Ordinanza n. 219 del 2020

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ORDINANZA N. 219

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Mario Rosario MORELLI;

Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO’, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 731 del codice penale, promosso dal Giudice di pace di Taranto nel procedimento penale a carico di M. C. e altri, con ordinanza del 19 aprile 2019, iscritta al n. 224 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 settembre 2020 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

deliberato nella camera di consiglio del 23 settembre 2020.

Ritenuto che il Giudice di pace di Taranto, con ordinanza del 19 aprile 2019, iscritta al n. 224 del registro ordinanze 2019, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 30 e 34, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 731 del codice penale, nella parte in cui sanziona l’inosservanza dell’obbligo di impartire o far impartire la «istruzione elementare» e non anche l’analogo inadempimento riguardo alla «scuola media inferiore di 1° grado» ed ai «primi due anni dell’istruzione secondaria superiore»;

che il rimettente, nell’ambito del dibattimento relativo a un procedimento penale promosso nei confronti di varie persone per il reato di cui all’art. 731 cod. pen., rileva in via preliminare come, secondo la giurisprudenza di legittimità, tale disposizione sanzioni ormai la sola violazione degli obblighi di istruzione concernenti la scuola elementare, così come si desume dal suo tenore letterale;

che, infatti, non è più vigente la norma che aveva esteso l’applicazione della previsione incriminatrice all’inadempimento degli obblighi in parola riguardo alla scuola media inferiore, cioè l’art. 8 della legge 31 dicembre 1962, n. 1859 (Istituzione e ordinamento della scuola media statale), abrogato mediante l’art. 1 del decreto legislativo 13 dicembre 2010, n. 212 (Abrogazione di disposizioni legislative statali, a norma dell’articolo 14, comma 14-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246);

che gli obblighi di istruzione, nel corso del tempo, sono stati estesi fino a comprendere un ciclo di studi della durata di almeno dodici anni, o comunque fino all’ottenimento di una qualifica professionale triennale entro il diciottesimo anno di età (art. 1, comma 3, del decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76, recante «Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, a norma dell’articolo 2, comma 1, lettera c, della legge 28 marzo 2003, n. 53»), e poi riferiti a una istruzione impartita per almeno dieci anni e finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o una qualifica professionale triennale [art. 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)»];

che, a parere del rimettente, a fronte di tali previsioni, la penalizzazione solo parziale degli obblighi di istruzione sarebbe «manifestamente incostituzionale», valendo anzitutto a istituire, senza razionale giustificazione, un trattamento difforme tra genitori di ragazzi chiamati a ricevere l’istruzione elementare e genitori di giovani interessati al ciclo degli studi secondari;

che la disciplina censurata contrasterebbe anche con gli artt. 30 e 34, secondo comma, Cost., il cui disposto – specie attraverso il riferimento alla istruzione obbligatoria e gratuita impartita per almeno otto anni – obbligherebbe il legislatore ordinario a garantire nella stessa misura l’osservanza dei doveri genitoriali, anche attraverso il presidio della sanzione penale;

che l’intervento additivo proposto riguardo all’art. 731 cod. pen. garantirebbe la migliore aderenza della norma alla mutata realtà dei rapporti sociali, e non risulterebbe invasivo di spazi riservati alla discrezionalità legislativa, posto che proprio il legislatore, con il già citato comma 622 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, ha elevato fino alla soglia dei dieci anni la durata dell’obbligo di istruzione;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 31 dicembre 2019;

che l’Avvocatura generale ha chiesto dichiararsi, per una pluralità di ragioni, la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate;

che farebbe anzitutto difetto, nel provvedimento di rimessione, qualsiasi informazione sui fatti perseguiti nel giudizio a quo e sull’andamento del giudizio stesso, così da precludere ogni valutazione in punto di rilevanza delle questioni sollevate;

che il rimettente avrebbe individuato in modo errato, o comunque in termini solo parziali, la normativa della cui legittimità ha inteso dubitare, posto che, come si legge nella stessa ordinanza di rimessione, l’irrilevanza penale delle violazioni concernenti l’istruzione secondaria sarebbe dovuta a una disposizione abrogatrice della precedente incriminazione, disposizione che avrebbe dunque dovuto costituire oggetto (esclusivo o parziale) delle questioni sollevate;

che comunque, risolutivamente, dette questioni sarebbero inammissibili perché sollecitano un provvedimento additivo degli ambiti di responsabilità penale, come tale precluso dal secondo comma dell’art. 25 Cost.

Considerato che il Giudice di pace di Taranto, con ordinanza del 19 aprile 2019, iscritta al n. 224 del registro ordinanze 2019, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 30 e 34, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 731 del codice penale, nella parte in cui sanziona l’inosservanza dell’obbligo di impartire o far impartire la «istruzione elementare» e non anche l’analogo inadempimento riguardo alla «scuola media inferiore di 1° grado» ed ai «primi due anni dell’istruzione secondaria superiore»;

che l’attuale irrilevanza penalistica dell’inadempimento degli obblighi concernenti l’istruzione secondaria comporterebbe un trattamento ingiustificatamente differenziato tra soggetti tutti gravati dal dovere di procurare ai minori i livelli di istruzione resi obbligatori dalla legge e contrasterebbe, altresì, con gli artt. 30 e 34, secondo comma, Cost., poiché da queste stesse disposizioni costituzionali si evincerebbe il carattere obbligatorio dell’istruzione per la durata di almeno otto anni;

che la disposizione (art. 8 della legge 31 dicembre 1962, n. 1859, recante «Istituzione e ordinamento della scuola media statale») che aveva esteso l’applicazione della previsione incriminatrice, limitatamente all’inadempimento degli obblighi di istruzione presso la scuola media inferiore, è stata abrogata a opera dell’art. 1 del decreto legislativo 13 dicembre 2010, n. 212 (Abrogazione di disposizioni legislative statali, a norma dell’articolo 14, comma 14-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246);

che ne consegue, secondo costante giurisprudenza di legittimità, il mancato allineamento tra durata del periodo di istruzione obbligatoria e relativo presidio sanzionatorio penale;

che il rimettente, peraltro, nulla argomenta su tale specifica vicenda abrogativa e comunque non coinvolge nelle proprie censure la ricordata disposizione abrogatrice;

che, inoltre, l’ordinanza di rimessione riassume assai succintamente gli elementi della fattispecie per cui è giudizio, impedendo qualunque controllo sulla rilevanza delle questioni di legittimità sollevate;

che, in ogni caso e soprattutto, il rimettente richiede un intervento additivo in malam partem poiché domanda di estendere l’ambito di applicazione di una norma incriminatrice;

che, tuttavia, la giurisprudenza costituzionale, alla luce della riserva di legge posta nel secondo comma dell’art. 25 Cost., ha da tempo chiarito che non sono consentite, in materia penale, pronunce che estendano il novero delle condotte punibili (tra le decisioni più recenti, ex multis, sentenze n. 155 e n. 37 del 2019, n. 236 e n. 143 del 2018);

che inoltre, nel caso di specie, non si è al cospetto dell’introduzione di norme penali di ingiustificato favore riguardo a determinati soggetti o a comportamenti sottratti a una previsione incriminatrice di carattere generale, oppure a fenomeni di scorretto esercizio del potere legislativo, o ancora alla violazione di obblighi di matrice sovranazionale (in particolare, sentenza n. 37 del 2019), cioè alle specifiche ipotesi in cui la giurisprudenza costituzionale considera ammissibile il controllo di legittimità costituzionale con potenziali effetti in malam partem;

che, in particolare, la lamentata irrilevanza penalistica delle condotte sommariamente descritte dal rimettente non costituisce deroga a un regime generalizzato di penalizzazione delle omissioni concernenti gli obblighi di istruzione;

che, dunque, le questioni devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 731 del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 30 e 34, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Taranto con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2020.

F.to:

Mario Rosario MORELLI, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2020.