Sentenza n. 278 del 1994

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SENTENZA N. 278

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 156, sesto comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 22 giugno 1993 dal giudice istruttore del Tribunale di Benevento nel procedimento di separazione personale tra Rufo Antonietta e Quercia Pietro Lucio Remo, iscritta al n. 666 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 maggio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un'udienza istruttoria relativa ad un procedimento di separazione personale tra coniugi, la ricorrente, deducendo che il marito le aveva corrisposto solo una parte della somma a titolo di mantenimento a lei dovuta, chiedeva al giudice di ordinare, ai sensi dell'art. 156, sesto comma, del codice civile, all'ente erogatore dello stipendio del marito (il Ministero del Tesoro) il versamento della somma suddetta direttamente alla moglie. Il giudice istruttore del Tribunale di Benevento, con ordinanza emessa il 22 giugno 1993, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 30 della Costituzione, dell'art. 156, sesto comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che il provvedimento inteso ad ordinare ai terzi - tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato al mantenimento - di versare una parte di esso direttamente agli aventi diritto, possa essere adottato anche dal giudice istruttore in corso di causa.

Al riguardo, ritiene il giudice rimettente che non possa essere condiviso l'orientamento della giurisprudenza di merito in ordine alla possibilità, per il giudice istruttore, di ordinare ai terzi il versamento diretto della quota di reddito, sulla base di quanto disposto dall'art. 708, quarto comma, del codice di procedura civile: essendo, infatti, detto potere previsto dall'art. 156, tale disposizione va ritenuta di natura specifica e relativa ai (soli) casi in cui sia stata già pronunciata separazione.

Pertanto, secondo il giudice a quo, la norma che esclude la predetta possibilità, sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 30 della Costituzione: relativamente al primo parametro, in quanto la disposizione introdurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni sostanzialmente identiche, quali quella precedente e quella successiva alla sentenza di separazione, atteso che l'esigenza di assicurare un pronto e tempestivo adempimento dell'obbligo di mantenimento sussiste anche prima della pronuncia di separazione; quanto alla supposta violazione dell'art. 30 della Costituzione, rileva il giudice rimettente che, in attesa della definizione del procedimento ordinario, potrebbe risultare impossibile per il coniuge l'osservanza dei doveri che incombono sui genitori, in ordine alla cura, educazione, istruzione dei figli.

Circa infine la propria legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo sottolinea che la suddetta questione ben difficilmente potrebbe essere sollevata dal collegio in quanto, potendo questo adottare il provvedimento di cui all'art. 156 del codice civile, non sussisterebbe il requisito della rilevanza, per la mancanza del nesso tra la censura di costituzionalità e la decisione da pronunciare.

2. È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità ovvero per l'infondatezza della questione.

Circa la richiesta di inammissibilità, rileva la difesa erariale che il giudice istruttore civile non é legittimato a promuovere il giudizio, in quanto tale legittimazione spetterebbe esclusivamente all'organo giurisdizionale di cui egli fa parte, e quindi al collegio.

Rileva inoltre l'Avvocatura dello Stato che l'interpretazione data dal giudice rimettente alla disposizione dell'art. 708, quarto comma, del codice di procedura civile, nel senso di escludere la possibilità del giudice istruttore di adottare l'ordine giudiziale di pagamento nei confronti dei terzi obbligati, non può ritenersi "diritto vivente".

In subordine, la difesa erariale esclude la violazione dell'art.3 della Costituzione, in quanto i provvedimenti adottati in via temporanea nel corso del giudizio avrebbero una funzione solo cautelare e anticipatoria, e non potrebbero pertanto equipararsi ai provvedimenti che seguono la pronuncia di separazione, i quali si fondano invece sull'intero complesso delle acquisizioni istruttorie. Le ragioni di opportunità prospettate dal giudice rimettente appartengono alla sfera della discrezionalità del legislatore, anche alla luce del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui la tutela cautelare non costituisce elemento indefettibile della tutela giurisdizionale.

Considerato in diritto

1. Il giudice istruttore del Tribunale civile di Benevento dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 30 della Costituzione, dell'art. 156, sesto comma, del codice civile, nella parte in cui non consente che possa essere adottato anche dal giudice istruttore nel corso della causa di separazione personale dei coniugi l'ordine ai terzi - tenuti a corrispondere somme di denaro al coniuge obbligato al mantenimento- di versare una parte delle stesse direttamente agli aventi diritto.

2. Deve preliminarmente esaminarsi la prima eccezione con la quale l'Avvocatura dello Stato deduce l'inammissibilità della questione, ritenendo che la legittimazione a sollevare la stessa spetterebbe esclusivamente al collegio di cui il giudice istruttore fa parte.

Prevenendo l'eccezione, nell'ordinanza di rimessione il giudice a quo motiva la propria legittimazione sia richiamando i poteri decisori che allo stesso vengono riconosciuti dall'art. 708, quarto comma, del codice di rito, sia per il rilievo che, "potendo il collegio adottare il provvedimento di cui all'art.156 codice civile, non emergerebbe il requisito della rilevanza".

Queste osservazioni non sarebbero del tutto sufficienti a sostenere l'infondatezza della eccezione sollevata, dal momento che l'art. 708 citato consente al giudice istruttore soltanto di modificare i provvedimenti temporanei e urgenti adottati dal presidente del tribunale; mentre l'art. 156, sesto comma, non riconosce al presidente e nemmeno al collegio il potere di emanare, in corso di causa il predetto ordine ai terzi debitori.

L'eccezione di inammissibilità va comunque respinta per la considerazione che, se normalmente il giudice istruttore viene ritenuto legittimato a sollevare le questioni di legittimità costituzionale relative alle norme di cui egli può fare applicazione per l'emanazione di provvedimenti di sua competenza, non si può escludere la sua legittimazione qualora l'oggetto della questione sia proprio il riconoscimento delle competenze dello stesso giudice istruttore. In altri termini, se quest'ultimo avesse già competenza ad emanare quel provvedimento, non sussisterebbe la presente questione di costituzionalità, mentre se fosse necessario riconoscere tale competenza, non ci sarebbe nessun giudice legittimato a sollevare la questione medesima.

3. Deduce inoltre l'Avvocatura che la giurisprudenza prevalente già riconosce in via interpretativa che il giudice istruttore abbia il potere di adottare, in sede di modifica dei provvedimenti presidenziali (ex art. 708, quarto comma, del codice di procedura civile), anche l'ordine giudiziale di pagamento nei confronti dei terzi obbligati. Dal che la difesa erariale sembra concludere per un ulteriore motivo di inammissibilità della questione, dal momento che il giudice avrebbe potuto dare l'ordine ai terzi seguendo l'orientamento da lui ritenuto più corretto e secundum constitutionem.

Anche tale eccezione non può essere condivisa. Il giudice istruttore di Benevento, non solo dubita di avere egli la competenza ad emettere il menzionato ordine -ancorchè egli ritenga che il disconoscimento di questa competenza sia costituzionalmente illegittimo-, ma é pure convinto che l'orientamento della giurisprudenza che riconosce detta competenza contrasti nettamente con la portata sia dell'art. 156 codice civile, sia dell'art. 708 codice di rito.

Ed invero, come si é già accennato, il primo dei citati articoli, specie per la successione sequenziale dei vari commi, rende palese che la volontà normativa é quella di escludere che nel corso della causa di separazione sia il giudice istruttore che il collegio possano impartire l'ordine ai terzi debitori di pagare parte delle somme (non al creditore ma) direttamente al coniuge. Quanto alla seconda norma richiamata (art.708 del codice di procedura civile), essa stabilisce che all'inizio della causa di separazione personale il presidente del tribunale emana in via cautelare i provvedimenti temporanei ed urgenti, tra i quali non sono menzionati quelli previsti dal sesto comma dell'art. 156 del codice civile, non essendo -al momento- ancora comprovata una inadempienza al pagamento di somme cui uno dei coniugi sia stato giudizialmente obbligato. Detti provvedimenti presidenziali possono essere modificati, nel successivo corso della trattazione della causa, dal giudice istruttore (ex art.708, quarto comma).

Nella fase terminale del procedimento, qualora "il giudice che pronunzia la separazione" abbia stabilito con piena cognizione quanto é necessario al mantenimento del coniuge e dei figli (primo, secondo e terzo comma dell'art. 156 del codice civile), lo stesso giudice può imporre idonee garanzie personali o reali "se esiste il pericolo che l'obbligato possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi" (quarto e quinto comma dello stesso articolo). E solo "in caso di inadempienza", successiva e dimostrata dall'avente diritto che ne fa richiesta, il giudice può disporre il sequestro dei beni o dare il predetto ordine ai terzi debitori, con ulteriore possibilità di successiva revoca o modifica (sesto e settimo comma).

Il giudice istruttore di Benevento aveva, quindi, fondato motivo quanto meno di nutrire seri dubbi, sulla base della normativa vigente, circa la propria competenza a dare l'ordine a terzi debitori nel corso della causa di separazione; onde l'opportunità di rimettere la soluzione della questione al giudice delle leggi.

A ciò si deve aggiungere il rilievo che parte della giurisprudenza e alcuni studiosi escludono che la norma consenta a qualsiasi giudice di emanare il predetto ordine nel corso di causa; mentre, a motivo delle grandi incertezze e disparità di vedute di quanti sono sospinti dall'esigenza di riconoscere un siffatto potere anche nel corso di causa, non vi é univocità nell'individuazione dell'autorità giudiziaria cui debba attribuirsi il potere in questione.

4. Nel merito, va anzitutto precisato che -per quanto il problema possa essere opportunamente riesaminato in modo completo ed organico dal legislatore- i limiti di intervento della Corte, anche in aderenza al petitum, possono così circo scriversi: se la norma denunziata contrasti con gli articoli 3 e 30 della Costituzione nell'escludere il potere del giudice istruttore di adottare nel corso della causa di separazione il provvedimento di ordinare ai terzi debitori del coniuge obbligato al mantenimento di versare una parte delle somme direttamente agli aventi diritto.

La questione così posta é fondata.

Giova premettere che il legislatore ordinario, coerentemente ai principi costituzionali (artt. 29,30 e 31 della Costituzione), ha attribuito all'autorità giudiziaria il potere di disporre immediati provvedimenti per rendere tempestivo ed efficace l'obbligo di mantenere il coniuge bisognoso e, soprattutto, i figli. Tra questi provvedimenti si annovera anche la distrazione delle somme dovute da terzi debitori direttamente a favore del coniuge, al fine di soddisfare le esigenze di quest'ultimo e della prole. Trattandosi di una misura coercitiva che può avere anche negativi effetti economici e sociali, il legislatore ne ha fatto un'applicazione eccezionale, subordinata peraltro all'accertamento di una inadempienza tale da determinare un serio pregiudizio per gli aventi diritto.

In regime di convivenza dei coniugi, la riforma del 1975 ha previsto questa possibilità (art. 148, secondo comma, del codice civile), ma soltanto per la tutela delle esigenze dei figli e con uno specifico procedimento: istanza di chiunque vi ha interesse, dichiarazioni di entrambi i coniugi, assunzione di informazioni.

A conclusione di questa indagine, può essere emanato il predetto ordine, avverso il quale é proponibile opposizione dalle parti o dal terzo debitore.

Una disciplina, analoga ma particolare, é prevista per gli assegni di divorzio dall'art. 8 della legge 1° dicembre 1970, n.898, nel testo novellato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74, in cui, dopo la costituzione in mora -a mezzo raccomandata- del coniuge inadempiente per un periodo di almeno trenta giorni, "il coniuge creditore può notificare il provvedimento in cui é stabilita la misura dell'assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato con l'invito a versargli direttamente le somme dovute". E ove il terzo non adempia, il coniuge creditore ha azione diretta esecutiva nei suoi confronti. Per i dipendenti pubblici la distrazione non può superare la metà delle somme dovute al coniuge obbligato.

5. Anche per quanto riguarda il procedimento di separazione personale la previsione di detta misura coercitiva assume peculiari connotati.

Essa non é specificamente menzionata fra i provvedimenti nel corso della fase presidenziale che ha sia scopi conciliativi, sia l'obiettivo di disporre in via cautelare misure temporanee ed urgenti. A differenza del procedimento regolato dal secondo comma dell'art. 148, tali provvedimenti non riguardano solo la tutela dell'interesse della prole, non é necessaria la previa assunzione di informazioni, nè é consentito un giudizio di opposizione. Non é previsto neppure l'accertamento dell'inadempienza agli obblighi di mantenimento poichè questi, diversamente da quelli connessi al regime di convivenza, vengono eventualmente fissati, appunto, con uno dei provvedimenti temporanei.

Nella disciplina del giudizio di separazione la possibilità dell'ordine di distrazione delle somme dovute viene menzionata soltanto dal sesto comma dell'art. 156 del codice civile, che - come si é sopra accennato- appare riferito alla fase successiva alla pronuncia di separazione ed all'accertata inadempienza agli obblighi economici in essa stabiliti.

6. Di qui la questione se sia coerentemente tollerabile una carenza di immediata tutela -quale quella data dalla possibilità dell'ordine di distrazione- anche nel periodo che va dal momento in cui sono adottati i provvedimenti presidenziali fino a quello della sentenza, e soprattutto se una tale carenza si presenti come violazione di norme costituzionali.

Per dare risposta affermativa appare sufficiente rilevare che i provvedimenti presidenziali hanno forza esecutiva anche per gli obblighi economici con essi stabiliti, e che il loro inadempimento può determinare effetti gravemente pregiudizievoli per gli aventi diritto, analogamente sia a quelli accertati nel procedimento ex art. 148 del codice civile per il regime di convivenza, sia a quelli che vengono a determinarsi per l'inadempienza agli obblighi fissati con la sentenza di separazione personale.

Se la competenza ad emanare l'ordine di distrazione si configura normalmente come accessoria a quella relativa alla determinazione ed alla modifica della misura delle somme dovute per il mantenimento, e se soprattutto tale ordine coercitivo risponde alla stessa ratio di dare effettiva soddisfazione ai provvedimenti giudiziali, si perviene alla conclusione che, per evitare la disparità di trattamento degli aventi diritto al mantenimento prima e dopo la sentenza di separazione, ed apprestare un rimedio efficace all'inadempimento di obblighi costituzionalmente tutelati, va riconosciuta anche al giudice istruttore la competenza ad emettere il predetto ordine di distrazione a seguito dell'accertata inadempienza agli obblighi di mantenimento nel corso della causa di separazione personale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 156, sesto comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che il giudice istruttore possa adottare nel corso della causa di separazione il provvedimento di ordinare ai terzi debitori del coniuge obbligato al mantenimento di versare una parte delle somme direttamente agli aventi diritto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/06/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 06/07/94.