SENTENZA N. 242
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 15 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 (Disciplina delle agevolazioni tributarie), promosso dalla Corte di cassazione, sezioni unite, nel procedimento vertente tra l’Agenzia del territorio e l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa (già Sviluppo Italia spa), con ordinanza del 3 giugno 2015, iscritta al n. 335 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti l’atto di costituzione dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 ottobre 2017 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato Alessandro Trivoli per l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 3 giugno 2015 la Corte di cassazione, sezioni unite, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 (recte: primo comma) del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 (Disciplina delle agevolazioni tributarie) – nella versione applicabile ratione temporis, in vigore anteriormente alle modifiche apportate dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)» – in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, nella parte in cui esclude l’applicazione dell’agevolazione fiscale ivi prevista alle operazioni relative ai finanziamenti a medio e lungo termine effettuate dagli intermediari finanziari.
Secondo la disposizione censurata «Le operazioni relative ai finanziamenti a medio e lungo termine e tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalità inerenti alle operazioni medesime, alla loro esecuzione, modificazione ed estinzione, alle garanzie di qualunque tipo da chiunque e in qualsiasi momento prestate e alle loro eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni anche parziali, ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione a tali finanziamenti, effettuate da aziende e istituti di credito e da loro sezioni o gestioni che esercitano, in conformità a disposizioni legislative, statutarie o amministrative, il credito a medio e lungo termine, sono esenti dall’imposta di registro, dall’imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali e dalle tasse sulle concessioni governative».
1.1.– Il rimettente riferisce che, ai sensi del citato art. 15 del d.P.R. n. 601 del 1973, la società d’intermediazione finanziaria Sviluppo Italia spa – ora Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa – aveva usufruito dell’esenzione dall’imposta ipotecaria in relazione ad un atto del 2003 concernente un mutuo precedentemente erogato. Riscontrata la mancanza del requisito soggettivo previsto per godere del beneficio, l’Agenzia del territorio aveva provveduto a recuperare l’imposta mediante due avvisi di liquidazione, avverso i quali la società contribuente aveva proposto ricorso, sostenendo di aver diritto all’esenzione in quanto «intermediario finanziario» iscritto nell’elenco all’epoca contemplato dall’art. 107, comma 1, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante «Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia» (TUB), e quindi abilitato all’attività di concessione di finanziamenti. L’adita Commissione tributaria provinciale aveva accolto il ricorso con sentenza confermata in appello dalla Commissione tributaria regionale. Avverso la decisione di quest’ultima l’Agenzia del territorio aveva promosso ricorso per cassazione. Con ordinanza interlocutoria la sezione tributaria della Corte di cassazione aveva rimesso al vaglio delle sezioni unite la questione relativa all’applicabilità del beneficio fiscale di cui all’art. 15 del d.P.R. n. 601 del 1973 – con conseguente assoggettamento all’imposta sostitutiva prevista dal successivo art. 17 – alle operazioni relative ai finanziamenti a medio e lungo termine effettuate dagli intermediari finanziari abilitati alla relativa erogazione, rinvenendo nella giurisprudenza di legittimità due orientamenti tra loro inconciliabili. Il primo di essi esclude che il trattamento privilegiato possa essere riconosciuto agli intermediari finanziari, da un lato perché la norma lo riserverebbe esclusivamente alle «aziende e istituti di credito e […] loro sezioni o gestioni» e ora – a seguito dell’evoluzione della disciplina di settore, di cui il rimettente dà ampiamente conto – alle «banche» e, dall’altro, in virtù del principio generale per cui le disposizioni che, come nella specie, riconoscano agevolazioni e benefici fiscali in deroga al regime ordinario, in quanto eccezionali, sarebbero di stretta interpretazione e insuscettibili di applicazione analogica. Il secondo orientamento, espresso in un’unica occasione, riconosce l’applicabilità del beneficio attraverso un’interpretazione logico-sistematica e costituzionalmente orientata dell’art. 15 del d.P.R. n. 601 del 1973, ripercorrendo l’evoluzione storica dell’attività creditizia – aperta anche agli intermediari finanziari, cui l’art. 47 del TUB, richiamato dal successivo art. 107, comma 7 (ora dall’art. 110, comma 1), avrebbe dischiuso il settore del finanziamento agevolato in piena equiparazione alle banche, anche sul piano della disciplina fiscale – ed ovviando al rischio di incoerenze, di dubbia legittimità costituzionale, nella disciplina di settore.
Il rimettente esclude di poter condividere la tesi ermeneutica da ultimo citata. Anzitutto, nega che l’art. 47 del TUB possa essere interpretato nel senso propugnato dall’orientamento minoritario, atteso che esso riguarderebbe i soli «finanziamenti agevolati» – vale a dire finalizzati alla realizzazione di scopi di particolare rilevanza – e il relativo regime, con la conseguenza che il rinvio a tale norma disposto dall’art. 107 (ora dall’art. 110) del TUB, nell’aprire agli intermediari finanziari il settore dei finanziamenti agevolati, estenderebbe loro solo l’applicazione della disciplina fiscale, tariffaria e procedimentale a essi relativa. In secondo luogo, le sezioni unite della Corte di cassazione ribadiscono il principio per il quale le disposizioni fiscali di agevolazione sono di “stretta interpretazione”, ossia inapplicabili a casi o situazioni non riconducibili al significato letterale del testo normativo. Ciò in virtù sia dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile, trattandosi di deroghe al regime fiscale e al criterio, cui esso si informa, di correlazione tra obbligo tributario e capacità contributiva (art. 53 Cost.), sia della circostanza che l’ambito dell’imposizione è tracciato dal legislatore – in positivo e, simmetricamente, in negativo – a salvaguardia dell’equilibrio tra gli interessi che si contrappongono nel rapporto tributario, ossia la garanzia dei contribuenti (art. 23 Cost.) e le esigenze di bilancio dell’ente impositore (art. 81 Cost.). Di qui l’impossibilità di un’integrazione interpretativa – ma in ottica non difforme da quella propria dell’analogia – che trascenda i confini semantici del dato normativo letterale, quale sarebbe quella di riportare alla nozione di «banca», testualmente riferibile all’art. 15 del d.P.R. n. 601 del 1973, quella di «intermediario finanziario», ontologicamente eterogenea e non pienamente coincidente sul piano dell’operatività. Tale conclusione troverebbe conforto nel rilievo che, quando il legislatore ha inteso estendere l’applicazione dell’agevolazione a situazioni esulanti dal dato letterale, vi ha provveduto esplicitamente, come accaduto per le operazioni di mutuo relative all’acquisto di abitazioni poste in essere da enti, istituti, fondi e casse previdenziali nei confronti dei propri dipendenti e iscritti (art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge 3 agosto 2004, n. 220, recante «Disposizioni urgenti in materia di personale del Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA), di applicazione delle imposte sui mutui e di agevolazioni per imprese danneggiate da eventi alluvionali nonché di personale di pubbliche amministrazioni, di differimento di termini, di gestione commissariale della associazione italiana della Croce Rossa e di disciplina tributaria concernente taluni fondi immobiliari», convertito, con modificazioni, dalla legge 19 ottobre 2004, n. 257) e per le operazioni di finanziamento realizzate dalla Cassa depositi e prestiti spa (art. 1, comma 32, della legge n. 244 del 2007).
1.2.– Tanto premesso, il rimettente, anche alla luce delle considerazioni svolte dalla giurisprudenza non condivisa, ritiene che l’art. 15 del d.P.R. n. 601 del 1973, interpretato nel senso dell’inapplicabilità dell’agevolazione agli intermediari finanziari, violi gli artt. 3 e 41 Cost.
Infatti, sebbene morfologicamente e funzionalmente non pienamente assimilabili alle banche – essendo abilitati solo alla raccolta del «risparmio di rischio» e non del risparmio pubblico «a vista» o «rimborsabile», cioè con obbligo di restituzione – gli intermediari finanziari, con riguardo all’attività considerata dalla norma censurata, opererebbero con le medesime modalità e nello stesso mercato degli operatori bancari. Con la conseguenza che il diverso trattamento provocherebbe un effetto distorsivo sulla concorrenza per il vantaggio derivante alle banche dal minor costo del prodotto offerto non per specifici meriti imprenditoriali ma per una scelta fiscale che non troverebbe giustificazione nelle differenze sul piano della costituzione della provvista che alimenta l’attività creditizia. Di qui la violazione della libertà di concorrenza, coessenziale alla libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost., e dell’art. 3 Cost. in ragione dell’ingiustificata discriminazione realizzata dalla norma agevolativa che la consentirebbe.
1.3.– Dopo aver escluso di poter definire altrimenti la controversia, il rimettente osserva che, una volta condivisa la tesi ermeneutica restrittiva, l’agevolazione prevista dall’art. 15 del d.P.R. n. 601 del 1973 potrebbe essere applicata alla fattispecie al suo esame solo in esito alla declaratoria di illegittimità costituzionale della norma nei termini richiesti, onde la rilevanza della questione.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata manifestamente infondata.
Ad avviso della difesa erariale, banche e intermediari finanziari costituirebbero soggetti non equiparabili, in ragione delle differenze morfologiche e funzionali riconosciute dallo stesso rimettente, con la conseguenza di impedire il giudizio di equiparazione ai sensi dell’art. 3 Cost.
La limitazione dell’agevolazione di cui all’art. 15 del d.P.R. n. 601 del 1973 alle sole banche troverebbe giustificazione nel fatto che solo a esse, e non anche agli intermediari finanziari, sarebbe concesso di operare la raccolta del risparmio pubblico, direttamente tutelato dall’art. 47, primo comma, Cost. Proprio tale esigenza di tutela fonderebbe quell’effetto ritenuto distorsivo della concorrenza dal rimettente, con conseguente esclusione del contrasto con l’art. 41 Cost.
3.– Si è costituita in giudizio Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa (già Sviluppo Italia spa), parte nel giudizio principale, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata o, in subordine, l’adozione di una pronuncia interpretativa di rigetto.
A suo avviso, la ratio dell’agevolazione prevista dalla norma censurata andrebbe individuata nel favore che il legislatore intenderebbe accordare agli investimenti produttivi, nella previsione che essi possano creare nuova ricchezza, sulla quale più adeguatamente applicare il prelievo fiscale. Poiché tale ratio sarebbe condivisa anche dai finanziamenti a medio e lungo termine offerti dagli intermediari finanziari, non sussisterebbero ostacoli all’estensione del beneficio in considerazione, pena una discriminazione che non troverebbe ragionevole giustificazione negli elementi di diversità rispetto alle banche e uno svantaggio competitivo che pregiudicherebbe l’assetto concorrenziale del mercato, con conseguente vulnus, rispettivamente, agli artt. 3 e 41 Cost.
Considerato in diritto
1.− La Corte di cassazione, sezioni unite, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 (recte: primo comma) del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 (Disciplina delle agevolazioni tributarie) – nella versione applicabile ratione temporis, in vigore anteriormente alle modifiche apportate dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)» – in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione.
La disposizione censurata esenta dalle imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali e dalle tasse sulle concessioni governative le operazioni relative ai finanziamenti a medio e lungo termine effettuate da aziende e istituti di credito e da loro sezioni o gestioni.
Ad avviso delle sezioni unite, il regime tributario in questione non sarebbe applicabile agli intermediari finanziari, alla cui categoria appartiene il contribuente parte del giudizio principale. A tale conclusione le sezioni unite pervengono dirimendo il contrasto insorto in seno alla sezione tributaria della medesima Corte di cassazione tra due orientamenti. Quello prevalente esclude l’applicabilità del trattamento privilegiato agli intermediari finanziari, in quanto riservato esclusivamente alle «banche» a seguito dell’evoluzione della disciplina di settore, nonché in virtù del principio generale per cui le disposizioni eccezionali che riconoscano benefici fiscali in deroga al regime ordinario sarebbero di stretta interpretazione e insuscettibili di applicazione analogica. Il contrario orientamento, espresso in un’unica occasione, estende il trattamento di favore agli intermediari finanziari attraverso un’interpretazione logico-sistematica.
Pur escludendo di poter condividere la tesi ermeneutica minoritaria, il giudice a quo ritiene che l’art. 15 del d.P.R. n. 601 del 1973, interpretato in senso restrittivo, violi gli artt. 3 e 41 Cost. Sebbene morfologicamente e funzionalmente non del tutto assimilabili alle banche – essendo abilitati solo alla raccolta del «risparmio di rischio» e non anche di quello «a vista» o «rimborsabile» – gli intermediari finanziari, con riguardo all’attività considerata dalla norma censurata, agirebbero con le medesime modalità e nello stesso mercato degli operatori bancari. Con la conseguenza che il diverso trattamento normativo provocherebbe un effetto distorsivo sulla concorrenza per il vantaggio derivante alle banche dal minor costo del prodotto offerto. Ciò non in ragione della specificità imprenditoriale ma per una scelta fiscale, che non troverebbe giustificazione nelle differenze inerenti alla costituzione della provvista che alimenta l’attività creditizia. Di qui la violazione della libertà di concorrenza, riconducibile alla libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost., e dell’art. 3 Cost.
È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata manifestamente infondata. Ad avviso della difesa erariale, banche e intermediari finanziari non sarebbero assimilabili, con la conseguenza di rendere impossibile il giudizio di equiparazione ai sensi dell’art. 3 Cost.
La limitazione dell’agevolazione ai soli soggetti bancari troverebbe giustificazione nel fatto che soltanto ad essi, e non anche agli intermediari finanziari, sarebbe concesso di operare la raccolta del risparmio pubblico, direttamente tutelato dall’art. 47, primo comma, Cost. Proprio tale esigenza di tutela fonderebbe quell’effetto, ritenuto distorsivo della concorrenza dal rimettente, con conseguente esclusione del contrasto con l’art. 41 Cost.
2.– La questione di legittimità dell’art. 15, primo comma, del d.P.R. n. 601 del 1973, nella versione in vigore anteriormente alle modifiche apportate dalla legge n. 244 del 2007, è fondata in riferimento a entrambi i parametri evocati.
Secondo la disposizione censurata «Le operazioni relative ai finanziamenti a medio e lungo termine e tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalità inerenti alle operazioni medesime, alla loro esecuzione, modificazione ed estinzione, alle garanzie di qualunque tipo da chiunque e in qualsiasi momento prestate e alle loro eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni anche parziali, ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione a tali finanziamenti, effettuate da aziende e istituti di credito e da loro sezioni o gestioni che esercitano, in conformità a disposizioni legislative, statutarie o amministrative, il credito a medio e lungo termine, sono esenti dall’imposta di registro, dall’imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali e dalle tasse sulle concessioni governative».
In luogo dei tributi da ultimo menzionati il successivo art. 17 prevede il pagamento di un’imposta sostitutiva – in seguito divenuta opzionale per effetto delle modifiche apportate alla disposizione dall’art. 12, comma 4, lettera b), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9 – secondo quanto previsto dagli artt. da 18 a 20 del medesimo d.P.R. n. 601 del 1973.
Il rimettente muove dal presupposto ermeneutico che il regime tributario previsto dalla disposizione censurata si applichi alle sole banche, con esclusione, pertanto, degli intermediari finanziari.
Correttamente egli argomenta che tale interpretazione si è consolidata in diritto vivente poiché – a parte la pronunzia della Corte di cassazione, quarta sezione civile, sentenza 12 marzo 2014, n. 5697 – il giudice della legittimità ha costantemente affermato che l’agevolazione in esame riguarda le sole banche (Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza 28 novembre 1984, n. 6183 e sentenza 23 maggio 1986, n. 3454; Corte di cassazione, quinta sezione civile, sentenza 9 marzo 2011, n. 5570; Corte di cassazione, quinta sezione civile, ordinanza 20 aprile 2012, n. 6234 e sentenza 12 marzo 2014, n. 5697), soluzione condivisa dalle stesse sezioni unite rimettenti.
Ritenendo di non potersi discostare da tale indirizzo esegetico ma dubitando della conformità a Costituzione della norma in esame, il giudice a quo sottopone la stessa a scrutinio di costituzionalità (in senso conforme, ex plurimis, sentenza n. 191 del 2016).
2.1.– Tanto premesso, nell’esame delle censure rivolte all’art. 15, primo comma, del d.P.R. n. 601 del 1973, in riferimento all’art. 3 Cost., occorre prendere le mosse dalla natura agevolativa della norma censurata. La limitazione agli istituti bancari esclude automaticamente la sua applicabilità ad altri soggetti in quanto, oltre agli espressi destinatari, nessun altro è riconducibile al significato letterale del testo normativo (Corte di cassazione, sesta sezione civile, ordinanza 19 marzo 2014, n. 6412; Corte di cassazione, quinta sezione civile, sentenza 24 maggio 2013, n. 12928, ordinanza 20 aprile 2012, n. 6234, sentenza 5 maggio 2011, n. 9903 e sentenza 11 marzo 2011, n. 5845).
È costante orientamento di questa Corte che «norme di tale tipo, aventi carattere eccezionale e derogatorio, costituiscono esercizio di un potere discrezionale del legislatore, censurabile solo per la sua eventuale palese arbitrarietà o irrazionalità (sentenza n. 292 del 1987; ordinanza n. 174 del 2001); con la conseguenza che la Corte stessa non può estenderne l’ambito di applicazione, se non quando lo esiga la ratio dei benefici medesimi» (sentenza n. 177 del 2017).
Nella fattispecie in esame, tuttavia, le situazioni messe a confronto dal rimettente appaiono effettivamente rispondere a una medesima ratio. Questa va rinvenuta nel favore che il legislatore accorda agli investimenti produttivi, in ragione del fatto che essi possono creare nuova ricchezza accrescendo, tra l’altro, il prelievo fiscale (ex multis, Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 16 gennaio 2015, n. 695). Viene dunque in rilievo l’elemento oggettivo comune ad entrambe le situazioni messe a confronto, rappresentato dai finanziamenti a medio e lungo termine.
Ciò comporta l’irrilevanza della diversa natura dei soggetti che pongono in essere tali attività poiché, siano essi le banche o gli intermediari finanziari – a ciò abilitati dall’art. 106, comma 1, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante «Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia» (TUB) –, non v’è ragione per cui gli investimenti produttivi siano discriminati in relazione al soggetto finanziante.
Se nel momento dell’introduzione della disposizione censurata «aziende e istituti di credito», antesignani delle odierne banche, erano gli unici soggetti attivi sulla scena dei finanziamenti a medio e lungo termine, attualmente, in un contesto di pluralità degli operatori abilitati, l’esclusione degli intermediari non trova più ragionevole giustificazione.
Né si può condividere l’argomento sostenuto dall’Avvocatura dello Stato, che si fonda sulla esclusiva competenza delle banche a raccogliere il risparmio, la cui tutela, assicurata dall’art. 47, primo comma, Cost., spiegherebbe il diverso trattamento loro riservato dalla norma censurata.
La tesi collide con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui occorre identificare la ratio sottesa al beneficio onde poi stabilire se sia comune ad entrambe le fattispecie messe a confronto. Poiché nel caso in esame essa afferisce al profilo dell’erogazione del credito e non a quello della predisposizione della provvista, è irrilevante la modalità di apprestamento di quest’ultima, venendo in rilievo solo il momento del finanziamento.
2.2.– Dirimente nel caso in esame è anche il profilo della tutela della concorrenza.
La discriminazione nel conferimento dell’agevolazione fiscale pone obiettivamente in essere un’irragionevole e immotivata deroga al principio di eguaglianza e una contestuale violazione dell’art. 41 Cost. sotto il profilo della libertà di concorrenza, una delle manifestazioni della libertà d’iniziativa economica privata (sentenza n. 94 del 2013).
Peraltro, anche il nono “considerando” della direttiva 15 marzo 1993, n. 93/6/CEE (Direttiva del Consiglio relativa all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi), afferma che «in un mercato comune finanziario gli enti, a prescindere dal fatto che siano imprese di investimento o enti creditizi, sono direttamente concorrenti tra di loro».
Essendo di palmare evidenza la coincidenza oggettiva dei prodotti offerti, l’esclusività del beneficio fiscale attribuito alle operazioni di finanziamento poste in essere dalle banche costituisce, dunque, una discriminazione a danno degli intermediari finanziari e una distorsione della concorrenza nello specifico settore.
Tale beneficio assicura ai prodotti offerti dalle banche un indebito vantaggio, in termini di appetibilità finanziaria, rispetto a quelli degli intermediari, che risultano gravati da maggiori oneri fiscali inevitabilmente ricadenti sul cliente e – per ciò stesso – influenzanti le sue scelte.
3.– Deve essere dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, primo comma, del d.P.R. n. 601 del 1973, nella versione in vigore al momento dell’insorgere della controversia del giudizio a quo, per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost., nella parte in cui esclude l’applicabilità dell’agevolazione fiscale ivi prevista alle analoghe operazioni effettuate dagli intermediari finanziari.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 (Disciplina delle agevolazioni tributarie) – nella versione in vigore anteriormente alle modifiche apportate dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)» – nella parte in cui esclude l’applicabilità dell’agevolazione fiscale ivi prevista alle analoghe operazioni effettuate dagli intermediari finanziari.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2017.