SENTENZA N. 45
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte nel procedimento vertente tra L.O.O. e il Ministero dell’interno ed altro, con ordinanza del 16 novembre 2015, iscritta al n. 15 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2017 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con ordinanza del 16 novembre 2015, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del «combinato disposto» degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui non consente alla pubblica amministrazione di rilasciare il permesso di soggiorno al cittadino extracomunitario, che abbia ottenuto la regolarizzazione della propria posizione lavorativa irregolare, ai sensi dell’art. 1-ter del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, previo accertamento della pericolosità sociale dello stesso, qualora abbia riportato condanna per uno dei reati indicati dal citato art. 4, comma 3, rientrante tra quelli previsti dall’art. 381 del codice di procedura penale.
2.– L’ordinanza di rimessione premette che V.Z. ha presentato allo Sportello Unico per l’Immigrazione (d’ora in poi, SUI) di Torino, ai sensi del citato art. 1-ter, domanda di regolarizzazione del rapporto di lavoro con L.O.O., cittadino extracomunitario. La procedura di emersione si è conclusa con esito positivo ed è stato emesso il chiesto nulla osta. Convocate le parti per la stipula del contratto di soggiorno, ai sensi del richiamato art. 1-ter, comma 7, il cittadino straniero ha chiesto il permesso di soggiorno per lavoro subordinato. La domanda è stata respinta dal Questore di Torino, con provvedimento dell’8 marzo 2011, poiché il richiedente ha riportato condanna per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). Detta condanna «assorbirebbe la valutazione di pericolosità sociale dello straniero», in quanto il citato art. 1-ter, comma 13, stabilisce quale condizione ostativa al rilascio dello stesso permesso la condanna (anche con sentenza non definitiva, pure se pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod.proc.pen.) per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 cod.proc.pen. Il provvedimento di diniego indica, inoltre, che «il reato di cui si è reso responsabile il richiedente rientra tra quelli espressamente indicati dall’art. 4 […] come ostativi per l’ingresso ed il soggiorno in Italia».
Il cittadino straniero ha impugnato detto provvedimento davanti al TAR per il Piemonte e ne ha chiesto l’annullamento (previa sospensione cautelare), censurando il mancato accertamento in concreto della pericolosità sociale. Nel giudizio si è costituito il Ministero dell’interno, in persona del Ministro protempore, che ha chiesto, «con memoria di mero stile», il rigetto del ricorso. Rigettata la domanda cautelare, all’esito della fase di merito il TAR ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998.
2.1.– Sintetizzato il processo principale, il giudice a quo, in punto di rilevanza, ritiene applicabile il citato «combinato disposto», in quanto lo SUI ha rilasciato il nulla osta, ai sensi dell’art. 1-ter, comma 7, del d.l. n. 78 del 2009 e, quindi, il cittadino straniero può ottenere il permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Tuttavia, egli ha riportato la condanna sopra indicata e, in virtù delle norme censurate, la condanna per un reato «inerent[e] gli stupefacenti» gli impedisce di essere ammesso nel territorio nazionale (il citato art. 4, comma 3) e di ottenere il permesso di soggiorno (il richiamato art. 5, comma 5), senza che occorra accertarne in concreto la pericolosità sociale. Secondo il rimettente, qualora la sollevata questione fosse giudicata fondata, la pubblica amministrazione dovrebbe invece procedere a detto accertamento, con conseguente illegittimità del provvedimento impugnato.
2.2.– Ad avviso del TAR, la violazione dell’art. 3 Cost. conseguirebbe al «raffronto di due sentenze della Corte costituzionale»: le sentenze n. 148 del 2008 e n. 172 del 2012. La prima ha dichiarato non fondata una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, sollevata in riferimento anche all’art. 3 Cost., ritenendo che «non sia manifestamente irragionevole condizionare l’ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio nazionale alla circostanza della mancata commissione di reati di non scarso rilievo». La seconda ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del richiamato art. 1-ter, comma 13, lettera c), – concernente il rilascio del nulla osta ai fini dell’emersione del lavoro irregolare –, «nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto dell’istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall’art. 381 del codice di procedura penale, senza prevedere che la pubblica amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato».
Secondo il TAR, a seguito della sentenza n. 172 del 2012, il cittadino extracomunitario che (come nel caso in esame) ha lavorato irregolarmente al sostegno del bisogno familiare e ed ha riportato condanna penale per il delitto attenuato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R n. 309 del 1990, può ottenere (per il passato) il nulla osta all’emersione del lavoro irregolare, ma non può ottenere (per il futuro) il permesso di soggiorno per lavoro subordinato, neanche allo scopo di proseguire il rapporto di lavoro (questa volta, regolare) presso la stessa famiglia.
Il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, nella formulazione vigente alla data della condanna riportata dal ricorrente ed in quella successivamente modificata, rientra tra i reati di cui all’art. 381, comma 1, cod.proc.pen. e, quindi, a seguito della sentenza di questa Corte n. 172 del 2012, non è automaticamente ostativo al rilascio del nulla osta per l’emersione, ma lo sarebbe in riferimento all’ottenimento del permesso di soggiorno, in virtù del combinato disposto dei censurati artt. 4, comma 3, e 5, comma 5. Tanto determinerebbe l’inevitabile interruzione del legame virtuoso creatosi in una data famiglia e la lesione dei «valori […] difesi nella sentenza n. 172 del 2012».
Secondo il TAR, sussisterebbe dunque «una irragionevolezza intrinseca di sistema», ancora più perché, ai sensi del richiamato art. 1-ter, comma 7, il procedimento oggetto di detta norma «è sostanzialmente unitario ed unitaria ne è la ratio: si inizia con la dichiarazione di emersione, fatta allo Sportello Unico dal datore di lavoro, si prosegue con il rilascio del nulla osta alla regolarizzazione, e si finisce […] con la stipula del contratto di soggiorno e con il rilascio del permesso di soggiorno, in modo da consentire al lavoratore straniero di mantenere e di proseguire il rapporto virtuoso con la famiglia che lo ha accolto (sia pure, originariamente, in modo irregolare)».
La presunzione assoluta di pericolosità sociale applicata al caso del lavoratore irregolare, ma “emerso” a seguito del nulla osta rilasciato ai sensi del citato art. 1-ter, violerebbe inoltre il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). Anche sulla scorta della sentenza n. 172 del 2012, dovrebbe infatti ritenersi che «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali».
2.3.– Ad avviso del TAR, non sarebbe possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate, «così come applicate» alla procedura di emersione del lavoro irregolare oggetto del richiamato art. 1-ter. Il “diritto vivente”, espresso dalla giurisprudenza amministrativa, a suo avviso, applicherebbe «in modo rigoroso l’ostatività che deriva dalla lettera del combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998» (sono richiamate: TAR Puglia, Bari, sezione seconda, sentenza n. 763 del 21 maggio 2015; TAR Toscana, Firenze, sezione seconda, sentenza n. 556 del 7 aprile 2015; TRGA Trentino-Alto Adige, Bolzano, sentenza n. 101 del 16 aprile 2014; TAR Piemonte, Torino, sezione prima, sentenza del 5 novembre del 2014, n. 1681) e detta esegesi sarebbe impedita dalla sentenza di questa Corte n. 148 del 2008. Nella fattispecie in esame, occorrerebbe «attrarre le conclusioni di cui alla sentenza n. 172 del 2012, riguardante il solo (sub)procedimento di emersione, anche al successivo (sub)procedimento di rilascio del permesso di soggiorno, e ritenere così che l’assenza dell’automatica ostatività (della sentenza penale di condanna) predicata per il rilascio del nulla osta alla regolarizzazione possa assistere anche il rilascio del titolo di soggiorno per lavoro». Questa interpretazione potrebbe essere sostenuta valorizzando la natura unitaria del procedimento oggetto dell’art. 1-ter, comma 7, del d.l. n. 78 del 2009, ritenendo che la finalità dello stesso «non possa che assistere sia il rilascio del nulla osta sia il rilascio del vero e proprio permesso di soggiorno, che altri non sono se non due momenti (sia pure logicamente e temporalmente distinti) di un’unica sequenza procedimentale». Nondimeno, secondo il rimettente, questa interpretazione non sarebbe confortata dalla lettera delle norme e si porrebbe in contrasto con la sentenza n. 148 del 2008.
2.4.– La «richiesta di “addizione”», secondo il rimettente, non incontrerebbe le ragioni di inammissibilità rilevate dalla sentenza n. 277 del 2014. Resterebbe, infatti, fermo il «sistema “bipartito” di cui all’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998» e le norme censurate sarebbero integrate, «con il necessario riferimento all’ipotesi del rilascio del permesso di soggiorno quale conseguenza dell’avvenuta emersione dal lavoro irregolare ed alle conclusioni cui, in proposito, è già giunta» questa Corte.
3.– Nel giudizio davanti alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile.
3.1.– Secondo l’interveniente, il rimettente muove dalla corretta premessa dell’unitarietà del procedimento in esame, confortata dalla considerazione che la richiesta di permesso di soggiorno è presentata al momento della stipula del contratto di soggiorno presso lo SUI, che ha previamente acquisito il parere della questura sull’inesistenza di motivi ostativi alla concessione dello stesso (art. 1-ter, comma 7, del d.l. n. 78 del 2009). Successivamente al rilascio del nulla osta, il diniego del permesso di soggiorno sarebbe possibile soltanto qualora sia accertato che il richiedente ha riportato condanne con generalità diverse da quelle in relazione alle quali è stato avviato il procedimento di emersione del lavoro irregolare.
Il TAR ha correttamente ritenuto la natura unitaria del procedimento in esame, ma avrebbe inesattamente riscostruito il quadro normativo di riferimento. Alla fattispecie in esame non sarebbe applicabile la disposizione generale del censurato art. 4, comma 3, ma quella speciale recata dal citato art. 1-ter, il quale stabilisce autonomamente i requisiti per ottenere il permesso di soggiorno. Ad avviso dell’interveniente, il rinvio contenuto nel censurato art. 5, comma 5, in relazione al lavoratore extracomunitario emerso dal lavoro irregolare, andrebbe riferito a detto art. 1-ter, comma 13 (il quale stabilisce quali siano le condanne ostative al rilascio del nulla osta e del permesso di soggiorno), non all’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998. L’unitarietà del procedimento in esame comporterebbe che la domanda proposta nel processo principale deve essere decisa tenendo conto della sentenza n. 172 del 2012 e, quindi, la questione sarebbe inammissibile, per irrilevanza. Lo stesso rimettente indica, infatti, che il provvedimento impugnato è dell’8 marzo 2011 e, appunto per questo, il TAR avrebbe dovuto applicare la norma nel testo risultante da detta sentenza.
3.2.– Secondo l’Avvocatura generale, il procedimento di emersione del lavoro irregolare (oggetto del richiamato art. 1-ter, comma 7) si articola in due fasi, ma va considerato unitariamente, tenuto conto della finalità del medesimo. In una prima fase, è accertata l’ammissibilità della richiesta ed è acquisito il parere del questore in ordine all’inesistenza di motivi ostativi al permesso di soggiorno; successivamente è stipulato il contratto di soggiorno ed il lavoratore extracomunitario richiede il permesso di soggiorno per lavoro subordinato, che può ottenere una volta accertata la regolarizzazione della posizione lavorativa, in virtù della stipula di detto contratto.
A suo avviso, il comma 7 di quest’ultima norma va letto in relazione al comma 13 della stessa, che stabilisce i casi di inammissibilità della regolarizzazione. Dunque, per il permesso di soggiorno da rilasciare in relazione al procedimento di emersione del lavoro irregolare è previsto un automatismo ostativo con riguardo esclusivamente ai reati previsti da detta norma, che non richiama quelli indicati, ratione materiae, nel censurato art. 4, comma 3. All’emersione del lavoro irregolare osta esclusivamente la condanna per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 cod.proc.pen. e, tuttavia, a seguito della sentenza n. 172 del 2012, per quelli riconducibili alla seconda di tali norme, il diniego è condizionato all’accertamento dell’effettiva pericolosità del cittadino straniero.
In definitiva, sussiste una disciplina generale del permesso di soggiorno ed una disciplina speciale concernente l’emersione del lavoro irregolare. Per quest’ultima, è stata ritenuta meritevole di più intensa tutela la situazione di coloro i quali hanno svolto attività di assistenza e sostegno familiare e, quindi, è previsto l’obbligo di accertarne in concreto la pericolosità sociale. La sentenza n. 172 del 2012 ha rimarcato la peculiarità di detta fattispecie e ciò fa anche escludere che la previsione della differente regolamentazione delle due situazioni sia irragionevole.
3.3.– Il carattere unitario del procedimento di emersione, benché articolato in due fasi, comporta che il parere della questura sull’inesistenza di motivi ostativi al permesso di soggiorno va reso facendo applicazione del citato art. 1-ter, comma 13, lettera c). Qualora il lavoratore abbia riportato condanna per un reato riconducibile alla previsione dell’art. 381 cod.proc.pen., anche se inerente agli stupefacenti, a seguito della sentenza n. 172 del 2012, il diniego del nulla-osta e del permesso di soggiorno è legittimo soltanto se sia stata accertata in concreto la pericolosità sociale del lavoratore extracomunitario.
Secondo l’Avvocatura generale, la positiva conclusione del procedimento di emersione del lavoro irregolare «comporta in sé la valutazione positiva sul rilascio del permesso di soggiorno, la cui richiesta, a seguito di perfezionamento del contratto di soggiorno […] non potrebbe che avere esito favorevole». Dunque, il giudizio avente ad oggetto il provvedimento di diniego adottato, come nella specie, «senza che sia stato operato dalla questura un preventivo giudizio sull’effettiva pericolosità dell’extracomunitario, non potrebbe che essere decis[o] in termini di illegittimità del diniego medesimo». Il TAR, «contraddicendo la precedentemente […] affermata unitarietà della procedura di emersione del lavoro […] irregolare» inesattamente ritiene possibile che sia rilasciato il nulla-osta all’emersione, ma sia poi negato il permesso di soggiorno «a causa del reato automaticamente ostativo». Il rimettente avrebbe inesattamente fatto riferimento al censurato art. 4, comma 3, mentre avrebbe dovuto applicare la «disciplina speciale dettata per il permesso di soggiorno da rilasciare» ai lavoratori extracomunitari ammessi alla procedura di emersione e ritenere illegittimo il diniego del permesso di soggiorno, poiché è mancata la valutazione in concreto della pericolosità sociale del richiedente, con conseguente manifesta inammissibilità della sollevata questione.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale del «combinato disposto» degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero). Dette norme sono censurate nella parte in cui impedirebbero al cittadino extracomunitario, che abbia ottenuto la regolarizzazione della propria posizione lavorativa irregolare, ai sensi dell’art. 1-ter del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, di ottenere il permesso di soggiorno, qualora abbia riportato condanna per uno dei reati indicati dal citato art. 4, comma 3, rientrante tra quelli previsti dall’art. 381 del codice di procedura penale, senza che occorra previamente accertarne la pericolosità sociale.
1.1.– Secondo il TAR, il ricorrente nel giudizio principale ha riportato condanna per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), che rientra tra quelli previsti dall’art. 381, comma 1, cod.proc.pen. Egli ha presentato domanda di emersione del lavoro irregolare, ai sensi del citato art. 1-ter, ed il procedimento si è concluso positivamente, con il rilascio del nulla-osta da parte dello Sportello Unico per l’Immigrazione e la convocazione delle parti per la stipula del contratto di soggiorno. Tale condanna, in virtù della dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunciata da questa Corte con la sentenza n. 172 del 2012, non è, infatti, di per sé sola ostativa al rilascio di detto nulla osta. In virtù del «combinato disposto» degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, i quali stabiliscono il cosiddetto automatismo espulsivo (giudicato non irragionevole dalla Corte, con la sentenza n. 148 del 2008), detta condanna sarebbe invece ostativa al rilascio del permesso di soggiorno, senza che occorra accertare la pericolosità sociale del richiedente.
A suo avviso, «il dubbio di costituzionalità deriva dal raffronto» di dette sentenze. Non sarebbe, infatti, ragionevole che il cittadino extracomunitario, il quale abbia riportato condanna per un reato riconducibile all’art. 381 cod.proc.pen., da un canto, può «ottenere (per il passato) il nulla osta all’emersione dal lavoro irregolare», poiché, in virtù della sentenza n. 172 del 2012, il rigetto dell’istanza di regolarizzazione è condizionato all’accertamento che il medesimo rappresenta una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Dall’altro, egli non potrebbe invece ottenere «(per il futuro)» il permesso di soggiorno, a causa dell’automatismo espulsivo stabilito dalle norme censurate, ritenuto non irragionevole dalla sentenza n. 148 del 2008.
Secondo il giudice a quo, sussisterebbe dunque «una irragionevolezza intrinseca di sistema», dato che il procedimento di emersione del lavoro irregolare ex art. 1-ter, comma 7, del d.l. n. 78 del 2009 «è sostanzialmente unitario ed unitaria ne è la ratio». Nondimeno, egli non ritiene possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata dei censurati artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, «così come applicati alla procedura di emersione», valorizzando la «natura unitaria» del relativo procedimento, che reputa impedita dal diritto vivente. La presunzione assoluta di pericolosità sociale, desunta dalla condanna per uno dei reati indicati nel citato art. 4, comma 3, applicata alla fattispecie di emersione del lavoro irregolare, sarebbe inoltre irragionevole, arbitraria e lesiva dell’art. 3 Cost.
2.– La questione è inammissibile, essendo fondata, nei limiti e nei termini di seguito indicati, l’eccezione in tal senso proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri.
2.1.– Il giudizio principale ha ad oggetto il provvedimento di diniego del permesso di soggiorno, richiesto in relazione ad un procedimento di emersione del lavoro irregolare, ai sensi del citato art. 1-ter, che, come indicato dal TAR, «si concludeva positivamente». La premessa dell’ordinanza, in ordine alla riconducibilità del reato ritenuto ostativo a tale permesso tra quelli contemplati dall’art. 381 cod.proc.pen. ed all’applicabilità di detta norma, nel testo risultante dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunciata dalla sentenza n. 172 del 2012, è corretta. Il sopravvenuto accertamento dell’incostituzionalità parziale della norma costituisce, infatti, un profilo invalidante dell’atto che, alla data della sentenza, era ancora sub judice. Nondimeno, proprio la correttezza di tale premessa evidenzia carenze e contraddizioni della motivazione della sollevata questione.
2.2.– Il rimettente formula la censura, muovendo dalla considerazione che il procedimento di emersione del lavoro irregolare «è sostanzialmente unitario ed unitaria ne è la ratio», ma non approfondisce gli effetti di tale configurazione. Il TAR avrebbe dovuto, infatti, verificare se questa permetta di ritenere che le cause ostative alla regolarizzazione ed i requisiti del permesso di soggiorno siano soltanto quelli previsti da detta norma (distintamente rispetto alla disciplina generale), con la conseguenza che, una volta ritenuti sussistenti i requisiti dell’emersione, il permesso di soggiorno non potrebbe essere negato, sulla scorta di cause ulteriori e diverse e, nella fattispecie oggetto del giudizio principale, senza quindi accertare in concreto la pericolosità del richiedente.
2.3.– Tale verifica è imposta dalla constatazione che, anche con riguardo alla disciplina dell’emersione del lavoro irregolare recata dall’art. 5 del decreto legislativo 16 luglio 2012, n. 109, recante «Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare» (alla quale è possibile fare riferimento, in considerazione della sostanziale identità della regolamentazione stabilita da questa norma e dal citato art. 1-ter), un orientamento della giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che «il procedimento di emersione (…) è comunque unico» e regolamentato esclusivamente dalla «disciplina speciale» (TAR Piemonte, Torino, sezione prima, sentenza 16 aprile 2014, n. 612; in senso sostanzialmente analogo, con riguardo ai requisiti dell’emersione in riferimento al citato art. 1-ter, TAR Piemonte, Torino, sezione seconda, sentenza 12 febbraio 2016, n. 193).
Secondo questo indirizzo, la disciplina dell’emersione «fissa in via autonoma le condizioni di accesso alla procedura di sanatoria per emersione, di cui il permesso di soggiorno costituisce uno degli snodi indefettibili». È dunque «nel suddetto, speciale ambito normativo – da intendersi conchiuso – che vanno individuate, in via esclusiva, le ragioni ostative (all’emersione, ma anche) al rilascio del titolo di soggiorno, senza che, una volta esaurito il primo snodo (emersione), sia possibile smarrire il nesso di pregiudizialità/dipendenza che lega ad esso le ulteriori fasi di un procedimento complesso ma sostanzialmente unitario» (TAR Campania, Napoli, sezione sesta, sentenza 15 luglio 2015, n. 3778; analogamente, tra le altre, TAR Campania, Napoli, sezione sesta, sentenza 16 gennaio 2015, n. 334). Peraltro, alcune pronunce, che pure hanno ritenuto l’autonomia dei procedimenti (di emersione e di rilascio del permesso di soggiorno), hanno tuttavia rimarcato l’esistenza tra gli stessi di un rapporto di «presupposizione/conseguenzialità», ponendo in rilievo le ricadute del primo sul secondo (TAR Lazio, Roma, sezione seconda quater, sentenza 7 febbraio 2013, n. 1373; si veda anche Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 14 novembre 2012, n. 5736, secondo cui, «il permesso di soggiorno che consegue all’emersione altro non è che l’effetto dell’emersione stessa»).
Detta configurazione è stata desunta anche dalla considerazione che non sarebbe altrimenti giustificabile la previsione da parte del citato art. 1-ter (nel comma 13) delle cause ostative alla procedura di emersione e (nel comma 7) della previa acquisizione da parte dello SUI del «parere della questura sull’insussistenza di motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno», ai fini della stipula del contratto di soggiorno, mentre la specificità della disciplina dell’emersione è stata puntualmente sottolineata dalla sentenza n. 172 del 2012.
2.4.– La motivazione dell’ordinanza di rimessione è altresì contraddittoria e lacunosa, nella parte in cui il rimettente sostiene di non potere offrire un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate. Secondo il giudice a quo, questa sarebbe possibile valorizzando la «già rilevata natura unitaria del procedimento» dell’art. 1-ter, comma 7, che reputa tuttavia impedita dalla mancanza di «riscontri sicuri nel testo della legge», dal diritto vivente e dalla sentenza n. 148 del 2008.
2.5.– La pressoché contestuale affermazione e negazione della natura unitaria del procedimento evidenzia, già da sola, un profilo di insuperabile contraddizione, anche perché la seconda proposizione risulta enunciata in modo assertivo, senza darsi carico dell’orientamento della giurisprudenza amministrativa dianzi richiamato.
2.6.– La deduzione in ordine all’asserita esistenza di un diritto vivente, nei termini indicati dall’ordinanza di rimessione, neppure è corretta. Il TAR non ha, infatti, considerato che la praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata va verificata in riferimento non alle norme censurate, bensì al citato art. 1-ter (che disciplina l’emersione del lavoro irregolare), allo scopo di stabilire se, come puntualmente dedotto dall’Avvocatura generale, quest’ultimo regolamenti in modo autonomo, completo ed esaustivo il procedimento, anche con riguardo ai requisiti del permesso di soggiorno.
Al riguardo, va rilevato che all’indirizzo richiamato dal TAR (non correttamente, come precisato di seguito, e tutt’altro che prevalente), secondo il quale è applicabile il censurato art. 4, comma 3, al permesso di soggiorno richiesto in relazione all’emersione del lavoro irregolare, si contrappone un orientamento che, anche a seguito della sentenza n. 172 del 2012, reputa invece che le cause ostative alla regolarizzazione siano quelle sole stabilite dalle norme che disciplinano (distintamente ed in modo completo) il procedimento di emersione del lavoro irregolare. A quest’ultimo vanno ricondotte le sentenze che hanno negato il cosiddetto automatismo espulsivo anche nel caso di condanna per il reato dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 (in quanto riconducibile tra quelli previsti dall’art. 381 cod.proc.pen.), sia pure in relazione alla disciplina della regolarizzazione del lavoro oggetto dell’art. 5, comma 13, del d.lgs. n. 109 del 2012 (tra le altre, TAR Lombardia, Milano, sezione seconda, sentenza 21 luglio 2016, n. 1481; TAR Toscana, Firenze, sezione seconda, sentenza 4 maggio 2015, n. 703; TAR Campania, Napoli, sezione sesta, sentenza 16 gennaio 2015, n. 312; TAR Piemonte, Torino, sezione prima, sentenza 16 aprile 2014, n. 612). Quest’ultima norma, come sopra accennato, stabilisce infatti una disciplina che, nei profili qui rilevanti, è sostanzialmente omologa a quella prevista dal citato art. 1-ter, comma 13, e ciò rende utilmente richiamabile tale orientamento.
2.7.– Il rimettente non ha dunque adeguatamente motivato la premessa interpretativa, incorrendo in lacune e contraddizioni che minano la valutazione in ordine alla rilevanza della sollevata questione (per tutte, ordinanze n. 136 del 2016 e n. 362 del 2010).
Inoltre, non ha compiutamente dato conto dell’esistenza di un diritto vivente, nei termini dallo stesso ipotizzati, come sarebbe stato invece necessario (tra le più recenti, sentenze n. 240 e n. 203 del 2016, ordinanza n. 177 del 2016). Il TAR si è infatti limitato a richiamare quattro sentenze, ma ben tre di queste neppure riguardano il rilascio del permesso di soggiorno in relazione al procedimento di emersione del lavoro irregolare (TAR Puglia, Bari, sezione seconda, sentenza 21 maggio 2015, n. 763; TAR Toscana, Firenze, sezione seconda, sentenza 7 aprile 2015, n. 556; TRGA Trentino-Alto Adige, Bolzano, sentenza 16 aprile 2014, n. 101) e non ha affatto preso in considerazione l’ulteriore, dianzi richiamato, indirizzo della giurisprudenza amministrativa.
Pertanto, neppure è corretto l’assunto del giudice a quo, in ordine all’esistenza di un diritto vivente che lo avrebbe costretto necessariamente verso l’esegesi che egli sospetta affetta da incostituzionalità (ordinanza n. 194 del 2012), con conseguente inadempimento dell’onere di sperimentare la praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata (per tutte, sentenza n. 203 del 2016).
La sollevata questione è, pertanto, inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 febbraio 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2017.