Sentenza n. 83 del 2024

SENTENZA N. 83

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Augusto Antonio BARBERA;

Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 444 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Marsala, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di G. P., con ordinanza del 1° dicembre 2022, iscritta al n. 33 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 19 marzo 2024 il Giudice relatore Franco Modugno;

deliberato nella camera di consiglio del 19 marzo 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 1° dicembre 2022, iscritta al n. 33 del registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di Marsala, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 444 del codice di procedura penale, nella parte in cui, nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti per reati contravvenzionali, prevede la diminuzione della pena fino a un terzo, anziché fino alla metà.

1.1.– Il giudice a quo riferisce di essere investito del processo nei confronti di una persona imputata della contravvenzione di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, di cui all’art. 75, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136).

Dichiarata l’assenza dell’imputato, si era dato atto del mancato consenso del pubblico ministero a una precedente richiesta di applicazione della pena, formulata dal difensore ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.: mancato consenso motivato con il rilievo che il difensore aveva richiesto una riduzione premiale della pena nella misura della metà, superiore a quella consentita.

A fronte di ciò, il difensore ha eccepito l’illegittimità costituzionale, in parte qua, del citato art. 444 cod. proc. pen., per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost.

L’eccezione si basa sulla considerazione che l’art. 1, comma 44, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), modificando il comma 2 dell’art. 442 cod. proc. pen., ha stabilito per il giudizio abbreviato una diminuzione premiale della pena della metà quando si procede per una contravvenzione, senza operare un parallelo adeguamento del comma 1 dell’art. 444 cod. proc. pen., il quale continua a prevedere la riduzione della pena fino a un terzo, anche quando il patteggiamento riguardi un reato contravvenzionale. Si sarebbe in questo modo creata – secondo il difensore – una discrasia contrastante con i principi del giusto processo, di eguaglianza e di inviolabilità del diritto di difesa.

1.2.– Ad avviso del giudice a quo, le questioni così prospettate sarebbero rilevanti – dovendo egli fare applicazione della norma censurata per decidere sulla richiesta di patteggiamento – e al tempo stesso non manifestamente infondate.

La scelta legislativa di prevedere, per il medesimo reato di natura contravvenzionale, una riduzione della pena fino a un terzo nel caso di patteggiamento, diversamente da quanto avviene per il giudizio abbreviato – che assicura una riduzione della metà –, si rivelerebbe, infatti, «foriera di esiti applicativi discriminatori», incompatibili con i principi di ragionevolezza e di eguaglianza, specie ove si consideri che il rito del patteggiamento è quello che garantisce la massima economia processuale e la più rapida definizione dei procedimenti.

L’irragionevolezza della sperequazione apparirebbe ancor più evidente nel caso in cui l’imputato opti per il rito abbreviato cosiddetto condizionato, di cui all’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. In tale ipotesi, vengono infatti incluse nel bagaglio conoscitivo del giudice una o più prove, la cui assunzione determinerebbe un inevitabile allungamento dei tempi processuali (richiedendo non di rado la celebrazione di più udienze).

Le sentenze rese ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. sono, inoltre, inappellabili, potendo essere impugnate solo con ricorso per cassazione, mentre nel caso di rito abbreviato l’imputato resta abilitato a proporre i normali mezzi di gravame.

Tutto ciò renderebbe irragionevole, «se non paradossale», la mancata estensione al patteggiamento dell’entità della riduzione premiale della pena prevista per il giudizio abbreviato, quando si proceda per reati contravvenzionali.

2.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o non fondate.

2.1.– In via preliminare, la difesa dell’interveniente eccepisce l’inammissibilità delle questioni, per insufficiente descrizione della fattispecie concreta e difetto di motivazione sulla rilevanza.

Il giudice a quo avrebbe, infatti, omesso di indicare la condotta contestata e il tempus commissi delicti, e avrebbe giustificato la rilevanza delle questioni con una mera formula di stile («dovendo[si] fare applicazione dell’art. 444 c.p.p.»), senza dedurre alcunché in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del rito richiesto, ossia alla sussistenza, o no, di cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. e alla corretta qualificazione giuridica del fatto. Tali omissioni, non emendabili tramite la lettura diretta degli atti del giudizio, stante il principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione, impedirebbero a questa Corte di verificare la rilevanza delle questioni, facendole apparire come premature e ipotetiche.

Le questioni sollevate in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. sarebbero, altresì, inammissibili per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, avendo il rimettente evocato tali parametri senza enunciare affatto le ragioni della loro asserita violazione.

2.2.– Nel merito, la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. – alla quale l’Avvocatura dello Stato limita la sua analisi, stante la rilevata totale assenza di motivazione riguardo agli altri parametri – si rivelerebbe palesemente non fondata.

Il rimettente avrebbe censurato il diverso trattamento dei due riti alternativi quanto allo sconto di pena senza considerare le differenze strutturali intercorrenti tra essi, che non consentirebbero un valido raffronto comparativo.

Al riguardo, sarebbe sufficiente richiamare la diversità di disciplina relativa alla sospensione condizionale, alla cui concessione può essere subordinata la richiesta di patteggiamento, ma non quella di giudizio abbreviato; la possibilità per le parti di concordare nel patteggiamento la non applicabilità delle pene accessorie, non prevista nel giudizio abbreviato; la non utilizzabilità, a fini di prova, della sentenza di patteggiamento nel giudizio civile, disciplinare, tributario o amministrativo, diversamente dalla sentenza resa a seguito di giudizio abbreviato.

La disomogeneità degli istituti posti a raffronto impedirebbe, dunque, di ravvisare la dedotta violazione del principio di eguaglianza, mancando un utile termine di comparazione.

Né potrebbe ravvisarsi nel diverso sconto sanzionatorio previsto in relazione all’applicazione concordata della pena alcun profilo di irragionevolezza intrinseca, stante il fatto che – per ripetuta affermazione di questa Corte – il legislatore gode di ampia discrezionalità nella configurazione degli istituti processuali, censurabile solo nei limiti della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte operate, nella specie non ravvisabile.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 1° dicembre 2022 (reg. ord. n. 33 del 2023), il Tribunale di Marsala, in composizione monocratica, solleva questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., dell’art. 444 cod. proc. pen., nella parte in cui, nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti per reati contravvenzionali, prevede la diminuzione della pena fino a un terzo, anziché fino alla metà.

Il giudice a quo pone a fondamento del dubbio di legittimità costituzionale la disparità di trattamento riscontrabile rispetto alla disciplina del giudizio abbreviato: procedimento speciale che, quando si proceda per una contravvenzione, assicura all’imputato – in forza dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 1, comma 44, della legge n. 103 del 2017 – la riduzione della pena nella misura della metà.

Ad avviso del rimettente, si sarebbe al cospetto di una sperequazione lesiva dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza, particolarmente alla luce del fatto che, tra i due riti speciali, il patteggiamento è quello che garantisce la maggiore economia di tempi e di risorse processuali.

2.– In via preliminare, va rilevato che la disciplina dei due procedimenti speciali posti in comparazione dal rimettente è stata oggetto di modifica, anche quanto alla consistenza dei benefici ad essi collegati, ad opera del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), entrato in vigore – in forza della disposizione transitoria di cui all’art. 99-bis, comma 1 – il 30 dicembre 2022: dunque, in data successiva a quella dell’ordinanza di rimessione.

Tale ius superveniens non giustifica, tuttavia, la restituzione degli atti al giudice a quo, per un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni.

La riforma, infatti, non ha inciso sullo specifico aspetto investito dalle questioni: l’entità della riduzione di pena annessa al patteggiamento è rimasta, infatti, inalterata. La novella legislativa ha anzi approfondito, sotto un diverso profilo – peraltro, chiaramente non rilevante nel giudizio a quo – la sperequazione censurata dal rimettente, riconoscendo all’imputato che è stato giudicato con rito abbreviato (per qualsiasi reato) un ulteriore sconto di pena, nella misura di un sesto, qualora l’imputato stesso e il suo difensore non impugnino la sentenza di condanna (nuovo comma 2-bis dell’art. 442 cod. proc. pen.). Sconto anch’esso non esteso al patteggiamento.

Il d.lgs. n. 150 del 2022 ha incrementato, bensì, i vantaggi di ordine diverso dalla riduzione della pena collegati al patteggiamento, e non pure al giudizio abbreviato. Anche in questa direzione, peraltro, la riforma si è limitata ad amplificare una difformità di disciplina già esistente alla data dell’ordinanza di rimessione (infra, punto 5.4.), così da non rendere necessaria la restituzione degli atti al rimettente per una ponderazione del mutato quadro normativo.

3.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per insufficiente descrizione della fattispecie concreta e difetto di motivazione sulla rilevanza: ciò, in quanto il giudice a quo avrebbe omesso di indicare la condotta contestata all’imputato e il tempus commissi delicti, e avrebbe giustificato la rilevanza delle questioni, senza dedurre alcunché in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del rito richiesto.

L’eccezione non è fondata.

Il rimettente ha dedotto di procedere per il reato, di natura contravvenzionale, di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, riferendo, altresì, che in relazione ad esso l’imputato ha chiesto, tramite il suo difensore, di patteggiare con applicazione di una pena diminuita nella misura della metà: richiesta che non ha conseguito il consenso del pubblico ministero, per l’unica ragione che la riduzione proposta è superiore a quella consentita dalla norma censurata. Tanto basta per poter ritenere assolto l’onere di descrizione della fattispecie concreta: la specifica condotta contestata al giudicabile e la data in cui è stata posta in essere non costituiscono elementi indispensabili ai fini della verifica, da parte di questa Corte, della rilevanza delle questioni sollevate.

4.– Coglie invece nel segno l’ulteriore eccezione dell’Avvocatura dello Stato, di inammissibilità delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza.

Nel riferire dell’eccezione di illegittimità costituzionale prospettata dal difensore, l’ordinanza di rimessione reca, infatti, solo un cursorio e apodittico richiamo ai principi, enunciati dalle citate disposizioni costituzionali, di inviolabilità del diritto di difesa e del giusto processo, senza svolgere alcuna argomentazione a sostegno della loro ipotizzata violazione.

Pertanto, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 198, n. 186 e n. 46 del 2023), le questioni in discorso vanno dichiarate inammissibili.

5.– Nel merito, la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. – unica sorretta da adeguata motivazione in punto di non manifesta infondatezza e, perciò, ammissibile – non è fondata.

5.1.– La censura del rimettente si appunta sulla disparità di trattamento che si sarebbe venuta a creare, a seguito della legge n. 103 del 2017, tra giudizio abbreviato e patteggiamento, in punto di entità dello sconto di pena riconosciuto all’imputato. Sconto di pena che rappresenta, notoriamente, il principale incentivo all’accesso a tali procedimenti speciali, introdotti dal codice di procedura penale del 1988 in funzione deflattiva del dibattimento, nella consapevolezza che il nuovo modello processuale di tipo accusatorio, basato su meccanismi di formazione della prova particolarmente garantiti, avrebbe potuto assicurare risultati accettabili in termini di efficienza solo se il numero dei procedimenti destinati a passare attraverso le complesse cadenze del rito “ordinario” fosse stato contenuto in limiti fortemente ridotti.

Nel disegno originario del codice, rimasto per questo aspetto a lungo inalterato, il quantum della riduzione premiale di pena era espresso, per i due riti, da un medesimo coefficiente numerico di tipo frazionario (avente, peraltro, come meglio si dirà più avanti, una differente valenza nei due casi). Era previsto, infatti, che la pena fosse ridotta «di un terzo», nel caso di condanna a seguito di giudizio abbreviato (art. 442, comma 2, cod. proc. pen.), e «fino a un terzo», in caso di patteggiamento (art. 444, comma 1, cod. proc. pen.). Ciò, indipendentemente dalla natura del reato per cui si procedeva.

La simmetria è venuta parzialmente meno a seguito della citata legge n. 103 del 2017, il cui art. 1, comma 44, modificando il comma 2 dell’art. 442 cod. proc. pen., ha stabilito che, nel caso di giudizio abbreviato – ferma restando la riduzione della pena di un terzo se si procede per delitti –, la pena è diminuita della metà se si procede per contravvenzioni.

L’intervento persegue il trasparente obiettivo di accrescere il tasso di appetibilità di tale procedimento speciale: procedimento che, malgrado le ripetute modifiche di cui era stato oggetto, non aveva risposto appieno alle attese, in termini di capacità deflattiva, a causa del numero non sufficientemente elevato di richieste. La soluzione accolta dalla legge n. 103 del 2017 al fine di invertire tale andamento è, peraltro, molto cauta, costituendo un recepimento solo marginale della proposta formulata dalla commissione di studio per elaborare proposte di interventi in tema di sistema sanzionatorio penale, istituita con decreto del Ministro della giustizia 10 giugno 2013, la quale, nella relazione conclusiva, aveva suggerito di modulare l’entità dello sconto di pena annesso al giudizio abbreviato secondo la gravità dei reati, prevedendo, in particolare, una diminuzione della metà non soltanto per le contravvenzioni, ma anche per i delitti puniti con la reclusione non superiore nel massimo a cinque anni o con la multa.

La modifica legislativa in discorso fa, d’altro canto, da contraltare a un complesso di altre modifiche della disciplina del giudizio abbreviato, operate dalla stessa legge di riforma, che – in parte dando veste normativa ad approdi giurisprudenziali e in parte assumendo una valenza innovativa – comprimono ulteriormente, in una prospettiva di semplificazione processuale, i diritti esercitabili dall’imputato in tale rito (particolarmente significativo, in tal senso, il nuovo comma 6-bis dell’art. 438 cod. proc. pen.).

La legge n. 103 del 2017 non ha, comunque sia, operato una corrispondente revisione, per il profilo considerato, della disciplina del patteggiamento, riguardo al quale la norma censurata continua a prevedere che la pena è diminuita «fino a un terzo» qualunque sia il reato per cui si procede, e dunque anche quando si tratti di una contravvenzione.

Ed è appunto di questo che il giudice a quo si duole, reputando irragionevole – se non addirittura «paradossale» – che, a parità di reato contravvenzionale, venga “trattato peggio” il rito alternativo che è in grado di assicurare una definizione più rapida dei procedimenti e un maggior risparmio di risorse processuali.

5.2.– Che il patteggiamento consenta, in linea di principio, una economia di tempi e di energie processuali più marcata di quella conseguente al giudizio abbreviato non è, in effetti, contestabile.

Di là dal tratto comune, di essere riti alternativi che “evitano” il dibattimento, il patteggiamento semplifica, però, radicalmente, il dibattito processuale, rimettendo al giudice il solo compito di verificare che non sussistano ragioni di proscioglimento dell’imputato già risultanti ex actis, che la qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti siano corrette e che la pena richiesta sia congrua (art. 444, comma 2, cod. proc. pen.). Laddove, per converso, il giudizio abbreviato lascia inalterato il potere-dovere del giudice di accertare nei termini ordinari – sia pure sulla base degli elementi raccolti dal pubblico ministero nel corso delle indagini, e dunque fuori del contradditorio (peraltro, eventualmente arricchiti dalle indagini difensive) – se l’imputato sia colpevole o no e di determinare il trattamento sanzionatorio adeguato.

Come nota il rimettente, lo scarto tra i due riti – in termini di vis deflattiva – si amplia ulteriormente qualora l’imputato opti per il giudizio abbreviato cosiddetto condizionato, subordinato, cioè, a una integrazione probatoria (art. 438, comma 5, cod. proc. pen.): nel qual caso – salvo il vaglio del giudice sulla effettiva necessità dell’integrazione ai fini della decisione e sulla idoneità del rito speciale a realizzare, comunque sia, una economia processuale – il rito stesso viene ad essere “appesantito” dall’assunzione di nuove prove (comprese quelle contrarie che il pubblico ministero può chiedere); evenienza, viceversa, radicalmente esclusa nel caso di patteggiamento.

L’economia processuale conseguente al patteggiamento – come parimente rileva il giudice a quo – è altresì più spiccata in rapporto ai mezzi di impugnazione. La sentenza di patteggiamento è, infatti, inappellabile (salvo che dal pubblico ministero, qualora sia emessa malgrado il suo dissenso: art. 448, comma 2, cod. proc. pen.). Essa è soggetta unicamente a ricorso per cassazione, proponibile, peraltro, a seguito della stessa legge n. 103 del 2017, solo per specifici e circoscritti motivi (art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.). Di contro, nel giudizio abbreviato l’imputato conserva la facoltà di proporre appello contro le sentenze di condanna, le quali sono, altresì, appellabili dal pubblico ministero ove modifichino il titolo del reato (art. 443 cod. proc. pen.), mentre nessun limite incontra il ricorso per cassazione.

5.3.– Da tutto ciò non può però farsi discendere – com’è invece nella logica del rimettente – l’esigenza costituzionale di annettere al patteggiamento una riduzione di pena, comunque sia, non inferiore a quella prevista per il giudizio abbreviato.

Vale al riguardo osservare come, sin dalle origini, l’abbattimento della pena connesso al patteggiamento sia stato delineato in termini di minor favore rispetto a quello collegato al rito abbreviato, pur a parità del coefficiente frazionario di riferimento.

Come già ricordato, infatti, si è previsto che, in caso di giudizio abbreviato, la pena fosse diminuita «di un terzo» (art. 442, comma 2, cod. proc. pen.): la riduzione è, dunque – pacificamente –, fissa e il terzo ne rappresenta la misura predeterminata e inderogabile (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenze 15 giugno-7 luglio 2022, n. 26189 e 22 febbraio-19 aprile 2012, n. 15068).

Diversamente, in caso di patteggiamento, la pena è diminuita «fino a un terzo» (art. 444, comma 1, cod. proc. pen).

Le sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno specificato che la locuzione in parola indica la quantità massima della riduzione, e non la quantità minima della pena che può residuare ad essa. Si è, infatti, rilevato come il patteggiamento consenta all’imputato di incidere in modo diretto sulla quantificazione della pena irrogata, a differenza del giudizio abbreviato, che, concernendo solo il rito, lascia intatto il potere del giudice di commisurare discrezionalmente il trattamento sanzionatorio, salvo a dover applicare sulla pena da lui liberamente determinata la riduzione fissa di un terzo. E ciò a prescindere dall’ulteriore ampia gamma di incentivi premiali, collegati in via esclusiva al patteggiamento (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 24 marzo-28 aprile 1990, n. 6179).

5.4.– Considerazioni sostanzialmente analoghe sono state svolte, altresì, anche dalla giurisprudenza di questa Corte – con riguardo a profili diversi da quello oggi in discussione – per dimostrare come si sia al cospetto di istituti nettamente differenziati (sentenze n. 135 del 1995, n. 81 del 1991 e n. 66 del 1990; ordinanza n. 320 del 1991), non solo sul piano delle connotazioni astratte, ma anche degli effetti pratici (ordinanza n. 455 del 2006) e, dunque, non utilmente comparabili al fine di annettere violazioni dell’art. 3 Cost. alle discrepanze tra le rispettive discipline (sentenza n. 135 del 1995; ordinanze n. 455 del 2006 e n. 320 del 1991).

Come questa Corte ha rilevato, il patteggiamento consente all’imputato di sottoporsi a una pena certa, preventivamente concordata, non potendo il giudice modificare i contenuti del “patto” intercorso fra le parti: pena che gli verrà inflitta – in applicazione di una particolare regola di giudizio (l’insussistenza dei presupposti per una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.) – con una sentenza che è solo «equiparata» a una pronuncia di condanna e che resta priva di efficacia nei giudizi extrapenali (art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen.). Per contro, con il giudizio abbreviato, l’imputato, accettando di essere giudicato sulla base degli atti, lascia inalterati i poteri decisori del giudice: «nel caso di condanna, [il giudice] emetterà una sentenza contenente un’affermazione piena di responsabilità, con la quale infliggerà la pena – ancorché ridotta di un terzo – ritenuta equa dallo stesso giudicante e che potrebbe risultare di gran lunga superiore a quella che l’imputato sarebbe stato disposto a “negoziare”» (ordinanza n. 455 del 2006).

Il patteggiamento offre all’imputato, al tempo stesso, un complesso di vantaggi ulteriori, rispetto allo sconto di pena, privo di equivalenti nel giudizio abbreviato. Avendo riguardo alla disciplina vigente alla data dell’ordinanza di rimessione, alla sentenza di patteggiamento non è attribuita, come già accennato, natura di vera e propria sentenza di condanna, venendo ad essa solo «equiparata»; ne è fortemente limitata, altresì, l’efficacia extrapenale (art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen.). La richiesta di patteggiamento può essere, d’altro canto, subordinata alla concessione della sospensione condizionale della pena (art. 444, comma 3, cod. proc. pen.); inoltre, se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda (art. 444, comma 2, cod. proc. pen.).

Quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva, sola o congiunta a pena pecuniaria – come generalmente avviene quando si procede per contravvenzioni –, la sentenza non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento, né l’applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione per la confisca nei casi previsti dall’art. 240 del codice penale (art. 445, comma 1, cod. proc. pen.). In tale ipotesi, inoltre, decorsi cinque anni, se la sentenza riguarda un delitto, o due anni, se riguarda una contravvenzione, senza che l’imputato abbia commesso un delitto o una contravvenzione della stessa indole, il reato è estinto e viene meno ogni effetto penale. Se è stata applicata una pena pecuniaria o una pena sostitutiva, la pronuncia non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena (art. 445, comma 2, cod. proc. pen.).

L’insieme dei vantaggi annessi al patteggiamento si è ulteriormente arricchito, come già segnalato, con l’entrata in vigore, dopo l’ordinanza di rimessione, del d.lgs. n. 150 del 2022, il quale, con l’art. 25, comma 1, lettera b), ha esteso l’esclusione dell’efficacia extrapenale della sentenza, precedentemente circoscritta ai giudizi civili e amministrativi, anche ai giudizi disciplinari, tributari e di accertamento della responsabilità contabile, con la previsione, altresì, che in tali giudizi la sentenza di patteggiamento non può essere neppure utilizzata a fini di prova (nuovo comma 1-bis dell’art. 445 cod. proc. pen.). Si è previsto, poi, che nel caso di patteggiamento cosiddetto allargato – per pene, cioè, superiori ai due anni – le parti possano chiedere al giudice di non applicare le pene accessorie o di applicarle per una durata determinata, e di non ordinare la confisca facoltativa o di ordinarla con riferimento a specifici beni o a un importo determinato (art. 444, comma 1, cod. proc. pen., come novellato).

5.5.– Indipendentemente da tali modifiche sopravvenute, la scelta operata con la legge n. 103 del 2017 – di incrementare alla metà la riduzione di pena connessa al giudizio abbreviato quando si proceda per contravvenzioni, senza operare un corrispondente incremento dello sconto di pena connesso al patteggiamento – deve essere considerata, quindi, espressiva dell’ampia discrezionalità che, per costante giurisprudenza di questa Corte, compete al legislatore nella disciplina degli istituti processuali, il cui esercizio è censurabile solo ove decampi nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio (ex plurimis, sentenze n. 67 del 2023, n. 230 e n. 74 del 2022, n. 95 del 2020 e n. 155 del 2019). Evenienza, questa, non ravvisabile nella specie, posto che l’incremento in questione, se accresce l’incentivo all’accesso al giudizio abbreviato, non appare tale da compromettere, di riflesso, la convenienza del patteggiamento, tenuto conto della struttura di tale ultimo rito e del corposo insieme di altri vantaggi che esso assicura.

6.– Alla luce delle considerazioni che precedono, le questioni sollevate in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. vanno dichiarate, dunque, inammissibili; quella sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., non fondata.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 444 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Marsala, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 444 cod. proc. pen., sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Marsala, in composizione monocratica, con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2024