Ordinanza n. 258 del 2016

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 258

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo                       GROSSI                                                         Presidente

- Alessandro              CRISCUOLO                                                  Giudice

- Giorgio                    LATTANZI                                                           ”

- Aldo                        CAROSI                                                                ”

- Marta                      CARTABIA                                                          ”

- Mario Rosario         MORELLI                                                             ”

- Giancarlo                CORAGGIO                                                         ”

- Giuliano                  AMATO                                                                ”

- Silvana                    SCIARRA                                                             ”

- Daria                       de PRETIS                                                            ”

- Nicolò                     ZANON                                                                ”

- Franco                     MODUGNO                                                         ”

- Augusto Antonio    BARBERA                                                           ”

- Giulio                      PROSPERETTI                                                     ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a, della legge 25 luglio 2005, n. 150), come sostituito dall’art. 1, comma 1, della legge 31 ottobre 2011, n. 187 (Disposizioni in materia di attribuzione delle funzioni ai magistrati ordinari al termine del tirocinio), promosso dal Tribunale ordinario di Gela nel procedimento penale a carico di P.G. ed altri, con ordinanza del 3 novembre 2015, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2016 il Giudice relatore Nicolò Zanon.

Ritenuto che, con ordinanza del 3 novembre 2015 (r.o. n. 31 del 2016), il Tribunale ordinario di Gela, in composizione monocratica, in funzione di giudice del dibattimento penale, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 97, secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a, della legge 25 luglio 2005, n. 150), come sostituito dall’art. 1, comma 1, della legge 31 ottobre 2011, n. 187 (Disposizioni in materia di attribuzione delle funzioni ai magistrati ordinari al termine del tirocinio), nella parte in cui vieta ai magistrati, anteriormente al conseguimento della prima valutazione di professionalità, di svolgere funzioni giudicanti monocratiche penali, salvo che per i reati di cui all’art. 550 del codice di procedura penale;

che il giudice rimettente riferisce, preliminarmente, di essere magistrato nominato con decreto del Ministro della giustizia 2 maggio 2013 – e dunque non ancora in possesso della prima valutazione di professionalità – «tabellarmente» destinato alla trattazione dei procedimenti penali monocratici per reati per cui si procede con citazione diretta, ai sensi dell’art. 550 cod. proc. pen.;

che lo stesso rimettente segnala di essere assegnatario di un ruolo ove sono confluiti anche procedimenti – tra i quali quello oggetto del giudizio a quo, a carico di otto imputati, per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ex art. 640-bis del codice penale, ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex art. 8 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205) – già assegnati a magistrati con maggiore anzianità, tramutati ad altri uffici, e relativi a reati per i quali l’azione penale non è stata esercitata attraverso la citazione diretta a giudizio, ai sensi dell’art. 550 cod. proc. pen.;

che il giudice a quo, in punto di rilevanza, evidenzia come gli risulti preclusa la possibilità di procedere nelle attività dibattimentali, poiché l’art. 13, comma 2, del d.lgs. n. 160 del 2006 dispone che «[i] magistrati ordinari al termine del tirocinio non possono essere destinati a svolgere le funzioni giudicanti monocratiche penali, salvo che per i reati di cui all’articolo 550 del codice di procedura penale, le funzioni di giudice per le indagini preliminari o di giudice dell’udienza preliminare anteriormente al conseguimento della prima valutazione di professionalità»;

che tale divieto, secondo il giudice rimettente, oltre a impedirgli la definizione del procedimento, costituisce l’unica ragione posta a base delle disposizioni organizzative, interne all’ufficio, che gli attribuiscono la cognizione dei soli reati a citazione diretta e che producono gravissime ripercussioni sulla funzionalità dello stesso ufficio e sui tempi di definizione dei procedimenti;

che il giudice a quo afferma di conoscere l’ordinanza n. 177 del 2011, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame, come sostituita dalla legge 30 luglio 2007, n. 111 (Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario), ma rileva, tuttavia, che, successivamente a tale pronuncia, la disposizione è stata ulteriormente sostituita dall’art. 1 della legge n. 187 del 2011, che ha abrogato il divieto di destinare i magistrati, al termine del tirocinio, allo svolgimento di funzioni requirenti;

che, a parere del giudice a quo, il divieto di svolgere funzioni giudicanti monocratiche penali, salvo che per i reati di cui all’art. 550 cod. proc. pen., sarebbe, allo stato, del tutto irragionevole, in rapporto ad alcune previsioni normative;

che, in primo luogo, tale irragionevolezza emergerebbe in relazione al ricordato art. 1 della legge n. 187 del 2011, che ha eliminato il divieto di destinare i magistrati, al termine del tirocinio, allo svolgimento di funzioni requirenti, tipicamente monocratiche, e ciò con riferimento a qualsiasi tipologia di reato, compresi i più gravi delitti previsti dalla legislazione penale;

che, in secondo luogo, nessuna limitazione funzionale è prevista per i magistrati di prima nomina nella composizione dei collegi penali, i quali, dunque, ben potrebbero essere presieduti e costituiti integralmente da giudici che non abbiano ancora conseguito la prima valutazione di professionalità, con attribuzione di una cognizione che si può estendere a tutti i reati per cui non è prevista la competenza della corte d’assise;

che, infine, per la nomina dei giudici onorari di tribunale, l’art. 42-ter del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), prevederebbe requisiti che prescindono dall’effettiva preparazione e capacità degli aspiranti, e il successivo art. 43-bis stabilirebbe che quello di non assegnare a tali magistrati la trattazione di procedimenti diversi da quelli di cui all’art. 550 cod. proc. pen. costituirebbe un mero criterio, astrattamente derogabile in presenza di esigenze d’ufficio imprescindibili e prevalenti, salve le diverse disposizioni regolamentari dettate dal Consiglio superiore della magistratura;

che, in definitiva, da una parte, è consentito a magistrati, che non hanno conseguito la prima valutazione di professionalità, di svolgere tutte le delicate funzioni penali requirenti, e di giudicare, in composizione collegiale, delitti di grande allarme sociale; dall’altra, è invece vietato ai medesimi magistrati di svolgere funzioni giudicanti monocratiche penali, salvo che per i reati di cui all’art. 550 cod. proc. pen., e ciò a differenza dei magistrati onorari, ammessi alla cognizione dibattimentale di ogni reato giudicabile in composizione monocratica, nonostante questi ultimi offrano, per le modalità di selezione, minori garanzie di capacità e preparazione;

che, ad avviso del giudice rimettente, non ricorrerebbe alcuna ragione capace di giustificare tali opposte soluzioni legislative in materia di composizione e capacità del giudice e del pubblico ministero;

che l’«irrazionalità sistemica» del divieto sarebbe confermata dal fatto che la sua cessazione è legata ad un mero dato formale, qual è il conseguimento della prima valutazione di professionalità, di per sé inidonea ad assicurare una maggiore competenza e professionalità nelle materie oggetto di preclusione;

che il giudice a quo dubita, altresì, della compatibilità delle illustrate limitazioni funzionali con l’art. 97, secondo comma, Cost. e, in particolare, con il principio del buon andamento dei pubblici uffici;

che il divieto ostacolerebbe, in particolare, il funzionamento di tribunali che, come quello di Gela, si alimentano esclusivamente di magistrati di diversa provenienza territoriale, cui vengono per la prima volta conferite le funzioni giurisdizionali e che, non appena maturano il necessario periodo di legittimazione, coincidente con l’acquisizione della prima valutazione di professionalità, tramutano solitamente in altri uffici;

che il giudice rimettente ritiene, infine, che le medesime limitazioni funzionali collidano con il principio del giusto processo, perché le «abnormi stasi processuali» provocate dal rinvio dei procedimenti, da parte del magistrato che non abbia ancora conseguito la prima valutazione di professionalità, sarebbero manifestamente contrastanti «con il diritto irrinunciabile delle persone a che le cause in cui sono coinvolte siano esaminate in termini ragionevoli, secondo peraltro quanto stabilito dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia del diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali»;

che, sulla base delle premesse descritte, il giudice a quo solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo n. 160 del 2006, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 187 del 2011, per contrasto con gli artt. 3, 97 secondo comma e 111, primo comma, Cost.;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o, comunque, per la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate;

che l’Avvocatura generale dello Stato ritiene, in primo luogo, che le disposizioni normative che disciplinano le funzioni della magistratura onoraria siano del tutto disomogenee rispetto a quelle che regolano le funzioni della magistratura professionale, e non possano pertanto essere utilizzate quali tertia comparationis, al fine di dimostrare la sussistenza di ingiustificate, e dunque irragionevoli, disparità di trattamento;

che, a giudizio dell’Avvocatura erariale, l’evoluzione normativa del divieto sospettato d’illegittimità costituzionale – introdotto dalla legge n. 111 del 2007 per (tutte) le funzioni monocratiche penali, sia giudicanti che requirenti, e poi abrogato solo per queste ultime e per le funzioni monocratiche penali nei procedimenti ex art. 550 cod. proc. pen., per effetto della sostituzione del secondo comma del citato art. 13 ad opera dell’art. 1 della legge n. 187 del 2011 – dimostrerebbe il raggiungimento di un ragionevole «bilanciamento tra l’interesse alla funzionalità della macchina giudiziaria e quello all’impiego di magistrati compiutamente formati dal punto di vista professionale a tutela dei diritti fondamentali della persona»;

che, con riferimento agli artt. 97 e 111 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato osserva come oggetto reale della questione di legittimità costituzionale sollevata non sarebbe la formulazione della disposizione, essendo piuttosto censurate le conseguenze indirette di una distorta applicazione della norma, rispetto ad uffici giudiziari meno ambiti cui sono destinati quasi esclusivamente magistrati di prima nomina, ciò che evidenzia meri inconvenienti di fatto non suscettibili di essere rimessi al vaglio del giudice delle leggi;

che, infine, l’Avvocatura generale dello Stato contesta che il venir meno del divieto sarebbe legato al mero dato formale del conseguimento della prima valutazione di professionalità, sostenendo che le valutazioni di professionalità, effettuate dal Consiglio superiore della magistratura, si fonderebbero su parametri oggettivi, tra i quali figurano non solo la preparazione giuridica, la quantità e la qualità del lavoro giudiziario svolto, ma anche la padronanza delle tecniche utilizzate nei diversi settori della giurisdizione.

Considerato che, con ordinanza del 3 novembre 2015, il Tribunale ordinario di Gela, in composizione monocratica, in funzione di giudice del dibattimento penale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3, 97, secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione – dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a, della legge 25 luglio 2005, n. 150), come sostituito dall’art. 1, comma 1, della legge 31 ottobre 2011, n. 187 (Disposizioni in materia di attribuzione delle funzioni ai magistrati ordinari al termine del tirocinio), nella parte in cui vieta ai magistrati, che non abbiano ancora conseguito la prima valutazione di professionalità, di svolgere funzioni giudicanti monocratiche penali, salvo che per i reati di cui all’art. 550 del codice di procedura penale;

che, secondo il giudice a quo, la disposizione denunciata viola l’art. 3 Cost., per l’intrinseca arbitrarietà della disciplina, anche valutata in rapporto alle disposizioni che, nella medesima materia, regolano le funzioni del tribunale in composizione collegiale, del pubblico ministero e dei giudici onorari di tribunale;

che la disposizione censurata porrebbe inoltre ostacoli al regolare funzionamento dei tribunali presso i quali sono in servizio – esclusivamente ovvero in numero preponderante – magistrati che non hanno ancora conseguito la prima valutazione di professionalità, con conseguente violazione del principio di buon andamento, di cui all’art. 97, secondo comma, Cost., che presiede all’organizzazione dei pubblici uffici, anche giudiziari;

che, secondo il giudice a quo, il divieto ai magistrati ancora privi della prima valutazione di professionalità di svolgere funzioni giudicanti monocratiche penali, salvo che per i reati di cui all’art. 550 cod. proc. pen., violerebbe, infine, il principio di cui all’art. 111, primo comma, Cost., secondo il quale la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge, in quanto, a causa delle stasi processuali determinate dal ripetuto rinvio dei procedimenti, da parte dei magistrati in questione, sarebbe compromessa la ragionevole durata del processo;

che, in via preliminare, non sussistono dubbi circa la possibilità che il tribunale rimettente, in relazione a procedimenti sottoposti alla sua cognizione, sollevi questioni di legittimità costituzionale sulle disposizioni di legge che definiscono la sua capacità e le sue attribuzioni funzionali, ben potendo, in limine litis, ogni giudice investire questa Corte della verifica di conformità a Costituzione delle disposizioni legislative che affermino, ovvero escludano, la sua legittimazione a trattare un determinato procedimento, e ciò anche a prescindere dalle conseguenze processuali che derivino dalla violazione delle disposizioni che regolano tale legittimazione;

che siffatta facoltà discende, infatti, dal potere-dovere del giudice di verificare la regolare costituzione dell’organo giudicante, anche in rapporto alla legittimità costituzionale delle norme che la disciplinano (sentenza n. 71 del 1975);

che, a ragionare diversamente, tali norme verrebbero inammissibilmente a godere di una sorta di immunità rispetto al controllo di costituzionalità, come mostra il caso ora in esame;

che, infatti, se si ritenesse privo di potestas iudicandi, in relazione alla specifica fattispecie processuale, il giudice che ancora non abbia conseguito la prima valutazione di professionalità, ne conseguirebbe logicamente l’irrilevanza di ogni questione di costituzionalità relativa alle disposizioni regolatrici della sua capacità;

che, al tempo stesso, nessun altro giudice si troverebbe nelle condizioni di sollevare la questione di legittimità costituzionale in esame (in termini analoghi, pur con riferimento ad altre disposizioni, sentenze n. 460 del 2005 e n. 278 del 1994), essendo evidente che il magistrato, il quale abbia già positivamente conseguito la prima valutazione – ed al quale il procedimento principale dovrebbe essere rimesso, in applicazione delle regole tabellari direttamente attuative della disposizione censurata – non incontrerebbe alcun ostacolo nella trattazione dei processi per reati diversi rispetto a quelli indicati dall’art. 550 cod. proc. pen.;

che, ciò posto in via preliminare, successivamente all’ordinanza di rimessione è intervenuto il decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168 (Misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, per l’efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa), convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 25 ottobre 2016, n. 197;

che, in particolare, l’art. 2, comma 2, lettera b), del d.l. n. 168 del 2016, come convertito, ha abrogato l’art. 13, comma 2, del d.lgs. n. 160 del 2006, ossia proprio la disposizione oggetto delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal tribunale rimettente;

che spetta al giudice a quo valutare le ricadute nel giudizio principale di tali modificazioni normative, specie ai fini della rilevanza delle sollevate questioni;

che, pertanto, a questi fini, deve disporsi la restituzione degli atti al giudice rimettente.

Visto l’art. 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Gela.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 dicembre 2016.