Sentenza n. 182 del 2024

SENTENZA N. 182

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Augusto Antonio BARBERA

Giudici: Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 87, comma 4, lettera a) (recte: del combinato disposto degli artt. 87, comma 4, lettera a, numero 2, e 90, comma 1, lettera d), della legge della Provincia autonoma di Trento 4 agosto 2015, n. 15 (Legge provinciale per il governo del territorio), promosso dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, nel procedimento vertente tra A. V. e Comune di M. con ordinanza del 17 gennaio 2024, iscritta al n. 34 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento;

udito nell’udienza pubblica del 16 ottobre 2024 il Giudice relatore Luca Antonini;

udito l’avvocato Sabrina Azzolini per la Provincia autonoma di Trento;

deliberato nella camera di consiglio del 29 ottobre 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 17 gennaio 2024 (reg. ord. n. 34 del 2024), il Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 31 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 87, comma 4, lettera a) (recte:, numero 2), della legge della Provincia autonoma di Trento 4 agosto 2015, n. 15 (Legge provinciale per il governo del territorio), nella parte in cui «non si riferisce, oltre al coniuge non divorziato, né separato giudizialmente, anche al convivente di fatto, come definito» dall’art. 1, comma 36, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).

2.– Il citato art. 87 disciplina il contributo di costruzione dovuto per la realizzazione di interventi edilizi che comportano un aumento del carico urbanistico e, alla lettera a) del comma 4, stabilisce i requisiti della «prima abitazione», che ne è esentata, tra l’altro, nei termini stabiliti dal successivo art. 90, comma 1, lettera d).

Più precisamente, in base alla prima disposizione si è in presenza di una «prima abitazione»: «1) se l’unità abitativa è di proprietà del richiedente; 2) se, al momento della firma della convenzione prevista dall’articolo 90, comma 2, il richiedente e il suo coniuge, non divorziati né separati giudizialmente, non sono titolari o contitolari, eredi o legatari, del diritto di proprietà, di uso, di usufrutto o di abitazione su un altro alloggio idoneo alle esigenze familiari, nel territorio provinciale. […]; 3) se il richiedente s’impegna a stabilirvi la propria residenza entro un anno dalla dichiarazione di fine lavori e a mantenerla per i successivi dieci anni».

In forza poi della seconda disposizione il contributo di costruzione non è dovuto «per gli interventi di nuova costruzione destinati a realizzare la prima abitazione del richiedente, limitatamente ai primi 120 metri quadrati di superficie utile netta e sempre che l’abitazione non sia qualificata di lusso ai sensi del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969».

3.– Le questioni sono sorte nel corso del giudizio diretto all’annullamento del provvedimento con cui un comune ha disatteso un’istanza volta a ottenere tale esenzione, ritenendo che il requisito negativo previsto dall’art. 87, comma 4, lettera a), numero 2), della legge prov. Trento n. 15 del 2015 sia applicabile, oltre che ai coniugi, anche ai conviventi di fatto.

3.1.– In punto di rilevanza, il TRGA rimettente, dopo aver precisato che la ricorrente e il partner costituiscono una coppia che convive more uxorio, sostiene di non poter condividere l’esegesi fatta propria dal comune, poiché la disposizione denunciata si riferirebbe univocamente solo ai soggetti uniti dal vincolo matrimoniale.

3.2.– In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che «non si vede perché» la disposizione indubbiata, che costituisce «una deroga all’obbligo generalizzato di corrispondere al Comune il contributo di costruzione», non precluda la fruizione della suddetta esenzione allorché il convivente di fatto del richiedente il permesso sia già titolare o contitolare, erede o legatario dei diritti proprietà, uso, usufrutto o abitazione su un alloggio idoneo alle esigenze familiari, così dando anche luogo a una ingiustificata disparità di trattamento rispetto all’ipotesi in cui a vantare questi diritti sia il coniuge del richiedente stesso.

A supporto dei dubbi di illegittimità costituzionale prospettati, il rimettente evoca la sentenza n. 209 del 2022, con cui questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost., di disposizioni statali che, in sostanza, consentivano di beneficiare della doppia esenzione dall’imposta municipale propria (IMU) sulla abitazione principale ai conviventi di fatto e non ai coniugi residenti e dimoranti in luoghi diversi.

«Nel nostro ordinamento costituzionale», infatti, «non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile. Tale è invece proprio l’effetto prodotto dal censurato quarto periodo dell’art. 13, comma 2, perché, in conseguenza del riferimento al nucleo familiare ivi contenuto, sino a che non avviene la costituzione di tale nucleo, la norma consente a ciascun possessore di immobile che vi risieda anagraficamente e dimori abitualmente, di fruire pacificamente dell’esenzione IMU sull’abitazione principale, anche se unito in una convivenza di fatto: i partner in tal caso avranno diritto a una doppia esenzione, perché ciascuno di questi potrà considerare il rispettivo immobile come abitazione familiare. La scelta di accettare che il proprio rapporto affettivo sia regolato dalla disciplina legale del matrimonio o dell’unione civile determina, invece, l’effetto di precludere la possibilità di mantenere la doppia esenzione anche quando effettive esigenze, come possono essere in particolare quelle lavorative, impongano la scelta di residenze anagrafiche e dimore abituali differenti».

Il giudice a quo ha poi ricordato che la medesima sentenza, «[s]viluppando tale ragionamento», ha ritenuto fondata anche l’ulteriore censura riferita all’art. 31 Cost., osservando che «il sistema fiscale italiano si dimostra avaro nel sostegno alle famiglie. E ciò nonostante la generosità con cui la Costituzione italiana ne riconosce il valore, come leva in grado di accompagnare lo sviluppo sociale, economico e civile, dedicando ben tre disposizioni a tutela della famiglia, con un’attenzione che raramente si ritrova in altri ordinamenti».

Ha, quindi, ritenuto la normativa censurata in contrasto anche con l’art. 31 Cost., in quanto finiva per riconoscere il diritto all’esenzione «solo in caso di “frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi” e conseguente “disgregazione del nucleo familiare”».

Richiamata tale pronuncia, il giudice a quo ritiene che la normativa censurata, prevedendo il requisito ostativo all’esenzione dal contributo di costruzione solo in capo ai coniugi e non ai conviventi di fatto nonostante il ricorrere dei medesimi presupposti, ovvero «convivenza e disponibilità (a titolo di proprietà o di altro diritto reale) in capo a uno dei due componenti della coppia di un alloggio idoneo alle esigenze della famiglia», si ponga in contrasto con gli artt. 3 e 31 Cost.

4.– Si è costituita in giudizio la Provincia autonoma di Trento, che ha chiesto che le questioni sollevate siano dichiarate non fondate, ritenendo praticabile un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, diretta a estendere anche ai conviventi di fatto il requisito ostativo da essa previsto.

La legge prov. Trento n. 15 del 2015 – osserva in proposito la Provincia autonoma – è stata difatti adottata in epoca precedente alla legge n. 76 del 2016, la quale «[p]er la prima volta» avrebbe riconosciuto in capo ai conviventi di fatto quegli stessi «legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza» ai quali sarebbe riconducibile anche il possibile godimento, da parte di un coniuge, dell’alloggio oggetto dei diritti di proprietà, uso, usufrutto o abitazione vantati dall’altro: la lettura della disposizione sospettata, pertanto, si dovrebbe oggi «necessariamente adeguare al nuovo quadro normativo» e prescindere, di conseguenza, «dalla forma e dalle modalità» con cui i nuclei familiari sono stati costituiti.

Questa conclusione non sarebbe, del resto, incompatibile con la lettera della disposizione in esame, la quale, nel fare riferimento alla “disponibilità” di un altro alloggio idoneo alle «esigenze familiari», utilizzerebbe genericamente tale locuzione, riferendosi a un concetto di famiglia in senso ampio, «senza preclusioni rispetto alle forme con cui essa è costituita».

5.– In prossimità dell’udienza, la Provincia autonoma di Trento ha depositato memoria illustrativa, ribadendo e approfondendo gli argomenti addotti a sostegno della percorribilità dell’interpretazione conforme.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 17 gennaio 2024 (reg. ord. n. 34 del 2024), il TRGA del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 87, comma 4, lettera a), numero 2), della legge prov. Trento n. 15 del 2015, nella parte in cui, nel definire il requisito ostativo all’esenzione dal pagamento del contributo di costruzione per la abitazione principale, non prevede, oltre al coniuge del richiedente il permesso di costruire, anche il convivente di fatto.

2.– Il citato art. 87, infatti, disciplina il contributo di costruzione dovuto per la realizzazione di interventi edilizi che comportano un aumento del carico urbanistico e, con la disposizione indubbiata, stabilisce che la prima abitazione è considerata tale in presenza di un requisito negativo, dato dalla circostanza che il richiedente il permesso di costruire e il suo coniuge, «non divorziati né separati giudizialmente», non siano già «titolari o contitolari, eredi o legatari, del diritto di proprietà, di uso, di usufrutto o di abitazione su un altro alloggio idoneo alle esigenze familiari, nel territorio provinciale».

Questa previsione, ai fini che qui rilevano, acquista senso alla luce del successivo art. 90, comma 1, lettera d), che contempla un’esenzione dal suddetto contributo di costruzione «per gli interventi di nuova costruzione destinati», appunto, «a realizzare la prima abitazione del richiedente», limitatamente ai primi 120 metri quadrati di superficie utile netta e sempre che la residenza non sia qualificabile come di lusso.

3.– Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto, innanzitutto, con l’art. 3 Cost.: non vi sarebbe, infatti, ragione per consentire la fruizione della descritta esenzione nell’ipotesi in cui il convivente di fatto del richiedente il permesso di costruire vanti la proprietà (o uno dei diritti sopra menzionati) su un alloggio idoneo alle esigenze familiari nel territorio provinciale, ciò che si risolverebbe, peraltro, in una ingiustificata disparità di trattamento tra i conviventi di fatto e le coppie coniugate.

In tal modo, la disciplina normativa censurata violerebbe, altresì, l’art. 31 Cost., in quanto non terrebbe in considerazione le esigenze di tutela della famiglia, finendo per penalizzarla.

4.– Preliminarmente, va precisato che dal tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione emerge che il giudice a quo censura, non solo la definizione di abitazione principale, ma soprattutto la relativa esenzione – di essa, infatti, si controverte nel processo principale – sì che il petitum verte, in realtà, sul combinato disposto dell’art. 87, comma 4, lettera a), numero 2), e dell’art. 90, comma 1, lettera d), della legge prov. Trento n. 15 del 2015.

5.– Il rimettente muove dall’assunto secondo cui non sarebbe praticabile un’interpretazione adeguatrice dell’art. 87, comma 4, lettera a), numero 2), della legge prov. Trento n. 15 del 2015, non potendosi ritenere che il requisito ostativo ivi previsto sia estendibile, per tale via, anche al caso di convivenza di fatto; la lettera della legge, osserva difatti il giudice a quo, «costituisce il limite cui deve arrestarsi, anche, l’interpretazione costituzionalmente orientata dovendo, infatti, esser sollevato l’incidente di costituzionalità ogni qual volta l’opzione ermeneutica supposta conforme a costituzione sia incongrua rispetto al tenore letterale della norma stessa (in questi termini Cass. civ., Sez. un., 22 marzo 2019, n. 8230».

Diversamente, la Provincia autonoma sostiene che a una tale conclusione si possa pervenire, sulla scorta del dato letterale e di un’esegesi storico-evolutiva.

5.1.– La premessa ermeneutica del giudice a quo è condivisibile, alla luce del chiaro tenore testuale della disposizione provinciale in discorso: questa, nel fare espresso riferimento al «coniuge», è difatti inequivoca nel circoscrivere il proprio ambito applicativo solo a coloro che sono legati dal vincolo del matrimonio (e dall’unione civile, in forza dell’art. 1, comma 20, della legge n. 76 del 2016).

Non ha pregio, d’altro canto, la tesi della Provincia autonoma di Trento secondo cui si tratterebbe, nella specie, di accedere a un’interpretazione storico-evolutiva basata sulla sopravvenienza, rispetto alla legge provinciale oggetto di doglianza, della legge n. 76 del 2016, che «[p]er la prima volta» avrebbe riconosciuto anche in capo ai conviventi di fatto «legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale».

Al contrario, va, infatti, osservato che, all’epoca dell’adozione della legge prov. Trento n. 15 del 2015, la convivenza di fatto già rappresentava un fenomeno che aveva un riconoscimento sul piano normativo – essendo prevista, sia pure in modo frammentario, da una pluralità di disposizioni, come recentemente rilevato da questa Corte (sentenza n. 148 del 2024) – e giurisprudenziale.

Peraltro, lo stesso legislatore provinciale è nuovamente intervenuto (con la legge della Provincia autonoma di Trento 16 giugno 2017, n. 3, recante «Modificazioni della legge provinciale per il governo del territorio 2015 e di altre disposizioni provinciali in materia di ambiente, energia, lavori pubblici, turismo e caccia») sulla definizione di prima abitazione e sulla connessa esenzione per l’ipotesi delle nuove costruzioni anche dopo la citata legge n. 76 del 2016, senza, ciò malgrado, introdurre un riferimento alla convivenza di fatto.

6.– Tanto chiarito, va osservato che, pur attraverso percorsi diversi, sia il giudice rimettente che la Provincia autonoma di Trento chiedono a questa Corte di circoscrivere la portata delle disposizioni agevolative censurate, il primo attraverso una pronuncia additiva diretta a una parificazione verso il basso, che precluda la fruizione del beneficio anche ai conviventi di fatto, la seconda attraverso una – però non percorribile – interpretazione costituzionalmente orientata che raggiunga il medesimo risultato.

In effetti, tali disposizioni provinciali configurano vere e proprie norme di privilegio, che, come rileva il giudice a quo, costituiscono «una deroga all’obbligo generalizzato di corrispondere al Comune il contributo di costruzione» e contrastano innanzitutto con il principio di ragionevolezza, come emerge approfondendo la ratio del contributo di costruzione.

6.1.– Tale contributo, infatti, ha «natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario», generale e non sinallagmatica (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenze 30 agosto 2018, n. 12, e 7 dicembre 2016, n. 24), e «rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione» (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 27 maggio 2024, n. 4685, e, ancora, Cons. Stato, ad. plen., n. 12 del 2018 e n. 24 del 2016); l’esenzione dal suo pagamento si traduce, pertanto, in una deroga al dovere di concorrere a tale spesa.

Precisamente, il contributo si compone di due quote, parametrate, rispettivamente, agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione, che sono rappresentative, l’una, del maggior sacrificio imposto alla collettività in termini di carico urbanistico e, l’altra, dell’incremento di valore della proprietà immobiliare conseguente all’edificazione.

Le rationes delle due quote sono diverse: la prima mira a compensare la comunità del costo che l’edificazione determina a carico della stessa; la seconda mira a socializzare il maggior valore che il proprietario ottiene dalla costruzione.

In questa prospettiva, quella dell’onerosità del permesso di costruire è una «regola generale» (sentenza n. 296 del 1991; nella medesima direzione è orientata la giurisprudenza amministrativa: ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza 28 dicembre 2021, n. 8682, e sezione quarta, sentenza 1° giugno 2020, n. 3405), che costituisce un principio fondamentale della materia «governo del territorio» (ex plurimis, sentenze n. 247 e n. 64 del 2020) e «norma fondamentale delle riforme economico-sociali» (sentenza n. 1033 del 1988).

6.2.– Sono sì previste, anche dalla normativa statale, deroghe alla regola dell’onerosità – art. 17, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)» – ma queste sono sempre rivolte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività e interventi che abbiano un positivo impatto sull’ambiente. Al di fuori di tali ipotesi di esenzione, è prevista una (mera) riduzione del contributo per la realizzazione delle prime abitazioni: l’art. 17, comma 2, t.u. edilizia stabilisce, infatti, che esso sia in tal caso «pari a quanto stabilito per la corrispondente edilizia residenziale pubblica», ovvero alla «sola quota degli oneri di urbanizzazione», come precisa il precedente comma 1 dello stesso art. 17. Il legislatore statale, quindi, per la prima abitazione, ha previsto l’esonero dal pagamento della sola quota corrispondente al costo di costruzione, rinunciando a socializzare quanto deriva al proprietario dalla costruzione, ma certamente non anche della quota relativa agli oneri di urbanizzazione, ovvero al surplus di opere e al costo conseguente che il nuovo intervento edificatorio pone a carico della collettività.

7.– L’approfondimento della ratio del contributo di costruzione fa emergere l’irragionevolezza della disciplina normativa censurata, che riconosce una esenzione che, peraltro, non trova eguali in altra legislazione regionale o provinciale.

7.1.– La evidente singolarità di tale disciplina sta nell’esonerare il costruttore, non solo dalla socializzazione del maggior valore che questi ricava, ma anche dagli oneri di urbanizzazione, ovvero dal costo che questi pone a carico della collettività, senza che sia riscontrabile un effettivo interesse generale.

L’interesse individuale alla edificazione della propria prima abitazione può, in determinati casi, certamente essere sostenuto dall’ordinamento, perché l’art. 47 Cost. prevede che la Repubblica favorisca «l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione», ma non può essere sempre qualificato, a priori, come interesse “generale” al punto da esentare indistinti beneficiari dai costi inerenti agli oneri di urbanizzazione, da loro stessi causati, facendoli ricadere sulla fiscalità generale – per inciso va anche ricordato che la Provincia autonoma di Trento, come altre autonomie speciali, è finanziata prevalentemente con compartecipazioni alle imposte nazionali e solo in minima parte con uno sforzo fiscale autonomo, come questa Corte ha già avuto modo di riscontrare (sentenza n. 27 del 2024).

Il meccanismo di esenzione trentino, in altre parole, non determina semplicemente un minor gettito per l’erario, come avviene, ad esempio, per l’esenzione IMU per la prima casa, di cui all’art. 1, comma 741, lettera b), primo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), o per la rinuncia, nel caso dell’edilizia abitativa convenzionata, alla socializzazione dell’incremento di valore della proprietà immobiliare conseguente all’edificazione (art. 17, comma 1, t.u. edilizia).

Tale meccanismo realizza, invece, l’effetto di esonerare chi costruisce dal farsi carico della seria esternalità negativa che questi, tramite gli oneri di urbanizzazione, determina a carico della collettività.

Ad aggravare l’irragionevolezza sta, peraltro, la circostanza che il legislatore provinciale non ha attribuito alcun rilievo a una situazione di fragilità dell’aspirante al beneficio, che non è difatti limitato alle sole persone meno abbienti.

È, infatti, esonerato anche chi, abbiente e in ipotesi già proprietario di numerose abitazioni fuori dalla Provincia, decide di stabilire la propria residenza nel territorio provinciale.

Solo per tale motivo costui gode dell’esenzione, che grava però, come detto, sull’intera comunità per l’esternalità negativa determinata dagli oneri di urbanizzazione.

Tale esternalità può quindi finire per pesare anche su coloro che, pur soggetti alla fiscalità generale, versano comunque in condizioni economiche disagiate o che, in ogni modo, non dispongono di risorse sufficienti per costruirsi una casa di proprietà.

Peraltro, proprio perché l’esenzione non è strutturata (ad esempio, mediante la previsione di un requisito reddituale) in modo da interessarsi realmente di situazioni di fragilità, i profili di irragionevolezza emergono anche in riferimento alla mancata esclusione dei conviventi di fatto, concorrendo a dar luogo a quella ingiustificata discriminazione su cui si sofferma il rimettente.

Né la descritta irragionevolezza è mitigata dalla limitazione dell’esenzione ai primi 120 metri quadrati e alle abitazioni non di lusso, perché anche in questo pur circoscritto ambito di applicazione rimane evidente l’irrazionalità della normativa in esame, che finisce, comunque, per porre a carico della fiscalità generale, e quindi anche delle persone a basso reddito, il costo determinato dalle costruzioni.

7.2.– Già in tempi risalenti questa Corte aveva sottolineato che «l’evoluzione della coscienza sociale» e «la grave crisi della finanza pubblica» rendono sempre meno sopportabili i «trattamenti di favore» che tendono a qualificarsi come privilegi (sentenza n. 421 del 1995); più recentemente, ha nuovamente messo in evidenza la necessità di uno scrutinio «particolarmente rigoroso» sulle norme di agevolazione fiscale che non siano riconducibili «all’attuazione di altri principi costituzionali (quali, a titolo esemplificativo, la tutela della famiglia, del diritto alla salute o lo sviluppo della previdenza)» (sentenza n. 120 del 2020).

È del resto in questa prospettiva, volta a porre in rilievo i reciproci rapporti di integrazione che legano le persone nel vivere sociale, che la Costituzione, secondo una «impostazione deontologica (e non meramente utilitaristica)» (ancora sentenza n. 421 del 1995), qualifica come «inderogabile» l’adempimento dei doveri di solidarietà economica, politica e sociale (art. 2 Cost.).

Questa Corte, pertanto, non può esimersi da un sindacato particolarmente stringente su tutte quelle norme che, poste alla sua attenzione, si dimostrano, anche fuori dall’ambito strettamente fiscale, senza alcuna prospettiva teleologica riconducile all’attuazione di altri principi costituzionali o al bene comune, creando arbitrari privilegi che non aiutano la coesione sociale.

8.– Riconosciuta, dunque, l’effettiva sussistenza dei descritti vulnera al principio di ragionevolezza, questa Corte non può, tuttavia, che ritenere altresì inammissibili le questioni prospettate dal rimettente, lamentando, in particolare, che le norme censurate irragionevolmente introdurrebbero, e per di più in violazione dell’art. 31 Cost., un privilegio che finisce anche per sfavorire (in contrasto con quanto affermato nella sentenza n. 209 del 2022) le coppie che decidono di unirsi in matrimonio o unione civile.

Ciò in quanto le modalità con cui potrebbero essere superati i vulnera che si sono evidenziati possono essere molteplici, implicando interventi di sistema sul complesso quadro normativo sotto richiamato; pertanto, questi sono rimessi in prima battuta alla discrezionalità del legislatore provinciale, che, nel rispetto del principio di ragionevolezza e sulla scorta dei modelli presenti nella disciplina statale, ha diverse opzioni a disposizione per ricondurre l’esenzione entro un binario costituzionalmente compatibile.

Del resto, nel micro-sistema della disciplina trentina del contributo di costruzione, non solo l’esenzione dal contributo di costruzione ricorre anche in altre ipotesi, rispetto a quella censurata dal rimettente, relative alla prima abitazione (come nel caso, ad esempio, degli interventi diretti al recupero di costruzioni, edifici o fabbricati negli insediamenti storici), ma anche in numerose altre che da essa prescindono (ad esempio, in riferimento alle opere funzionali all’esercizio dell’attività di acquacoltura, alle legnaie e alle tettoie, ai parcheggi, nonché agli impianti e alle attrezzature tecnologiche).

La sola parificazione verso il basso richiesta dal rimettente darebbe, quindi, luogo a un quadro normativo disarmonico. È, pertanto, rimesso al legislatore provinciale provvedere, con sollecitudine, a una riforma sistematica di tale insieme di esenzioni.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 87, comma 4, lettera a), numero 2), e 90, comma 1, lettera d), della legge della Provincia autonoma di Trento 4 agosto 2015, n. 15 (Legge provinciale per il governo del territorio), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 31 della Costituzione, dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 ottobre 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 19 novembre 2024