ORDINANZA N. 48
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 4-bis, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive), in combinato disposto con l’art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), con l’art. 10, comma 9-octies, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, in legge 26 aprile 2012, n. 44, e con l’art. 2, commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori), convertito, con modificazioni, in legge 22 maggio 2010, n. 73, promosso dal Tribunale ordinario di Bari nel procedimento penale a carico di A. M., con ordinanza del 17 novembre 2014, iscritta al n. 264 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visti l’atto di costituzione di A. M. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 febbraio 2017 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi l’avvocato Vincenzo Maria Scarano per A. M. e l’avvocato dello Stato Maurizio Greco per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, con ordinanza del 17 novembre 2014, il Tribunale ordinario di Bari ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 4-bis, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive), «in combinato disposto» con l’art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) (di seguito, TULPS), con l’art. 10, comma 9-octies, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, in legge 26 aprile 2012, n. 44, e con l’art. 2, commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori), convertito, con modificazioni, in legge 22 maggio 2010, n. 73;
che il rimettente denuncia il contrasto delle norme censurate con gli artt. 3, 25 e 41 della Costituzione e con gli artt. 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito, TFUE) – già artt. 43 e 49 del Trattato che istituisce la Comunità europea (di seguito, TCE) – nella parte in cui:
a) consentono di indire una gara nazionale per l’attribuzione di concessioni per l’esercizio dell’attività di giochi e scommesse di durata inferiore a quella delle concessioni rilasciate in precedenza, senza che queste ultime vengano revocate;
b) dispongono che il gioco con vincita in denaro possa essere raccolto dai soggetti titolari di valida concessione rilasciata dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (di seguito, AAMS) esclusivamente nelle sedi e con le modalità previste dalla relativa convenzione di concessione, «con esclusione di qualsiasi altra sede, modalità o apparecchiatura che ne permetta la partecipazione telematica»;
c) sanzionano penalmente i soggetti ai quali sia stato negato il rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 88 del TULPS, pur avendo i requisiti di affidabilità previsti dall’ordinamento, in quanto non in possesso di concessione «per irregolarità commesse nell’ambito di una procedura di gara per il rilascio dell[a] stess[a]»;
che il giudice a quo riferisce di essere investito del processo penale nei confronti di una persona imputata del reato di esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa, di cui all’art. 4, commi 1 e 4-bis, della legge n. 401 del 1989, per avere svolto un’attività organizzata finalizzata alla raccolta in via telematica di scommesse su eventi sportivi per conto di una società di diritto maltese, senza essere munito dei prescritti titoli abilitativi;
che il fatto era stato accertato a seguito di un controllo della Guardia di finanza nei locali utilizzati dall’imputato, in esito al quale si era proceduto al sequestro di nove videoterminali;
che, ciò premesso, il rimettente rileva che la legge italiana subordina l’esercizio dell’attività organizzata di raccolta e gestione delle scommesse a due distinti provvedimenti amministrativi: una concessione, rilasciata dall’AAMS all’esito di una gara pubblica che prevede l’attribuzione di un circoscritto numero di titoli abilitativi, e una autorizzazione di polizia, disciplinata dall’art. 88 del TULPS, il cui rilascio presuppone l’ottenimento della concessione;
che la Corte di giustizia ha, peraltro, affermato – con la sentenza 6 novembre 2003, in causa C-243/01, Gambelli e altri – che il predetto regime costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi, previste dagli artt. 43 e 49 del TCE;
che, nella medesima sentenza, la Corte di Lussemburgo ha precisato, altresì, che simili restrizioni sono ammissibili solo se giustificate da esigenze imperative di carattere generale – quale, nella specie, quella di evitare che la raccolta di scommesse sia svolta per fini criminali o fraudolenti – e sempre che le misure adottate risultino necessarie per il conseguimento dello scopo, proporzionate e non discriminatorie: requisiti la cui sussistenza deve essere verificata dal giudice nazionale;
che tali affermazioni sono state ribadite dalla sentenza della Grande Sezione 6 marzo 2007, nelle cause riunite C 338/04, C 359/04 e C 360/04, Placanica e altri, la quale ha ulteriormente chiarito che contrasta con le citate norme del Trattato una normativa nazionale che sottoponga a pena i soggetti che raccolgano scommesse in assenza della concessione o dell’autorizzazione di polizia, ove il rilascio di queste ultime sia stato loro negato in violazione del diritto comunitario;
che tale ipotesi ricorre, in particolare – sempre secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia – allorché la gara per l’attribuzione di nuove concessioni preveda regole penalizzanti per gli operatori interessati, tali da favorire i titolari delle concessioni rilasciate in precedenza, assicurando loro il consolidamento di posizioni indebitamente acquisite in violazione del diritto comunitario: così come era avvenuto – alla luce di quanto affermato dalla sentenza 16 febbraio 2012, nelle cause riunite C 72/10 e C 77/10, Costa e Cifone – con riguardo alla gara indetta in base al decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248;
che, ad avviso del rimettente, una situazione di tal fatta sarebbe ravvisabile anche nel caso in esame;
che l’imputato nel giudizio a quo aveva, infatti, chiesto l’autorizzazione di cui all’art. 88 del TULPS, ma la stessa gli era stata rifiutata in quanto la società maltese cui era affiliato – regolarmente abilitata alla raccolta di scommesse dalle autorità dello Stato di origine – non era munita della concessione dell’AAMS;
che – secondo il rimettente – detta società non aveva potuto, peraltro, partecipare alla nuova gara per l’affidamento delle concessioni indetta il 26 luglio 2012 ai sensi dell’art. 10, comma 9-octies, del d.l. n. 16 del 2012 (la prima tenutasi dal momento in cui la società ha iniziato ad operare), in ragione del carattere discriminatorio della relativa disciplina;
che discriminatoria risulterebbe, in particolare, la previsione di una durata delle nuove concessioni minore di quella delle concessioni rilasciate precedentemente (tre anni, anziché nove);
che tale minor durata, da un lato, non troverebbe giustificazione nell’obiettivo di prevenire l’esercizio dell’attività a fini criminali o fraudolenti; dall’altro, non assicurerebbe un’adeguata remunerazione degli investimenti, favorendo così gli operatori già presenti, le cui concessioni non sono state revocate, ancorché conseguite in violazione del diritto comunitario;
che un ulteriore profilo di frizione deriverebbe dalla previsione dell’art. 2, commi 2-bis e 2-ter, del d.l. n. 40 del 2010, ove si stabilisce che il gioco con vincita in denaro può essere raccolto dai titolari della concessione rilasciata dall’AAMS solo «nelle sedi e con le modalità previste dalla relativa convenzione di concessione, con esclusione di qualsiasi altra sede, modalità o apparecchiatura che ne permetta la partecipazione telematica»: previsione che apparirebbe anch’essa «in antitesi con [i] diritti comunitari fondamentali sopra evidenziati»;
che – alla luce delle indicazioni della Corte di giustizia e delle numerose pronunce della giurisprudenza di legittimità e di merito relative a fattispecie analoghe – tutto quanto precede imporrebbe di «non applicare la legge penale nel caso di specie» e di assolvere conseguentemente l’imputato perché il fatto non sussiste: ciò in ragione dell’ormai indiscusso primato del diritto comunitario sulla legge nazionale, concordemente riconosciuto tanto dalla Corte di giustizia che dalla Corte costituzionale;
che la «non applicazione» non varrebbe, tuttavia, ad espellere la normativa in questione dall’ordinamento nazionale, privandola di ogni potenzialità operativa: tanto che, nel caso di specie – malgrado il prospettato conflitto con il diritto comunitario – il pubblico ministero ha non solo rigettato la richiesta di dissequestro dei videoterminali, ma ha esercitato, altresì, l’azione penale nei confronti dell’imputato;
che, «ai fini della certezza del diritto e della sua applicazione», la normativa censurata dovrebbe essere, quindi, «necessariamente e preliminarmente» sottoposta a vaglio di legittimità costituzionale – nei termini sopra indicati – «per contrasto con tutte le disposizioni di rango primario, europee ed italiane che siano», così da conseguire una «formale declaratoria di incostituzionalità, sia pure […] parziale e solo in via interpretativa»;
che gli evidenziati profili di incompatibilità con gli artt. 49 e 56 del TFUE si tradurrebbero, infatti, anche in vulnera ai principi costituzionali interni di eguaglianza (art. 3 Cost.), di legalità in materia penale (art. 25 Cost.) e di libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.);
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha eccepito l’inammissibilità della questione;
che, secondo la difesa dell’interveniente, il giudice a quo avrebbe posto un problema di compatibilità delle disposizioni censurate con norme dell’Unione europea provviste di efficacia diretta: problema che – per costante giurisprudenza della Corte costituzionale – spetterebbe non a quest’ultima, ma allo stesso giudice comune risolvere, con l’eventuale ausilio del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia;
che, nel merito, la questione sarebbe – sempre a parere dell’Avvocatura dello Stato – in ogni caso infondata;
che le censure del giudice a quo sarebbero state, infatti, disattese tanto dalla giurisprudenza nazionale – la quale avrebbe respinto tutti i ricorsi presentati da allibratori stranieri per l’annullamento della gara del 2012 – quanto dalla Corte di giustizia, che con la sentenza 22 gennaio 2015, in causa C-463/13, Stanley International Betting Ltd. e Stanleybet Malta Ltd., ha escluso che la minore durata delle nuove concessioni attribuite all’esito di detta gara contrasti con il diritto dell’Unione;
che si è costituito, altresì, A.M., imputato nel giudizio a quo, il quale – condividendo pienamente l’impianto argomentativo dell’ordinanza di rimessione – ha chiesto che la questione venga accolta;
che tanto l’Avvocatura dello Stato che la parte privata hanno depositato memorie, insistendo nelle conclusioni già prese.
Considerato che il Tribunale ordinario di Bari solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 4-bis, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive), «in combinato disposto» con l’art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) (di seguito, TULPS), con l’art. 10, comma 9-octies, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, in legge 26 aprile 2012, n. 44, e con l’art. 2, commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori), convertito, con modificazioni, in legge 22 maggio 2010, n. 73, nella parte in cui:
a) consente di indire una gara nazionale per l’attribuzione di concessioni per l’esercizio dell’attività di giochi e scommesse di durata inferiore a quella delle concessioni rilasciate in precedenza, senza che queste ultime vengano revocate;
b) prevede che il gioco con vincita in denaro possa essere raccolto dai soggetti titolari di valida concessione rilasciata dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato esclusivamente nelle sedi e con le modalità previste dalla relativa convenzione di concessione, con esclusione di qualsiasi altra sede, modalità o apparecchiatura «che ne permetta la partecipazione telematica»;
c) sanziona penalmente i soggetti ai quali sia stato negato il rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 88 del TULPS, pur avendo i requisiti di affidabilità previsti dall’ordinamento, in quanto non in possesso di concessione «per irregolarità commesse nell’ambito di una procedura di gara per il rilascio dell[a] stess[a]»;
che il giudice a quo assume, sulla base di diffusa motivazione, che la disciplina censurata si ponga in contrasto con gli artt. 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito, TFUE) (già artt. 43 e 49 del Trattato che istituisce la Comunità europea), determinando – alla luce delle indicazioni della Corte di giustizia – ingiustificate restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione;
che, per giurisprudenza di questa Corte, fondata sull’art. 11 della Costituzione e costante a partire dalla sentenza n. 170 del 1984, il giudice nazionale deve dare piena e immediata attuazione alle norme dell’Unione europea provviste di efficacia diretta – quali pacificamente sono quelle evocate dall’odierno rimettente (sentenza n. 284 del 2007) – e non applicare, in tutto o anche solo in parte, le norme interne ritenute con esse inconciliabili, previo – ove occorra – rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 267 del TFUE per dirimere possibili dubbi riguardo all’esistenza di tale contrasto (ex plurimis, sentenze n. 226 del 2014, n. 80 del 2011 e n. 125 del 2009; ordinanza n. 207 del 2013);
che la non applicazione deve essere evitata solo quando venga in rilievo il limite – sindacabile unicamente da questa Corte – del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona (ex plurimis, sentenze n. 238 del 2014, n. 284 del 2007 e n. 168 del 1991);
che il giudice a quo non ignora la ricordata giurisprudenza e, anzi, riconosce espressamente che, alla sua stregua, esso giudice – non nutrendo dubbi riguardo alla sussistenza del conflitto con il diritto dell’Unione – dovrebbe non applicare nel caso di specie la normativa censurata, e particolarmente la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 4, commi 1 e 4-bis, della legge n. 401 del 1989, assolvendo, di conseguenza, l’imputato;
che il rimettente reputa, tuttavia, che, «ai fini della certezza del diritto e della sua applicazione», la suddetta normativa debba essere «necessariamente e preliminarmente» sottoposta a vaglio di legittimità costituzionale in riferimento ai principi enunciati dagli artt. 3, 25 e 41 Cost., il vulnus ai quali sarebbe insito nelle stesse considerazioni dimostrative del contrasto con le norme del Trattato;
che, infatti, solo la dichiarazione di illegittimità costituzionale determinerebbe la «formale espunzione dal corpus delle leggi» della disciplina in discussione, evitando che continui ad essere applicata da chi nutra una diversa opinione riguardo all’esistenza di quel contrasto (come il pubblico ministero nel procedimento principale);
che l’asserita pregiudizialità dell’incidente di legittimità costituzionale rispetto alla verifica della compatibilità con il diritto dell’Unione è, peraltro, insostenibile, essendo valida (per quel che si sta per dire) la proposizione esattamente contraria;
che, come ripetutamente affermato da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 75 del 2012; ordinanze n. 298 del 2011, n. 241 del 2010 e n. 100 del 2009) – anche in relazione a questioni inerenti allo stesso art. 4 della legge n. 401 del 1989 e analoghe, per il profilo in esame, a quella odierna (sentenza n. 284 del 2007; ordinanze n. 454 del 2006 e n. 85 del 2002) – la questione di compatibilità comunitaria (oggi con il diritto dell’Unione europea) costituisce un prius logico e giuridico rispetto alla questione di legittimità costituzionale in via incidentale, poiché investe la stessa applicabilità della norma censurata nel giudizio principale e, pertanto, la rilevanza di cotesta questione;
che la convinzione espressa dal rimettente, circa il contrasto delle disposizioni censurate con gli artt. 49 e 56 del TFUE, rende, dunque, incongruente la motivazione sulla rilevanza della questione sollevata, la quale verte su una normativa che – secondo la ricostruzione dello stesso giudice a quo – egli non sarebbe chiamato ad applicare nel giudizio principale (ordinanze n. 241 del 2010 e n. 100 del 2009);
che la dedotta possibilità che altri giudici, o magistrati del pubblico ministero, disconoscano l’esistenza di quel contrasto e continuino, quindi, ad applicare la normativa in esame non muta la conclusione: l’esigenza di dirimere discordanze interpretative non può valere a sovvertire le regole del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, rendendo rilevante una questione che (proprio nella prospettiva del rimettente) non lo è;
che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 4-bis, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive), «in combinato disposto» con l’art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), con l’art. 10, comma 9-octies, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, in legge 26 aprile 2012, n. 44, e con l’art. 2, commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori), convertito, con modificazioni, in legge 22 maggio 2010, n. 73, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25 e 41 della Costituzione e agli artt. 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dal Tribunale ordinario di Bari con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2017.