SENTENZA N. 66
ANNO 2024
Commenti alla decisione di
1. Benedetta Liberali, Sulla trasformazione del rapporto di coppia a seguito di rettificazione di sesso dieci anni dopo: la parola (ancora) alla Corte costituzionale,per g.c. di Diritti Comparati
2. Sergio Sulmicelli, La rettificazione di attribuzione di sesso e «l’obiettiva eterogeneità» del matrimonio e delle unioni civili. La timida evoluzione di un modello (ormai) isolato, per g.c. di DPCE Online
3. Paolo Mezzanotte, L’illegittimità costituzionale dello scioglimento automatico dell’unione civile a seguito del mutamento di sesso. Nota a Corte cost. sentenza n. 66 del 2024, per g.c. dell'Osservatorio costituzionale
4. Paolo Bianchi, La Corte torna su matrimonio e unioni civili, ribadisce ma non convince, per g.c. di leCostituzionaliste
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente:
Augusto Antonio BARBERA;
Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), 31, comma 4-bis, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), aggiunto dall’art. 7 del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76», e 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, promosso dal Tribunale ordinario di Torino, sezione settima civile, nel giudizio proposto da P. S., con ordinanza del 29 maggio 2023, iscritta al n. 101 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2023, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 23 gennaio 2024.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nella camera di consiglio del 22 febbraio 2024 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;
deliberato nella camera di consiglio del 22 febbraio 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 29 maggio 2023, iscritta al n. 101 del registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di Torino, sezione settima civile, nel corso di un giudizio di rettificazione di attribuzione di sesso introdotto, ai sensi della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), da P. S., ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), 31, comma 4-bis, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), aggiunto dall’art. 7 del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76», e 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
2.– Il giudice a quo espone che l’attore ha allegato «disforia di genere» e documentato il percorso di transizione dal genere maschile a quello femminile, richiedendo la rettificazione di attribuzione di sesso e del prenome da P. a S. e, in caso di accoglimento della domanda e ricorrendone le condizioni di legge, la trasformazione dell’unione civile contratta con S. B. in matrimonio, nell’osservanza delle forme previste per la opposta ipotesi di conversione del matrimonio in unione civile, con le annotazioni di legge da curarsi dal competente ufficiale dello stato civile. Per la eventualità di rigetto della domanda, l’attore ha dedotto la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016 nella parte in cui prevede, in caso di accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei componenti di una unione civile, l’automatico scioglimento della stessa, senza possibilità della sua trasformazione in matrimonio previa dichiarazione resa dalle parti davanti al giudice della rettificazione, con conseguente soluzione di continuità delle tutele riconosciute dall’ordinamento al precedente vincolo.
Il rimettente riferisce altresì che S. B., comparso personalmente in udienza, ha reso congiuntamente all’attore dichiarazione di voler costituire e/o trasformare, in caso di accoglimento della domanda di rettifica del sesso, l’unione civile in matrimonio. Il difensore di P. S. ha comunicato l’intenzione del proprio assistito di rinunciare agli atti del giudizio «in caso di declaratoria di irrilevanza o manifesta infondatezza della questione».
3.– Il Tribunale rimettente ritiene verosimilmente fondata la domanda di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso e, nella dedotta sufficienza di un rigoroso accertamento del giudice di merito in ordine al «disturbo di identità di genere e di un serio, univoco e tendenzialmente irreversibile percorso individuale di acquisizione di una nuova identità» (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 180 del 2017 e n. 221 del 2015, e la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 20 luglio 2015, n. 15138), riscontra «al di là di ogni ragionevole dubbio», per le «apparentemente univoche» risultanze di prova di cui alle relazioni del Centro interdipartimentale disturbi identità di genere, C.I.D.I.Ge.M., dell’Azienda ospedaliera universitaria Città della salute e della scienza di Torino, la sussistenza di disforia di genere in capo a P. S., che aveva acquisito una identità psicosessuale femminile non corrispondente al sesso attribuitogli nell’atto di nascita.
4.– Ciò premesso, il Collegio rimettente richiama la sentenza n. 170 del 2014, con la quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982, e, in via consequenziale, dell’art. 31, comma 6, del d.lgs. n. 150 del 2011 – che aveva sostituito il citato art. 4, abrogato dall’art. 36 dello stesso decreto legislativo, riproducendone però il contenuto con minima, ininfluente variante lessicale – nella parte in cui le norme incise non prevedevano che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei due coniugi, che determina in via automatica lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, consentisse, ove entrambe le parti lo avessero richiesto, di mantenere in vita il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che di questa tutelasse diritti ed obblighi, con modalità da stabilirsi dal legislatore.
Il giudice a quo ricorda che questa Corte, con la richiamata sentenza, censurò la scelta operata dal legislatore che, con le norme caducate, non aveva attuato alcun bilanciamento tra interessi contrapposti, sacrificando a quello dello Stato a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio – nel rigido automatismo di regolazione dei rapporti tra sentenza di rettifica di attribuzione di sesso e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio – il pregresso vissuto della coppia omoaffettiva, lasciata «priva di tutela», non risultando prevista «alcuna “forma di comunità” connotata da “stabile convivenza tra due persone, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione”» (è richiamata altresì la sentenza di questa Corte n. 138 del 2010).
4.1.– Il rimettente menziona quindi la giurisprudenza di legittimità (viene citata la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 21 aprile 2015, n. 8097) che, nel valorizzare la tutela da attribuirsi, nei termini di cui all’art. 2 Cost., alle unioni tra persone dello stesso sesso, rimarcava la “intollerabilità” di una «soluzione di continuità del rapporto» fintantoché il legislatore non fosse intervenuto nei termini indicati da questa Corte con la richiamata sentenza n. 170 del 2014.
4.1.1.– Detto intervento è stato poi operato con la legge n. 76 del 2016, che ha introdotto l’istituto della unione civile tra persone dello stesso sesso, delegando altresì il Governo all’adozione di decreti legislativi per adeguare le disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni alle previsioni della stessa legge e per coordinare con queste ultime le disposizioni vigenti attraverso le necessarie modificazioni ed integrazioni normative.
Nella ordinanza di rimessione si richiama in proposito il comma 4-bis dell’art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011, inserito dall’art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2017, che consente ai coniugi di manifestare nel giudizio di rettificazione anagrafica, fino al momento della precisazione delle conclusioni, la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non farne cessare gli effetti civili, convertendolo in unione civile. L’introduzione di tale disposizione adegua le norme sui procedimenti di rettificazione dell’attribuzione di sesso alla previsione del comma 27 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016, secondo il quale «[a]lla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso».
Il rimettente richiama ancora l’art. 70-octies del d.P.R. n. 396 del 2000, che, aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, al comma 5, prevede che, nell’ipotesi di cui all’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, l’ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione nel cui giudizio le parti abbiano manifestato la volontà di convertire il matrimonio in unione civile, procede all’iscrizione della stessa e alle eventuali annotazioni relative al regime patrimoniale e alla scelta del cognome della coppia.
5.– Alla luce della normativa evocata, il giudice a quo ipotizza che la coppia unita civilmente, il cui vincolo sia cessato per l’automatismo che si accompagna alla rettificazione anagrafica di sesso di uno dei componenti dell’unione, incontri, nel caso in cui voglia mantenere una relazione giuridica riconosciuta contraendo matrimonio, un vuoto di tutela nel tempo intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione del sesso e la eventuale celebrazione del matrimonio.
5.1.– Tanto esposto, il Tribunale di Torino, censura, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU: l’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, che dispone che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei componenti dell’unione civile determina lo scioglimento della stessa senza prevedere la possibilità della sua conversione in matrimonio, previa dichiarazione congiunta delle parti, senza soluzione di continuità con il precedente vincolo, come previsto dall’art. 1, comma 27, della stessa legge con riguardo alla ipotesi speculare della conversione del matrimonio in unione civile; l’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, nella parte in cui non prevede che la persona che ha proposto la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso e l’altro contraente dell’unione civile possano, fino alla precisazione delle conclusioni, con dichiarazione congiunta, resa personalmente in udienza, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda, di unirsi in matrimonio, effettuando le eventuali dichiarazioni riguardanti il regime patrimoniale e la conservazione del cognome comune, come disposto per il caso opposto di conversione del matrimonio in unione civile, nonché nella parte in cui non prevede che il tribunale, con la sentenza che accoglie la domanda, ordini all’ufficiale dello stato civile del comune di costituzione dell’unione civile, o di registrazione se costituita all’estero, di iscrivere il matrimonio nel relativo registro e di annotare le eventuali dichiarazioni rese dalle parti relative alla scelta del cognome ed al regime patrimoniale; e l’art. 70-octies, comma 5, d.P.R n. 396 del 2000 nella parte in cui non prevede che l’ufficiale dello stato civile, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettifica di sesso, e cessata l’unione civile per sopraggiunta eterosessualità dei suoi componenti, proceda alla trascrizione del matrimonio nell’apposito registro.
5.1.1.– Ciascuna delle disposizioni denunciate integra, secondo il rimettente, «una violazione degli artt. 2 e 3 Cost., laddove introduce una ingiustificata disparità di trattamento in situazioni analoghe – dal matrimonio all’unione civile ma non viceversa – ed una ingiustificata limitazione alla libertà fondamentale dell’individuo, considerando l’automatico scioglimento dell’unione civile (in forza dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016), senza contestuale istituzione dell’unione matrimoniale, pur in presenza dei requisiti di validità previsti dalla legge – capacità, consenso validamente manifestato ed eterosessualità dei nubendi – con ciò non riconoscendo adeguata protezione e tutela ai suoi componenti in ossequio ai doveri solidaristici discendenti dall’essere (stati) essi parte di un gruppo sociale strutturato e legalmente riconosciuto».
Infatti, si riconosce soltanto ai coniugi (art. 1, comma 27, della già citata legge istitutiva delle unioni civili) la facoltà di manifestare davanti al giudice della rettifica anagrafica di sesso la volontà di trasformare, senza soluzione di continuità o vuoti di tutela, il matrimonio, nel resto disciolto o cessato nei suoi effetti all’esito dell’automatismo rescissorio di legge, in unione civile.
Il diverso trattamento riservato alle coppie omoaffettive che intendano mantenere il precedente consortium vitae e manifestino la loro comune volontà in tal senso, nella parte in cui non consente l’automatica trasformazione in matrimonio, priverebbe gli ex partners di «reciproca tutela per un lasso di tempo a priori indeterminabile», inoltre «obbligando gli stessi ad attivarsi, nelle forme ordinarie, per la costituzione dell’unione matrimoniale».
5.1.2.– Né la differente disciplina riservata alle coppie omoaffettive rispetto a quelle coniugate, ove entrambe interessate da transizione sessuale, in punto di conversione della relazione cessata in altra giuridicamente riconosciuta potrebbe trovare giustificazione nelle differenze di disciplina che unione civile e matrimonio presentano nella fase di formalizzazione del rapporto.
Sul punto il rimettente svolge un duplice ordine di considerazioni. Da una parte, rileva che le pubblicazioni stabilite per i nubendi e che a determinate condizioni possono essere omesse (si citano gli artt. 100 e 101 del codice civile) sono strumentali ad una mera pubblicità-notizia (articoli da 93 a 100 cod. civ.), non incidono sulla validità del vincolo, valgono solo a consentire ai terzi l’eventuale opposizione in presenza di impedimenti (si cita Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 17 settembre 1993, n. 9578). Dall’altra parte, valorizza la formalizzazione prevista dal legislatore per la costituzione dell’unione civile all’art. 1, comma 2, della legge n. 76 del 2016 ed il suo valido superamento per la comune volontà manifestata dalle parti davanti al giudice (art. 1, comma 27, della medesima legge).
Complessivamente da tale quadro normativo il giudice a quo ricava il carattere ingiustificato del diverso trattamento riservato alla coppia dello stesso sesso che, già unita civilmente, voglia contrarre matrimonio nella subentrata eterosessualità dei componenti.
5.2.– In riferimento, poi, all’art. 117, primo comma, Cost. e, quali parametri interposti, agli artt. 8 e 14 CEDU, il rimettente denuncia il vulnus che al diritto alla vita familiare e personale, nell’interpretazione consolidata della giurisprudenza convenzionale, deriva dalla censurata disciplina (viene menzionata Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, sentenza 16 luglio 2014, Hämäläinen contro Finlandia, nella parte in cui ha enucleato «un obbligo positivo per lo Stato di porre in essere un procedimento efficace ed accessibile, atto a consentire al cittadino di far riconoscere legalmente il nuovo sesso pur mantenendo i suoi legami coniugali»). L’art. 8 CEDU, prosegue il giudice a quo, riconosce alla coppia dello stesso sesso, già legata dal vincolo dell’unione civile registrata, di conservare il «fulcro di diritti ed obblighi reciproci propri dell’essere (stati) parte di un’unione legalmente riconosciuta e tutelata» senza soluzione di continuità in caso di rettifica anagrafica di sesso e con garanzia anche nel tempo della transizione, nella rilevata esistenza di fatto dei requisiti per contrarre matrimonio al momento del passaggio in giudicato della sentenza che attribuisce sesso diverso al nubendo.
5.3.– Il rimettente esclude la praticabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate, per la mancanza di una lacuna dell’ordinamento che l’analogia legis presuppone (art. 12, secondo comma, delle disposizioni preliminari al codice civile), e per la emersione dal plesso normativo in esame di «una chiara voluntas legis nel senso di garantire continuità di tutela alla sola ipotesi dello scioglimento del matrimonio in seguito a rettificazione di sesso di uno dei suoi componenti, mediante trasformazione automatica in unione civile e non viceversa».
Del resto, prosegue il giudice a quo, la stessa diversità degli istituti del matrimonio e dell’unione civile sia nella fase genetica, per la quale è prevista per l’unione la maggiore età dei partners (art. 1, comma 2, legge n. 76 del 2016), e per il matrimonio il compimento dei sedici anni, previa autorizzazione del Tribunale per i minorenni (art. 84 cod. civ.), che in quella di cessazione del rapporto, in relazione alla quale è escluso che l’unione civile debba essere preceduta da una fase di separazione personale delle parti, invece stabilita per i coniugi, esclude, come chiarito, la percorribilità della strada della interpretazione costituzionalmente orientata.
6.– Quanto alla rilevanza, il rimettente valorizza l’indole imponderabile ed indipendente dalla volontà delle parti e dal mero decorso dei termini processuali o di legge della probabile durata della perpetuazione del vuoto di tutela nel periodo intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza di rettifica anagrafica e la eventuale celebrazione del matrimonio, e richiama la volontà dell’attore, nel rischio, percepito come concreto del sopraggiungere di un peggioramento delle proprie condizioni di salute, di rinunciare agli atti del giudizio nel caso in cui non venga sollevato incidente di legittimità costituzionale.
6.1.– Il giudice a quo, dopo aver ricordato gli obblighi di assistenza e di coabitazione nonché di contribuzione, secondo rispettive sostanze e capacità professionali (si cita l’art. 1, comma 12, della legge n. 76 del 2016), ed il goduto regime patrimoniale di comunione dei beni dei componenti dell’unione civile, menziona i trattamenti previdenziali, successori e di tutela della salute e della dignità della persona incapace fruiti dalla coppia del medesimo sesso in costanza dell’unione civile, per poi rimarcare l’illegittimità costituzionale di ogni discontinuità che nel loro riconoscimento si realizza in pregiudizio della coppia omoaffettiva, nel passaggio tra unione civile e matrimonio, in considerazione del rischio di un evento nefasto involgente uno dei componenti dell’unione.
6.2.– A dar corpo al menzionato quadro normativo sono indicate le indennità di cui agli artt. 2118 e 2120 cod. civ. – che, spettanti al prestatore di lavoro, vengono riconosciute anche alla parte dell’unione civile, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 76 del 2016 – ed il trattamento successorio, esteso dall’art. 1, comma 21, della stessa legge alle parti dell’unione, con riferimento alle norme sulle successioni legittime ed ai legittimari, nella rimarcata diversa sorte riconosciuta, nella giurisprudenza costituzionale e di legittimità, agli istituti della pensione di reversibilità e delle cause di non punibilità del reato (viene menzionato l’art. 384, primo comma, del codice penale) rispetto al diverso fenomeno delle convivenze di fatto.
Il rimettente cita al riguardo le sentenze della Corte di cassazione, sezione lavoro, 14 settembre 2021, n. 24694 e 6 luglio 2016 (recte: 3 novembre 2016), n. 22318, con le quali i giudici di legittimità hanno ritenuto di non poter estendere al convivente more uxorio, all’interno di una coppia del medesimo sesso non soggetta nella sua disciplina alla legge n. 76 del 2016, la pensione di reversibilità, e quelle di questa Corte n. 140 del 2009 e n. 461 del 2000, rispettivamente adottate sull’applicabilità al convivente di fatto della causa di non punibilità di cui all’art. 384, primo comma, cod. pen. e del trattamento pensionistico di reversibilità.
7.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza delle questioni sollevate.
7.1.– La difesa statale deduce la mancata violazione, quanto alla prima delle sollevate questioni, dell’art. 2 Cost., nella non “trasferibilità”, in via automatica, alla fattispecie in esame delle valutazioni operate da questa Corte nella opposta ipotesi di conversione del matrimonio in unione civile, in esito alla rettifica anagrafica del sesso di uno dei coniugi.
Sottolinea ancora l’interveniente che nello scioglimento dell’unione civile in seguito a rettificazione del sesso e conseguita eterosessualità della coppia, le parti potrebbero comunque scegliere di celebrare successivamente il matrimonio, laddove nel momento in cui venne pronunciata la sentenza n. 170 del 2014 non esisteva una regolamentazione delle unioni tra coppie omoaffettive che prevedesse, al verificarsi dello scioglimento del matrimonio, nella perduta sua fisiologica eterosessualità, la trasformazione del vincolo coniugale in altra unione giuridicamente tutelata.
7.2.– L’Avvocatura esclude altresì la fondatezza della questione sulla dedotta violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, rilevando che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, all’art. 9, attribuisce agli Stati membri, con affermazione di riserva assoluta, il compito di garantire nei rispettivi ordinamenti il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia (sul punto è menzionata Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 15 marzo 2012, n. 4184) e, nella delicatezza delle sottese questioni di ordine etico, riconosce ai singoli ordinamenti statali il margine di apprezzamento (sono citate Corte EDU, sentenze 28 agosto 2012, Costa e Pavan contro Italia e 3 novembre 2011, grande camera, S.H. e altri contro Austria).
7.3.– La difesa statale deduce ancora la non fondatezza della questione sulla ingiustificata disparità di trattamento, ai sensi dell’art. 3 Cost., tra lo scioglimento automatico dell’unione civile previsto dall’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016 e le disposizioni contenute nel successivo comma 27.
7.4.– La specificità e non sovrapponibilità del matrimonio e dell’unione civile fa sì, secondo l’Avvocatura, che debba essere il legislatore ad intervenire per prevedere la possibilità della conversione dell’una nell’altro.
7.5.– A definizione dei diversi statuti, l’interveniente ricorda le pubblicazioni di cui all’art. 93 e seguenti cod. civ., previste per il solo matrimonio e la celebrazione, che deve essere officiata dall’ufficiale dello stato civile del comune di residenza di entrambi gli sposi, cui si può derogare secondo quanto previsto dall’art. 109 cod. civ., per poi richiamare la differente età in cui è possibile accedere ai due istituti: che è di diciotto anni per l’unione civile e di sedici anni, previa autorizzazione del giudice, per il matrimonio.
7.6.– Dopo aver ricordato le cause di scioglimento che le persone unite civilmente condividono con i coniugi, in riferimento alla dichiarazione di morte presunta e alla rettificazione di sesso, e quelle previste dall’art. 3, numeri 1) e 2), lettere a), c), d) ed e), della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), l’Avvocatura valorizza la possibilità, riconosciuta alle sole parti dell’unione, insieme o unilateralmente, di manifestare la volontà di scioglimento direttamente davanti all’ufficiale dello stato civile del luogo in cui l’unione è stata celebrata e la diversa modalità di scioglimento prevista invece per il matrimonio, per il quale è stabilito un periodo di separazione prima della cessazione degli effetti civili del vincolo. L’interveniente richiama quindi i differenti doveri che conseguono all’assunzione dei due legami, rispetto ai quali ritiene più stringenti quelli che vengono dal matrimonio, i doveri di fedeltà e di collaborazione nell’interesse della famiglia, non previsti, invece, per i componenti dell’unione civile.
7.7.– All’interno dell’indicata cornice, nel potere riconosciuto al legislatore di individuare le modalità per colmare le lacune normative potrebbe essere compresa, secondo l’Avvocatura, anche la scelta di estendere l’unione civile alle coppie eterosessuali, con conseguente abrogazione della risoluzione del vincolo nell’ipotesi di rettificazione di sesso di uno dei suoi componenti.
Quella di consentire alle parti dell’unione civile la conversione del precedente legame in matrimonio, in caso di rettificazione di sesso di uno dei suoi componenti, non sarebbe che una delle molteplici soluzioni astrattamente ipotizzabili, che, potendo spingersi fino ad estendere la scelta dell’unione civile alle coppie eterosessuali, resterebbero rimesse, come tali, alla discrezionalità del legislatore (si cita la sentenza n. 230 del 2020 di questa Corte).
Alla natura pubblicistica dell’istituto matrimoniale che disciplina «determinati effetti che il legislatore tutela come diretta conseguenza di un rapporto tra persone di sesso diverso (filiazione, diritti successori, legge in tema di adozione)» si accompagnerebbe la conversione in unione civile, che rimarrebbe, secondo l’interveniente, esclusa nell’ipotesi inversa per effetto di una scelta ben precisa del legislatore, applicativa del principio secondo il quale «“il più comprende il meno”», che escluderebbe il vulnus dedotto.
7.8.– Il riconoscimento giuridico operato da questa Corte nei confronti delle coppie omoaffettive come formazioni previste dall’art. 2 Cost. e non con richiamo alla famiglia, tutelata dall’art. 29 Cost., escluderebbe ogni obbligo giuridico di rango costituzionale per il legislatore di estendere l’istituto matrimoniale a dette coppie.
Il contenuto assiologico della relativa scelta resta quindi perseguibile, secondo l’Avvocatura, in via normativa, e vede il legislatore interprete della volontà collettiva nell’operato bilanciamento dei valori in conflitto e per una valutazione delle istanze più radicate nella coscienza sociale – come già avvenuto in materia di procreazione medicalmente assistita (si citano le sentenze n. 84 del 2016 e n. 162 del 2014) – lungo un percorso in cui lo spazio del sindacato di questa Corte rimane circoscritto alla verifica del carattere non irragionevole del bilanciamento.
La concezione del sesso come dato complesso della personalità (si citano le sentenze di questa Corte n. 221 del 2015 e n. 161 del 1985) escluderebbe poi che l’equilibrio da instaurarsi dal legislatore in una materia eticamente sensibile possa essere modificato con sentenze additive.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Torino, sezione settima civile, chiamato a pronunciarsi, nel corso di un giudizio di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso, sulla richiesta di trasformazione in matrimonio dell’unione civile contratta dal richiedente con altro soggetto, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, che dispone che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso senza prevedere la possibilità della conversione in matrimonio per dichiarazione congiunta delle parti, senza soluzione di continuità con il preesistente legame.
1.1.– La medesima disposizione viene censurata altresì per contrasto con l’art. 3 Cost., per l’ingiustificata disparità di trattamento riservata allo scioglimento dell’unione omoaffettiva, in seguito a rettifica anagrafica di sesso di uno dei contraenti, rispetto a quanto stabilito dal successivo comma 27 dello stesso art. 1 della legge n. 76 del 2016, che, nel caso in cui il medesimo fenomeno attraversi il vincolo matrimoniale, prevede che «[a]lla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso».
1.2.– In riferimento ai medesimi parametri e per le medesime ragioni il dubbio di legittimità costituzionale investe altresì l’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, introdotto dall’art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2017, nella parte in cui non prevede, così come fa nell’ipotesi speculare di trasformazione del matrimonio in unione civile, che la persona che ha proposto domanda di rettificazione di attribuzione di sesso e l’altro contraente dell’unione possano, fino alla precisazione delle conclusioni, con dichiarazione congiunta, resa personalmente in udienza, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda di rettifica, di unirsi in matrimonio, con le eventuali annotazioni relative alla conservazione del cognome comune e al regime patrimoniale, nonché nella parte in cui non prevede che il tribunale, con la sentenza che accoglie la domanda, ordini all’ufficiale dello stato civile del comune di costituzione dell’unione civile, o di registrazione se costituita all’estero, di iscrivere il matrimonio nel relativo registro e di annotare le eventuali dichiarazioni rese dalle parti sulla scelta del cognome e del regime patrimoniale.
1.3.– Viene, infine, censurato, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, l’art. 70-octies, comma 5, del d.P.R. n. 396 del 2000, aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, nella parte in cui non prevede che anche nell’ipotesi di cui all’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, come emendato nel senso sopra specificato, il competente ufficiale dello stato civile, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda alla trascrizione del matrimonio nell’apposito registro, con le eventuali annotazioni relative al cognome ed al regime patrimoniale.
1.4.– Il rimettente denuncia, in definitiva, il deficit di tutela che l’indicato compendio normativo produrrebbe nella parte in cui non comprende una disposizione analoga a quella di cui all’art. 1, comma 27, della legge n. 76 del 2016, introdotta in favore delle coppie già unite in matrimonio che, in seguito a rettifica anagrafica di sesso di uno dei coniugi, abbiano manifestato la volontà di trasformare il precedente vincolo in altro riconosciuto dall’ordinamento, con conversione del matrimonio in unione civile.
1.5.– Le parti dell’unione civile, nel caso in cui vivano analogo fenomeno secondo inversa direzione, si troverebbero prive di protezione nel lasso temporale, di durata imponderabile e che prescinde dalla loro volontà, intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione anagrafica di sesso e la celebrazione del matrimonio, con una discontinuità nella tutela, destinata ad integrare una ingiustificata disparità di trattamento di situazioni analoghe (art. 3 Cost.) ed una limitazione della libertà fondamentale dell’individuo (art. 2 Cost.), con violazione dei doveri di solidarietà propri dell’unione civile come «gruppo sociale strutturato e legalmente riconosciuto».
1.6.– Si determinerebbe, inoltre, una lesione del diritto alla vita privata e familiare, tutelato dalla giurisprudenza convenzionale (art. 117, primo comma, Cost., e, quali parametri interposti, artt. 8 e 14 CEDU), in danno della coppia omoaffettiva nelle more della transizione verso il matrimonio, non venendo preservato il fulcro dei diritti acquisiti e dei rapporti goduti nella vigenza del regime dell’unione civile, quale formazione legalmente riconosciuta e tutelata.
2.– L’esame delle questioni sollevate richiede l’inquadramento delle stesse nella cornice normativo-giurisprudenziale di riferimento.
2.1.– Il riconoscimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso nel nostro ordinamento è stato il punto di approdo di un percorso già avviato dalle sollecitazioni del Parlamento europeo (risoluzioni 8 febbraio 1994, 16 marzo 2000 e 4 settembre 2003) e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (tra le altre, sentenze 21 luglio 2015, Oliari e altri contro Italia; 15 marzo 2012, Gas e Dubois contro Francia; 24 giugno 2010, Schalk and Kopf contro Austria, 24 giugno 2010; nonché quella già citata resa nella causa Hämäläinen contro Finlandia, 16 luglio 2014), che avevano evidenziato la lacuna di tutela delle unioni omoaffettive, pur assicurando a ciascuno Stato un margine di discrezionalità nella scelta del modello di regolamentazione. Un percorso tracciato, nelle sue premesse, nell’ordinamento nazionale, dalla sentenza di questa Corte n. 138 del 2010, che, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale delle norme del codice civile che non consentono a persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio, non ha mancato di sottolineare come nella nozione di «formazione sociale», tutelata dall’art. 2 Cost., «è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri».
Con la successiva sentenza n. 170 del 2014 questa Corte – nel dichiarare l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 2 Cost., degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982, nella parte in cui registravano il fenomeno del cosiddetto divorzio imposto, cioè lo scioglimento del matrimonio o della cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso quale effetto della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso – ha rivolto un espresso monito al legislatore perché consentisse alle parti che avessero manifestato volontà in tal senso di non sciogliere automaticamente il matrimonio e «di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, la cui disciplina rimane demandata alla discrezionalità di scelta del legislatore» (punto 5.7. del Considerato in diritto).
2.2.– L’intervento di questa Corte, superando l’automatismo della legge sulla rettifica (di cui ai citati artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982), ha aperto alla possibilità per i coniugi, ormai dello stesso sesso, a tutela dei diritti primari della coppia, di accedere ad un istituto che garantisse loro, analogamente a quanto fanno le norme sul matrimonio, diritti ed obblighi reciproci, senza soluzione di continuità e vuoti di tutela, istituto che è stato introdotto appunto con la citata legge n. 76 del 2016. L’unione civile (art. 1, comma 1) è stata così riconosciuta quale formazione sociale che garantisce i diritti inviolabili della persona, di cui provvede a rafforzare la tutela.
Contestualmente, il legislatore ha consentito alle parti di convertire il matrimonio in unione, stabilendo che: «[a]lla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso» (art. 1, comma 27).
2.3.– Il successivo intervento del legislatore delegato, in attuazione dei principi e criteri direttivi fissati nella stessa legge n. 76 del 2016 (art. 1, comma 28), è stato ispirato alle esigenze di: «a) adeguamento alle previsioni della […] legge delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni; b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l’applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo; c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la […] legge [n. 76] delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti».
2.4.– In particolare, l’art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2017 ha introdotto all’interno dell’art. 31 (Delle controversie in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), ricompreso nel Capo IV (Delle controversie regolate dal rito ordinario di cognizione) del d.lgs. n. 150 del 2011, il comma 4-bis, che consente ai coniugi di manifestare nel giudizio di rettificazione anagrafica, fino al momento della precisazione delle conclusioni, la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non farne cessare gli effetti civili, convertendolo in unione civile; mentre l’art. 1, comma 1, lettera t), dello stesso d.lgs. n. 5 del 2017 ha inserito nel d.P.R. n. 396 del 2000 l’art. 70-octies, che, al comma 5, prevede che, in tale ipotesi, l’ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione nel cui giudizio le parti abbiano manifestato la volontà di convertire il matrimonio in unione civile, procede all’iscrizione della stessa e alle eventuali annotazioni relative al regime patrimoniale e alla scelta del cognome della coppia.
3.– Così ricostruite le fasi della evoluzione legislativa e giurisprudenziale che ha portato alla introduzione e alla disciplina delle unioni civili, può passarsi all’esame nel merito delle questioni sollevate, che sono solo in parte fondate, nei termini di seguito precisati.
3.1.– Non è anzitutto fondato il dubbio del rimettente in ordine alla disparità di trattamento che l’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016 produrrebbe nei confronti dei componenti di una unione civile rispetto alla coppia di coniugi, con riferimento alla facoltà riconosciuta dal successivo comma 27 dello stesso art. 1 soltanto a questi ultimi – nel giudizio di rettificazione anagrafica del sesso di uno dei componenti, in caso di accoglimento della relativa domanda, previa manifestazione di volontà congiuntamente resa dalle parti innanzi al giudice della rettificazione – di convertire il matrimonio in unione civile senza soluzione di continuità nelle tutele.
3.1.1.– Il rapporto coniugale si configura come un vincolo diverso da quello che ha fonte nell’unione civile, e non può essere ad esso assimilato perché se ne possa dedurre l’impellenza costituzionale di una parità di trattamento.
Matrimonio e unione civile trovano differente copertura costituzionale, essendo il primo, inteso quale unione tra persone di sesso diverso, riconducibile, nella giurisprudenza di questa Corte, all’art. 29 Cost. (sentenze n. 170 del 2014, punto 5.2. del Considerato in diritto; n. 138 del 2010, punto 9 del Considerato in diritto), e la seconda alle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., all’interno delle quali l’individuo afferma e sviluppa la propria personalità (sentenze n. 269 del 2022, n. 170 del 2014 e n. 138 del 2010).
3.1.2.– I due istituti rappresentano, dunque, fenomeni distinti, caratterizzati da differenti panorami normativi.
Il legislatore del 2016 ha certamente attinto, nell’introdurre e disciplinare l’unione civile tra persone dello stesso sesso, a molte delle disposizioni che regolamentano il matrimonio: tra le altre, quelle sulle cause impeditive alla costituzione dell’unione, sui relativi effetti e sui mezzi per azionarle, di cui all’art. 1, commi 4, 5 e 6, della legge n. 76 del 2016 nei relativi rinvii al codice civile; la disciplina dei cognomi, di cui al successivo comma 10; la previsione degli obblighi reciproci all’assistenza morale e materiale, alla coabitazione ed alla contribuzione ai bisogni comuni, di cui al comma 11; il regime patrimoniale e delle donazioni e successioni di cui ai commi 13 e 21; i trattamenti previdenziali stabiliti dagli artt. 2118 e 2120 cod. civ., ai sensi del comma 17; sino a prevedere, con la cosiddetta clausola di equivalenza, posta dal comma 20 dell’art. 1, l’applicazione alle parti dell’unione civile di quelle disposizioni, ovunque ricorrenti, in cui figurino i termini «matrimonio», «coniuge» o «coniugi» «o termini equivalenti» (salve le norme del codice civile non richiamate espressamente nella stessa legge, tra le quali quelle relative alla filiazione, nonché le disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184 recante «Diritto del minore ad una famiglia», relativo alla disciplina dell’adozione, fermo «quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti»).
3.1.3.– Si tratta di un percorso che, pur sostenuto da ampia condivisione della disciplina legale del matrimonio, ha comunque fatto permanere significative differenze, tra l’altro, in tema di costituzione del vincolo (per la quale solo il matrimonio, e non l’unione civile, deve, in via generale, essere preceduto dalle pubblicazioni, ex artt. 93 e seguenti cod. civ., cui segue la possibilità di opposizione preventiva di cui agli artt. 102 e seguenti cod. civ., per le cause che ostino alla celebrazione del matrimonio stesso, indicate negli artt. 84 e seguenti cod. civ., opposizione non prevista, invece, per l’unione civile); in tema di accesso a quest’ultima, per cui è stabilita la maggiore età (art. 1, comma 2, della legge n. 76 del 2016), laddove per il matrimonio è prevista quella di sedici anni, in presenza di autorizzazione del tribunale per i minorenni (art. 84 cod. civ.); in tema di scioglimento dell’unione civile, la cui disciplina contempla forme più agili e di attenuato formalismo rispetto al matrimonio ed accentuata accelerazione dei relativi effetti (art. 1, commi da 22 a 26 della legge n. 76 del 2016), e non prevede una situazione intermedia quale la separazione personale.
3.1.4.– Può affermarsi, in definitiva, che, alla stregua della ricognizione della regolamentazione dei due istituti in esame, il vincolo derivante dalla unione civile produce effetti, pur molto simili, ma non del tutto coincidenti e, in parte, di estensione ridotta rispetto a quelli nascenti dal matrimonio, e ricompresa nel più ampio spettro di diritti ed obblighi da questo originati.
La questione relativa alla dedotta ingiustificata disparità di trattamento tra coppie coniugate ed unite civilmente non è pertanto fondata per l’obiettiva eterogeneità delle situazioni a confronto.
4.– È, invece, fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, sollevata in riferimento all’art. 2 Cost.
L’unione civile costituisce una formazione sociale in cui i singoli individui svolgono la propria personalità, connotata da una natura solidaristica non dissimile da quella propria del matrimonio, in quanto comunione spirituale e materiale di vita, ed esplicazione di un diritto fondamentale della persona, quello di vivere liberamente una condizione di coppia, con i connessi diritti e doveri.
La coppia unita civilmente, in ragione dell’automatico scioglimento del vincolo (art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016), quale esito del percorso di transizione sessuale di uno dei suoi componenti previsto dalla legge n. 164 del 1982 (artt. 1 e 4), ove manifesti la volontà di conservare il rapporto nelle diverse forme del legame matrimoniale, va incontro comunque, nel tempo necessario alla relativa celebrazione, ad un vuoto di tutela, a causa del venir meno del complessivo regime di diritti e doveri di cui era titolare in costanza dell’unione civile.
La evidenziata mancanza di tutela nel passaggio da una relazione giuridicamente riconosciuta, qual è quella dell’unione civile, ad altra, qual è il legame matrimoniale, entra irrimediabilmente in frizione con il diritto inviolabile della persona alla propria identità, di cui pure il percorso di sessualità costituisce certa espressione, e comporta un sacrificio integrale del pregresso vissuto. Non senza considerare che, nel tempo necessario alla ricostituzione della coppia secondo nuove forme legali, i componenti potrebbero risentire di eventi destinati a precludere in modo irrimediabile la costituzione del nuovo vincolo.
4.1.– La tutela additiva reclamata dal rimettente rispetto alla coppia omoaffettiva che si sia trovata ad intraprendere il percorso di modifica del genere e voglia a sé conservare continuità nelle garanzie di legge nel passaggio tra unione civile e matrimonio, resta nei suoi presupposti riconducibile a quella categoria di situazioni “specifiche” e “particolari”, con riguardo alle quali ricorrono i presupposti per un intervento di questa Corte sotto il profilo di un controllo di adeguatezza e proporzionalità della disciplina adottata dal legislatore (sentenza n. 170 del 2014).
4.2.– Il percorso non è nuovo per questa Corte che, ancora recentemente, ha utilizzato il parametro di cui all’art. 2 Cost. per dare riconoscimento giuridico a relazioni affettive che, già connotate da una dimensione sociale, ricevono tutela in quanto strumento di formazione e sviluppo della personalità dell’individuo.
Si tratta di affermazioni di principio che rivelano, nel tempo, nuove letture dei più tradizionali istituti del diritto civile di cui rimarcano la capacità di comprendere nuove funzionalità.
Così, con riguardo all’adozione dei maggiorenni, la Corte è intervenuta sulla differenza di età tra adottante e adottando, aprendo l’applicazione dell’istituto al riconoscimento di nuovi legami familiari pur sempre, tendenzialmente, ispirati al legame tra genitore biologico e figlio (sentenza n. 5 del 2024, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 291, primo comma, cod. civ., nella parte in cui, per l’adozione del maggiorenne, non consente al giudice di ridurre, nei casi di esigua differenza e sempre che sussistano motivi meritevoli, l’intervallo di età di diciotto anni fra adottante e adottato).
L’importanza delle relazioni affettive di fatto è stata altresì occasione per la giurisprudenza costituzionale, nella prestata attenzione alla piena ed equilibrata crescita del minore di età rispettosa della sua identità personale, per ripensare, escludendoli, taluni automatismi che, nel recidere, all’interno dell’adozione legittimante, i legami del minore con la famiglia di origine, erano destinati a minare la consapevolezza delle origini ed identità personale dell’adottando (sentenza n. 183 del 2023, sull’art. 27, terzo comma, della legge n. 184 del 1983).
Analogamente, nell’ipotesi di adozione del minore in casi particolari (art. 44, comma 1, lettera d, della legge n. 184 del 1983), la sentenza n. 79 del 2022 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 55 della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui prevede che l’adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante.
Si è ancora rimeditato, sulla scorta dell’indicato abbrivo, l’ordine da darsi ai cognomi dell’adottato maggiorenne, nel riconoscimento del suo pregresso vissuto e del diritto all’identità della persona (sentenza n. 135 del 2023, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore d’età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto; sentenza n. 131 del 2022, sull’attribuzione al figlio del doppio cognome dei genitori), nella rimarcata non appropriatezza del bilanciamento altrimenti operato tra identità personale del figlio e principio di eguaglianza tra genitori (sentenza n. 286 del 2016, sulla trasmissione del cognome della madre al figlio).
4.3.– Secondo l’indicato parametro ed in adesione al richiamato indirizzo, si tratta, nella specie, di dare contenuto al diritto inviolabile della persona di mantenere senza soluzione di continuità la pregressa tutela propria del precedente status, una volta condotto a compimento il percorso di affermazione della propria identità di genere, secondo principi di proporzione ed adeguatezza.
L’individuo non deve essere altrimenti posto, in modo drammatico, nella condizione di dover scegliere tra la realizzazione della propria personalità, di cui la perseguita scelta di genere è chiara espressione ed alla quale si accompagna l’automatismo caducatorio del vincolo giuridico già goduto, e la conservazione delle garanzie giuridiche che al pregresso legame si accompagnano, e tanto a detrimento della piena espressione della personalità.
Il rimedio deve garantire la tutela della personalità del singolo lungo il tempo, non altrimenti governabile dalle parti, strettamente necessario alla celebrazione.
4.4.– E tuttavia, avuto riguardo alle differenze, già poste in evidenza, di struttura e disciplina tra matrimonio e unione civile, il rimedio alla accertata situazione di illegittimità costituzionale non può essere quello di omologare le due situazioni, estendendo alla seconda la disciplina di cui all’art. 1, comma 27, della legge n. 76 del 2016. Il rimedio va diversamente declinato, in modo che siano preservate dette differenze, ma, nel contempo, sia consentito di riconoscere alla coppia omoaffettiva, che, all’esito di un percorso di transizione di genere uno dei suoi componenti, voglia unirsi in matrimonio, un mezzo diverso ma destinato a replicare, in modo eguale e contrario, quello già previsto dal legislatore con l’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011. Quest’ultimo facoltizza la coppia coniugata, attraversata dalla modifica di sesso, a comparire davanti al giudice della rettificazione anagrafica per manifestare la volontà di rimanere legalmente unita, nella sopraggiunta omoaffettività.
In direzione inversa lo strumento di tutela deve evitare ai componenti dell’unione civile per il tempo necessario alla celebrazione del matrimonio quella soluzione di continuità nel rapporto di coppia che si determini in ragione dell’acquisita nuova identità di genere di uno dei suoi componenti.
4.5.– A tal fine, lo strumento di tutela deve precludere, negli effetti, l’automatismo solutorio previsto dall’art.1, comma 26, della legge sulle unioni civili.
Nella irrimediabile frizione con il diritto inviolabile della persona alla propria identità, le ragioni di proporzione ed adeguatezza del mezzo al fine sostengono l’individuazione del rimedio nella sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo per il tempo necessario a che le parti dell’unione civile, che abbiano congiuntamente manifestato una siffatta volontà davanti al giudice della rettificazione anagrafica entro l’udienza di precisazione delle conclusioni, permanendo nella loro iniziale intenzione, celebrino il matrimonio.
4.6.– La durata della sospensione, da ricercarsi nel sistema e, segnatamente, nella disciplina dell’istituto matrimoniale, deve individuarsi nel termine fissato dal codice civile per la celebrazione del matrimonio a far data dalle pubblicazioni, e quindi in quello di centottanta giorni previsto dall’art. 99, secondo comma, cod. civ. decorrente, però, nel caso in esame, dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione del sesso, che resta sospesa, così nel suo decorso, limitatamente all’effetto dell’automatismo solutorio del vincolo.
4.7.– La sospensione di tale effetto lascia alle parti la facoltà di procedere alla celebrazione del matrimonio, nel contempo conservando agli uniti civilmente la tutela propria del rapporto già goduto e riconosciuto nell’ordinamento nelle more della celebrazione del matrimonio.
5.– Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere, laddove l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione.
6.– Ne consegue che il competente ufficiale dello stato civile, ricevuta la comunicazione del passaggio in giudicato di detta sentenza di rettificazione con dichiarazione del giudice di sospensione limitatamente agli effetti dello scioglimento del vincolo, a far data dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione e sino al decorso del termine di centottanta giorni, procederà alla relativa annotazione.
7.– Va, dunque, dichiarata altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 70-octies, comma 5, del d.P.R. n. 396 del 2000, nella parte in cui non prevede che l’ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda ad annotare, se disposta dal giudice, la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento dell’unione civile fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione.
8.– Restano assorbite le ulteriori censure propose dal rimettente.
9.– Vanno, invece, dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, il cui accoglimento presupporrebbe l’estensione, appena esclusa, della disciplina prevista dall’art. 1, comma 27, della legge n. 76 del 2016, dettata per la ipotesi di conversione, a seguito di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, del matrimonio in unione civile, alle fattispecie speculari di rettificazione nei confronti di uno dei componenti dell’unione civile.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere, laddove l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76», nella parte in cui non prevede che l’ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda ad annotare, se disposta dal giudice, la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento dell’unione civile fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Torino, sezione settima civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 4-bis, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), aggiunto dall’art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2017, sollevate, in riferimento gli artt. 2, 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Tribunale ordinario di Torino, sezione settima civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2024