giurisdizionale è uno degli elementi costitutivi di tale
Stato di diritto, come risulta altresì dagli artt. 35 UE e 46 UE e
dalla giurisprudenza della Corte (sentenze 15 maggio 1986,
causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punto 18, e 25 luglio 2002,
causa C‑50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, Racc.
pag. I‑6677, punti 38 e 39), nessuno di tali atti dovrebbe sfuggire
al controllo giurisdizionale della Corte e del Tribunale. Secondo la
ricorrente, decidere diversamente equivarrebbe alla creazione di uno spazio
vuoto di diritto.
40 In
ogni caso, il procedimento legislativo seguito dal Consiglio nel caso di specie
dovrebbe essere considerato illegittimo, come anche il fatto di fondare la
posizione comune impugnata sulle disposizioni relative alla PESC. Alla luce,
segnatamente, del primato del diritto comunitario sancito
dall’art. 47 UE, il Tribunale sarebbe competente per sanzionare una
siffatta illegittimità che colpisce un atto adottato ai sensi della PESC o
della GAI. La ricorrente fa valere, in tal senso, la sentenza della Corte 12
maggio 1998, causa C-170/96, Commissione/Consiglio (Racc. pag. I‑2763).
41 Il
detto procedimento sarebbe infatti caratterizzato dalla costante volontà del
Consiglio, che invocherebbe a tal fine una regola di diritto internazionale, di
sottrarsi alle esigenze della protezione dei diritti fondamentali e del
controllo democratico, legislativo o giudiziario dei suoi atti, in spregio ai
principi generali del diritto comunitario. Ora, le persone incaricate
dell’esecuzione materiale di tali atti dell’Unione resterebbero soggetti ad un
controllo giurisdizionale alla luce dei diritti fondamentali.
42 Tale
volontà sarebbe inoltre stata criticata dal Parlamento europeo quando è stato
consultato sul progetto di regolamento n. 2580/2001. Essa sarebbe
dimostrata, in particolare, dalla circostanza che il Consiglio ha avocato a sé
la competenza esecutiva del regolamento n. 2580/2001, mediante decisioni
che, per di più, non sarebbero neanche motivate.
43 Pur
non contestando che la ricorrente è individualmente e direttamente interessata
dagli atti impugnati, il Consiglio ed il Regno Unito sostengono che il ricorso
è irricevibile, in quanto diretto contro la posizione comune impugnata.
44 Il
Consiglio ed il Regno Unito ritengono quindi che il giudizio in corso debba
essere limitato al controllo di legittimità della decisione impugnata, che
rende applicabili alla ricorrente le misure previste dal regolamento
n. 2580/2001.
Giudizio del Tribunale
45 Conformemente
ad una giurisprudenza costante del Tribunale (ordinanze
7 giugno 2004, causa T‑338/02, Segi e a./Consiglio, Racc.
pag. II‑1647, impugnata, punti 40 e seguenti, e causa T‑333/02,
Gestoras Pro Amnistía e a./Consiglio, non pubblicata in Raccolta,
impugnata, punti 40 e seguenti, e 18 novembre 2005, causa T‑299/04,
Selmani/Consiglio e Commissione, non pubblicata in Raccolta, punti 52-59), il
ricorso dev’essere dichiarato in parte manifestamente irricevibile e in parte
manifestamente infondato, in quanto diretto all’annullamento della posizione
comune impugnata.
46 Va
infatti subito rilevato che tale posizione comune non è un atto del Consiglio
adottato ai sensi del Trattato CE e soggetto, in quanto tale, al controllo di
legittimità previsto dall’art. 230 CE, bensì un atto del Consiglio,
composto dai rappresentanti dei governi degli Stati membri, adottato sulla base
degli artt. 15 UE, che rientra nel titolo V del Trattato UE, relativo
alla PESC, e 34 UE, che rientra nel titolo VI del Trattato UE, relativo alla GAI.
47 Ora,
è giocoforza constatare che né il titolo V del Trattato UE, relativo alla PESC,
né il titolo VI del Trattato UE, relativo alla GAI, prevedono un ricorso di
annullamento di una posizione comune dinanzi al giudice comunitario.
48 Infatti,
nell’ambito del Trattato UE, nella versione risultante dal Trattato di
Amsterdam, le competenze della Corte di giustizia sono elencate tassativamente
dall’art. 46 UE.
49 Da
un lato, esso non prevede alcuna competenza della Corte nell’ambito delle
disposizioni del titolo V del Trattato UE.
50 Dall’altro,
per quanto riguarda le disposizioni del titolo VI del Trattato UE, rilevanti
nel caso di specie, tale articolo recita:
«Le disposizioni del trattato che istituisce
[...]
b) disposizioni
del titolo VI, alle condizioni previste dall’articolo 35 [UE];
[...]
d) articolo 6, paragrafo
2 [UE], per quanto riguarda l’attività delle istituzioni, nella misura in cui
[...]»
51 Secondo
le pertinenti disposizioni dell’art. 35 UE:
«1. La Corte di
giustizia delle Comunità europee, alle condizioni previste dal presente
articolo, è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla validità o
l’interpretazione delle decisioni-quadro e delle decisioni, sull’interpretazione
di convenzioni stabilite ai sensi del presente titolo e sulla validità e
sull’interpretazione delle misure di applicazione delle stesse.
[…]
6.
(…)».
52 Dagli
artt. 35 UE e 46 UE risulta che, nell’ambito del titolo VI del
Trattato UE, gli unici rimedi giurisdizionali per valutare la validità o per
annullare sono ammessi nei confronti delle decisioni-quadro, delle decisioni e
delle misure di applicazione delle convenzioni previste, rispettivamente,
dall’art. 34, n. 2, lett. b), c) e d), UE, ad esclusione
delle posizioni comuni previste dall’art. 34, n. 2, lett.
a), UE.
53 Va
inoltre rilevato che la garanzia del rispetto dei diritti fondamentali,
prevista dall’art. 6, n. 2, UE, non è pertinente nel caso di specie,
dato che l’art. 46, lett. d), UE non offre alcun titolo di competenza
supplementare alla Corte di giustizia (ordinanza Segi e a./Consiglio,
punto 45 supra, punto 37).
54 Per
quanto riguarda l’assenza di tutela giurisdizionale effettiva fatta valere
dalla ricorrente, quest’ultima non può fondare essa stessa un autonomo titolo
di competenza comunitaria – nel sistema giuridico comunitario fondato sul
principio delle competenze di attribuzione come risulta
dall’art. 5 CE – nei confronti di un atto adottato in un sistema
giuridico apparentato, ma distinto quale quello descritto dai Titoli V e VI del
Trattato UE (v. ordinanza Segi e a./Consiglio, punto 45 supra, punto 38).
A tal riguardo, la ricorrente non può far valere la sentenza Unión de
Pequeños Agricultores/Consiglio, punto 39 supra. In tale sentenza (punto
40),
55 Occorre
tuttavia rilevare, al riguardo, che, senza che occorra interrogarsi sulla
possibilità di mettere in discussione la validità di una posizione comune
dinanzi ai giudici degli Stati membri, per essere effettiva, la posizione
comune impugnata richiede l’adozione di atti di esecuzione comunitari e/o
nazionali. Ora, non è stato dimostrato che tali atti di esecuzione non possano
essi stessi formare oggetto di un ricorso di annullamento tanto dinanzi al
giudice comunitario quanto dinanzi al giudice nazionale. Allo stesso modo, non
è dimostrato che la ricorrente non disponga di una tutela giurisdizionale
effettiva, sebbene indiretta, rispetto agli atti adottati in forza della
posizione comune impugnata che la danneggiano direttamente. Nel caso di specie,
la ricorrente ha inoltre effettivamente utilizzato tale diritto di ricorrere
nei confronti della decisione impugnata.
56 Di
conseguenza, il Tribunale è competente a pronunciarsi su un ricorso di
annullamento diretto contro una posizione comune adottata ai sensi degli
artt. 15 UE e 34 UE esclusivamente qualora la ricorrente faccia
valere, a sostegno di un siffatto ricorso, una violazione delle competenze
della Comunità (ordinanza Selmani/Consiglio e Commissione, punto 45 supra, punto
56). Infatti, i giudici comunitari sono competenti ad effettuare l’esame del
contenuto di un atto adottato nell’ambito del Trattato UE al fine di verificare
se tale atto non pregiudichi le competenze della Comunità e ad annullarlo
qualora risultasse che avrebbe dovuto essere fondato su una disposizione del
Trattato CE (v., in tal senso, sentenze della Corte Commissione/Consiglio,
punto 40 supra, punti 16 e 17, e 13 settembre 2005, causa C‑176/03,
Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑7879, punto 39; ordinanze Segi
e a./Consiglio e Gestoras Pro Amnistía e a./Consiglio, punto 45
supra, punto 41; v. altresì, analogamente, sentenza della Corte
14 gennaio 1997, causa C‑124/95, Centro-Com,
Racc. pag. I‑81, punto 25).
57 Nel
caso di specie, per la parte in cui la ricorrente fa valere uno sviamento di
procedimento commesso dal Consiglio agendo nell’ambito dell’Unione in spregio
alle competenze della Comunità, diretto a privarla di qualsiasi tutela
giurisdizionale, il ricorso in esame rientra nella sfera di competenza dei
giudici comunitari.
58 Occorre
tuttavia constatare, al riguardo, che il Consiglio, agendo nell’ambito
dell’Unione, lungi dal disconoscere le competenze della Comunità, si è, al
contrario, fondato su queste ultime per garantire l’esecuzione della posizione
comune impugnata. Infatti, poiché il Consiglio si è fondato sulle competenze
comunitarie pertinenti, in particolare su quelle risultanti dagli
artt. 60 CE e 301 CE, non gli può essere contestato di averle
ignorate. A tal riguardo, la ricorrente non ha menzionato alcuna base giuridica
pertinente diversa dalle disposizioni effettivamente utilizzate nel caso di
specie che sarebbe stata violata, in contrasto con l’art. 47 UE.
D’altra parte, tali disposizioni, per essere applicabili, prevedono la previa
adozione di una posizione comune o di un’azione comune. Ne risulta che la
previa adozione di una posizione comune prima del ricorso alle competenze
comunitarie utilizzate nel caso di specie manifesta il rispetto di tali
competenze e non la loro violazione. D’altronde, anche se il ricorso ad una
posizione comune ai sensi del Trattato UE comporta che le persone di cui
trattasi sono private di un rimedio giurisdizionale diretto dinanzi al giudice
comunitario, ovvero della possibilità di mettere direttamente in discussione la
legittimità della posizione comune impugnata, un esito del genere non
rappresenta, in quanto tale, una violazione delle competenze della Comunità.
Per quanto riguarda, infine, la risoluzione del Parlamento 7 febbraio
59 Il
Tribunale, quindi, pronunciandosi nell’ambito del limitato sindacato di
legittimità derivante dalla sua competenza ai sensi del Trattato CE, non può
che constatare che la posizione comune impugnata non viola le competenze della
Comunità.
60 Risulta
da quanto precede che, nella misura limitata in cui il Tribunale è competente a
giudicare del ricorso in esame, in quanto diretto contro la posizione comune
impugnata, quest’ultimo deve essere dichiarato manifestamente infondato.
Sulla domanda di
annullamento della decisione impugnata
61 A
sostegno della sua domanda di annullamento della decisione impugnata, la
ricorrente fa valere tre motivi. Il primo è articolato in cinque parti,
attinenti rispettivamente alla violazione dei diritti della difesa, alla
violazione di una forma sostanziale, alla violazione del diritto ad
un’effettiva tutela giurisdizionale, alla violazione del diritto alla
presunzione di innocenza e ad un errore manifesto di valutazione. Il secondo
motivo attiene alla violazione del diritto alla rivolta contro la tirannia e
l’oppressione. Il terzo attiene alla violazione del principio di non
discriminazione.
62 Occorre
esaminare anzitutto il primo motivo.
Argomenti delle parti
63 Nell’ambito
del primo motivo, la ricorrente non contesta né la legalità né la legittimità,
in quanto tali, di misure come il congelamento dei fondi previsto dagli atti
impugnati nei confronti delle persone, dei gruppi e delle entità coinvolti in
atti di terrorismo, ai sensi della posizione comune 2001/931.
64 La
ricorrente sostiene invece, nella prima parte del motivo, che la decisione
impugnata viola i suoi diritti fondamentali e, segnatamente, i suoi diritti
della difesa, garantiti, in particolare, dall’art. 6, n. 2, UE e
dall’art. 6 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), in quanto tale atto le impone
sanzioni e le causa un danno notevole, senza che essa sia stata sentita prima
della sua adozione e senza che abbia fatto in seguito utilmente conoscere neanche
il suo punto di vista. Essa ritiene che, disponendo di uffici e di dirigenti
noti, i suoi rappresentanti avrebbero dovuto essere convocati e sentiti prima
della sua inclusione nell’elenco controverso. Durante l’udienza, la ricorrente
ha insistito sul fatto ch’essa ignorava anche l’identità dell’autorità
nazionale all’origine della decisione asseritamente adottata nei suoi confronti
ai sensi dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931 e
dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, nonché gli
elementi di prova e d’informazione sulla base dei quali sarebbe stata adottata
una siffatta decisione. Secondo la ricorrente, la sua inclusione nell’elenco
controverso è stata fatta «a quanto pare sulla sola base di documenti prodotti
dal regime di Teheran».
65 La
ricorrente sostiene inoltre, nella seconda e nella terza parte del motivo, che
la sua inclusione nell’elenco controverso, senza previa audizione e senza la
minima indicazione dei motivi di fatto e di diritto che legalmente la
giustificano, viola altresì l’obbligo di motivazione previsto
dall’art. 253 CE, nonché il diritto ad un’effettiva tutela
giurisdizionale (sentenze della Corte 8 febbraio 1968, causa 3/67,
Mandelli/Commissione, Racc. pag. 35, e Johnston, punto 39 supra).
66 La
ricorrente sostiene poi, nella quarta parte del motivo, che tale inclusione
pregiudica inoltre la presunzione di innocenza garantita dall’art. 48,
n. 1, della carta dei diritti fondamentali e cita altresì, al riguardo, la
sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 10 febbraio 1995, Allenet de
Ribemont (serie A n. 308).
67 La
ricorrente sostiene infine, nella quinta parte del motivo, che la sua
inclusione nell’elenco controverso deriva da un manifesto errore di
valutazione. Essa ritiene infatti di non poter essere affatto accusata di
costituire un’organizzazione terroristica.
68 Il
Consiglio e il Regno Unito sostengono che la decisione impugnata non pregiudica
i diritti fondamentali la cui violazione viene fatta valere.
69 Per
quanto riguarda più in particolare il diritto di essere sentiti, il Consiglio
rileva che la stessa ricorrente ha fatto valere di avere scritto al presidente
in carica del Consiglio, prima dell’adozione della decisione inizialmente
impugnata, per sostenere la sua causa. Secondo il Consiglio, quindi, essa è
stata sentita prima che si procedesse al congelamento dei suoi fondi. Esso
richiama, in tal senso, l’ordinanza del presidente della Seconda Sezione del
Tribunale 2 agosto 2000, causa T‑189/00 R, «Invest» Import und
Export e Invest commerce/Commissione Racc. pag. II‑2993, punto
41), da cui emergerebbe indirettamente che i contatti intervenuti con le
autorità, la presentazione del suo punto di vista in modo circostanziato e la
conoscenza della sua iscrizione proposta nell’elenco «nero» rappresentano un
insieme di circostanze che soddisfano il diritto di essere sentiti.
70 Peraltro,
la ricorrente non avrebbe mai ripreso i contatti con il Consiglio dal giorno
dell’adozione della decisione inizialmente impugnata, per ottenere il riesame
del suo caso in vista della sua eventuale cancellazione dall’elenco
controverso.
71 In
ogni caso, né dalla CEDU, né dalla carta dei diritti fondamentali, strumento
peraltro non vincolante, né dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati
membri risulta che il rispetto dei diritti della difesa comporta un diritto
incondizionato di essere sentiti prima dell’adozione di una misura di sanzione
civile o amministrativa come quella impugnata nel caso di specie.
72 Il
Consiglio e il Regno Unito osservano che nell’ambito di un procedimento
amministrativo, almeno in taluni Stati membri, sembrano possibili eccezioni al
diritto generale di essere sentiti per motivi di interesse generale, di ordine
pubblico o di cura delle relazioni internazionali, o ancora nel caso in cui la
finalità della decisione da adottare sia o possa essere pregiudicata qualora
fosse riconosciuto il diritto di cui trattasi. A titolo di esempio, il
Consiglio menziona gli ordinamenti tedesco, francese, italiano, inglese,
danese, svedese, irlandese e belga.
73 Il
governo del Regno Unito, dal canto suo, descrive il procedimento speciale
applicabile dinanzi alla POAC, nell’ambito di un ricorso diretto contro una
decisione dello Home Secretary di vietare un’organizzazione che ritiene
coinvolta in attività di terrorismo, ai sensi del Terrorism Act 2000. Tale
procedimento sarebbe caratterizzato, in particolare, dalla designazione di un
avvocato speciale per rappresentare la ricorrente dinanzi alla POAC, che siede
a porte chiuse, nonché dalla possibilità per
74 Allo
stesso modo, secondo il Consiglio e il Regno Unito, il diritto comunitario non
conferisce alla ricorrente alcun diritto di essere sentita prima della sua
inclusione nell’elenco controverso.
75 Secondo
il Regno Unito, la causa in esame differisce da quella all’origine della
sentenza della Corte 29 giugno 1994, causa C‑135/92, Fiskano/Commissione
(Racc. pag. I‑2885), fatta valere dalla ricorrente, in quanto
l’inclusione della ricorrente nell’elenco controverso non costituisce l’avvio
di un procedimento nei suoi confronti relativo ad un diritto preesistente,
bensì l’adozione di una misura legislativa o amministrativa da parte delle
istituzioni comunitarie. Una persona interessata ad una misura siffatta non
sarebbe convenuta in un procedimento e, di conseguenza, il problema dei diritti
della difesa semplicemente non si porrebbe. I suoi diritti sarebbero garantiti
dalla possibilità di adire un giudice, nel caso di specie il Tribunale
investito ai sensi dell’art. 230 CE, per far verificare se la
normativa di cui trattasi sia stata adottata legittimamente e/o se la ricorrente
rientri effettivamente nella sfera di applicazione della detta normativa.
76 Il
Consiglio fa valere anche, nello stesso senso, le sentenze della Corte
23 settembre 1986, causa 5/85, AKZO Chemie/Commissione
(Racc. pag. 2585, punti 20 e 24), e 14 marzo 2000,
causa C‑54/99, Église de scientologie (Racc. pag. I‑1335,
punto 20). Il Consiglio dubita inoltre che i principi giurisprudenziali
elaborati nelle cause di concorrenza o di difesa commerciale possano essere
applicati senza riserve nella causa in oggetto. A suo avviso, la giurisprudenza
più pertinente nel caso di specie è quella che ha ammesso che, nel caso di una
persona interessata da una sanzione comunitaria adottata su proposta di un’autorità
nazionale, il diritto di essere sentiti è effettivamente garantito anzitutto
nell’ambito dei rapporti tra l’interessato e l’amministrazione nazionale
(ordinanza «Invest» Import und Export e Invest commerce/Commissione, punto 69
supra, punto 40).
77 Quanto
all’art. 6 della CEDU, il Consiglio sottolinea che nulla, nella
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, indica che le
garanzie previste da tale disposizione avrebbero dovuto essere applicate
durante il procedimento amministrativo che ha condotto all’adozione della
decisione impugnata. Il congelamento dei beni della ricorrente non
rappresenterebbe una sanzione penale e non potrebbe essere paragonato a una
sanzione del genere alla luce dei criteri di gravità accolti dalla Corte europea
dei diritti dell’uomo (Corte europea D.U., sentenze Engel e a., 8 giugno
1976, serie A n. 22, Campbell e Fell, 28 giugno 1984, serie A
n. 80, e Öztürk, 23 ottobre 1984, serie A n. 85). Tale stessa Corte
ha altresì dichiarato che l’art. 6, n. 1, della CEDU non è
applicabile alle fasi amministrative di indagine dinanzi alle autorità
amministrative. Solo il modo in cui le informazioni raccolte durante
l’istruzione amministrativa sono utilizzate durante il procedimento
giurisdizionale sarebbe soggetto alla garanzia dell’equo processo (Corte
europea D.U., sentenza Fayed, 21 settembre 1994, serie A n. 294‑B)
.
78 Il
Regno Unito contesta altresì che l’art. 6, n. 1, della CEDU riguardi
l’adozione di misure legislative o regolamentari. Tale disposizione sarebbe
applicabile esclusivamente a contestazioni relative a diritti ed obblighi
aventi carattere civile e le garanzie da essa previste sarebbero applicabili
solo nei limiti in cui penda una controversia che esige una pronuncia. Essa non
conferirebbe quindi ai singoli il diritto di essere sentiti prima dell’adozione
di una normativa che interferisce con i loro diritti di proprietà. In un caso
siffatto, i singoli avrebbero soltanto il diritto di contestare successivamente
la legittimità di tale normativa o della sua applicazione al caso di specie
(Corte europea D.U., sentenze Lithgow e a., 8 luglio 1986, serie
A n. 102, e James e a., 21 febbraio 1986, serie A n. 98).
79 Nel
caso di specie, né l’inclusione della ricorrente nell’elenco controverso né il
congelamento dei suoi beni rientravano quindi, secondo il Regno Unito,
nell’art. 6, n. 1, della CEDU. Di conseguenza, la ricorrente non
avrebbe avuto alcun diritto di far valere i suoi argomenti prima dell’adozione
di tali misure. Tuttavia, nell’ambito di questa stessa disposizione, la
ricorrente avrebbe un diritto di accesso ad un organo giudiziario per
contestare la legittimità della normativa di cui trattasi. Peraltro, essa si
sarebbe avvalsa di tale diritto proponendo il ricorso in esame.
80 In
ogni caso, le misure di cui trattasi nel caso di specie, dettate dall’urgenza,
non sarebbero sproporzionate rispetto all’obiettivo da raggiungere e non
avrebbero creato un iniquo squilibrio tra le esigenze derivanti dall’interesse
generale e quelle legate alla tutela dei diritti fondamentali, dato che i
diritti della difesa possano essere esercitati dopo l’adozione di tali misure.
81 A
tale riguardo, il Consiglio e il Regno Unito sottolineano che un’informazione o
un’audizione della ricorrente prima del congelamento dei suoi beni avrebbe
compromesso la realizzazione dell’importante obiettivo di interesse generale
perseguito dal regolamento n. 2580/2001, che sarebbe di evitare che dei
fondi possano servire al finanziamento di attività terroristiche. Secondo tali
parti, infatti, la ricorrente avrebbe potuto approfittare del termine che le è
stato impartito per presentare le sue osservazioni e trasferire i suoi fondi al
di fuori dell’Unione.
82 Il
Regno Unito aggiunge che esistono verosimilmente ragioni imperative attinenti
alla sicurezza nazionale per non divulgare all’interessata le informazioni e le
prove sulla base delle quali un’autorità competente può adottare una decisione
che constata che un’entità è coinvolta in attività di terrorismo.
83 Quanto
all’asserita violazione dell’obbligo di motivazione, il Consiglio fa valere che
la decisione impugnata, sebbene non specificamente motivata, si limita ad
aggiornare l’elenco previsto dal regolamento n. 2580/2001, il cui
art. 2, n. 3, enumera i criteri sulla base dei quali le persone, i
gruppi e le entità sono compresi nell’elenco controverso. Il detto regolamento,
la posizione comune impugnata e la decisione impugnata, considerati nel loro
insieme in un contesto ben noto alla ricorrente, soddisfano l’obbligo di
motivazione, come definito dalla giurisprudenza, dato che le condizioni
materiali della lotta contro il terrorismo non sono quelle esistenti in altri
settori, come quello della concorrenza (sentenza della Corte 14 febbraio 1990,
causa C‑350/88, Delacre e a./Commissione, Racc. pag. I‑395,
punto 15; v. infatti, in un contesto di congelamento dei fondi, ordinanza
«Invest» Import und Export e Invest commerce/Commissione, punto 69 supra, punto
43).
84 Il
Consiglio considera inoltre che la decisione impugnata non pregiudica affatto
il diritto alla presunzione di innocenza.
85 Quanto
all’errore manifesto di valutazione, il Consiglio e il Regno Unito ritengono
che la ricorrente possa difficilmente sostenere di non essere un’organizzazione
terroristica e di non rientrare quindi nella sfera di applicazione
dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001.
86 Le
Consiglio e il Regno Unito ricordano che, in forza dell’art. 1, n. 4,
della posizione comune 2001/931, l’elenco controverso è redatto sulla base di
informazioni precise o di elementi del fascicolo che indicano l’avvenuta
adozione di una decisione da parte di un’autorità nazionale competente che
identifica una persona, un gruppo o un’entità coinvolti in attività
terroristiche. Ora, la ricorrente non sostiene di non essere stata inclusa
nell’elenco controverso sulla base di una decisione del genere, né vi sono
elementi che lo suggerirebbero.
87 Il
Consiglio ammette che, ai sensi di questa stessa disposizione, esso verifica il
rispetto, da parte delle autorità nazionali, dei criteri fissati dall’Unione.
Tuttavia, tale verifica non riguarda circostanze come quelle fatte valere dalla
ricorrente, né informazioni basate talvolta su fonti protette o sull’attività
dei servizi specializzati degli Stati membri. Considerato il ruolo essenziale
svolto nel procedimento dalle autorità nazionali competenti, il Consiglio e il
Regno Unito ritengono che una contestazione delle stesse circostanze in
considerazione delle quali tali autorità hanno proposto l’inclusione di una
persona nell’elenco controverso o una domanda diretta alla revisione della loro
decisione possano essere proposte solo a livello nazionale. A tal riguardo, il
Regno Unito rileva che l’art. 7 del regolamento n. 2580/2001 autorizza
88 Ora,
lo Home Secretary, autorità competente in materia nel Regno Unito, avrebbe
respinto una domanda della ricorrente diretta ad ottenere la sua cancellazione
dall’elenco delle organizzazioni vietate ai sensi del Terrorism Act 2000. Pur
prendendo atto delle affermazioni della ricorrente secondo cui, da un lato,
essa è stata coinvolta in una lotta legittima contro un regime repressivo e, dall’altro,
i suoi atti di resistenza armata sono stati concentrati contro obiettivi
militari in Iran, lo Home Secretary avrebbe dichiarato di non poter accettare
«alcun diritto di ricorrere ad atti di terrorismo, quale che ne sia la
motivazione». I ricorsi giurisdizionali proposti dalla ricorrente contro tale
decisione sarebbero stati respinti (v. punto 73 supra).
Giudizio del Tribunale
89 Devono
essere anzitutto esaminate, congiuntamente, le censure attinenti alla violazione
dei diritti della difesa, alla violazione dell’obbligo di motivazione ed alla
violazione del diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale, censure
strettamente legate tra loro. Infatti, da un lato, la garanzia dei diritti
della difesa contribuisce ad assicurare il corretto esercizio del diritto ad
un’effettiva tutela giurisdizionale. Dall’altro, sussiste uno stretto legame
tra il diritto ad un effettivo ricorso giurisdizionale e l’obbligo di
motivazione. Come sottolineato da una costante giurisprudenza, l’obbligo,
incombente alle istituzioni comunitarie in forza dell’art. 253 CE, di
motivare le loro decisioni mira a consentire al giudice comunitario di
esercitare il suo sindacato di legittimità e agli interessati di conoscere le
giustificazioni del provvedimento adottato per poter tutelare i propri diritti
e verificare se la decisione sia o meno fondata (sentenze della Corte
4 luglio 1963, causa 24/62, Germania/Commissione, Racc.
pag. 131, in particolare pag. 140, e 10 maggio 2005, causa C‑400/99,
Italia/Commissione, Racc. pag. I‑3657, punto 22; sentenza del
Tribunale 30 settembre 2003, cause riunite T‑346/02 e T‑347/02,
Cableuropa e a./Commissione, Racc. pag. II‑4251, punto 225).
Infatti, gli interessati possono realmente sostenere il loro ricorso
giurisdizionale solo se hanno una conoscenza esatta del contenuto e dei motivi
dell’atto di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza della Corte 19 febbraio
1998, causa C‑309/95, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑655,
punto 18, e sentenza del Tribunale 7 luglio 1999, causa T‑89/96,
British Steel/Commissione, Racc. pag. II‑2089, punto 33).
90 Alla
luce degli argomenti dedotti in via principale dal Consiglio e dal Regno Unito,
il Tribunale verificherà anzitutto se i diritti e le garanzie di cui la ricorrente
fa valere la violazione possano essere applicati nell’ambito dell’adozione di
una decisione di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento
n. 2580/2001. Il Tribunale determinerà poi l’oggetto e preciserà i limiti
di tali diritti e garanzie in un ambito siffatto. Il Tribunale si pronuncerà
infine sull’asserita violazione dei diritti e delle garanzie di cui trattasi,
nelle circostanze particolari del caso di specie.
Applicabilità delle garanzie relative al
rispetto dei diritti della difesa, all’obbligo di motivazione e al diritto ad
un’effettiva tutela giurisdizionale nell’ambito dell’adozione di una decisione
di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001
– Diritti
della difesa
91 Secondo
una costante giurisprudenza, il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi
procedimento promosso nei confronti di una persona e che possa sfociare in un
atto per essa lesivo costituisce un principio fondamentale del diritto
comunitario che dev’essere garantito anche in mancanza di qualsiasi norma
riguardante il procedimento di cui trattasi. Tale principio impone che i
destinatari di una sanzione siano messi in condizione di far conoscere
utilmente il proprio punto di vista sugli elementi ritenuti a suo carico per
infliggere la sanzione (sentenza della Corte Fiskano/Commissione, punto 75
supra, punti 39 e 40 e giurisprudenza ivi citata).
92 Nel
caso di specie, la decisione impugnata, con cui è stata inflitta alla
ricorrente una misura individuale di sanzione economica e finanziaria
(congelamento dei fondi), sicuramente la danneggia (v. altresì punto 98 infra).
Tale giurisprudenza è quindi applicabile nel caso di specie.
93 Deriva
da tale giurisprudenza che, salvo eccezioni (v. punti 127 e segg. infra), la
garanzia dei diritti della difesa implica in linea di principio due effetti
principali. Da un lato, all’interessato devono essere comunicati gli elementi
ritenuti a suo carico per fondare la sanzione amministrativa prevista (in
prosieguo: la «comunicazione degli elementi a carico»). Dall’altro, esso
dev’essere posto in grado di far valere utilmente il suo punto di vista in
merito a tali elementi (in prosieguo: l’«audizione»).
94 Così
intesa, la garanzia dei diritti della difesa nell’ambito del procedimento
amministrativo dev’essere distinta da quella che deriva dal diritto ad un
effettivo ricorso giurisdizionale contro l’atto lesivo eventualmente adottato
al termine di tale procedimento (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 23
aprile 2002, causa T‑372/00, Campolargo/Commissione,
Racc. PI pagg. I‑A‑49 e II‑223, punto 36). Gli
argomenti del Consiglio e del Regno Unito relativi all’art. 6 della CEDU
(v. punti 77-79 supra) sono quindi irrilevanti nell’ambito della censura in
esame.
95 Inoltre,
la garanzia relativa al rispetto dei diritti della difesa in senso stretto,
nell’ambito dell’adozione di una decisione di congelamento dei fondi ai sensi
del regolamento n. 2580/2001, non può essere negata agli interessati in
base all’unica motivazione, fatta valere dal Consiglio e dal Regno Unito (v.
punti 78 e 79, supra), che né
96 È
vero che la giurisprudenza in materia di diritto al contraddittorio non può
essere estesa alle procedure legislative comunitarie, che culminano
nell’adozione di provvedimenti normativi che implicano scelte di politica
economica e si applicano alla generalità degli operatori interessati (sentenza
del Tribunale 11 dicembre 1996, causa T‑521/93, Atlanta
e a./CE, Racc. pag. II‑1707, punto 70, confermata su
impugnazione con sentenza della Corte 14 ottobre 1999, causa C‑104/97 P,
Atlanta/Comunità europea, Racc. pag. I‑6983, punti 31‑38).
97 È
vero altresì che la decisione impugnata, che conferma la ricorrente nell’elenco
controverso, dopo che quest’ultima vi è stata inclusa con la decisione
inizialmente impugnata, ha la stessa portata generale del regolamento
n. 2580/2001 ed è, come quest’ultimo, direttamente applicabile in tutti
gli Stati membri. Essa possiede quindi, malgrado il suo titolo, la natura
regolamentare di tale atto ai sensi dell’art. 249 CE (v.,
analogamente, ordinanza del Tribunale 6 maggio 2003, causa T‑45/02, DOW
AgroSciences/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. II‑1973, punti 31-33
e giurisprudenza ivi citata, e sentenza Yusuf, punto 29 supra, punti 184‑188).
98 Tuttavia,
tale decisione non ha una natura esclusivamente normativa. Pur spiegando i suoi
effetti erga omnes, essa riguarda direttamente e individualmente la ricorrente,
da essa peraltro nominativamente designata in quanto compresa nell’elenco delle
persone, dei gruppi e delle entità i cui fondi devono essere congelati in
applicazione del regolamento n. 2580/2001. Poiché si tratta di un atto che
infligge una misura individuale di sanzione economica e finanziaria (v. punto
92 supra), la giurisprudenza citata al punto 96 supra non è applicabile (v.,
analogamente, sentenza Yusuf, punto 29 supra, punto 324).
99 Occorre
inoltre rilevare gli elementi che distinguono la causa in esame da quelle
all’origine delle sentenze Yusuf e Kadi, punto 29 supra, in cui è stato
dichiarato che le istituzioni comunitarie non erano tenute a sentire gli
interessati nell’ambito dell’adozione e dell’attuazione di un’analoga misura di
congelamento dei fondi di persone e di entità legate a Osama Bin Laden, alla
rete di Al-Qaeda e ai talebani.
100 Tale
soluzione è stata giustificata, nelle dette cause, dalla circostanza che le
istituzioni comunitarie si erano limitate a trasporre nell’ordinamento
giuridico comunitario, essendovi tenute, risoluzioni del Consiglio di sicurezza
e decisioni del suo comitato delle sanzioni che imponevano il congelamento dei
fondi degli interessati, nominativamente designati, e che non le autorizzavano
in nessun modo, in fase di concreta attuazione, a prevedere un qualunque
meccanismo comunitario di esame o di riesame delle situazioni individuali. Il
Tribunale ne ha dedotto che il principio di diritto comunitario relativo al
diritto di essere sentiti non poteva essere applicato in circostanze del
genere, in cui un’audizione dell’interessato non avrebbe potuto in nessun caso portare
l’istituzione a rivedere la propria posizione (sentenze Yusuf, punto 29 supra,
punto 328, e Kadi, punto 29 supra, punto 258).
101 Nella
presente causa, invece, se da un lato la risoluzione 1373 (2001) del
Consiglio di sicurezza dispone in particolare, al suo n. 1, lett. c),
che tutti gli Stati congelino senza indugio i fondi e gli altri strumenti
finanziari o risorse economiche delle persone che commettono o tentano di
commettere atti di terrorismo, li agevolano o vi partecipano, delle entità riconducibili
a tali persone, o da esse controllate, e delle persone ed entità che agiscono
in nome o dietro istruzioni di tali persone ed entità, essa non determina
individualmente quali persone, gruppi o entità debbano formare oggetto di tali
misure. Il Consiglio di sicurezza non ha neanche emanato norme giuridiche
precise riguardanti il procedimento di congelamento dei fondi, né le garanzie o
i ricorsi giurisdizionali che assicurino alle persone ed alle entità
interessate da un procedimento siffatto un’effettiva possibilità di contestare
le misure adottate dagli Stati nei loro confronti.
102 Pertanto,
nell’ambito della risoluzione 1373 (2001), spetta agli Stati membri
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) – e, nel caso di specie, alla
Comunità, attraverso cui gli Stati membri hanno deciso di agire – identificare
concretamente quali siano le persone, i gruppi e le entità i cui fondi devono
essere congelati in applicazione di tale risoluzione, conformandosi alle norme
del loro ordinamento giuridico.
103 A
tal riguardo, il Consiglio ha sostenuto, durante l’udienza, che, nell’ambito
dell’attuazione della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza, le
misure da esso adottate in forza di una competenza vincolata, che beneficiano
quindi del «primato» derivante dagli artt. 25 e 103 della carta delle
Nazioni Unite, sono essenzialmente quelle previste dalle disposizioni materiali
del regolamento n. 2580/2001, che determinano l’entità delle misure
restrittive da adottare nei confronti delle persone menzionate al n. 1,
lett. c), della detta risoluzione. Invece, a differenza degli atti oggetto
delle cause all’origine delle sentenze Yusuf e Kadi, punto 29 supra, gli atti
che applicano concretamente tali misure restrittive a questa o a quella persona
o entità, come la decisione impugnata, non rientrerebbero nell’ambito
dell’esercizio di una competenza vincolata e non godrebbero quindi del
«primato» di cui trattasi. Il Consiglio ritiene che l’adozione di tali atti
rientri piuttosto nell’esercizio dell’ampio potere discrezionale di cui dispone
nel settore della PESC.
104 Tali
considerazioni possono sostanzialmente essere condivise dal Tribunale, salvo
gli eventuali problemi applicativi del n. 1, lett. c), della
risoluzione 1373 (2001) che potrebbero emergere dall’assenza, a tutt’oggi, di
una definizione universalmente accettata delle nozioni di «terrorismo» e di
«atto di terrorismo» in diritto internazionale [v., al riguardo, il documento
finale (A/60/L1) adottato dall’assemblea generale dell’ONU il 15 settembre
105 Infine,
il Consiglio ha fatto valere in udienza che, in quanto istituzione comunitaria
autrice del regolamento n. 2580/2001 e delle decisioni che lo attuano,
esso non si riteneva vincolato dalle posizioni comuni adottate nell’ambito
della PESC dal Consiglio in quanto istituzione composta dai rappresentanti
degli Stati membri, anche se gli sembrava normale garantire la coerenza delle
sue azioni nell’ambito della PESC e del Trattato CE.
106 Il
Consiglio sottolinea quindi, giustamente, che
107 Dato
che l’identificazione delle persone, dei gruppi e delle entità menzionati dalla
risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza e l’adozione delle
misure di congelamento dei fondi che ne consegue rientrano nell’esercizio di un
potere proprio, che comporta una valutazione discrezionale della Comunità, il
rispetto dei diritti della difesa degli interessati si impone in linea di
principio alle istituzioni comunitarie interessate, nel caso di specie al
Consiglio, qualora esse agiscano per conformarsi alla detta risoluzione.
108 Ne
consegue che la garanzia dei diritti della difesa è, in linea di principio,
pienamente applicabile nell’ambito dell’adozione di una decisione di
congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001.
– Obbligo
di motivazione
109 In
linea di principio, la garanzia relativa all’obbligo di motivazione previsto
dall’art. 253 CE è anch’essa pienamente applicabile nell’ambito
dell’adozione di una decisione di congelamento dei fondi ai sensi del
regolamento n. 2580/2001, il che non è peraltro stato messo in dubbio da
alcuna delle parti.
– Diritto
ad un’effettiva tutela giurisdizionale
110 Quanto
alla garanzia relativa al diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale, si deve
ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, i singoli devono poter
beneficiare di una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti loro
riconosciuti dall’ordinamento giuridico comunitario, poiché il diritto a detta
tutela fa parte dei principi giuridici generali che derivano dalle tradizioni
costituzionali comuni agli Stati membri ed è stato sancito dagli artt. 6 e
13 della CEDU (v. sentenza del Tribunale 5 aprile 2006, causa T‑279/02,
Degussa/Commissione, Racc. pag. II‑897, punto 421 e giurisprudenza
ivi citata).
111 Lo
stesso vale, in particolare, per le misure di congelamento dei fondi delle
persone o delle organizzazioni sospettate di attività terroristiche (v., in tal
senso, il punto XIV degli orientamenti sui diritti dell’uomo e la lotta contro
il terrorismo, adottati dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa l’11
luglio 2002).
112 Nell’ambito
del ricorso in esame, la sola riserva formulata dal Consiglio, quanto
all’applicabilità di tale garanzia in linea di principio, riguarda il fatto
che, secondo la detta istituzione, il Tribunale non è competente per
controllare la legittimità interna delle disposizioni materiali del regolamento
n. 2580/2001, in quanto esse sono state adottate in forza di una
competenza vincolata dalla risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di
sicurezza e beneficiano, di conseguenza, dell’effetto di «primato» menzionato
al punto 103 supra.
113 Non
è tuttavia necessario che il Tribunale si pronunci sulla fondatezza di tale
riserva, dato che la controversia in esame può essere risolta, come sarà
esposto infra, sulla base del solo controllo giurisdizionale della legittimità
della decisione impugnata. Nessuna delle parti contesta infatti che essa
rientra nella sfera di competenza del Tribunale.
Oggetto e limitazioni delle garanzie relative
al rispetto dei diritti della difesa, all’obbligo di motivazione e al diritto
ad un’effettiva tutela giurisdizionale nel contesto dell’adozione di una
decisione di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001
– Diritti
della difesa
114 Occorre,
in primo luogo, definire l’oggetto della garanzia dei diritti della difesa nel
contesto dell’adozione di una decisione di congelamento dei fondi adottata ai
sensi dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001,
distinguendo se si tratti di una decisione iniziale di congelamento dei fondi
di cui all’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931 (in
prosieguo: la «decisione iniziale di congelamento dei fondi») ovvero di una
qualsiasi delle decisioni successive di conferma del congelamento dei fondi,
dopo riesame periodico, di cui all’art. 1, n. 6, della stessa
posizione comune (in prosieguo: le «decisioni successive di congelamento dei
fondi»).
115 In
tale contesto, si deve anzitutto sottolineare che diritti della difesa possono
essere esercitati solo rispetto ad elementi di fatto e di diritto che possono
condizionare l’applicazione all’interessato della misura di cui trattasi,
conformemente alla normativa pertinente.
116 Nel
caso in esame, la normativa pertinente è contenuta all’art. 2, n. 3,
del regolamento n. 2580/2001, ai sensi del quale il Consiglio,
all’unanimità, redige, rivede e modifica l’elenco delle persone, dei gruppi e
delle entità ai quali si applica il detto regolamento, conformemente alle
disposizioni dell’art. 1, nn. 4-6, della posizione comune 2001/931.
L’elenco di cui trattasi deve quindi essere redatto, conformemente alle
disposizioni dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931,
sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo che mostrano che
una decisione è stata adottata, da parte di un’autorità competente, nei
confronti delle persone, dei gruppi e delle entità menzionati, che si tratti
dell’avvio di indagini o di azioni penali per un atto di terrorismo, o per il
tentativo di commetterlo, o per la partecipazione o l’agevolazione di un tale
atto, basata su prove o indizi seri e credibili, o che si tratti della condanna
per tali fatti. Si intende per «autorità competente» un’autorità giudiziaria
ovvero, se le autorità giudiziarie non hanno alcuna competenza in materia,
un’autorità competente equivalente in tale settore. Inoltre, i nomi delle
persone e delle entità riprese sull’elenco devono formare oggetto di un riesame
a intervalli regolari, almeno una volta ogni sei mesi, per garantire che la
loro conferma sull’elenco rimanga giustificata, conformemente alle disposizioni
dell’art. 1, n. 6, della posizione comune 2001/931.
117 Come
giustamente rilevato dal Consiglio e dal Regno Unito, il procedimento che può
condurre ad una misura di congelamento dei fondi ai sensi della normativa
pertinente si svolge quindi su due livelli, uno nazionale e l’altro
comunitario. In un primo momento, un’autorità nazionale competente, in linea di
principio un’autorità giudiziaria, deve adottare nei confronti dell’interessato
una decisione che soddisfi la definizione dell’art. 1, n. 4, della
posizione comune 2001/931. Se si tratta di una decisione di avvio di inchieste
o di azioni penali, essa deve essere basata su prove o indizi seri e credibili.
In un secondo momento, il Consiglio, all’unanimità, deve decidere di includere
l’interessato nell’elenco controverso, sulla base di informazioni precise o di
elementi del fascicolo che mostrano l’adozione di una decisione. In seguito, il
Consiglio deve accertarsi, a intervalli regolari, almeno una volta ogni sei
mesi, che la presenza dell’interessato sull’elenco controverso resti
giustificata. A tale riguardo, la verifica dell’esistenza di una decisione di
un’autorità nazionale che soddisfi la detta definizione sembra una condizione
preliminare per l’adozione, da parte del Consiglio, della decisione iniziale di
congelamento dei fondi, mentre la verifica delle conseguenze riservate a tale
decisione a livello nazionale sembra indispensabile nell’ambito dell’adozione
di una successiva decisione di congelamento dei fondi.
118 Di
conseguenza, il problema del rispetto dei diritti della difesa nell’ambito
dell’adozione di una misura di congelamento dei fondi può porsi anch’esso su
tali due livelli (v., in tal senso e analogamente, ordinanza «Invest» Import
und Export e Invest commerce/Commissione, punto 69 supra, punto 40).
119 I
diritti della difesa dell’interessato devono essere effettivamente garantiti
anzitutto nell’ambito del procedimento nazionale che ha condotto all’adozione,
da parte dell’autorità nazionale competente, della decisione di cui
all’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931. È essenzialmente
in tale ambito nazionale che l’interessato deve essere posto in grado di far
conoscere utilmente il suo punto di vista in merito agli elementi fatti valere
a suo carico per fondare la decisione di cui trattasi, salvo eventuali
limitazioni ai diritti della difesa legalmente giustificate dal diritto
nazionale, in particolare per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza
o di cura delle relazioni internazionali (v., in tal senso, Corte europea
D. U., sentenza Tinnelly & Sons e a. e McElduff e a. c.
Regno Unito, 10 luglio 1998, Recueil des arrêts et décisions, 1998-IV,
§ 78).
120 I
diritti della difesa dell’interessato devono poi essere pienamente garantiti
nell’ambito del procedimento comunitario che deve condurre all’adozione, da
parte del Consiglio, della decisione di includerlo o di confermarlo nell’elenco
controverso, conformemente all’art. 2, n. 3, del regolamento
n. 2580/2001. In linea di principio, in tale ambito, l’interessato deve
solo essere posto in grado di far valere utilmente il suo punto di vista sulle
condizioni legali di applicazione della misura comunitaria di cui trattasi,
cioè, se si tratta di una decisione iniziale di congelamento dei fondi,
l’esistenza di informazioni precise o di elementi del fascicolo che mostrano
l’adozione nei suoi confronti, da parte di un’autorità nazionale competente, di
una decisione che soddisfi la definizione di cui all’art. 1, n. 4,
della posizione comune 2001/931 e, se si tratta di una decisione successiva di
congelamento dei fondi, le giustificazioni della conferma dell’interessato
sull’elenco controverso.
121 Invece,
qualora la decisione di cui trattasi provenga da un’autorità competente di uno
Stato membro, il rispetto dei diritti della difesa a livello comunitario non
esige più, di regola, in tale fase, che l’interessato venga posto nuovamente in
grado di pronunciarsi sull’opportunità e sulla fondatezza della detta
decisione, dato che tali questioni possono essere discusse solo a livello
nazionale, dinanzi all’autorità di cui trattasi ovvero, dietro ricorso
dell’interessato, dinanzi al giudice nazionale competente. Allo stesso modo, in
linea di principio, non spetta al Consiglio pronunciarsi sulla regolarità del
procedimento avviato nei confronti dell’interessato che ha condotto alla detta
decisione, previsto dal diritto dello Stato membro applicabile, ovvero sul
rispetto dei diritti fondamentali dell’interessato da parte delle autorità
nazionali. Infatti, tale potere spetta esclusivamente ai giudici nazionali
competenti ovvero, eventualmente, alla Corte europea dei diritti dell’uomo (v.,
analogamente, sentenza del Tribunale 10 aprile 2003, causa T‑353/00, Le
Pen/Parlamento, Racc. pag. II‑1729, punto 91, confermata in sede di
impugnazione con la sentenza della
Corte 7 luglio 2005, causa C‑208/03 P, Le Pen/Parlamento, Racc.
pag. I‑6051).
122 Nel
caso in cui la misura comunitaria di congelamento dei fondi venga adottata
sulla base di una decisione di un’autorità nazionale di uno Stato membro
pronunciata in materia di indagini o di azioni penali (piuttosto che sulla base
di una decisione di condanna), il rispetto dei diritti della difesa non esige
neanche, in linea di principio, che l’interessato venga posto in grado di far
valere il suo punto di vista sul problema di sapere se tale decisione sia
«fondata su prove o su indizi seri e credibili», come prescritto
dall’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931. Infatti, sebbene
tale elemento rappresenti una delle condizioni legali di applicazione della
misura di cui trattasi, il Tribunale ritiene che sarebbe inappropriato, alla
luce del principio di leale cooperazione sancito dall’art. 10 CE,
assoggettarlo all’esercizio dei diritti della difesa a livello comunitario.
123 A
tale riguardo, il Tribunale ricorda che, ai sensi dell’art. 10 CE, i
rapporti tra gli Stati membri e le istituzioni comunitarie sono regolati da
doveri reciproci di leale cooperazione (v. sentenza della Corte 16 ottobre
2003, causa C‑339/00, Irlanda/Commissione, Racc. pag. I‑11757,
punti 71 e 72 e giurisprudenza ivi citata). Tale principio è di applicazione
generale e si impone, in particolare, nell’ambito della GAI, disciplinata dal
titolo VI del Trattato UE, la quale è d’altra parte interamente fondata sulla
cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni (sentenza della
Corte 16 giugno 2005, causa C‑105/03, Pupino, Racc. pag. I‑5285,
punto 42).
124 In
un caso di applicazione dell’art. 1, n. 4, della posizione comune
2001/931 e dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001,
disposizioni che instaurano una forma di cooperazione specifica tra il
Consiglio e gli Stati membri nell’ambito della lotta comune contro il
terrorismo, il Tribunale ritiene che tale principio comporti, per il Consiglio,
l’obbligo di rimettersi, per quanto possibile, alla valutazione dell’autorità
nazionale competente, almeno se si tratta di un’autorità giudiziaria, tanto per
quanto attiene all’esistenza delle «prove o indizi seri e credibili» sui quali
si fonda la decisione di quest’ultima quanto per ciò che riguarda il
riconoscimento delle eventuali limitazioni di accesso a tali prove o indizi,
legalmente giustificate dal diritto nazionale per ragioni imperative di ordine
pubblico, di pubblica sicurezza o di cura delle relazioni internazionali (v.,
analogamente, sentenza del Tribunale 18 settembre 1996, causa T‑353/94,
Postbank/Commissione, Racc. pag. II‑921, punto 69 e giurisprudenza
ivi citata).
125 Occorre
tuttavia aggiungere che tali considerazioni valgono solo nella misura in cui le
prove o gli indizi di cui trattasi siano stati sottoposti alla valutazione
dell’autorità nazionale competente menzionata al punto precedente. Qualora, al
contrario, nel corso del procedimento dinanzi ad esso, il Consiglio basi la sua
decisione iniziale o una decisione successiva di congelamento dei fondi su
elementi di informazione o di prova comunicatigli dai rappresentanti degli
Stati membri senza essere stati sottoposti alla valutazione della detta
autorità nazionale competente, tali elementi devono essere considerati alla
stregua di nuovi elementi a carico che devono, in linea di principio, formare
oggetto di una comunicazione e di un’audizione a livello comunitario, dato che
ciò non è avvenuto a livello nazionale.
126 Deriva
da quanto precede che, nell’ambito delle relazioni tra
127 Occorre
tuttavia ammettere, al contempo, che talune limitazioni dei diritti della
difesa, così definiti con riferimento al loro oggetto, possono essere
legittimamente previste ed imposte agli interessati, in circostanze come quelle
del caso di specie, in cui si tratta di misure restrittive specifiche relative
ad un congelamento dei fondi e degli strumenti finanziari delle persone, dei
gruppi e delle entità identificati dal Consiglio in quanto coinvolti in atti di
terrorismo.
128 Pertanto,
il Tribunale considera, come già dichiarato nella sentenza Yusuf, punto 29,
supra, e come sostenuto nel caso di specie dal Consiglio e dal Regno Unito, che
una comunicazione degli elementi a carico ed un’audizione degli interessati
prima dell’adozione della decisione iniziale di congelamento dei fondi
avrebbero potuto compromettere l’efficacia delle sanzioni e si sarebbero quindi
rivelate incompatibili con l’obiettivo d’interesse generale perseguito dalla
Comunità conformemente alla risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza.
Una misura iniziale di congelamento dei fondi deve, per sua stessa natura,
poter beneficiare di un effetto sorpresa e applicarsi con effetto immediato.
Pertanto, una misura del genere non può essere notificata prima di essere
attuata (sentenza Yusuf, punto 29 supra, punto 308; v. altresì, in tal senso e
analogamente, conclusioni dell’avvocato generale Warner per la sentenza della
Corte 26 giugno 1980, causa 136/79, National Panasonic/Commissione,
Racc. pag. 2033, in particolare pagg. 2061, 2068, 2069).
129 Tuttavia,
affinché gli interessati possano utilmente difendere i loro diritti occorre
ancora, in particolare nell’ambito di un eventuale ricorso giurisdizionale
dinanzi al Tribunale, che gli elementi a carico siano loro comunicati, per
quanto possibile, o contemporaneamente all'adozione o al più presto possibile
dopo l’adozione della decisione iniziale di congelamento dei fondi (v. altresì
punto 139 infra).
130 In
tale contesto, gli interessati devono anche avere la possibilità di chiedere il
riesame immediato della misura iniziale di congelamento dei loro fondi (v., in
tal senso, nel contenzioso del pubblico impiego comunitario, sentenze del
Tribunale 15 giugno 2000, causa T‑211/98, F/Commissione,
Racc. PI pagg. I‑A‑107 e II‑471, punto 34; 18
ottobre 2001, causa T‑333/99, X/BCE, Racc. pag. II‑3021, punto
183, e Campolargo/Commissione, punto 94 supra, punto 32). Il Tribunale ammette
tuttavia che una tale audizione successiva non s’impone d’ufficio nel contesto
di una decisione iniziale di congelamento dei fondi, considerata la possibilità
anche degli interessati di proporre immediatamente un ricorso dinanzi al
Tribunale, possibilità che garantisce anch’essa il rispetto di un equilibrio tra
la tutela dei diritti fondamentali delle persone comprese nell’elenco
controverso e la necessità di adottare misure preventive nell’ambito della
lotta contro il terrorismo internazionale (v., in tal senso e analogamente,
conclusioni dell’avvocato generale Warner per la sentenza National
Panasonic/Commissione, punto 128 supra, Racc. pag. 2069).
131 Occorre
peraltro sottolineare che le considerazioni precedenti non rilevano per quanto
riguarda le decisioni successive di congelamento dei fondi adottate dal
Consiglio nell’ambito del riesame a intervalli regolari, almeno una volta per
semestre, della giustificazione della conferma degli interessati sull’elenco
controverso, previsto dall’art. 1, n. 6, della posizione comune
2001/931. In tale fase, infatti, i fondi sono già congelati e non è quindi più
necessario garantire un effetto sorpresa per assicurare l’efficacia delle
sanzioni. Qualsiasi decisione successiva di congelamento dei fondi deve quindi
essere preceduta da una nuova possibilità di audizione e, eventualmente, da una
comunicazione dei nuovi elementi a carico.
132 A
tal riguardo, il Tribunale non può accogliere la tesi sostenuta in udienza dal
Consiglio e dal Regno Unito, secondo cui, nell’ambito dell’adozione di una
decisione successiva di congelamento dei fondi, il Consiglio dovrebbe sentire
gli interessati solo qualora questi ultimi ne facciano previamente ed
espressamente domanda. Conformemente all’art. 1, n. 6, della
posizione comune 2001/931, infatti, il Consiglio può adottare una siffatta
decisione solo dopo essersi assicurato che la conferma degli interessati
sull’elenco controverso rimane giustificata, il che implica che esso ponga
questi ultimi previamente in grado di far utilmente valere il loro punto di
vista su tale problema.
133 Il
Tribunale riconosce poi che, in circostanze quali quelle della fattispecie, ove
si controverte di misure cautelari che limitano la disponibilità dei beni di
talune persone, gruppi ed entità, nell’ambito della lotta contro il terrorismo,
ragioni imperative riguardanti la sicurezza della Comunità e dei suoi Stati
membri, o la condotta delle loro relazioni internazionali, possono ostare alla
comunicazione agli interessati di taluni elementi a carico e, quindi,
all’audizione di questi ultimi su tali stessi elementi durante il procedimento
amministrativo (v., analogamente, sentenza Yusuf, punto 29 supra, punto 320).
134 Limitazioni
del genere sono conformi alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati
membri, come hanno fatto valere il Consiglio e il Regno Unito, dopo aver
rilevato che diversi Stati membri ammettono eccezioni al diritto generale di
essere sentiti nell’ambito di un procedimento amministrativo per motivi di
interesse generale, di ordine pubblico o di cura delle relazioni internazionali
o ancora qualora la finalità della decisione da adottare fosse o rischiasse di
essere pregiudicata (v. gli esempi citati al punto 72 supra).
135 Del
resto, esse sono conformi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo che, anche nel contesto più ristretto di un processo penale in
contraddittorio soggetto ai requisiti dell’art. 6 della CEDU, ammette che,
in procedimenti relativi alla sicurezza nazionale e più in particolare in
materia di terrorismo, talune restrizioni dei diritti della difesa possono
essere previste, segnatamente per quanto riguarda la diffusione degli elementi
a carico o le modalità di accesso al fascicolo (v., ad esempio, sentenze Chahal
c. Regno Unito, 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, § 131, e Jasper c. Regno
Unito 16 febbraio 2000, n. 27052/95, non pubblicata nel Recueil
des arrêts et décisions, §§ 51-53 e giurisprudenza ivi citata; v. altresì
punto IX.3 degli orientamenti del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa
citati al punto 111 supra).
136 Nelle
circostanze del caso di specie, tale considerazione si applicano anzitutto alle
«prove o [agli] indizi seri e credibili» sui quali si basa la decisione
nazionale di avvio di indagini o di azioni penali che possono essere state
portate a conoscenza del Consiglio, ma si può ritenere che le restrizioni
all’accesso possano riguardare altresì il contenuto preciso o la motivazione
particolare della detta decisione, o addirittura l’identità dell’autorità da
cui essa emana. Potrebbe anche verificarsi che, in talune circostanze molto
particolari, l’identificazione dello Stato membro o del paese terzo in cui
un’autorità competente ha adottato una decisione nei confronti di una persona
possa nuocere alla pubblica sicurezza, fornendo all’interessato un’informazione
sensibile di cui potrebbe fare cattivo uso.
137 Dall’insieme
di quanto precede deriva che il principio generale di rispetto dei diritti
della difesa esige, a meno che non vi ostino ragioni imperative riguardanti la
sicurezza della Comunità o dei suoi Stati membri o la condotta delle loro
relazioni internazionali, che gli elementi a carico, come quelli identificati
al punto 126 supra, vengano comunicati all’interessato, per quanto possibile, o
contemporaneamente all'adozione o al più presto dopo l’adozione di una
decisione iniziale di congelamento dei fondi. Alle stesse condizioni, qualsiasi
decisione successiva di congelamento dei fondi deve essere in linea di
principio preceduta da una comunicazione dei nuovi elementi a carico e da
un’audizione. Invece, il rispetto dei diritti della difesa non esige né che gli
elementi a carico siano comunicati all’interessato prima dell’adozione di una
misura iniziale di congelamento dei fondi, né che quest’ultimo sia sentito
successivamente d’ufficio in un contesto siffatto.
– Obbligo
di motivazione
138 Secondo
una costante giurisprudenza, l’obbligo di motivare un atto che arreca
pregiudizio ha lo scopo di fornire all’interessato indicazioni sufficienti per
giudicare se l’atto sia fondato, oppure se sia eventualmente inficiato da un
vizio che consente di contestarne la validità e di consentire al giudice
comunitario di esercitare il suo sindacato di legittimità su tale atto
(sentenze della Corte 2 ottobre 2003, causa C‑199/99 P,
Corus UK/Commissione, Racc. pag. I‑11177, punto 145, e 28 giugno
2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P
a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri
e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 462). L’obbligo
di motivazione così formulato costituisce un principio fondamentale del diritto
comunitario, al quale si può derogare solo a seguito di ragioni imperative (v.
sentenza del Tribunale 29 settembre 2005, causa T‑218/02,
Napoli Buzzanca/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-267 e II-1221,
punto 57 e giurisprudenza ivi citata).
139 La
motivazione, in linea di principio, deve quindi essere comunicata
all’interessato contemporaneamente all’atto che gli arreca pregiudizio. La
mancanza di motivazione non può essere sanata dal fatto che l’interessato venga
a conoscenza dei motivi dell’atto nel corso del procedimento dinanzi alla Corte
(sentenze della Corte 26 novembre 1981, causa 195/80, Michel/Parlamento, Racc.
pag. 2861, punto 22, e Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 138
supra, punto 463). Infatti, la possibilità di sanare il totale difetto di
motivazione dopo che sia stato proposto un ricorso lederebbe il diritto alla
difesa del ricorrente. Questi disporrebbe, infatti, solo della replica per
esporre i suoi mezzi avverso la motivazione di cui venisse a conoscenza
soltanto dopo il deposito dell’atto introduttivo del ricorso. Sarebbe perciò
violato il principio dell’eguaglianza delle parti dinanzi al giudice
comunitario (sentenze del Tribunale 15 settembre 2005, causa T‑132/03,
Casini/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-253 e II-1169, punto 33,
e Napoli Buzzanca/Commissione, punto 138 supra, punto 62).
140 Poiché
l’interessato non dispone di un diritto di audizione prima dell’adozione di una
decisione iniziale di congelamento dei fondi, si deve aggiungere che il
rispetto dell’obbligo di motivazione è tanto più importante in quanto
costituisce l’unica garanzia che consenta all’interessato, almeno dopo
l’adozione di tale decisione, di avvalersi utilmente dei ricorsi a sua
disposizione per contestare la legittimità della detta decisione (sentenza del
Tribunale 8 dicembre 2005, causa T‑237/00, Reynolds/Parlamento,
Racc. PI pagg. I-A-385 e II-1731, punto 95; v. altresì, in tal
senso, sentenza del Tribunale 25 giugno 1998, cause riunite T‑371/94 e T‑394/04,
British Airways e British Midland Airways/Commissione, Racc. pag. II‑2405,
punto 64).
141 Secondo
una costante giurisprudenza, la motivazione prescritta dall’art. 253 CE
dev’essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e al contesto nel
quale è stato adottato. Essa deve fare apparire in forma chiara e
inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in
modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento
adottato e al giudice competente di esercitare il proprio controllo. La necessità
della motivazione dev’essere valutata in funzione delle circostanze del caso,
in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e
dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo
interessate direttamente e individualmente possono avere a ricevere
spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli
elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento del se la
motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’art. 253 CE va
effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del
complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia. In particolare,
un atto che arreca pregiudizio è sufficientemente motivato quando è stato
emanato in un contesto noto al dipendente interessato, che gli consente di
comprendere la portata del provvedimento adottato nei suoi confronti (sentenze
della Corte 29 ottobre 1981, causa 125/80, Arning/Commissione, Racc.
pag. 2539, punto 13; 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P,
Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 63;
30 settembre 2003, causa C‑301/96, Germania/Commissione, Racc.
pag. I‑9919, punto 87, e 22 giugno 2004, causa C‑42/01,
Portogallo/Commissione, Racc. pag. I‑6079, punto 66; v. sentenza del
Tribunale 6 marzo 2003, cause riunite T‑228/99 e T‑233/99,
Westdeutsche Landesbank Girozentrale e Land Nordrhein-Westfalen/Commissione,
Racc. pag. II‑435, punti 278-280). Inoltre il grado di precisione
della motivazione di una decisione dev’essere proporzionato alle possibilità
materiali ed alle condizioni tecniche o al tempo disponibile per la sua
adozione (v. sentenza Delacre e a./Commissione, punto 83 supra, punto 16 e
giurisprudenza ivi citata).
142 Nel
contesto dell’adozione di una decisione di congelamento dei fondi ai sensi del
regolamento n. 2580/2001, la motivazione di quest’ultima dev’essere
valutata anzitutto alla luce delle condizioni legali di applicazione di tale
regolamento ad un caso di specie, come quelle enunciate al suo art. 2,
n. 3, e, per rinvio, all’art. 1, n. 4, ovvero all’art. 1,
n. 6, della posizione comune 2001/931, a seconda che si tratti di una
decisione iniziale o di una decisione successiva di congelamento dei fondi.
143 A
tale riguardo, il Tribunale non può ammettere che, come sostenuto dal
Consiglio, la motivazione possa consistere soltanto in una formulazione
generica e stereotipata, ricalcata sulla lettera dell’art. 2, n. 3,
del regolamento n. 2580/2001 e dell’art. 1, nn. 4 o 6, della
posizione comune 2001/931. Conformemente ai principi rammentati supra, il
Consiglio è tenuto a menzionare gli elementi di fatto e di diritto da cui
dipende la giustificazione legale della decisione e le considerazioni che
l’hanno indotto ad adottarla. La motivazione di una misura siffatta deve quindi
indicare le ragioni specifiche e concrete per cui il Consiglio considera
applicabile all’interessato la normativa pertinente (v., in tal senso, sentenze
del Tribunale 20 febbraio 2002, causa T‑117/01, Roman Parra/Commissione,
Racc. PI pagg. I‑A‑27 e II‑121, punto 31, e
Napoli Buzzanca/Commissione, punto 138 supra, punto 74).
144 Ciò
comporta, in linea di principio, che la motivazione di una decisione iniziale
di congelamento dei fondi deve almeno trattare ciascuno degli elementi
menzionati al punto 116 supra, nonché, se del caso, gli elementi menzionati ai
punti 125 e 126 supra, mentre la motivazione di una decisione successiva di
congelamento dei fondi deve indicare le ragioni specifiche e concrete per cui
il Consiglio considera ancora giustificato, dopo il riesame, il congelamento
dei fondi.
145 Occorre
aggiungere che, nell’ambito dell’adozione all’unanimità di una misura di
congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001, il Consiglio
non agisce in forza di una competenza vincolata. L’art. 2, n. 3, del
regolamento n. 2580/2001, in combinato disposto con l’art. 1,
n. 4, della posizione comune 2001/931, non può essere inteso nel senso che
il Consiglio è obbligato ad includere nell’elenco controverso qualsiasi persona
che sembri aver formato oggetto di una decisione adottata da un’autorità
competente, ai sensi di tali disposizioni. Tale interpretazione, sostenuta in
udienza dal Regno Unito, è confermata dall’art. 1, n. 6, della
posizione comune 2001/931, al quale rinvia altresì l’art. 2, n. 3,
del regolamento n. 2580/2001, e ai sensi del quale il Consiglio deve
procedere ad un «riesame» a intervalli regolari almeno una volta a semestre,
per assicurarsi che la presenza degli interessati sull’elenco controverso «resti
giustificato».
146 Ne
consegue che, in linea di principio, la motivazione di una misura di
congelamento dei fondi ai sensi del regolamento n. 2580/2001 deve trattare
non solo le condizioni legali di applicazione di tale regolamento, ma anche i motivi
per cui il Consiglio considera, nell’esercizio del suo potere discrezionale di
valutazione, che l’interessato debba formare oggetto di una misura del genere.
147 Le
considerazioni svolte ai punti 143-146 supra devono tuttavia tener conto del
fatto che una decisione di congelamento dei fondi ai sensi del regolamento
n. 2580/2001, pur infliggendo una misura individuale di sanzione economica
e finanziaria, presenta anche la natura regolamentare tipica di tale atto, come
è stato esposto ai punti 97 e 98 supra. D’altra parte, una pubblicazione
dettagliata delle censure a carico degli interessati potrebbe non solo essere
in contrasto con le ragioni imperative d’interesse generale di cui si tratterà
infra, al punto 148, ma anche pregiudicare gli interessi legittimi delle persone
ed entità di cui trattasi, in quanto può nuocere gravemente alla loro
reputazione. Occorre pertanto ammettere, in via eccezionale, che solo il
dispositivo ed una motivazione generica del tipo evocato al punto 143 supra
devono comparire nella versione della decisione di congelamento dei fondi
pubblicata nella Gazzetta ufficiale, mentre la motivazione specifica e concreta
di tale decisione dev’essere formalizzata e portata a conoscenza degli
interessati mediante qualsiasi altro strumento appropriato.
148 In
circostanze come quelle del caso di specie, si deve peraltro riconoscere che
ragioni imperative riguardanti la sicurezza della Comunità e dei suoi Stati
membri, o la condotta delle loro relazioni internazionali, possono ostare a che
siano rivelati agli interessati i motivi precisi e completi della decisione
iniziale o successiva di congelamento dei fondi e a che gli elementi a carico
siano loro comunicati durante il procedimento amministrativo. Il Tribunale
rinvia, a tal proposito, alle considerazioni già svolte, segnatamente, ai punti
133-137 supra, per quanto riguarda le restrizioni al principio generale di
rispetto dei diritti della difesa ammissibili in un contesto del genere. Tali
considerazioni valgono, mutatis mutandis,
per quanto riguarda le restrizioni ammissibili all’obbligo di motivazione.
149 A
tal riguardo, e sebbene non sia applicabile nelle circostanze del caso di
specie, il Tribunale ritiene che occorra ispirarsi al dettato della direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al
diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di
soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il
regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE,
72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e
93/965/CEE (GU L 158, pag. 77, rettifica GU L 229,
pag. 35, rettifica della rettifica GU 2005, L 197,
pag. 34). Essa prevede, al suo art. 30, n. 2, che «[i] motivi
circostanziati e completi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità
pubblica che giustificano l’adozione del provvedimento [che limita la libertà
di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un membro della
sua famiglia] nei suoi confronti sono comunicati all’interessato, salvo che vi
ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato».
150 Conformemente
alla giurisprudenza della Corte (sentenze 28 ottobre 1975, causa 36/75, Rutili,
Racc. pag. 1219, e 22 maggio 1980, causa 131/79, Santillo, Racc.
pag. 1585), sulla direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE,
per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e
il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di
pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU n. 56, pag. 850),
abrogata dalla direttiva 2004/38 ed il cui l’art. 6 era sostanzialmente
identico all’art. 30, n. 2, di quest’ultima, qualsiasi persona
tutelata dalle summenzionate disposizioni deve godere di una duplice garanzia,
che consiste nella comunicazione della motivazione di ogni provvedimento
restrittivo adottato nei suoi confronti, sempreché motivi attinenti alla
sicurezza dello Stato non vi si oppongano, e nell’attribuzione di un rimedio
giuridico. Con la stessa riserva, tale esigenza implica, fra l’altro, da parte
dello Stato interessato, la comunicazione al destinatario, all’atto stesso
della notifica del provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti, della
motivazione circostanziata e completa del provvedimento, onde porlo nella
condizione di potersi efficacemente difendere.
151 Deriva
da quanto precede che, in assenza di ragioni imperative riguardanti la
sicurezza della Comunità o dei suoi Stati membri o la condotta delle loro
relazioni internazionali che vi ostino e salvo altresì quanto svolto al punto
147 supra, la motivazione di una decisione iniziale di congelamento dei fondi
deve trattare almeno, in modo specifico e concreto, ciascuno degli elementi
menzionati al punto 116 supra nonché, eventualmente, gli elementi citati ai
punti 125 e 126 supra, ed indicare i motivi per cui il Consiglio considera,
nell’esercizio del suo potere discrezionale di valutazione, che l’interessato
deve formare oggetto di una misura siffatta. D’altra parte, la motivazione di una
decisione successiva di congelamento dei fondi deve indicare, alle stesse
condizioni, le ragioni specifiche e concrete per cui il Consiglio considera, in
seguito al riesame, che il congelamento dei fondi dell’interessato resta
giustificato.
– Diritto
ad un’effettiva tutela giurisdizionale
152 Per
quanto riguarda, infine, la garanzia relativa al diritto ad un’effettiva tutela
giurisdizionale, quest’ultima è efficacemente garantita dal diritto, di cui
godono gli interessati, di proporre un ricorso dinanzi al Tribunale avverso la
decisione di congelamento dei loro fondi, conformemente all’art. 230,
quarto comma, CE (v., in tal senso, Corte europea D.U., sentenza Bosphorus c.
Irlanda, 30 giugno 2005, n. 45036/98, Recueil des arrêts et décisions,
§ 165, e decisione Segi e a. e Gestoras pro Amnistía c. i 15 Stati membri
dell’Unione europea, 23 maggio 2002, nn. 6422/02 e 9916/02, Recueil des
arrêts et décisions, 2002-V).
153 In
tale ambito, il controllo giurisdizionale della legittimità di una decisione di
congelamento dei fondi adottata ai sensi dell’art. 2, n. 3, del
regolamento n. 2580/2001 è quello previsto all’art. 230, secondo
comma, CE, ai sensi del quale il giudice comunitario è competente a
pronunciarsi sui ricorsi di annullamento per incompetenza, violazione delle
forme sostanziali, violazione del Trattato CE o di qualsiasi regola di diritto
relativa alla sua applicazione, ovvero per sviamento di potere.
154 Ai
sensi di tale controllo, e alla luce dei motivi di annullamento dedotti dall’interessato
o rilevati d’ufficio, spetta al Tribunale verificare, in particolare, se siano
soddisfatte le condizioni legali di applicazione del regolamento
n. 2580/2001 ad un caso di specie, come enunciate all’art. 2,
n. 3, di tale regolamento e, per rinvio, o all’art. 1, n. 4, o
all’art. 1, n. 6, della posizione comune 2001/931, a seconda che si
tratti di una decisione iniziale o di una decisione successiva di congelamento
dei fondi. Ciò comporta che il controllo giurisdizionale di legittimità della
decisione di cui trattasi si estende alla valutazione dei fatti e delle
circostanze addotti per giustificarla, nonché alla verifica degli elementi di
prova e di informazione su cui è fondata tale valutazione, come espressamente
riconosciuto dal Consiglio nelle sue memorie nella causa all’origine della
sentenza Yusuf, punto 29 supra (punto 225). Il Tribunale deve anche accertarsi
del rispetto dei diritti della difesa e del requisito della motivazione al
riguardo, nonché, eventualmente, della fondatezza delle ragioni imperative
eccezionalmente fatte valere dal Consiglio per sottrarvisi.
155 Nel
caso di specie, tale controllo appare tanto più indispensabile in quanto
rappresenta la sola garanzia procedurale che consenta di assicurare il giusto
equilibrio fra le esigenze della lotta contro il terrorismo internazionale e la
tutela dei diritti fondamentali. Poiché le limitazioni apportate dal Consiglio
ai diritti della difesa degli interessati devono essere bilanciate da un severo
controllo giurisdizionale indipendente e imparziale (v., in tal senso, sentenza
della Corte 2 maggio 2006, causa C‑341/04, Eurofood, Racc.
pag. I-3813, punto 66), il giudice comunitario deve poter controllare la
legittimità e la fondatezza delle misure di congelamento dei fondi, senza che possano
essergli opposti il segreto o la riservatezza degli elementi di prova e di
informazione utilizzati dal Consiglio.
156 A
tale riguardo, si deve sottolineare che se è vero che
157 Il
Tribunale ritiene che occorra, anche in questo caso, ispirarsi alle
disposizioni della direttiva 2004/38. Conformemente alla giurisprudenza della
Corte citata al punto 150 supra, tale direttiva prevede, al suo art. 31,
n. 1, che le persone interessate hanno accesso ai rimedi giurisdizionali
e, eventualmente, amministrativi nello Stato membro ospite per impugnare una
decisione adottata nei loro confronti per ragioni di ordine pubblico, di pubblica
sicurezza o di pubblica sanità. D’altronde, ai sensi dell’art. 31,
n. 3, di tale direttiva, le procedure di ricorso consentono un esame della
legittimità della decisione, nonché dei fatti e delle circostanze che
giustificano la misura proposta.
158 La
questione se il ricorrente e/o i suoi avvocati possano ricevere comunicazione
degli elementi di prova e di informazione di cui si allega la riservatezza,
ovvero se la comunicazione di questi ultimi debba essere riservata al solo
Tribunale, secondo una procedura particolare che rimane da definire in modo da
preservare gli interessi generali in causa pur accordando all’interessato un
sufficiente grado di tutela giurisdizionale, rappresenta un problema distinto,
su cui non occorre che il Tribunale prenda posizione nell’ambito del ricorso in
esame (v. tuttavia Corte europea D. U., sentenze Chahal c. Regno Unito,
punto 135 supra, §§ 131 e 144; Tinnelly & Sons e a. e McElduff
e a. c. Regno Unito, punto 119 supra, §§ 49, 51, 52 e 78; Jasper c. Regno
Unito, punto 135 supra, §§
159 Occorre
infine ammettere che il Consiglio dispone di un ampio potere discrezionale in
merito agli elementi da prendere in considerazione per adottare misure di
sanzioni economiche e finanziarie sulla base degli artt. 60 CE, 301 CE
e 308 CE, conformemente ad una posizione comune adottata in base alla
PESC. Poiché il giudice comunitario non può, in particolare, sostituire la sua
valutazione delle prove, dei fatti e delle circostanze che giustificano
l’adozione di tali misure a quella svolta dal Consiglio, il controllo
esercitato dal Tribunale sulla legittimità di decisioni di congelamento dei
fondi dev’essere limitato alla verifica del rispetto delle regole del
procedimento e della motivazione, dell’esattezza materiale dei fatti, nonché
dell’assenza di un manifesto errore di valutazione e di sviamento di potere.
Tale controllo ristretto si applica, in particolare, alla valutazione delle
considerazioni di opportunità sulle quali sono fondate decisioni siffatte (v.
punto 146 supra e, in tal senso, Corte europea D. U., sentenze Leander c.
Svezia, 26 marzo 1987, serie A n. 116, § 59, e Al-Nashif c.
Bulgaria, punto 158 supra, §§ 123 e 124).
Applicazione al caso in esame
160 Il
Tribunale rileva, anzitutto, che la normativa pertinente, cioè il regolamento
n. 2580/2001 e la posizione comune 2001/931 a cui esso rinvia, non prevede
espressamente alcun procedimento di comunicazione degli elementi a carico e di
audizione degli interessati, prima o dopo l’adozione di una decisione iniziale
di congelamento dei loro fondi ovvero, nel contesto dell’adozione delle
decisioni successive, per ottenere la loro cancellazione dall’elenco
controverso. Al più è indicato, all’art. 1, n. 6, della posizione
comune 2001/931, che «i nomi delle persone ed entità riportati nell’elenco in
allegato sono riesaminati regolarmente almeno una volta per semestre onde
accertarsi che il loro mantenimento nell’elenco sia giustificato», e,
all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, che
«il Consiglio […] riesamina e modifica l’elenco […] in conformità delle
disposizioni di cui all’articolo 1, paragrafi […] 6 della posizione comune
2001/931».
161 Il
Tribunale constata poi che in nessun momento prima della proposizione del
ricorso in esame gli elementi a carico sono stati comunicati alla ricorrente.
Quest’ultima sottolinea giustamente che né la decisione iniziale di
congelamento dei fondi né le decisioni successive, compresa la decisione
impugnata, menzionano le «informazioni precise» o gli «elementi del fascicolo»
che mostrano che nei suoi confronti è stata adottata da un’autorità nazionale
competente una decisione che giustifica la sua inclusione nell’elenco
controverso.
162 Pertanto,
sebbene la ricorrente abbia avuto conoscenza dell’imminenza della sua
inclusione nell’elenco controverso e abbia preso l’iniziativa di contattare il
Consiglio per tentare di impedire l’adozione di una misura siffatta (v. punto
69 supra), essa non aveva conoscenza degli elementi specificamente fatti valere
a suo carico per fondare la sanzione prevista e non era quindi in grado di far
conoscere utilmente il suo punto di vista a tal riguardo. Di conseguenza,
l’argomento del Consiglio secondo cui la ricorrente è stata sentita prima di
procedere al congelamento dei suoi fondi non può essere accolto.
163 Le
considerazioni che precedono, dedicate alla verifica del rispetto dei diritti
della difesa, sono altresì applicabili, mutatis mutandis, alla verifica del
rispetto dell’obbligo di motivazione.
164 Nel
caso di specie, né la decisione impugnata, né la decisione 2002/334, da essa
aggiornata, soddisfano il requisito della motivazione, come delimitato supra,
dato che esse si limitano ad esporre, nel loro secondo ‘considerando’, che è
«auspicabile» adottare un elenco aggiornato delle persone, dei gruppi e delle
entità ai quali si applica il regolamento n. 2580/2001.
165 Non
solo la ricorrente non ha potuto far valere utilmente il suo punto di vista
dinanzi al Consiglio, ma, in mancanza di qualsiasi indicazione nella decisione
impugnata dei motivi specifici e concreti che la giustificano, essa non è stata
nemmeno posta in grado di argomentare il suo ricorso dinanzi al Tribunale,
tenuto conto dei rapporti, già sottolineati, esistenti tra la garanzia dei
diritti della difesa, quella che deriva dall’obbligo di motivazione e quella
del diritto ad un effettivo ricorso giurisdizionale. A tal riguardo, occorre
rammentare che la possibilità di sanare un’assenza totale di motivazione dopo
la proposizione di un ricorso è attualmente considerata dalla giurisprudenza
una violazione dei diritti della difesa (v. punto 139 supra).
166 Anzi,
né le memorie presentate dalle diverse parti in causa, né gli elementi del
fascicolo prodotti dinanzi al Tribunale consentono a quest’ultimo di svolgere
il suo controllo giurisdizionale, in quanto esso non è neanche in grado di
determinare con certezza, dopo la chiusura della fase orale, qual è la
decisione nazionale menzionata all’art. 1, n. 4, della posizione
comune 2001/931, su cui è fondata la decisione impugnata.
167 Nel
suo atto introduttivo, la ricorrente si è limitata a sostenere che sarebbe
stata inclusa nell’elenco controverso «sulla sola base, apparentemente, di
documenti prodotti dal regime di Teheran». Nella sua replica, essa ha aggiunto,
in particolare, che «nulla [le] consent[iva] […] di conoscere i motivi di
fatto della sua iscrizione» sull’elenco controverso, che essa «[era] stata
altresì privata di qualsiasi possibilità di accesso al suo fascicolo» e che «i
motivi dell’iscrizione [erano] del tutto verosimilmente diplomatici».
168 Nel
suo controricorso e nella sua controreplica, il Consiglio si è astenuto dal
prendere posizione su tale problema.
169 Nella
sua memoria di intervento, il Regno Unito ha rilevato che «[l]a ricorrente non
sosten[eva], e nulla lascia[va] pensare, che essa non [fosse] stata inclusa
nell’allegato sulla base di una [decisione adottata da un’autorità competente
che identifica la ricorrente come coinvolta in attività di terrorismo]». Sembra
emergere inoltre da questa stessa memoria che, secondo il Regno Unito, la
decisione di cui trattasi sarebbe quella dello Home Secretary 28 marzo 2001,
confermata con decisione dello stesso Home Secretary 31 agosto 2001, poi, su
ricorso per cassazione, con sentenza della High Court 17 aprile 2002 e infine,
su ricorso in appello, con decisione della POAC 15 novembre 2002.
170 Nelle
sue osservazioni sulla memoria di intervento, la ricorrente non ha
specificamente confutato, e neanche commentato, tali osservazioni del Regno
Unito. Alla luce dei motivi e argomenti di ordine generale della ricorrente e,
più in particolare, di quanto riportato al punto 167 supra, non è tuttavia
possibile accogliere in modo puro e semplice la tesi del Regno Unito. In
udienza, la ricorrente ha d’altronde ripetuto di non aver saputo quale fosse
l’autorità competente all’origine della decisione nazionale che la riguardava,
né sulla base di quali elementi e informazioni tale decisione fosse stata
adottata.
171 Al
contrario, in udienza, rispondendo ai quesiti posti dal Tribunale, il Consiglio
e il Regno Unito non sono stati neanche in grado di dare una risposta coerente
alla questione quale fosse la decisione nazionale sulla base della quale è
stata adottata la decisione impugnata. Secondo il Consiglio, si tratterebbe
unicamente della decisione dello Home Secretary, come confermata dalla POAC (v.
punto 169 supra). Secondo il Regno Unito, la decisione impugnata sarebbe
fondata non solo sulla detta decisione, ma altresì su altre decisioni
nazionali, non altrimenti specificate, adottate dalle autorità competenti in
altri Stati membri.
172 E
giocoforza constatare quindi che anche al termine della fase orale il Tribunale
non è in grado di svolgere il suo controllo sulla legittimità della decisione
impugnata.
173 In
conclusione, il Tribunale constata che la decisione impugnata non è motivata e
che è stata adottata nell’ambito di un procedimento durante il quale non sono
stati rispettati i diritti della difesa della ricorrente. Inoltre il Tribunale
non è in grado, neanche in questa fase del procedimento, di effettuare il
controllo giurisdizionale della legittimità di tale decisione.
174 Tale
considerazioni possono solo condurre all’annullamento della decisione
impugnata, per la parte in cui essa riguarda la ricorrente, senza che occorra
quindi pronunciarsi, nell’ambito della domanda di annullamento, sulle ultime
due parti del primo motivo, né sugli altri motivi e argomenti del ricorso.
Sulla domanda di
risarcimento
Argomenti delle parti
175 La
ricorrente non ha presentato alcun elemento di fatto o di diritto a sostegno
del capo delle sue conclusioni diretto ad ottenere che il Consiglio sia
condannato a versarle un euro a titolo di risarcimento del danno asseritamente
subito. Né il Consiglio, né l’interveniente hanno preso posizione su tale
domanda nelle loro memorie o in udienza.
Giudizio del Tribunale
176 Si
deve infine ricordare che, ai sensi dell’art. 19 dello Statuto della Corte
di giustizia, e dell’art. 44, n. 1, lett. c), del regolamento di
procedura del Tribunale, il ricorso deve indicare l’oggetto della controversia
e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Tale indicazione dev’essere
sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di
preparare la sua difesa e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso,
eventualmente senza altre informazioni a supporto. Al fine di garantire la
certezza del diritto e una corretta amministrazione della giustizia è
necessario, affinché un ricorso sia considerato ricevibile, che gli elementi
essenziali di fatto e di diritto sui quali esso è fondato emergano, anche
sommariamente, purché in modo coerente e comprensibile, dall’atto introduttivo
stesso (v. sentenza del Tribunale 3 febbraio 2005, causa T‑19/01,
Chiquita Brands e a./Commissione, Racc. pag. II‑315, punto 64 e
giurisprudenza ivi citata).
177 Per
essere conforme a tali requisiti, un ricorso inteso al risarcimento dei danni
che si ritengano causati da un’istituzione comunitaria deve contenere elementi che
consentano di individuare il comportamento che il ricorrente addebita
all’istituzione, le ragioni per le quali egli ritiene che esista un nesso di
causalità tra il comportamento e il danno che asserisce di aver subito, nonché
il carattere e l’entità del danno (v. sentenze del Tribunale 10 luglio 1997,
causa T‑38/96, Guérin automobiles/Commissione, Racc. pag. II‑1223,
punti 42 e 43, e Chiquita Brands e a./Commissione, punto 176 supra, punto
65 e giurisprudenza ivi citata). Per contro, una domanda intesa ad ottenere un
risarcimento generico manca della precisione necessaria e deve, di conseguenza,
essere considerata irricevibile (sentenza Chiquita Brands
e a./Commissione, punto 176 supra, punto 66).
178 Più
specificamente, una domanda di risarcimento di un danno morale, a titolo
simbolico o per ottenere un vero e proprio risarcimento, deve precisare la
natura del danno allegato con riguardo al comportamento addebitato alla
convenuta e precisare, anche in modo approssimativo, la valutazione di questo danno
morale nel suo complesso (v. sentenza del Tribunale 15 giugno 1999, causa T‑277/97,
Ismeri Europa/Corte dei Conti, Racc. pag. II‑1825, punto 81 e
giurisprudenza ivi citata).
179 Nel
caso di specie, la domanda di risarcimento contenuta nell’atto introduttivo
deve verosimilmente essere intesa nel senso che è diretta al risarcimento di un
danno morale, dato che quest’ultimo è stato valutato in un importo simbolico
pari a un euro. Ciò non toglie che la ricorrente non ha precisato la natura e
il carattere di tale danno morale, né ha identificato la o le condotte
asseritamente colpevoli del Consiglio che sarebbero all’origine di tale danno.
Ora, non spetta al Tribunale cercare ed identificare, tra le diverse censure
svolte a sostegno della domanda di annullamento, quella o quelle che la
ricorrente intende far valere come fondamento della domanda di risarcimento.
Non spetta al Tribunale neanche supporre e verificare l’esistenza
dell’eventuale nesso di causalità tra la o le condotte considerate in questa o
in queste censure ed il danno morale fatto valere.
180 Di
conseguenza, la domanda di risarcimento contenuta nell’atto introduttivo manca
della più elementare precisione e deve pertanto essere dichiarata irricevibile,
tanto più che la ricorrente non ha neanche tentato di rimediare a tale
manchevolezza nella sua replica.
181 Ne
consegue altresì che non è necessario pronunciarsi, nell’ambito della domanda
di risarcimento, sui motivi e argomenti fatti valere dalla ricorrente a
sostegno della sua domanda di annullamento, ma non ancora esaminati dal
Tribunale (v. punto 174 supra).
Sulla domanda di riapertura della frase scritta
182 Le
considerazioni che hanno indotto il Tribunale ad annullare la decisione
impugnata, per la parte in cui essa riguarda la ricorrente, non sono affatto
fondate sui nuovi documenti depositati da quest’ultima nella cancelleria il 18
e il 25 gennaio 2006 (v. punti 23 e 24 supra). Sebbene tali documenti siano
stati versati al fascicolo (v. punto 31 supra), essi devono quindi essere
considerati come privi di qualsiasi rilevanza ai fini della presente sentenza.
Non occorre quindi dare seguito alla domanda del Consiglio diretta alla
riapertura della frase scritta (v. punto 25 supra).
Sulle spese
183 A
norma dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, il Tribunale
può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese
se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi. Date le circostanze
del caso di specie, va deciso che il Consiglio sopporterà, oltre alle proprie
spese, i quattro quinti delle spese della ricorrente.
184 Ai
sensi dell’art. 87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura,
gli Stati membri intervenuti nella causa sopportano le proprie spese.
Per questi motivi, il Tribunale (Seconda Sezione)
dichiara:
1) Il
ricorso è in parte irricevibile e in parte infondato in quanto diretto
all’annullamento della posizione comune del Consiglio
21 dicembre 2005, 2005/936/PESC, che aggiorna la posizione comune
2001/931/PESC e che abroga la posizione comune 2005/847/PESC.
2) La
decisione del Consiglio 21 dicembre 2005, 2005/930/CE, [che attua l’articolo 2,
paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure
restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a
combattere il terrorismo,] e che abroga la decisione 2005/848/CE, è annullata
per la parte in cui riguarda la ricorrente.
3) La
domanda di risarcimento è irricevibile.
4) Il
Consiglio è condannato a sopportare, oltre alle proprie spese, i quattro quinti
delle spese della ricorrente.
5) Il
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporterà le proprie spese.
(Seguono le firme)