ORDINANZA N. 177
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo MADDALENA Presidente
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150), come sostituito dall’art. 2, comma 4, della legge 30 luglio 2007, n. 111 (Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario), promosso dal Tribunale ordinario di Forlì, sezione distaccata di Cesena, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di C. S. con ordinanza del 15 luglio 2010 iscritta al n. 7 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2011 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio di opposizione a decreto penale di condanna, relativo ad una contravvenzione a norma del codice della strada, il Tribunale ordinario di Forlì, sezione distaccata di Cesena, in composizione monocratica, con ordinanza emessa il 15 luglio 2010, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150), come sostituito dall’articolo 2, comma 4, della 1egge 30 luglio 2007, n. 111 (Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario), censurato «nella parte in cui vieta di destinare i magistrati ordinari, al termine del loro tirocinio, allo svolgimento di funzioni giudicanti monocratiche penali per i reati di cui all’art. 550 cod. proc. pen. anteriormente al conseguimento della prima valutazione di professionalità»;
che, in fatto, il rimettente precisa di essere magistrato di prima nomina e di essere stato indicato, con decreto del Presidente del Tribunale ordinario di Forlì del 14 luglio 2010 – data anche «l’assenza (per ferie) e l’impedimento (per la celebrazione di altra udienza) degli altri magistrati in organico e l’indisponibilità di G.O.T.» – quale sostituto di altro magistrato assente per ragioni di salute;
che – «chiamato il suddetto procedimento […] per essere rinviato ad altra data», ma sottolineata la richiesta del P.M. di immediata trattazione – il rimettente, rilevato di non essere competente a trattare il giudizio, non avendo ancora ottenuto la valutazione di professionalità, deduce innanzitutto la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto (analizzate le diverse disposizioni che regolano l’accesso e le funzioni rispettivamente dei magistrati ordinari e dei giudici onorari, e sottolineato come analoga limitazione di funzioni non sia prevista a carico dei magistrati onorari, nonostante il maggior rigore delle procedure selettive concorsuali e valutative professionali sancite per quelli ordinari), «mettendo a confronto le due normative, è di solare evidenza l’irragionevolezza della diversa regolamentazione dei limiti allo svolgimento delle funzioni penali previste per i giudici togati rispetto a quelli onorari»;
che, «seppure in maniera meno evidente», il rimettente denuncia anche la violazione dell’art. 97 Cost., sotto il profilo della lesione del buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto le limitazioni poste dal legislatore ai magistrati di prima nomina impedirebbero «il pieno utilizzo dei nuovi magistrati con gravi ricadute sul funzionamento degli uffici giudiziari, particolarmente in quelli situati in sedi poco appetibili e che si reggono tradizionalmente su di un organico composto in larga parte proprio da magistrati di prima nomina e che la normativa ora vigente impedirà di sostituire»;
che, del resto, il giudice a quo nota come di tale disfunzione si sia fatto carico lo stesso legislatore che, con il decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), convertito dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24, pur mantenendo in generale la censurata preclusione, consente di derogare a tale regola qualora ricorrano specifiche condizioni oggettive di scopertura delle sedi disagiate, ma con riferimento ai soli magistrati nominati con d.m. 2 ottobre 2009;
che, in termini di rilevanza, il rimettente sottolinea che, se normalmente il giudice a quo viene ritenuto legittimato a sollevare le questioni di legittimità costituzionale relative alle norme di cui egli può fare applicazione per l’emanazione di provvedimenti di sua competenza, non si può escludere la sua legittimazione qualora l’oggetto della questione sia proprio il riconoscimento delle competenze dello stesso giudice;
che, infine, il giudice di Cesena non ritiene praticabili interpretazioni costituzionalmente orientate della norma censurata, poiché l’unica strada che reputa percorribile (peraltro contrastante con la ratio della riforma, che, a suo dire, «persegue l’obiettivo di evitare che i magistrati con minore esperienza professionale siano chiamati a decidere da soli su materie delicate in quanto incidenti su valori personalistici di rilievo costituzionale») sarebbe quella di ritenere che la norma – dato l’uso della formula «non possono essere destinati» – contenga un precetto di carattere organizzativo destinato ai capi degli uffici e la cui violazione assume rilevanza meramente interna;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità della sollevata questione in ragione: a) della insufficiente motivazione sulla rilevanza, in quanto – sottolineato che la norma censurata è ritenuta applicabile dal Consiglio superiore della magistratura (con delibera 1312/FT/2007) esclusivamente ai magistrati nominati con d.m. 6 dicembre 2007 – il rimettente «si limita a rilevare di essere “magistrato di prima nomina”, senza ulteriormente specificare il concorso con cui è stato assunto»; b) dell’irrilevanza della questione, giacché, nel caso di specie, la competenza all’esercizio delle funzioni in esame è stata riconosciuta dal Presidente del Tribunale e dunque il rimettente, investito del processo, non deve fare applicazione della norma censurata per definirlo; c) della conseguente ipoteticità della questione medesima nel giudizio a quo (avente ad oggetto una opposizione a decreto penale di condanna, e non il provvedimento attributivo della competenza a svolgere le funzioni in esame); d) dell’utilizzazione del giudizio incidentale in modo distorto, diretto impropriamente ad ottenere dalla Corte un avallo interpretativo ad una possibile interpretazione della norma censurata; e) della carenza di motivazione in ordine al fatto che – pendendo una proposta di legge di modifica della norma censurata – non si può escludere che il rimettente possa giovarsi di tale modifica normativa, ove alla data di entrata in vigore della novella egli non avesse ancora conseguito la valutazione di professionalità;
che, nel merito, la difesa dello Stato chiede la declaratoria di manifesta infondatezza della questione medesima, con riguardo alla denunciata violazione sia dell’art. 3 Cost., a cui oppone l’impraticabilità, per la disomogeneità dei relativi regimi giuridici e per la portata derogatoria del tertium comparationis, del raffronto delle disposizioni che regolano la magistratura togata con quelle che disciplinano le funzioni della magistratura onoraria, escludendo altresì la dedotta irragionevolezza; sia dell’art. 97 Cost., rispetto alla quale osserva che il rimettente censura non tanto la formulazione della norma, quanto piuttosto le asserite conseguenze indirette di una sua distorta applicazione, rilevando che, in ogni caso, le paventate difficoltà sono state in prospettiva risolte dalla citata legge n. 24 del 2010, che ha modificato il sistema delle assegnazioni dei magistrati a conclusione del tirocinio.
Considerato che il Tribunale ordinario di Forlì, sezione distaccata di Cesena in composizione monocratica, censura l’articolo 13 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150), come sostituito dall’articolo 2, comma 4, della 1egge 30 luglio 2007, n. 111 (Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario), «nella parte in cui vieta di destinare i magistrati ordinari, al termine del loro tirocinio, allo svolgimento di funzioni giudicanti monocratiche penali per i reati di cui all’art. 550 c.p.p. anteriormente al conseguimento della prima valutazione di professionalità»;
che la disposizione impugnata prevede che «I magistrati ordinari al termine del tirocinio non possono essere destinati a svolgere le funzioni requirenti, giudicanti monocratiche penali o di giudice per le indagini preliminari o di giudice dell’udienza preliminare, anteriormente al conseguimento della prima valutazione di professionalità»;
che il rimettente – precisato di essere, appunto, magistrato di prima nomina che non ha ancora ottenuto la valutazione di professionalità e, nonostante ciò, di essere stato “indicato”, con decreto del Presidente del Tribunale, in sostituzione di altro magistrato assente per ragioni di salute, data anche «l’assenza (per ferie) e l’impedimento (per la celebrazione di altra udienza) degli altri magistrati in organico e l’indisponibilità di G.O.T.» – ritiene che la norma impugnata contrasti: a) con l’art. 3 della Costituzione, in quanto (non essendo prevista analoga limitazione di funzioni a carico dei magistrati onorari, nonostante il maggior rigore delle procedure selettive concorsuali e valutative professionali sancite per quelli ordinari), «mettendo a confronto le due normative, è di solare evidenza l’irragionevolezza della diversa regolamentazione dei limiti allo svolgimento delle funzioni penali previste per i giudici togati rispetto a quelli onorari»; b) nonché con l’art. 97 Cost., per lesione del buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto le limitazioni poste dal legislatore ai magistrati di prima nomina impedirebbero «il pieno utilizzo dei nuovi magistrati con gravi ricadute sul funzionamento degli uffici giudiziari, particolarmente in quelli situati in sedi poco appetibili e che si reggono tradizionalmente su di un organico composto in larga parte proprio da magistrati di prima nomina e che la normativa ora vigente impedirà di sostituire»;
che, preliminarmente, il Presidente del Consiglio dei ministri, ha eccepito, tra l’altro, l’inammissibilità della sollevata questione deducendone il difetto di rilevanza, poiché la competenza all’esercizio delle funzioni in esame sarebbe stata riconosciuta dal Presidente del Tribunale ed il rimettente non dovrebbe fare applicazione della norma censurata per definire il giudizio a quo;
che, con riferimento a tale rilievo, va sottolineato che questa Corte ha affermato che «il magistrato, prima di procedere alla cognizione della causa, ha certamente il potere-dovere di verificare la regolare costituzione dell'organo giudicante, anche in rapporto alla legittimità costituzionale delle norme che la disciplinano»; ma, nel contempo, ha chiarito che al giudice ciò è «consentito unicamente al fine di accertare l’inesistenza di vizi relativi alla propria costituzione, tali da determinare nullità insanabile e rilevabile d’ufficio […]; ossia, trattandosi di giudice singolo, di vizi concernenti la sua nomina e le altre condizioni di capacità stabilite dalle leggi d'ordinamento giudiziario» (sentenza n. 71 del 1975);
che il rimettente – dopo aver sottolineato che, all’udienza indicata, il procedimento de quo era stato chiamato «per essere rinviato ad altra data» – sostiene apoditticamente, in punto di rilevanza della questione, che «solo rimuovendo la norma della cui legittimità costituzionale si dubita sarà possibile trattare il processo»;
che, in tal modo, egli – non chiarendo la effettiva portata del provvedimento di sostituzione emesso dal Presidente del tribunale, in particolare riguardo ad una sua eventuale mera valenza contingente, limitata alla attribuzione di funzioni meramente organizzative (sentenza n. 419 del 1998), al solo fine di porre rimedio ad una situazione di occasionale e temporanea assenza di altri magistrati facenti parte dell’ufficio, piuttosto che ad un vero e proprio conferimento di funzioni “giudicanti” vietate dalla legge – neppure fornisce chiarimenti in ordine alla ricaduta degli asseriti vizi della designazione sul piano della legittimità del processo a quo;
che tutto ciò si traduce in una insufficiente motivazione sulla rilevanza della sollevata questione che impedisce a questa Corte di verificarne l’effettiva sussistenza (ordinanze n. 101 e n. 63 del 2011);
che, pertanto – anche a prescindere dagli eventuali profili relativi al carattere manipolativo di sistema della pronuncia richiesta dal rimettente –, la questione medesima deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, della norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della L. 25 luglio 2005, n. 150), come sostituito dall’articolo 2, comma 4, della 1egge 30 luglio 2007, n. 111 (Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Forlì, sezione distaccata di Cesena in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2011.
F.to:
Paolo MADDALENA, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 giugno 2011.