SENTENZA N. 257
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO;
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Sardegna 13 luglio 2020, n. 21 (Norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26-31 agosto 2020, depositato in cancelleria il 1° settembre 2020, iscritto al n. 75 del registro ricorsi per l’anno 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 2021 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Benedetto Ballero e Mattia Pani per la Regione autonoma Sardegna;
deliberato nella camera di consiglio del 20 ottobre 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 26-31 agosto 2020, depositato in cancelleria il 1° settembre 2020 e iscritto al n. 75 del registro ricorsi per l’anno 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Sardegna 13 luglio 2020, n. 21 (Norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale), deducendo il superamento dell’ambito «della competenza statutaria della Regione autonoma della Sardegna», nonché la violazione degli artt. 3, 9, 117, commi primo – quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – e secondo, lettera s), della Costituzione e, infine, il contrasto con il principio di leale collaborazione.
La normativa impugnata fornisce l’interpretazione autentica del piano paesaggistico e, in particolare, dell’obbligo di pianificazione congiunta (comma 1) e dell’ampiezza del divieto di realizzazione di nuove strade extraurbane di dimensioni superiori alle due corsie (comma 2), con particolare riguardo al lotto n. 1 dell’asse viario Sassari-Alghero (comma 3).
1.1.– Con il primo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020 per violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., «in riferimento all’art. 3» della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), come attuato dal decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna), «in relazione» agli artt. 135, 143, 145 e 156 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
Con l’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020, il legislatore regionale avrebbe sottratto unilateralmente alla copianificazione obbligatoria i beni individuati dal piano paesaggistico della Sardegna ai sensi dell’art. 134, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 42 del 2004. Tale previsione, nella versione modificata dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio) e antecedente alle novità introdotte dal decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio), annoverava tra i beni paesaggistici «gli immobili e le aree tipizzati, individuati e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici» e non richiedeva provvedimenti «di tutela individuale e mirata».
I beni paesaggistici, individuati ai sensi dell’art. 134, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 42 del 2004, nella versione ratione temporis vigente, sarebbero ancora assoggettati al relativo regime di tutela, anche in virtù della natura meramente ricognitiva del vincolo. Né il mutamento dei criteri per l’individuazione dei beni paesaggistici potrebbe determinare «la perdita della qualità di bene paesaggistico», oramai acquisita in base a un «legittimo procedimento».
Peraltro, l’art. 156 del d.lgs. n. 42 del 2004 contemplerebbe un obbligo di copianificazione per la verifica e per l’adeguamento del vigente piano paesaggistico.
Quanto all’art. 1, commi 2 e 3, della legge regionale impugnata, si riprometterebbe di «rendere inoperanti specifici divieti contenuti nella disciplina di piano».
Poste tali premesse, il ricorrente prospetta il contrasto con l’art. 3 dello statuto speciale, in quanto la disciplina in esame contravverrebbe all’obbligo di pianificazione condivisa, riconducibile alle norme fondamentali di riforma economico-sociale, vincolanti anche per l’autonomia speciale.
Il ricorrente assume, inoltre, che la disposizione impugnata sia lesiva dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto si tradurrebbe in un intervento unilaterale, estraneo al percorso della «pianificazione condivisa», prescritta per i beni vincolati dagli artt. 135, 143, 145 e 156 del d.lgs. n. 42 del 2004, e sconfinerebbe nella competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Vi sarebbe, infine, la violazione dell’art. 9 Cost., in quanto la disposizione in esame determinerebbe «un generale abbassamento del livello di tutela».
1.2.– Il ricorrente, in secondo luogo, impugna l’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020 per violazione degli artt. 3, 9 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU.
Nell’intervenire «a distanza di ben 14 anni dall’approvazione del piano paesaggistico» e nell’imporre con efficacia retroattiva «un determinato significato normativo della disposizione interpretata», la legge regionale impugnata si risolverebbe in «un generale abbassamento di tutela» per i beni esclusi dall’obbligo di pianificazione congiunta, come le fasce costiere, «che rivestono un ruolo strategico nel territorio insulare regionale, a forte vocazione turistica», le zone agricole, l’edificato in zona agricola e l’edificato urbano diffuso, «contesti di particolare fragilità paesaggistica».
Il ricorrente sostiene, inoltre, che la disposizione impugnata, in difetto di motivi imperativi di interesse generale, miri a influenzare l’esito del contenzioso riguardante il «procedimento di VIA della SS 291 c.d. “della Nurra”, relativamente ai lavori di costruzione del Lotto 1 da Alghero a Olmedo e del Lotto 4 tra il bivio di Olmedo e l’Aeroporto di Alghero». Nel contesto di tale contenzioso, il Ministero dell’ambiente, del territorio e del mare e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo avrebbero espresso parere negativo e il Consiglio dei ministri, dopo il ricorso della Regione al TAR, avrebbe deliberato di superare i dissensi (art. 5, comma 2, lettera c-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri»). Sarebbero violati, pertanto, il diritto a un equo processo e il principio di parità delle armi, tutelati dall’art. 6 CEDU.
1.3.– Il ricorrente, da ultimo, denuncia il contrasto dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020 «per violazione del principio di leale collaborazione» in relazione agli artt. 134, comma 1, lettera c), 143, comma 2, 156, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 42 del 2004.
In punto di fatto, il ricorrente ricorda che la Regione autonoma Sardegna, il 5 settembre 2006, ha approvato il primo ambito omogeneo del piano paesaggistico regionale, con esclusivo riguardo alle aree costiere, e ha poi sottoscritto con il Ministero per i beni e le attività culturali, il 19 febbraio 2007, il protocollo di intesa per la verifica e l’adeguamento congiunto del piano già approvato e per la copianificazione del secondo ambito omogeneo riguardante le aree interne dell’isola. Tale copianificazione sarebbe estesa all’intero territorio regionale e non sarebbe dunque circoscritta ai beni vincolati in virtù del d.lgs. n. 42 del 2004. In particolare, la pianificazione congiunta sarebbe obbligatoria anche per i beni paesaggistici individuati dal piano paesaggistico del 2006 ai sensi dell’art. 134, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 42 del 2004, nella versione antecedente alle modifiche recate dal d.lgs. n. 63 del 2008.
Il 1° marzo 2013 la Regione e il Ministero per i beni e le attività culturali, allo scopo di definire le modalità di attuazione della pianificazione congiunta per il primo e per il secondo ambito omogeneo, avrebbero sottoscritto il disciplinare attuativo del protocollo di intesa, poi aggiornato il 18 aprile 2018. L’intensa attività di collaborazione non sarebbe ancora approdata all’approvazione definitiva di un piano paesaggistico conforme alle previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
In punto di diritto, il ricorrente pone l’accento sul principio di leale collaborazione, che presiede a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni e impone di tener fede agli impegni assunti (si cita la sentenza di questa Corte n. 178 del 2018).
Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta che la Regione autonoma Sardegna si sia sottratta «ingiustificatamente al proprio obbligo di redazione congiunta con il Ministero per i beni e le attività culturali del Piano paesaggistico» con «iniziative unilaterali e reiterate, al di fuori del percorso di collaborazione già proficuamente avviato con lo Stato», e di aver così disatteso l’impegno «di pianificare congiuntamente l’intero territorio regionale, e non solo i beni paesaggistici vincolati».
1.4.– Il ricorrente chiede a questa Corte di valutare la necessità di estendere la declaratoria di illegittimità costituzionale all’art. 2 della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020, in quanto privo di presupposto.
2.– Con atto depositato il 9 ottobre 2020, si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna e ha chiesto di dichiarare improcedibili, inammissibili o comunque non fondate le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri.
2.1.– La parte resistente ha formulato molteplici eccezioni preliminari.
2.1.1.– Le questioni sarebbero inammissibili, in quanto il ricorrente non avrebbe considerato la normativa statutaria, che attribuisce alla Regione «una competenza legislativa primaria ed esclusiva nella materia e negli ambiti trattati dagli articoli di legge impugnati».
2.1.2.– Una ulteriore ragione di inammissibilità delle questioni proposte risiederebbe nella mancata dimostrazione di «un interesse attuale, immediato e concreto» a impugnare la legge regionale in esame.
2.1.3.– Le questioni sarebbero inammissibili, anche perché poste in termini generici e oscuri, senza dar conto del pregiudizio arrecato dalla normativa impugnata. Il ricorso non conterrebbe alcun cenno alla legislazione regionale che presidia con appositi divieti la fascia costiera e non chiarirebbe per quale ragione la circoscritta esclusione dell’obbligo di pianificazione condivisa comprometta la tutela di beni comunque assoggettati alle prescrizioni del piano paesaggistico.
2.1.4.– La parte resistente eccepisce l’inammissibilità delle questioni anche per «ragioni sostanziali». Le disposizioni impugnate si limiterebbero a riprodurre gli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte e, pertanto, continuerebbero comunque a trovare applicazione, a prescindere dall’esito del ricorso dello Stato.
2.1.5.– La difesa regionale rileva, infine, che non sono state proposte censure specifiche contro l’art. 1, commi 1 e 2, della legge regionale impugnata. Le relative questioni sarebbero, pertanto, inammissibili.
2.2.– Nel merito, le questioni non sarebbero comunque fondate.
2.2.1.– Ad avviso della parte resistente, la potestà legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna nella materia edilizia e urbanistica include anche la tutela del paesaggio in virtù dell’art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975, che le attribuisce il compito di redigere e approvare i piani territoriali paesistici (si richiamano le sentenze di questa Corte n. 51 del 2006 e n. 308 del 2013). Lo stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio, all’art. 8, salvaguarderebbe le potestà attribuite alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano.
La disposizione impugnata rappresenterebbe esercizio della potestà legislativa primaria della Regione, così come definita dalle norme di attuazione dello statuto, e non sconfinerebbe, pertanto, nella sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
2.2.2.– Non sarebbe pertinente il richiamo all’art. 9 Cost., che non mira a riservare competenze allo Stato a scapito delle Regioni. Il precetto costituzionale, difatti, assegnerebbe alla Repubblica, e dunque anche alle Regioni e non solo allo Stato, il compito di tutelare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
2.2.3.– Peraltro, sin dagli anni Settanta, il legislatore regionale avrebbe apprestato una tutela efficace del paesaggio, e in particolare di quello costiero dell’isola, con appositi divieti di edificazione, più rigorosi di quelli introdotti dalla normativa statale.
2.3.– Alla luce di tali rilievi, nessuno dei motivi di ricorso sarebbe fondato.
2.3.1.– Quanto al primo di essi, la Regione autonoma Sardegna disporrebbe di «una competenza esclusiva per la predisposizione ed approvazione del piano paesistico», con l’esclusione dei soli beni assoggettati alla pianificazione congiunta obbligatoria.
Anche questa Corte, con la sentenza n. 308 del 2013, avrebbe riconosciuto la legittimazione della Regione a intervenire sui beni non assoggettati all’obbligo di pianificazione condivisa, in quanto individuati in base al vecchio testo dell’art. 134 del d.lgs. n. 42 del 2004, nella versione antecedente alle modificazioni introdotte dal d.lgs. n. 63 del 2008, e privi delle caratteristiche che il legislatore statale oggi riconnette all’obbligo di pianificazione congiunta.
La Regione autonoma Sardegna – al di fuori della pianificazione condivisa – avrebbe individuato i beni paesaggistici in base all’art. 134 del d.lgs. n. 42 del 2004, nella formulazione ratione temporis applicabile, e dunque ben potrebbe – senza ricorrere alla pianificazione congiunta – modificare la disciplina in esame.
Le questioni non sarebbero fondate anche perché solo la fascia costiera è definita come bene paesaggistico.
I beni identitari non sarebbero individuati dal piano paesaggistico regionale, che non menzionerebbe le zone agricole e reputerebbe meri assetti insediativi l’edificato urbano diffuso e l’edificato in zona agricola.
2.3.2.– Neppure il secondo motivo di ricorso meriterebbe di essere accolto.
La disposizione impugnata si sarebbe limitata a precisare il significato originario delle previsioni che attribuiscono alla Regione autonoma Sardegna il potere di dettare la disciplina dei beni sottratti all’obbligo di pianificazione congiunta.
Non sarebbe precluso alla Regione, «nell’esercizio della propria competenza legislativa primaria», incidere sulla disciplina dei beni estranei all’ambito applicativo della copianificazione.
La fascia costiera tutelata dal piano paesaggistico si estenderebbe fino a quattro o cinque chilometri dal mare e non coinciderebbe con il primo tratto di trecento metri dal mare tutelato dal d.lgs. n. 42 del 2004.
Quanto ai beni identitari, alle zone agricole, all’edificato in zona agricola e all’edificato urbano diffuso, non sarebbero beni paesaggistici e la Regione autonoma Sardegna avrebbe titolo per modificare la relativa disciplina.
L’assetto delineato dal legislatore regionale sarebbe comunque ragionevole, anche perché finalizzato a consentire la realizzazione di un’infrastruttura di interesse pubblico, come avrebbe riconosciuto lo stesso Consiglio dei ministri con la delibera del 29 luglio 2020, che ha superato il dissenso espresso dal Ministero per i beni e le attività culturali. Da questo punto di vista, la questione sarebbe inammissibile per carenza di interesse.
Ad ogni modo, nella soluzione del contenzioso dinanzi al giudice amministrativo non verrebbe in rilievo la previsione impugnata, ma la successiva delibera del Consiglio dei ministri.
Non vi sarebbe, dunque, alcuna arbitraria ingerenza nelle funzioni giurisdizionali. L’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera configurerebbe un motivo imperativo idoneo a giustificare l’intervento del legislatore regionale, peraltro prevedibile e tutt’altro che lesivo di un affidamento consolidato.
2.3.3.– La parte resistente, infine, contesta la fondatezza anche del terzo motivo di ricorso.
Quanto al protocollo di intesa del 19 febbraio 2007, invocato dal ricorrente, sarebbe stato sottoscritto nel vigore di una diversa disciplina, integralmente sostituita dal d.lgs. n. 63 del 2008, e non sarebbe stato preceduto dalla necessaria approvazione della Giunta regionale.
Tale atto, lungi dal sancire «un vincolo assoluto alla copianificazione generale», si risolverebbe in «una mera dichiarazione di intenti» e si limiterebbe a prefigurare una collaborazione degli organi ministeriali, senza rappresentare una norma fondamentale di riforma economico-sociale idonea a vincolare l’autonomia speciale.
3.– In prossimità dell’udienza, hanno depositato una memoria illustrativa sia la parte ricorrente sia quella resistente.
3.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate.
3.1.1.– Non sarebbero fondate le eccezioni preliminari formulate dalla Regione resistente.
Quanto alla potestà legislativa primaria nella materia edilizia e urbanistica e nella materia paesaggistica, rivendicata dalla Regione autonoma Sardegna, si tratterebbe di un profilo attinente al merito delle questioni promosse.
Attinenti al merito sarebbero anche le argomentazioni circa la correttezza dell’interpretazione prescelta dal legislatore regionale.
Sarebbe poi innegabile l’interesse all’impugnazione, che scaturisce dalla mera pubblicazione di una legge regionale che il ricorrente ritenga lesiva del riparto delle competenze. Né la parte ricorrente avrebbe l’onere di dimostrare l’effettivo pregiudizio che deriva dalla dedotta violazione.
Le censure investirebbero anche i commi 2 e 3, in quanto «strettamente consequenziali» alle previsioni del comma 1, delle quali rappresenterebbero «diretta applicazione».
3.1.2.– Nel merito, le difese svolte dalla parte resistente non coglierebbero nel segno.
L’art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975 attribuirebbe alla Regione autonoma Sardegna la sola potestà in materia di «redazione e approvazione del piano paesaggistico». La Regione sarebbe comunque vincolata al rispetto delle norme statali di grande riforma economico-sociale, come quelle che sanciscono l’obbligo di pianificazione congiunta.
Le disposizioni impugnate, nel disattendere le previsioni del piano paesaggistico, determinerebbero «l’abbassamento dei livelli di tutela del paesaggio» e si esporrebbero, pertanto, alle censure di contrasto con i parametri costituzionali evocati. La Regione, dopo aver ampliato la tutela di beni come la fascia costiera, protetta ben oltre i trecento metri previsti dal legislatore statale, non potrebbe diminuire «il livello di tutela precedentemente attribuito» (si richiama la sentenza di questa Corte n. 141 del 2021).
Né rileva che la Regione autonoma Sardegna abbia previsto, per le fasce costiere, un regime più rigoroso di quello delineato dal legislatore statale, in quanto tale circostanza non varrebbe a contraddire la dedotta invasione della competenza legislativa statale.
La sentenza n. 308 del 2013, richiamata dalla parte resistente, non riguarderebbe la diversa questione dell’ampiezza dell’obbligo di pianificazione congiunta, nell’ipotesi di beni paesaggistici individuati e dunque assoggettati a un vincolo che non potrebbe essere rimosso.
Le disposizioni impugnate sottrarrebbero alla pianificazione congiunta «intere categorie di beni», per le quali la Regione si sarebbe obbligata alla pianificazione congiunta con lo Stato, in base a un accordo esteso all’intero territorio regionale.
Peraltro, le fasce costiere si configurerebbero come «beni paesaggistici, come tali sottoposti al principio di irrevocabilità del vincolo sancito dal Codice e all’obbligo di co-pianificazione».
Anche i beni identitari, in virtù del particolare pregio che li contraddistingue, si atteggerebbero come beni paesaggistici, che «esprimono valori riferiti al paesaggio tipico della Sardegna».
Per le zone agricole, per l’edificato in zona agricola, per l’edificato urbano diffuso, il piano paesaggistico regionale detterebbe prescrizioni e indirizzi, che non potrebbero essere modificati unilateralmente, in contrasto con «l’impegno alla copianificazione assunto dalla Regione».
3.2.– Anche la parte resistente ha confermato le conclusioni di rito e di merito già rassegnate nella memoria di costituzione.
La Regione autonoma Sardegna ha ribadito la titolarità del potere di intervenire in relazione ai profili di tutela paesistico-ambientale, fatto salvo il rispetto delle norme fondamentali di riforma economico-sociale.
In virtù delle modificazioni introdotte dal d.lgs. n. 63 del 2008, l’obbligo di pianificazione congiunta, «introdotto solo nel 2008», riguarderebbe i soli beni menzionati dall’art. 143, comma 1, lettere b), c) e d), del d.lgs. n. 42 del 2004 e, quanto ai beni di cui alla lettera d), soltanto gli ulteriori immobili e aree che siano stati specificamente individuati e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici, in quanto dotati dei caratteri tipici delle “bellezze naturali”. Nelle altre ipotesi, non sussisterebbe alcun obbligo di pianificazione congiunta.
A tali regole, confermate anche dalla giurisprudenza di questa Corte, si sarebbe uniformata la disciplina in esame. Alla Regione autonoma Sardegna non sarebbe precluso modificare in via unilaterale la normativa d’uso che, sempre in via unilaterale, ha introdotto.
Quanto alla fascia costiera, individuata come bene paesaggistico in base alla disciplina antecedente alle modificazioni del d.lgs. n. 63 del 2008 e corrispondente a porzioni di territorio molto estese, sarebbe stato lo stesso Ministero per i beni e per le attività culturali a criticare la scelta di istituire un vincolo così ampio.
La parte resistente ribadisce che i beni identitari esulano dai beni paesaggistici.
Quanto alle zone agricole, non sarebbero neppure menzionate dal piano paesaggistico, che annovera poi l’edificato urbano diffuso e l’edificato in zona agricola tra i meri “assetti insediativi”.
La difesa regionale eccepisce la carenza di interesse, in quanto la previsione impugnata si limiterebbe a rivendicare una competenza, senza derogare alle previsioni del piano paesaggistico.
Non si potrebbe ravvisare alcun interesse a impugnare neppure per il motivo di ricorso riguardante l’art. 1, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020, in quanto l’infrastruttura pubblica sarebbe stata autorizzata con delibera del Consiglio dei ministri del 29 luglio 2020, che prescinde dalle previsioni della legge regionale impugnata.
Quanto alla violazione del principio di leale collaborazione, la difesa regionale ripropone gli argomenti già svolti nella memoria di costituzione allo scopo di negare ogni valore vincolante all’intesa del 19 febbraio 2007, redatta e sottoscritta dal solo Presidente della Giunta regionale, senza la necessaria autorizzazione di tale organo, e con l’orizzonte temporale definito di un anno, periodo questo ampiamente trascorso.
L’intesa richiamata dal ricorrente si limiterebbe a prevedere che la pianificazione deve rispettare le prescrizioni del d.lgs. n. 42 del 2004, che, all’art. 8, fa salve le più ampie competenze delle Regioni a statuto speciale.
Né si potrebbe ritenere che l’iniziativa unilaterale del Presidente della Giunta regionale possa vincolare per i successivi quindici anni la Regione e alterare il riparto di competenze, come delineato dall’art. 3 dello statuto di autonomia e dalle relative norme di attuazione.
La parte resistente disconosce poi il vincolo che deriva dai protocolli attuativi firmati da funzionari e riguardanti la gestione dei beni oggetto della pianificazione congiunta secondo il d.lgs. n. 42 del 2004.
Peraltro, a rigore, il principio di leale collaborazione non si potrebbe applicare alle procedure legislative, ove non sia direttamente imposto dalla Costituzione.
4.– All’udienza pubblica del 19 ottobre 2021, le parti hanno reiterato le conclusioni già rassegnate negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 75 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Sardegna 13 luglio 2020, n. 21 (Norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale).
La normativa in esame è impugnata in quanto eccederebbe «l’ambito della competenza statutaria della Regione autonoma della Sardegna» e contrasterebbe con gli artt. 3, 9, 117, commi primo – quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 –, e secondo, lettera s), della Costituzione. Sarebbe violato, infine, il principio di leale collaborazione.
Il ricorrente ha chiesto di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020 e, in base all’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), di valutare la necessità di estendere la declaratoria di illegittimità costituzionale anche all’art. 2 della medesima legge regionale, «poiché privo di presupposto e quindi inapplicabile».
Le disposizioni impugnate sono legate da un nesso inscindibile.
1.1.– L’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020 esclude la pianificazione congiunta per l’esercizio delle funzioni amministrative delegate dall’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna), con riguardo ai beni diversi da quelli di cui all’art. 143, comma 1, lettere b), c) e d), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
In particolare, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio), che, all’art. 2, comma 1, lettera e), ha sostituito l’art. 135 del d.lgs. n. 42 del 2004, il piano paesaggistico regionale relativo al primo ambito omogeneo e le relative norme tecniche di attuazione (NTA), approvati con il decreto del Presidente della Giunta regionale 7 settembre 2006, n. 82, si interpretano nel senso che «sono in ogni caso sottratti alla pianificazione congiunta tra Regione autonoma della Sardegna e Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo» alcuni beni.
Il legislatore regionale identifica, al comma 1 dell’impugnato art. 1, i beni sottratti alla pianificazione congiunta nelle seguenti categorie: la fascia costiera di cui all’art. 17, comma 3, lettera a), NTA, come definita dall’art. 19 e disciplinata dall’art. 20 delle medesime NTA (lettera a); i beni identitari di cui all’art. 2, comma 1, lettera e), NTA, così come definiti dall’art. 6, comma 5, e disciplinati dall’art. 9 delle medesime NTA (lettera b); le zone agricole, l’edificato in zona agricola di cui all’art. 79 NTA e l’edificato urbano diffuso regolato dall’art. 76 NTA (lettera c).
1.2.– L’art. 1, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020 si occupa specificamente della disciplina di un bene paesaggistico, la fascia costiera, che il legislatore regionale, con il comma 1, ha inteso sottrarre all’obbligo di pianificazione condivisa.
La disposizione in esame esclude dal divieto di realizzazione di nuove strade extraurbane di dimensioni superiori alle due corsie «ogni opera il cui procedimento di realizzazione, con riferimento alla data di approvazione del PPR, si trovi a uno stadio di avanzamento nel quale è in corso la procedura di valutazione di impatto ambientale e le opere che si trovino a uno stadio più avanzato». Peraltro, l’esclusione si applica anche quando siano apportate all’opera varianti, purché non mutino «le caratteristiche generali e identificative dell’intervento».
1.3.– L’art. 1, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020 trae un corollario dalla disposizione di carattere generale racchiusa nel comma 2 e regola in maniera particolareggiata l’asse viario Sassari-Alghero e la «realizzazione nello sviluppo geometrico a quattro corsie del lotto n. 1», che definisce come «infrastruttura determinante per assicurare lo sviluppo sostenibile del territorio», dotata di «carattere strategico» e contraddistinta da «preminente interesse nazionale e regionale». Anche a tale infrastruttura si applicano le deroghe al divieto di realizzazione di nuove strade extraurbane di dimensioni superiori alle due corsie, poiché la sua progettazione a quattro corsie «a tutti gli effetti coincide, nelle sue caratteristiche generali e identificative, con quella già sottoposta con esito favorevole alle pregresse valutazioni di impatto ambientale e autorizzazioni paesistico-ambientali».
2.– Con riguardo a tali disposizioni, il ricorrente prospetta tre motivi di censura.
2.1.– L’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020 è impugnato, in primo luogo, per contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., nonché con l’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, «in relazione agli articoli 135, 143, 145 e 156 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio)».
Il ricorrente muove dal presupposto che alla Regione autonoma Sardegna non spetti alcuna «potestà normativa primaria in materia di tutela del paesaggio» e che lo Stato possa vincolare la potestà legislativa primaria nella materia edilizia e urbanistica, comprensiva anche delle funzioni relative ai beni culturali e ambientali, con norme fondamentali di riforma economico-sociale, come quelle che impongono la pianificazione congiunta (artt. 135, 143, 145 e 156 del d.lgs. n. 42 del 2004).
Ad avviso del ricorrente, i beni paesaggistici già individuati in applicazione dell’art. 134, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 42 del 2004, non potrebbero essere svincolati sol perché le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 63 del 2008 oggi prescrivono provvedimenti «di tutela individuale e mirata di singoli beni o complessi» e cessano di attribuire rilievo alla «possibilità di individuare con il piano aree o categorie di immobili da assoggettare a tutela, al di fuori dello schema proprio del vincolo provvedimentale». I beni paesaggistici già individuati sono assoggettati a un «obbligo di copianificazione finalizzata alla verifica e all’adeguamento del vigente piano paesaggistico» (art. 156 del d.lgs. n. 42 del 2004), benché siano mutati i criteri che presiedono all’individuazione dei beni oggetto di tutela.
Le disposizioni dell’art. 1, commi 2 e 3, della legge regionale impugnata rappresenterebbero la concreta espressione del potere disciplinato dal precedente comma 1 e si prefiggerebbero, in particolare, di «rendere inoperanti specifici divieti contenuti nella disciplina di piano».
La violazione dell’obbligo di pianificazione condivisa si porrebbe in contrasto, anzitutto, con l’art. 3 dello statuto speciale, che impone il rispetto delle norme fondamentali di riforma economico-sociale nell’esercizio della potestà legislativa primaria nella materia edilizia e urbanistica, concernente anche le funzioni relative ai beni culturali e ambientali.
La previsione impugnata, inoltre, nel consentire alla Regione autonoma Sardegna un intervento unilaterale sui beni vincolati, invaderebbe la competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. nella materia della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Alla luce del «generale abbassamento del livello di tutela» che le previsioni in esame determinano, il ricorrente denuncia il contrasto con l’art. 9 Cost., che tutela il paesaggio come «valore primario e assoluto».
2.2.– In secondo luogo, il ricorrente impugna il medesimo art. 1 della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020, in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost., sotto il profilo della violazione del «principio di ragionevolezza» e del «valore costituzionale primario della tutela del paesaggio», nonché all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, per contrasto con «il principio di irretroattività della legge, come enucleato da codesta Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo» e con l’obbligo del legislatore regionale di «rispettare gli obblighi internazionali».
La disposizione impugnata, «a distanza di ben 14 anni dall’approvazione del piano paesaggistico», non interverrebbe a «chiarire l’originaria intenzione del legislatore», ma si tradurrebbe in un irragionevole e «generale abbassamento di tutela per tutte e tre le categorie di beni definite dalla norma regionale», che sottrarrebbe alla disciplina delle norme tecniche di attuazione, volte a preservarne «i caratteri peculiari di pregio paesaggistico».
Il ricorrente imputa «un uso improprio della funzione legislativa» al legislatore regionale, che è parte di una controversia pendente dinanzi al giudice amministrativo con riguardo ai «lavori di costruzione del Lotto 1 da Alghero a Olmedo e del lotto 4 tra il bivio di Olmedo e l’Aeroporto di Alghero» e avrebbe introdotto una normativa di interpretazione autentica, in difetto di motivi imperativi di interesse generale.
2.3.– Il ricorrente, infine, impugna l’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020 per contrasto con il principio di leale collaborazione, in relazione agli artt. 134, comma 1, lettera c), 143, comma 2, e 156, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 42 del 2004.
Il 19 febbraio 2007, la Regione autonoma Sardegna avrebbe sottoscritto con il Ministero per i beni e le attività culturali un protocollo di intesa finalizzato alla verifica e all’adeguamento congiunto del piano paesaggistico regionale per il primo ambito omogeneo (aree costiere) e alla pianificazione congiunta per il secondo ambito omogeneo (aree interne).
Il 1° marzo 2013, la Regione autonoma Sardegna e il Ministero avrebbero sottoscritto un disciplinare attuativo, da ultimo aggiornato il 18 aprile 2018, per definire i dettagli di una pianificazione congiunta estesa all’intero territorio regionale.
Con la previsione impugnata, la Regione autonoma Sardegna si sarebbe sottratta «ingiustificatamente» all’obbligo di redazione congiunta del piano paesaggistico e avrebbe violato l’impegno di «pianificare congiuntamente l’intero territorio regionale, e non solo i beni paesaggistici vincolati».
La disciplina in esame, pertanto, sarebbe lesiva del principio di leale collaborazione, che permea tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni e li regola in modo dinamico e impone comunque di tener fede agli impegni assunti.
3.– La difesa regionale ha articolato numerose eccezioni preliminari.
3.1.– La parte resistente, in primo luogo, imputa al ricorrente di non aver tenuto nel debito conto la potestà legislativa primaria che spetta alla Regione autonoma Sardegna nella materia dell’urbanistica e dell’edilizia e abbraccia anche profili di tutela paesaggistica e ambientale.
3.2.– Le questioni sarebbero inammissibili anche in virtù della carenza di interesse. Il ricorrente non avrebbe dimostrato in alcun modo la sussistenza di un interesse «attuale, immediato e concreto» all’impugnazione.
La carenza di interesse si apprezzerebbe anche sotto un differente profilo.
La previsione impugnata non recherebbe alcuna deroga al piano paesaggistico regionale, ma si limiterebbe a ribadire la potestà legislativa primaria spettante alla Regione.
Non sussisterebbe alcun interesse a impugnare l’art. 1, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020, in quanto l’infrastruttura pubblica sarebbe stata già autorizzata con delibera del Consiglio dei ministri del 29 luglio 2020, senza applicare la previsione impugnata.
3.3.– Il ricorrente non avrebbe neppure illustrato le ragioni che determinano un effettivo pregiudizio per l’ambiente. Le censure sarebbero, pertanto, generiche e assertive.
Il ricorrente non si sarebbe neanche confrontato con la normativa che vieta ogni edificazione nel limite di trecento metri dalla costa. Peraltro, l’esclusione della pianificazione condivisa per un ristretto novero di beni non li priverebbe della tutela prevista nel piano paesaggistico regionale.
3.4.– La parte resistente individua, inoltre, «ragioni sostanziali» che precludono l’esame del merito. Le disposizioni impugnate, lungi dall’introdurre elementi innovativi, recepirebbero gli orientamenti costanti della giurisprudenza di questa Corte e troverebbero dunque applicazione anche nell’ipotesi di accoglimento del ricorso.
3.5.– Quanto all’art. 1, commi 2 e 3, della legge regionale impugnata, il ricorrente non avrebbe proposto specifiche censure.
Peraltro, anche a volere ritenere fondate le questioni riguardanti il citato art. 1, comma 1, la Regione sarebbe comunque legittimata a realizzare, secondo il suo «disegno organizzativo», le infrastrutture menzionate nell’art. 1, commi 2 e 3.
4.– Nessuna di tali eccezioni è fondata.
4.1.– Nel percorso argomentativo del ricorrente, è puntuale il confronto con la potestà legislativa primaria che, in base allo statuto speciale e alle relative norme di attuazione, spetta alla Regione autonoma Sardegna nella materia dell’edilizia e dell’urbanistica.
Il ricorrente muove dall’assunto che di tale potestà siano stati travalicati i limiti, individuati, tra l’altro, nelle norme fondamentali di riforma economico-sociale.
4.2.– Sussiste l’interesse dello Stato a ricorrere contro la normativa introdotta dal legislatore regionale.
Per giurisprudenza costante di questa Corte, nel giudizio in via principale l’interesse a proporre l’impugnazione si correla alla mera pubblicazione di una legge che si ritenga lesiva del riparto delle competenze e prescinde dagli effetti pregiudizievoli che tale legge abbia prodotto (sentenza n. 178 del 2018, punto 2.1. del Considerato in diritto). Il ricorrente, pertanto, non ha l’onere di provare le concrete ripercussioni della legge regionale impugnata.
Nel caso di specie, non rileva il fatto che la legge regionale non rechi deroghe al piano paesaggistico e che l’infrastruttura pubblica sia stata infine autorizzata dallo stesso Consiglio dei ministri, in virtù di un procedimento che non chiama in causa le previsioni oggi sottoposte al vaglio di questa Corte.
L’utilità che fonda l’interesse all’impugnazione attiene al «corretto inquadramento delle competenze legislative» (sentenza n. 101 del 2021, punto 2.3. del Considerato in diritto). In questa prospettiva, permane l’interesse del ricorrente a ottenere una pronuncia di questa Corte che dirima ogni incertezza in ordine a tale inquadramento.
4.3.– Non è fondata neppure l’eccezione che fa leva sulle lacune della motivazione.
A sostegno del ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri ha illustrato argomentazioni circostanziate. Quanto all’effettiva incidenza delle previsioni impugnate e alla legislazione regionale che presidia con rigidi divieti la fascia costiera, si tratta di aspetti ininfluenti ai fini dello scrutinio di questa Corte, che verte sull’inosservanza dei limiti che lo statuto speciale fissa per l’esercizio della potestà legislativa della Regione autonoma Sardegna.
4.4.– L’asserita conformità dell’interpretazione autentica agli orientamenti di questa Corte è profilo che investe il merito e non preclude, in limine, la disamina delle questioni promosse.
4.5.– La disamina non può che riguardare anche i commi 2 e 3 dell’art. 1 della legge regionale impugnata.
Sin dall’atto introduttivo, il ricorrente ha evidenziato che tali previsioni rappresentano il concreto esercizio del potere di cui la Regione autonoma Sardegna ritiene di essere titolare e si prefiggono di superare i divieti racchiusi nella disciplina del piano paesaggistico (punto 1.3. del ricorso). Alla luce delle univoche indicazioni del ricorso, l’impugnazione concerne anche le disposizioni in esame e, pertanto, devono essere disattese le eccezioni di inammissibilità che a tale riguardo ha formulato la parte resistente.
5.– In base a tali considerazioni, le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri possono essere scrutinate nel merito.
Esse sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale, nonché all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in stretta connessione con il principio di leale collaborazione.
6.– Per giurisprudenza costante di questa Corte, la disciplina di tutela del paesaggio, in quanto concerne un bene complesso e unitario, che ha il rango di valore primario e assoluto (sentenza n. 367 del 2007, punto 7.1. del Considerato in diritto), opera come limite alla tutela degli altri interessi pubblici affidati alla cura delle Regioni e delle Province autonome (sentenza n. 164 del 2021, punto 9.1. del Considerato in diritto).
La peculiarità della disciplina dell’ambiente e del paesaggio «riverbera i suoi effetti anche quando si tratta di Regioni speciali o di Province autonome, con l’ulteriore precisazione, però, che qui occorre tener conto degli statuti speciali di autonomia» (sentenza n. 378 del 2007, punto 4 del Considerato in diritto).
Con precipuo riguardo alla Regione autonoma Sardegna, si deve rilevare che l’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto speciale assegna alla stessa la potestà legislativa primaria nella materia «edilizia ed urbanistica». In attuazione della normativa statutaria, l’art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975 specifica che alla Regione autonoma Sardegna sono trasferite le funzioni riguardanti «la redazione e l’approvazione dei piani territoriali paesistici di cui all’art. 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497». Tale richiamo è stato costantemente interpretato nel senso che esso concerne i piani paesaggistici, nell’assetto delineato dal d.lgs. n. 42 del 2004, che fa salve «le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione» (art. 8), ma, allo stesso tempo, le sottopone a norme fondamentali di riforma, ivi compreso il principio della copianificazione, nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali» (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).
A tale categoria devono essere ricondotte le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio (sentenza n. 103 del 2017, punto 3.4. del Considerato in diritto), con particolare riguardo alle previsioni che sanciscono l’impronta unitaria e la prevalenza della pianificazione paesaggistica e orientano non solo l’elaborazione del piano, ma anche le successive fasi di adeguamento e di revisione, in una prospettiva di più efficace garanzia dei valori protetti dall’art. 9 Cost. e di uniforme tutela sul territorio nazionale.
Alla luce di tali princìpi si devono ora scrutinare le previsioni denunciate.
7.– Occorre, in primo luogo, ricostruire il contesto normativo in cui le disposizioni impugnate si collocano.
Le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri si inquadrano nel complesso – e tuttora incompiuto – percorso di adeguamento della pianificazione paesaggistica regionale.
La Giunta regionale, con delibera del 5 settembre 2006, n. 36/7, ha approvato in via definitiva il piano paesaggistico, relativo alle zone costiere (primo ambito omogeneo) e il Presidente della Giunta regionale, con decreto del 7 settembre 2006, n. 82, ai fini dell’entrata in vigore del piano, ne ha disposto la pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna.
Il 19 febbraio 2007, il Presidente della Regione autonoma della Sardegna e il Ministro per i beni e le attività culturali hanno stipulato un protocollo di intesa e si sono impegnati, per un verso, a «completare la pianificazione paesaggistica regionale nel rispetto delle disposizioni del Codice e della legge n. 14 del 2006 entro un anno» dalla stipulazione del protocollo (art. 3) e, per altro verso, «a provvedere congiuntamente alla verifica e all’adeguamento periodico della pianificazione paesaggistica regionale, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 143, comma 3, ultimo periodo, del Codice» (art. 4).
Il citato art. 143, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, nel testo vigente al momento della sottoscrizione del protocollo, consentiva alle Regioni, al Ministero per i beni e le attività culturali e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio di stipulare intese per l’elaborazione congiunta dei piani paesaggistici. Il contenuto del piano elaborato congiuntamente formava oggetto di apposito accordo preliminare, chiamato altresì a stabilire «i presupposti, le modalità ed i tempi per la revisione del piano» (ultimo periodo).
Specularmente, l’art. 156, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 63 del 2008, accordava alle Regioni e al Ministero la facoltà di stipulare intese per disciplinare lo svolgimento congiunto della verifica e dell’adeguamento dei piani paesaggistici. Il contenuto del piano adeguato formava oggetto di accordo preliminare tra Regione e Ministero.
Il 1° marzo 2013, Regione e Ministero hanno sottoscritto un disciplinare attuativo, approvato dalla Giunta regionale e volto a definire le modalità operative, i cronoprogrammi e i contenuti tecnici per lo svolgimento delle attività di verifica e di adeguamento del piano paesaggistico regionale dell’ambito costiero e per l’elaborazione del piano paesaggistico regionale dell’ambito interno.
Tale disciplinare espressamente richiama nelle sue premesse il protocollo di intesa del 19 febbraio 2007 e, all’art. 2, conferma la volontà delle parti di «proseguire nelle attività di pianificazione paesaggistica nelle forme e contenuti previsti» dal protocollo «e quindi per l’intero territorio regionale».
Per quel che riguarda, in particolare, la verifica e l’adeguamento del piano paesaggistico dell’ambito costiero, l’art. 3 specifica le modalità di svolgimento congiunto di tali attività e l’art. 4 tratteggia un cronoprogramma delle attività necessarie.
Queste ultime, sia con riguardo all’elaborazione del piano delle aree interne sia con riguardo alla verifica e all’adeguamento del piano delle aree costiere, sono improntate al «coinvolgimento diretto e continuo delle strutture e competenze tecniche e giuridiche delle due Amministrazioni», all’insegna della collaborazione istituzionale (art. 8) che si dispiega nell’ambito di un comitato tecnico istituito ad hoc (art. 9).
Il disciplinare attuativo del 1° marzo 2013 è stato aggiornato il 18 aprile 2018, con un atto che reitera il richiamo al protocollo di intesa del 19 febbraio 2007 e ribadisce l’intenzione di completare la verifica e l’adeguamento del piano paesaggistico regionale delle aree costiere e l’elaborazione del piano paesaggistico regionale delle aree interne.
Il nuovo disciplinare attuativo, in particolare, rimodula i tempi originariamente indicati per le attività di verifica e di elaborazione e rivede la composizione del comitato tecnico per la collaborazione istituzionale.
L’art. 4 disciplina le attività congiunte di verifica e di adeguamento e stabilisce che Regione e Ministero sottoscrivano l’accordo sul piano paesaggistico delle zone costiere, prima dell’approvazione definitiva dell’atto di verifica e di adeguamento del piano paesaggistico da parte della Giunta regionale.
8.– Le questioni oggi al vaglio di questa Corte si intersecano anche con l’evoluzione della normativa statale in tema di pianificazione paesaggistica.
In seguito alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 63 del 2008, l’art. 143, comma 2, del Codice dei beni culturali e del paesaggio rafforza la facoltà di stipulare intese per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici. In virtù del novellato art. 156, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 le intese possono riguardare anche lo svolgimento congiunto della verifica e dell’adeguamento dei piani paesaggistici.
Le intese previste, tanto per l’elaborazione, quanto per la verifica e per l’adeguamento dei piani paesaggistici, possono essere modulate in termini flessibili dalle parti, ma devono rispettare le condizioni insuperabili stabilite dall’art. 135 del d.lgs. n. 42 del 2004, che prescrive l’elaborazione congiunta dei piani paesaggistici tra Ministero e Regioni per i beni paesaggistici di cui all’art. 143, comma 1, lettere b), c) e d).
La pianificazione condivisa si impone per gli immobili e per le aree dichiarati di notevole interesse pubblico in quanto bellezze naturali (art. 143, comma 1, lettera b), per le aree tutelate per legge ai sensi dell’art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004 come i territori costieri, i fiumi, i torrenti, le montagne, i parchi (art. 143, comma 1, lettera c), e, infine, per gli ulteriori immobili e per le aree specificamente individuati in base all’art. 136 e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici (art. 143, comma 1, lettera d, che richiama l’art. 134, comma 1, lettera c).
L’art. 134, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 42 del 2004, nell’originaria versione, includeva tra i beni paesaggistici gli immobili e le aree comunque sottoposti a tutela dai piani previsti dagli artt. 143 e 156.
Il decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio), già applicabile quando è stato approvato il piano paesaggistico della Regione autonoma Sardegna, ha richiesto, in senso restrittivo, che gli immobili e le aree sottoposti a tutela fossero anche tipizzati e individuati.
Il d.lgs. n. 63 del 2008 ha introdotto il più pregnante requisito della specifica individuazione dei beni in conformità all’art. 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio: i beni paesaggistici, oltre a essere specificamente individuati, devono soddisfare le condizioni stabilite dall’art. 136 e devono presentare, pertanto, i caratteri tipici delle “bellezze naturali”.
9.– La parte resistente ha addotto questa sopravvenienza normativa a giustificazione della scelta di circoscrivere l’obbligo della pianificazione congiunta ai soli beni sottoposti a vincolo in conformità alla nuova disciplina statale. A tale scelta si raccordano le previsioni di dettaglio dei commi 2 e 3, riguardanti i beni paesaggistici, come la fascia costiera, che a tale obbligo – nella prospettazione della parte resistente – non sarebbero assoggettati.
10.– La finalità che accomuna le previsioni impugnate e giustifica la trattazione unitaria delle relative questioni di legittimità costituzionale è l’adeguamento del piano paesaggistico delle aree costiere alle novità apportate dal d.lgs. n. 63 del 2008, che ha tracciato i confini dell’obbligo di elaborazione congiunta del piano e ha definito in senso restrittivo i beni paesaggistici di cui all’art. 134, comma 1, lettera c), sottoposti a tale obbligo.
Tale finalità di adeguamento traspare sia dall’art. 1, comma 1, della legge regionale impugnata, che fa decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 63 del 2008 l’efficacia delle nuove previsioni, sia dall’esame dei lavori preparatori, i quali confermano l’intenzione di rivedere in senso più duttile le prescrizioni del piano paesaggistico, eliminando gli asseriti intralci alla realizzazione di uno sviluppo sostenibile dell’isola.
In tale orizzonte, si inquadra anche l’interpretazione autentica del divieto di realizzazione di strade extraurbane di dimensioni superiori alle due corsie, che precisa l’ambito applicativo del divieto posto dall’art. 20, comma 1, lettera b), numero 1), delle norme tecniche di attuazione del piano.
L’incidenza delle previsioni impugnate sul processo ancora in fieri di adeguamento del piano paesaggistico segna la peculiarità della vicenda sottoposta al vaglio di questa Corte. Tale incidenza rappresenta il fulcro delle censure del ricorrente, che menziona a più riprese le previsioni dell’art. 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, richiamate anche negli atti sottoscritti dalla stessa Regione autonoma Sardegna nel corso delle intese intavolate con lo Stato.
11.– Il piano paesaggistico deve essere aggiornato e rivisto nel contesto della procedura di adeguamento, secondo le scansioni delineate dagli artt. 143 e 156 cod. beni culturali, che fa salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome e contempla anche la facoltà di stipulare intese tra Regioni e Ministero.
Tale procedura, nel prescrivere una revisione organica, persegue l’obiettivo di preservare la complessiva efficacia della pianificazione paesaggistica, strumento esso stesso «funzionale alla salvaguardia più ampia ed efficace dell’ambiente e del paesaggio e dei molteplici interessi di risalto costituzionale che convergono nella tutela riconosciuta dall’art. 9 Cost.» (sentenza n. 124 del 2021, punto 5.5.3. del Considerato in diritto).
Alle previsioni dettate a tale riguardo dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, in quanto coessenziali all’esigenza di garantire l’impronta unitaria e la prevalenza della pianificazione paesaggistica, si deve conformare la Regione autonoma Sardegna nell’esercizio della potestà legislativa attribuita dallo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione.
Il ruolo basilare della procedura di adeguamento è confermato dalla stessa normativa che la Regione autonoma Sardegna ha dettato in merito all’aggiornamento del piano (art. 11 della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2009, n. 4, recante «Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo»), allo scopo di rafforzarne il ruolo di «principale strumento della pianificazione territoriale regionale», nella prospettiva di «un’adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio» (art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 25 novembre 2004, n. 8, recante «Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale»).
12.– La disciplina impugnata si discosta dai principi richiamati con riguardo a punti salienti, che investono la transizione al nuovo sistema di tutela, incentrato sulla specifica individuazione dei beni paesaggistici, secondo i requisiti tipizzati dall’art. 136 cod. beni culturali; transizione che proprio un’ordinata procedura di adeguamento avrebbe dovuto governare, mediante l’approfondita valutazione dei beni paesaggistici già individuati in base alla normativa originaria e la verifica della rispondenza di tali beni ai caratteri oggi prescritti dal legis latore statale, secondo un’evoluzione che precisa e chiarisce, senza sconfessarlo in radice, l’assetto previgente.
La normativa denunciata, in tutte le previsioni in cui si articola, attua un adeguamento del piano delle aree costiere con modalità che deviano dal percorso tracciato dagli artt. 143 e 156 del d.lgs. n. 42 del 2004, in un quadro di regole poi specificato nelle sue concrete linee operative dalle intese intercorse tra le parti, in armonia con il principio di leale collaborazione.
Tali intese prendono le mosse dal protocollo del 19 febbraio 2007, provvisto di una chiara portata vincolante alla luce dell’univoco richiamo all’impegno delle parti, ma non si esauriscono in tale atto formale. Esse si dipanano attraverso una serrata interlocuzione, che si è svolta anche in tempi recenti, come la difesa statale non ha mancato di rilevare nel porre in risalto la peculiarità delle odierne questioni.
All’adeguamento condiviso del piano hanno dato impulso, tra l’altro, i disciplinari attuativi del 1° marzo 2013 e del 18 aprile 2018, approvati anche dalla Giunta, particolareggiati nel descrivere le modalità congiunte delle operazioni di verifica e di adeguamento, in coerenza con il quadro delineato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
L’adeguamento unilaterale del piano paesaggistico al mutato contesto normativo, in quanto dissonante rispetto al percorso prefigurato dal legislatore statale e puntualizzato dalle parti in armonia con le previsioni del Codice di settore, contravviene dunque al principio di leale collaborazione, il cui rilievo è confermato dal legislatore statale come norma di grande riforma economico-sociale che vincola l’autonomia speciale.
13.– Restano assorbite le altre censure formulate dal ricorrente e concernenti la violazione degli artt. 3, 9 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU.
14.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020.
Resta privo di oggetto l’art. 2 della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020, che regola l’entrata in vigore della norma dichiarata costituzionalmente illegittima.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Sardegna 13 luglio 2020, n. 21 (Norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2021.