ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 11 e 12 della legge 2 aprile 1979, n. 97 (Norme sullo stato giuridico dei magistrati e sul trattamento economico dei magistrati ordinari e amministrativi, dei magistrati della giustizia militare e degli avvocati dello Stato), come modificati dall’art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), e dell’art. 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, nel procedimento instaurato da F. C. ed altri contro la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri, con ordinanza del 28 luglio 2016, iscritta al n. 249 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 27 settembre 2017 il Giudice relatore Silvana Sciarra.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, con ordinanza del 28 luglio 2016, iscritta al n. 249 del registro ordinanze 2016, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11 e 12 della legge 2 aprile 1979, n. 97 (Norme sullo stato giuridico dei magistrati e sul trattamento economico dei magistrati ordinari e amministrativi, dei magistrati della giustizia militare e degli avvocati dello Stato), come modificati dall’art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), e dell’art. 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), in riferimento agli artt. 3, 36, 38, 101, 104 e 108 della Costituzione;
che gli artt. 11 e 12 della legge n. 97 del 1979 e l’art. 24 della legge n. 448 del 1998, chiamati a disciplinare il meccanismo di adeguamento automatico degli stipendi dei magistrati, sono censurati in quanto conducono «al risultato di conguagli di segno negativo a carico del personale di Magistratura, della ripetizione di acconti anticipati nel triennio trascorso, della rideterminazione dei livelli stipendiali non comprensivi degli acconti risultati non dovuti e del mancato riconoscimento di acconti a valere per il triennio successivo», non escludono «la possibilità di conguagli di segno negativo», non prevedono «modalità alternative di determinazione dell’adeguamento stipendiale triennale – quale “guarentigia” idonea a salvaguardare l’indipendenza dei magistrati – pur in assenza del presupposto “degli incrementi realizzati nel triennio precedente dalle altre categorie dei pubblici dipendenti”»;
che il giudice rimettente, in punto di fatto, espone di dover decidere sul ricorso proposto da alcuni magistrati ordinari contro il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 agosto 2015 (Adeguamento triennale stipendi e indennità del personale di magistratura ed equiparati) e i connessi provvedimenti applicativi, che hanno disposto «l’applicazione dell’adeguamento triennale nella misura dello 0,01 per cento, a decorrere dal 1°.1.2015, alla misura della retribuzione in vigore al 1°.1.2012, nonché del conseguente conguaglio, con la medesima decorrenza 1°.1.2015, degli acconti corrisposti negli anni 2013 e 2014»;
che, nella prospettiva del giudice rimettente, la normativa sull’adeguamento triennale automatico degli stipendi del personale di magistratura costituisce la «indefettibile base normativa» dei provvedimenti impugnati, suscettibili di essere caducati per effetto di una pronuncia di accoglimento, a conferma della rilevanza della proposta questione di legittimità costituzionale;
che la disciplina in esame contrasterebbe con gli artt. 3, 36 e 38 Cost., «in quanto, nell’ipotesi di variazioni trascurabili o negative nelle retribuzioni di riferimento, il descritto meccanismo di adeguamento triennale degli emolumenti comporta, a carico del personale di Magistratura, il calcolo di conguagli di segno negativo, il recupero di acconti anticipati nel decorso triennio, la rideterminazione di livelli stipendiali non comprensivi degli acconti già erogati e risultati non dovuti, nonché il mancato riconoscimento di acconti a valere sul triennio successivo» e così ridurrebbe «la remunerazione della funzione di magistrato e soggetti equiparati», che è «una vera e propria e stabile attività lavorativa professionale», con possibili «ulteriori riduzioni in relazione alla possibile futura dinamica negativa dei salari»;
che un meccanismo così congegnato determinerebbe «una corrispondente decurtazione dei contributi previdenziali e, di conseguenza, del trattamento di fine servizio e pensionistico, con la conseguente violazione del diritto al lavoro e ad una retribuzione “proporzionata alla quantità e qualità” del lavoro prestato, oltre che alla conseguente implementazione della tutela assistenziale e previdenziale garantita dall’ordinamento»;
che il giudice a quo denuncia il contrasto con gli artt. 101, 104 e 108 Cost., in quanto il mancato adeguamento degli stipendi dei magistrati e la mancata percezione di acconti per il triennio successivo, in caso di mancanza di incrementi o di variazioni trascurabili delle retribuzioni degli altri pubblici dipendenti “contrattualizzati”, vanificherebbe la funzione di garanzia dell’indipendenza della magistratura, demandata al sistema di adeguamento retributivo automatico;
che la Costituzione tutelerebbe tale autonomia anche dal punto di vista del trattamento economico, imponendo meccanismi che svincolino la progressione stipendiale da una «dialettica contrattualistica»;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio;
che l’Avvocatura generale dello Stato, in linea preliminare, eccepisce l’inammissibilità delle questioni incentrate sugli artt. 3, 36 e 38 Cost., per omessa motivazione sulla rilevanza, poiché nessun ragguaglio sarebbe fornito circa l’eventuale sufficienza della retribuzione e l’idoneità della stessa nell’assicurare un’esistenza libera e dignitosa;
che, anche a volere attribuire rilievo decisivo al solo fatto del mancato adeguamento delle retribuzioni, la questione di legittimità costituzionale «sarebbe manifestamente infondata in quanto nessun riferimento al suddetto meccanismo è ivi contenuto»;
che l’atto di intervento prospetta l’inammissibilità della censura di violazione del principio di eguaglianza, sul presupposto che il giudice rimettente abbia omesso ogni raffronto tra le retribuzioni del personale della magistratura e le retribuzioni delle altre categorie, neppure individuate, del comparto pubblico;
che un’ulteriore ragione di inammissibilità si coglierebbe nella mancata considerazione del meccanismo di aumento degli stipendi dei magistrati, correlato ai passaggi di qualifica e per classi e scatti biennali;
che la questione di legittimità costituzionale sarebbe inammissibile, per insussistenza di una «concreta ed effettiva» rilevanza, nella parte in cui tratteggia una futura dinamica negativa dei salari, ipotesi meramente eventuale e priva di ogni oggettivo riscontro;
che anche le censure incentrate sulla violazione degli artt. 101, 104 e 108 Cost. incorrerebbero in profili di inammissibilità, poiché risulterebbero avvalorate da un riferimento oltremodo generico al possibile vulnus all’autonomia e all’indipendenza della magistratura;
che l’Avvocatura generale dello Stato ravvisa l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale perché orientate a richiedere un incremento retributivo per il solo personale della magistratura, secondo un sistema di dubbia razionalità, non costituzionalmente imposto;
che il legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità potrebbe individuare svariati meccanismi compatibili con i precetti costituzionali;
che la questione di legittimità costituzionale sarebbe inammissibile per l’ulteriore ragione che una pronuncia di accoglimento non sarebbe idonea a «soddisfare l’interesse evidenziato nella ordinanza di rimessione».
Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, dubita della legittimità costituzionale degli artt. 11 e 12 della legge 2 aprile 1979, n. 97 (Norme sullo stato giuridico dei magistrati e sul trattamento economico dei magistrati ordinari e amministrativi, dei magistrati della giustizia militare e degli avvocati dello Stato), come modificati dall’art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), e dell’art. 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), in riferimento agli artt. 3, 36, 38, 101, 104 e 108 della Costituzione;
che, secondo il giudice rimettente, il meccanismo di adeguamento automatico triennale del personale della magistratura, ancorato alla media degli incrementi realizzati nel triennio precedente dalle altre categorie di pubblici dipendenti «per le voci retributive calcolate dall’Istituto centrale di statistica ai fini della elaborazione degli indici delle retribuzioni contrattuali, con esclusione della indennità integrativa speciale», entrerebbe in conflitto con numerosi precetti costituzionali, nella parte in cui non esclude «la possibilità di conguagli di segno negativo» e non contempla «modalità alternative di determinazione dell’adeguamento stipendiale triennale», quando «nel triennio la variazione nelle retribuzioni di riferimento sia di importo trascurabile oppure negativa»;
che il giudice a quo ravvisa il contrasto con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), con il diritto di percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto (art. 36 Cost.) e di beneficiare di una tutela previdenziale adeguata (art. 38 Cost.), con l’autonomia e indipendenza della magistratura (artt. 101, 104 e 108 Cost.), tutelata anche per quel che attiene all’aspetto retributivo;
che le questioni di legittimità costituzionale, nei termini in cui sono formulate, sono manifestamente inammissibili per la dirimente ragione, segnalata anche dalla difesa dello Stato, che sollecitano a questa Corte un intervento dalla valenza eminentemente creativa (ordinanza n. 25 del 2016);
che il sistema di adeguamento automatico triennale degli stipendi, volto ad attuare il precetto costituzionale dell’indipendenza della magistratura (sentenza n. 238 del 1990, punto 2. del Considerato in diritto) e a scongiurare il rischio di periodiche rivendicazioni salariali nei confronti degli altri poteri (sentenza n. 42 del 1993, punto 4. del Considerato in diritto), risponde all’esigenza di rilievo costituzionale di delineare «un meccanismo, sia pure non a contenuto costituzionalmente imposto, che svincoli la progressione stipendiale da una contrattazione e, comunque, in modo da evitare il mero arbitrio di un potere sull’altro» (sentenza n. 223 del 2012, punto 11.4. del Considerato in diritto);
che spetta alla discrezionalità del legislatore, chiamato a scegliere i termini di riferimento più ampi e appropriati (sentenze n. 42 del 1993 e n. 238 del 1990), modulare in concreto tale meccanismo, in modo da affrancare la magistratura da una mera «dialettica contrattualistica» (sentenza n. 223 del 2012) e salvaguardare la costante adeguatezza del suo trattamento economico, che è garanzia imprescindibile dell’autonomia e dell’indipendenza presidiate dalla Costituzione (sentenza n. 1 del 1978, punto 4. del Considerato in diritto);
che il giudice rimettente auspica un intervento della Corte volto a definire modalità alternative di determinazione dell’adeguamento automatico degli stipendi, allorché si registrino variazioni nulle o trascurabili delle retribuzioni dei pubblici dipendenti, indicate come termini di raffronto;
che è lo stesso giudice a quo, nel prefigurare “modalità alternative” di determinazione dell’adeguamento automatico triennale, a evocare una pluralità di opzioni, rimesse all’apprezzamento discrezionale del legislatore e prive di un contenuto costituzionalmente imposto;
che il richiesto intervento in merito alle “modalità alternative” e al presupposto della variazione trascurabile delle retribuzioni di riferimento, per la molteplicità di soluzioni che implica, esula dai compiti di questa Corte;
che tale profilo assorbe ogni ulteriore ragione di inammissibilità.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11 e 12 della legge 2 aprile 1979, n. 97 (Norme sullo stato giuridico dei magistrati e sul trattamento economico dei magistrati ordinari e amministrativi, dei magistrati della giustizia militare e degli avvocati dello Stato), come modificati dall’art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), e dell’art. 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 36, 38, 101, 104 e 108 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 settembre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 novembre 2017.