Sentenza n. 141 del 2022

SENTENZA N. 141

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 5 e 6, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n. 136, promosso dalla Commissione tributaria regionale della Calabria, nel procedimento vertente tra l’Agenzia delle entrate-Riscossione e M. P., con ordinanza del 17 dicembre 2020, iscritta al n. 77 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 aprile 2022 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;

deliberato nella camera di consiglio del 27 aprile 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 17 dicembre 2020, iscritta al n. 77 del registro ordinanze 2021, la Commissione tributaria regionale della Calabria ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 5 e 6, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n. 136, denunziandone il contrasto con gli artt. 3, 10, 11, 23, 24, 53, 81, 97, primo comma, e 111 della Costituzione, nonché con l’art. 113 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, e con l’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

1.1.– Il Collegio rimettente premette di essere investito dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate-Riscossione contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Cosenza, che ha accolto il ricorso promosso da M. P. avverso una serie di avvisi di intimazione relativi a imposte e tasse erariali.

Il giudice a quo riferisce che, a seguito del deposito, da parte dell’appellato, di copia della dichiarazione di adesione alla definizione agevolata delle liti ai sensi dell’art. 3 del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, all’udienza del 3 giugno 2019 ha disposto la sospensione del processo.

Quindi, soggiunge la CTR rimettente, con ordinanza del 7 ottobre 2020, resa a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 25 settembre 2020, non essendo stata depositata documentazione attinente alla procedura di condono, essa ha ordinato all’Agenzia delle entrate-Riscossione la produzione di copia delle ricevute di pagamento ovvero del provvedimento di rateizzazione previsto dall’art. 3, comma 5, del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, fissando, per la verifica e la prosecuzione del giudizio, la camera di consiglio del 2 dicembre 2020.

La parte appellante, prosegue il giudice rimettente, non ha ottemperato all’ordine di produzione documentale, né alcuna delle parti ha formulato istanza di revoca della sospensione del processo.

1.2.– In punto di rilevanza, l’ordinanza di rimessione dà atto che il Collegio, a seguito del deposito, da parte dell’appellato, dell’istanza di adesione alla definizione agevolata ai sensi della norma censurata, ha disposto la sospensione del processo, come prescritto dalla legge, «salvo poi dover osservare che detta sospensione avrebbe potuto operare sine die, con conseguente compromissione sia del principio costituzionale generale della tutela dei crediti erariali e delle pubbliche finanze (arg. ex articoli 53, 81 e 97, comma 1, Cost.), sia di quello, più prettamente processuale, di garanzia del giusto processo (art. 111 Cost.)».

Precisa, al riguardo, il giudice a quo che, pur essendo decorso il termine per il pagamento delle somme indicate nell’istanza di adesione alla definizione agevolata ovvero per l’approvazione di un piano di rateizzazione, da individuarsi – in forza dei differimenti disposti dall’art. 68, comma 3, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, e dall’art. 149 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 177 – nella data del 16 settembre 2020, nessuna delle parti ha provveduto, neanche a seguito dell’ordine del Collegio, al deposito di documentazione comprovante l’avvenuto versamento.

1.3.– Con riferimento alla non manifesta infondatezza, la CTR lamenta che la normativa in scrutinio, subordinando l’estinzione del giudizio alla prova dell’integrale corresponsione delle somme dovute per il perfezionamento della definizione agevolata, ma condizionando, in caso contrario, la revoca della sospensione del giudizio alla richiesta di parte, contrasterebbe con il principio generale di tutela dei crediti erariali e delle pubbliche finanze desumibile dagli artt. 53, 81 e 97, primo comma, Cost.

La disposizione censurata, non prevedendo un obbligo, per l’agente della riscossione, di richiedere – in caso di mancato accoglimento della domanda di definizione agevolata, di mancata ammissione alla rateizzazione o di mancato pagamento – la prosecuzione del giudizio, ai sensi dell’art. 43 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), attribuirebbe alle parti, e, in particolare, a quella incaricata della esazione, un potere di scelta discrezionale comportante la disposizione di un credito in titolarità dell’erario.

Tale meccanismo inciderebbe «sfavorevolmente sui principi costituzionali in materia di giusto processo, di equa durata dello stesso, di parità delle parti processuali, nonché sull’istituto processuale della sospensione».

1.3.1.– L’art. 3, comma 6, del d.l. n. 119 del 2018 introdurrebbe, poi, un’ipotesi di sospensione del giudizio «estranea all’impianto processuale» delineato dagli artt. 39 e seguenti del d.lgs. n. 546 del 1992 e rimetterebbe la ripresa del processo alla volontà delle parti, senza prevedere che l’estinzione consegua automaticamente alla loro inattività, così vulnerando l’art. 111 Cost., oltre che il principio di ragionevole durata del processo consacrato nell’art. 6 CEDU.

1.3.2.– Sarebbero altresì violati gli artt. 3 e 97, primo comma, Cost., poiché si determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i casi in cui un credito tributario sia affidato all’agente della riscossione e quelli in cui, invece, lo stesso credito sia fatto valere in giudizio dall’amministrazione che ne è titolare.

1.3.3.– Le norme censurate recherebbero vulnus anche al principio di parità delle parti nel processo tributario, garantito dagli artt. 3, 24, primo comma, 97, primo comma, e 111 Cost., in quanto il contribuente, rispetto a un credito tributario giudizialmente contestato e affidato all’agente della riscossione, diverrebbe «titolare dell’andamento del processo, finendo con il poterne unilateralmente determinare una sospensione sine die, che è potenzialmente dannosa per il bilancio dello Stato e/o delle amministrazioni impositrici».

1.3.4.– Secondo il giudice a quo, si determinerebbe, inoltre, una disparità di trattamento tra i debitori che, dopo aver presentato l’istanza di adesione, eseguono il pagamento nei termini stabiliti e quelli che non vi provvedono, giacché nel primo caso il processo si estinguerebbe, mentre nel secondo, rimanendo sospeso indefinitamente, arrecherebbe vantaggio ai debitori inadempienti.

1.3.5.– Ancora, le norme in scrutinio, consentendo che il processo sia sospeso sine die sulla base della sola volontà del debitore, si porrebbero in contrasto con gli interessi finanziari dell’Unione europea.

1.3.6.– Sarebbero altresì violati i principi espressi dalla direttiva 2017/1371/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale.

1.3.7.– Infine, le disposizioni denunziate contrasterebbero con l’art. 113 «e seguenti TFUE», posto che, nei giudizi riguardanti le imposte armonizzate e, in particolare, l’imposta sul valore aggiunto, l’adozione di norme nazionali che compromettano le ragioni erariali, introducendo impedimenti alla loro effettiva applicazione ed esazione da parte dello Stato, si tradurrebbe in un vulnus al principio di tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea, per inosservanza degli obblighi di armonizzazione discendenti dal predetto Trattato.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità o comunque la non fondatezza delle questioni.

2.1.– Sotto il primo profilo, la difesa erariale sostiene la inesatta ricostruzione della normativa in scrutinio, che pregiudicherebbe irrimediabilmente l’iter logico della motivazione.

Il rimettente avrebbe errato nel ritenere che il termine ultimo per il versamento delle somme dovute per la definizione agevolata dei carichi affidati all’agente per la riscossione, ai sensi dell’art. 3, comma 5, del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, fosse da individuarsi – salva l’ammissione dell’interessato alla rateizzazione – nella data del 16 settembre 2020.

Ad avviso dell’interveniente, non trovando, nella specie, applicazione l’art. 149 del d.l. n. 34 del 2020, in quanto riguardante le sole procedure agevolate di cui agli artt. 1, 2, 6 e 7 del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, e non anche quella, qui in esame, di cui all’art. 3 di quest’ultimo decreto-legge, la richiesta di definizione agevolata presentata dal contribuente, parte appellata nel giudizio principale, rimarrebbe assoggettata alla proroga dei termini di pagamento accordata dall’art. 68, comma 3, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito.

Pertanto, prosegue la difesa statale, a prescindere dai singoli differimenti del versamento delle rate della «rottamazione-ter» disposti nel tempo, la disciplina in materia non avrebbe mai stabilito che, alla data del 16 settembre 2020, salva ulteriore rateizzazione accordata con provvedimento amministrativo dell’agente della riscossione, tutti coloro che avessero presentato istanza di definizione agevolata avrebbero dovuto provvedere all’integrale corresponsione delle somme dovute e che, quindi, tale versamento dovesse essere eseguito in un’unica soluzione entro il 16 settembre 2020 ovvero in un massimo di quattro rate mensili, decorrenti dalla medesima data.

2.1.1.– L’Avvocatura generale dello Stato deduce, per altro verso, che le questioni sarebbero premature e ipotetiche, e quindi inammissibili per difetto di rilevanza, poiché il giudice rimettente non potrebbe avvalersi del nuovo quadro normativo derivante dall’auspicata declaratoria di illegittimità costituzionale, in quanto il giudizio dovrebbe rimanere sospeso fino alla data massima del 30 novembre 2023, avendo, nella specie, il debitore scelto di pagare in diciotto rate le somme dovute per la definizione della controversia.

2.1.2.– L’interveniente ravvisa un ulteriore profilo di inammissibilità nella mancata interpretazione conforme a Costituzione dell’istituto della sospensione del processo prevista dall’art. 3, comma 6, del d.l. n. 119 del 2018, come convertito.

La CTR, reputando l’istituto in esame estraneo alla disciplina del processo tributario, ometterebbe di considerare che, sebbene l’art. 3 del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, non contempli espressamente la possibilità di dichiarare estinto il processo per inattività delle parti o per cessazione della materia del contendere, tali vicende sarebbero, comunque, configurabili, non essendo, nella specie, preclusa l’applicazione della disciplina di cui agli artt. 45 e 46 del d.lgs. n. 546 del 1992.

Il giudice potrebbe quindi dichiarare l’estinzione del processo ove, decorso il termine di sei mesi dal mancato, insufficiente o tardivo adempimento in unica soluzione o rateizzato, nessuna delle parti ne solleciti la riattivazione.

L’art. 46 del d.lgs. n. 546 del 1992 consentirebbe, invece, di dichiarare d’ufficio la cessazione della materia del contendere in caso di perfezionamento della procedura di definizione agevolata mediante l’integrale corresponsione, da parte del contribuente, delle somme dovute.

2.2.– Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri argomenta la non fondatezza delle questioni sul presupposto che la sospensione sine die costituisca «un fatto fisiologico in un giudizio tra parti contrapposte» e adduce, a titolo esemplificativo, l’art. 297, primo comma, del codice di procedura civile, alla stregua del quale può accadere che un giudizio rimanga sospeso per un tempo indeterminato ove la parte interessata alla prosecuzione non consegua la legale conoscenza della cessazione della causa pregiudiziale.

2.2.1.– Ancora, ad avviso dell’interveniente, il denunziato contrasto con gli artt. 53, 81 e 97, primo comma, Cost. muoverebbe dall’erronea premessa interpretativa per la quale la parte che difende il credito in giudizio, non essendone titolare, non sarebbe tenuta a sollecitare la prosecuzione del processo sospeso.

2.2.2.– Parimenti non fondata sarebbe la prospettata disparità di trattamento tra i giudizi in cui la pretesa creditoria sia azionata direttamente dall’amministrazione creditrice, tenuta a riattivare il processo sospeso, e i processi in cui il credito è affidato all’agente della riscossione, il quale sarebbe, al contrario, libero di decidere se far proseguire il giudizio.

Il rimettente trascurerebbe di considerare che l’Agenzia delle entrate-Riscossione non è un soggetto esterno alla pubblica amministrazione, ma un ente pubblico economico strumentale all’Agenzia delle entrate, sottoposto all’indirizzo e alla vigilanza del Ministero dell’economia e delle finanze e, in quanto tale, è tenuto, al pari dell’amministrazione creditrice, ad avanzare istanza di prosecuzione del giudizio sospeso.

2.2.3.– Secondo la difesa statale, le censure con le quali è denunziata la violazione del principio di parità di trattamento, sul rilievo che verrebbe attribuito al contribuente il potere di ottenere la sospensione del processo per un tempo indefinito, così avvantaggiandolo rispetto ai debitori che abbiano regolarmente adempiuto, riposerebbero sull’erroneo presupposto interpretativo per il quale le norme in scrutinio rendano possibile una sospensione sine die del processo tributario.

2.2.4.– Non fondato sarebbe anche il dubbio di conformità della disposizione censurata ai principi del giusto processo, posto che l’istituto della definizione agevolata sarebbe specificamente diretto a evitare la prosecuzione del giudizio e la pronuncia giurisdizionale, così che risulterebbe ragionevole la scelta del legislatore di sospendere il processo nelle more del perfezionamento della procedura di condono.

2.2.5.– In ultimo, l’Avvocatura generale dello Stato reputa non fondata la questione con la quale è prospettato un vulnus agli artt. 10, 11, 80, 81, primo e sesto comma, e 97, primo comma, Cost., nonché all’art. 113 TFUE, per essere la norma censurata lesiva degli interessi finanziari dello Stato e, di conseguenza, di quelli dell’Unione europea, in quanto l’art. 3, comma 1, del d.l. n. 119 del 2018 escluderebbe espressamente dal proprio ambito applicativo i debiti, previsti dall’art. 5 dello stesso decreto-legge, oggetto dei carichi affidati all’agente della riscossione a titolo di risorse proprie dell’Unione europea.

Considerato in diritto

1.– La Commissione tributaria regionale della Calabria dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 5 e 6, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n. 136, in riferimento agli artt. 3, 10, 11, 23, 24, 53, 81, 97, primo comma, e 111 della Costituzione, nonché all’art. 113 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, e all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

1.1.– Il predetto art. 3 del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, al comma 5, prevede che il debitore che intenda aderire alla procedura di definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione manifesta a quest’ultimo «la sua volontà di procedere alla definizione di cui al comma 1 rendendo, entro il 30 aprile 2019, apposita dichiarazione, con le modalità e in conformità alla modulistica che lo stesso agente pubblica sul proprio sito internet nel termine massimo di venti giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto; in tale dichiarazione il debitore sceglie altresì il numero di rate nel quale intende effettuare il pagamento, entro il limite massimo previsto dal comma 1».

Al comma 6 stabilisce che «[n]ella dichiarazione di cui al comma 5 il debitore indica l’eventuale pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi in essa ricompresi e assume l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi, che, dietro presentazione di copia della dichiarazione e nelle more del pagamento delle somme dovute, sono sospesi dal giudice. L’estinzione del giudizio è subordinata all’effettivo perfezionamento della definizione e alla produzione, nello stesso giudizio, della documentazione attestante i pagamenti effettuati; in caso contrario, il giudice revoca la sospensione su istanza di una delle parti».

1.2.– Ad avviso del rimettente, la normativa censurata, condizionando alla richiesta di parte la revoca della sospensione del processo tributario disposta sulla base della presentazione, da parte del contribuente, della sola dichiarazione di adesione alla definizione agevolata «e [di] null’altro», determinerebbe, in caso di mancato perfezionamento della procedura, una paralisi del processo sine die.

La disposizione in scrutinio contrasterebbe quindi con gli artt. 53, 81 e 97, primo comma, Cost., in quanto, non prescrivendo, a carico dell’agente della riscossione, un obbligo di formulare istanza di prosecuzione del giudizio ai sensi dell’art. 43 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), attribuirebbe a un soggetto estraneo all’amministrazione creditrice un potere di disposizione su un credito dell’erario, in contrasto con il principio generale di tutela delle pubbliche finanze.

1.3.– Sarebbero altresì violati gli artt. 24 e 111 Cost., poiché la sospensione del giudizio per una durata indefinita contrasterebbe con l’interesse alla sollecita definizione delle controversie tributarie, specie nell’ipotesi in cui l’agente della riscossione sia parte ricorrente o appellante, compromettendo anche il diritto di difesa delle amministrazioni impositrici e il principio di parità delle parti nel processo.

1.4.– Le norme censurate recherebbero vulnus anche agli artt. 111 Cost. e 6 CEDU, poiché, rimettendo la ripresa del processo sospeso alla scelta delle parti, senza prevedere che l’estinzione consegua automaticamente alla loro inattività, si porrebbero in contrasto con il principio del giusto processo e della sua ragionevole durata.

1.5.– Il rimettente prospetta, altresì, la violazione degli artt. 3, 23, 24, primo comma, e 97, primo comma, Cost., sul presupposto che dalle norme in scrutinio discenderebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i casi in cui un credito tributario sia stato affidato all’agente della riscossione e quelli in cui lo stesso credito sia fatto valere in giudizio dall’amministrazione titolare, la quale, a differenza del primo, è obbligata a esigerne l’adempimento.

1.6.– Ancora, le norme denunziate contrasterebbero con gli artt. 3, 24, primo comma, 97, primo comma, e 111 Cost., in quanto, attribuendo al soggetto che abbia aderito alla definizione agevolata la possibilità di provocare la sospensione del giudizio sine die, vulnererebbero il principio di parità delle parti nel processo tributario, comportando una disparità di trattamento tra i contribuenti che, dopo aver presentato l’istanza di adesione, effettuano i versamenti nei termini stabiliti, e quelli che non vi provvedono, posto che, nel primo caso, il processo si estingue, mentre nel secondo rimane indefinitamente sospeso, arrecando vantaggio ai debitori inadempienti.

1.7.– Sarebbero inoltre violati gli artt. 10, 11, 81 e 97, primo comma, Cost., poiché le disposizioni in scrutinio, compromettendo la tutela processuale dei crediti erariali, determinerebbero al contempo «una lesione degli interessi finanziari dell’Unione e delle Comunità europee nella misura in cui l’Italia ne fa parte […], riconoscendo limitazioni alla propria sovranità e concorrendo alle relative spese».

1.8.– È, infine, denunziata la violazione dell’art. 113 TFUE, in quanto, nei giudizi riguardanti le imposte armonizzate e, in particolare, l’imposta sul valore aggiunto, l’adozione di norme nazionali, come quelle in scrutinio, che compromettono i crediti erariali introducendo impedimenti alla loro effettiva esazione, recherebbe vulnus al principio di tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea e comprometterebbe l’osservanza degli obblighi di armonizzazione discendenti dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

2.– Vanno esaminate, preliminarmente, le eccezioni di inammissibilità delle questioni dedotte dal Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato.

2.1– Con la prima di esse, la difesa statale sostiene la erroneità della premessa da cui muove il giudice a quo, secondo la quale coloro che hanno avanzato richiesta di adesione alla definizione agevolata ai sensi dell’art. 3, comma 5, del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, avrebbero dovuto versare l’intera somma dovuta, salva la rateizzazione approvata dall’agente della riscossione, entro il 16 settembre 2020, poiché il termine del 31 luglio 2019 – a tal fine fissato dal comma 2, lettera a), dello stesso art. 3 – sarebbe stato prorogato a tale data dall’art. 149 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 177.

Secondo l’interveniente, tale ultima disposizione non sarebbe applicabile nel caso di specie, poiché riguarderebbe, ai sensi del comma 4 dell’art. 149 citato, le sole procedure agevolate di cui agli artt. 1, 2, 6 e 7 del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, e non anche quella, qui in esame, prevista dall’art. 3 del medesimo decreto-legge.

La richiesta di definizione agevolata avanzata dal contribuente, parte appellata nel giudizio principale, sarebbe, invece, soggetta alla proroga dei termini di pagamento disposta dall’art. 68, comma 3, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27.

2.2.– L’eccezione è priva di fondamento.

È ben vero che la ricostruzione del giudice a quo non considera che l’art. 149 del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, limitando, al comma 4, il proprio ambito applicativo alle procedure di definizione di cui agli artt. 1, 2, 6 e 7 del ridetto d.l. n. 119 del 2018, come convertito, non opera nella fattispecie, qui in esame, regolata dall’art. 3 del medesimo decreto-legge.

Nondimeno, tale svista non influisce in alcun modo sulla conclusione ermeneutica del rimettente, il quale muove dal convincimento che debba trovare applicazione, nel caso di specie, la disciplina del pagamento in unica soluzione in quanto nessuna delle parti ha prodotto in giudizio il provvedimento di ammissione del debitore al pagamento rateale.

Da ciò deriverebbe, secondo il giudice a quo, che, essendo mancata anche la prova del tempestivo versamento dell’importo dovuto per la definizione agevolata, la disposta sospensione del processo sarebbe ingiustificata e destinata a protrarsi sine die, considerato che nessuna delle parti ne ha chiesto la revoca.

In tale prospettazione, l’inesatta individuazione della data entro la quale avrebbe dovuto essere effettuato il pagamento in unica soluzione non assume rilevanza, ove si consideri che, al momento del deposito dell’ordinanza di rimessione (17 dicembre 2020), detto termine – pur tenendosi conto della proroga dell’originaria scadenza del 31 luglio del 2019 al 30 novembre 2019, disposta dall’art. 37, comma 1, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 2019, n. 157 – era, comunque, già decorso.

2.3.– A un diverso esito conduce, per le ragioni che saranno di seguito precisate, l’esame dell’altro profilo di inammissibilità dedotto dalla difesa statale, concernente il difetto di attualità delle questioni sollevate.

2.3.1.– Lo scrutinio di questa eccezione richiede una sia pur sintetica illustrazione del quadro normativo.

Il procedimento di definizione agevolata disciplinato dall’art. 3 del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, consente di estinguere i debiti risultanti dai carichi affidati all’agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017, versando le sole somme iscritte a ruolo a titolo di capitale e di interessi, nonché quelle maturate a favore dell’agente della riscossione per aggio e spese per le procedure esecutive e per la notificazione della cartella di pagamento.

Si tratta di una forma atipica di definizione del carico fiscale mediante pagamento in misura predefinita, dalla quale deriva l’elisione delle conseguenze sanzionatorie dell’inadempimento dell’obbligazione tributaria e, al contempo, l’estinzione della res litigiosa (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 27 gennaio 2016, n. 1518), nella prospettiva di «recuperare risorse finanziarie e ridurre il contenzioso» (sentenza n. 321 del 1995) e di ottimizzare l’attività di riscossione (sentenza n. 29 del 2018).

Il debitore accede alla procedura di condono fiscale, manifestando all’agente della riscossione la propria volontà di aderire alla definizione attraverso un’apposita dichiarazione, con la quale sceglie se estinguere il debito in unica soluzione o in forma rateizzata, segnala l’eventuale pendenza di giudizi aventi a oggetto i carichi indicati e assume l’impegno a rinunciarvi.

A fronte della produzione di copia della dichiarazione di adesione alla definizione agevolata, il giudice dispone la sospensione del giudizio «[n]elle more del pagamento delle somme dovute» (art. 3, comma 6, del d.l. n. 119 del 2018, come convertito).

La durata dell’arresto processuale risulta dunque commisurata al termine finale per l’adempimento scelto dal debitore tra quelli prefissati dal comma 2 della disposizione in esame.

Ciò in quanto la speciale ipotesi di sospensione introdotta dalla norma censurata è funzionale allo svolgimento della procedura di condono e quindi all’estinzione della res controversa, la quale si verifica soltanto con l’effettivo perfezionamento della definizione agevolata ed è pronunciata dal giudice all’esito della verifica della documentazione attestante la regolarità dei pagamenti effettuati.

In caso contrario, ovvero nell’ipotesi in cui si verifichi un evento ostativo al buon esito della procedura, «[i]l giudice revoca la sospensione su istanza di una delle parti» (art. 3, comma 6, del d.l. n. 119 del 2018, come convertito).

2.3.2.– Come sopra evidenziato, il pagamento delle somme dovute per la definizione agevolata può essere effettuato in unica soluzione o mediante rateizzazione.

Nel primo caso la disposizione in scrutinio prescrive che l’adempimento sia eseguito entro il 31 luglio 2019, termine poi prorogato al 30 novembre 2019 dall’art. 37, comma 1, del d.l. n. 124 del 2019, come convertito.

Per l’adempimento dilazionato è, invece, previsto un numero massimo di diciotto rate, la prima e la seconda delle quali, ciascuna di importo pari al dieci per cento delle somme complessivamente dovute ai fini della definizione, scadenti, rispettivamente, il 31 luglio e il 30 novembre 2019, e le restanti, di pari ammontare, scadenti il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2020.

Va, altresì, ricordato che i termini per la corresponsione delle singole rate scadenti nel 2020, nel 2021 e nel 2022 sono stati più volte differiti mediante disposizioni inserite nelle normative emanate per fronteggiare l’emergenza sanitaria da COVID-19, l’ultima delle quali (l’art. 10-quinquies, comma 1, del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4, recante «Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2022, n. 25»), ha modificato l’art. 68, comma 3, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, il quale ora stabilisce che «[i]l versamento delle rate da corrispondere negli anni 2020, 2021 e 2022 ai fini delle definizioni agevolate di cui agli articoli 3 e 5 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, all’articolo 16-bis del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, e all’articolo 1, commi 190 e 193, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, è considerato tempestivo e non determina l’inefficacia delle stesse definizioni se effettuato integralmente, con applicazione delle disposizioni dell’articolo 3, comma 14-bis, del citato decreto-legge n. 119 del 2018: a) entro il 30 aprile 2022, relativamente alle rate in scadenza nell’anno 2020; b) entro il 31 luglio 2022, relativamente alle rate in scadenza nell’anno 2021; c) entro il 30 novembre 2022, relativamente alle rate in scadenza nell’anno 2022».

Nondimeno, le proroghe sinora disposte non incidono sul termine massimo di rateizzazione accordato dalla normativa in scrutinio, il quale, nonostante i reiterati interventi modificativi, è ancora da individuarsi, ai sensi dell’art. 3, comma 2, lettera b), del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, nella data del 30 novembre 2023, coincidente con la scadenza della rata finale dell’ultima annualità della dilazione.

2.3.3.− Tanto premesso, deve sottolinearsi che il giudice a quo, dando rilievo alla circostanza che, nonostante fosse scaduto il termine per l’approvazione, da parte dell’agente della riscossione, del piano di rateizzazione, nessuna delle parti avesse depositato – neanche a seguito dell’ordine di esibizione impartito dal Collegio – il relativo provvedimento, assume, sia pure implicitamente, che il contribuente, parte appellata nel giudizio principale, avesse scelto di versare le somme dovute in forma rateale.

Di tale richiesta di dilazione, nell’estensione massima consentita dalla legge, si rinviene, inoltre, precisa conferma nell’atto di intervento dello Stato.

È allora evidente che, avendo il debitore optato per l’adempimento dilazionato in diciotto rate, il rimettente non potrebbe nel giudizio principale fare applicazione della norma derivante dall’auspicata declaratoria di illegittimità costituzionale, dal momento che, salvo che intervengano istanze di revoca, il giudizio è destinato a rimanere sospeso sino allo spirare del termine dilatorio correlato alla modalità solutoria prescelta.

2.3.4.– Né rileva, contrariamente a quanto ritenuto dal Collegio rimettente, la circostanza della mancata produzione in giudizio di documentazione relativa all’ammissione del contribuente alla dilazione richiesta.

Va evidenziato, al riguardo, che l’art. 3, comma 6, del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, stabilendo che la sospensione del processo è disposta dal giudice «dietro presentazione di copia della dichiarazione e nelle more del pagamento delle somme dovute», pone come unica condizione per l’emissione del relativo provvedimento il deposito, da parte del debitore, della dichiarazione di cui al comma 5 della citata disposizione.

2.3.5.– Quanto premesso induce a concludere che, nel momento in cui è stato promosso l’odierno incidente di legittimità costituzionale, nel giudizio principale, in attesa della definizione rateale del carico tributario controverso, non potevano trovare applicazione le disposizioni impugnate.

Ciò rende meramente eventuali e ipotetiche, e dunque premature, le censure prospettate dal rimettente.

Per costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, la questione incidentale è, infatti, prematura, se l’applicazione della norma denunciata è solo eventuale e successiva (ex plurimis, sentenze n. 114 del 2021, n. 139 del 2020 e n. 217 del 2019; ordinanze n. 210 e n. 42 del 2020).

3.– Le questioni di legittimità costituzionale sollevate devono, pertanto, essere dichiarate inammissibili.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 5 e 6, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n. 136, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 10, 11, 23, 24, 53, 81, 97, primo comma, e 111 della Costituzione, nonché all’art. 113 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, e all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Commissione tributaria regionale della Calabria con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2022.