SENTENZA N. 419
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 18 luglio 1997 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Mohamed Zineddine, iscritta al n. 665 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Udito nella camera di consiglio del 25 marzo 1998 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.
Ritenuto in fatto
1. — Con ordinanza emessa il 18 luglio 1997 nel corso di un dibattimento nel quale si procedeva con l’imputazione di millantato credito, la seconda sezione penale del Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento all’art. 25, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 del codice di procedura penale, che, disciplinando le condizioni di capacità del giudice, dispone, al secondo comma, che non si considerano attinenti alla capacità del giudice, tra l’altro, le disposizioni sull’assegnazione dei processi alle sezioni degli uffici giudiziari.
Il giudice rimettente rileva che, nel Tribunale di Torino, la cognizione dei reati contro la pubblica amministrazione era attribuita, secondo i criteri di ripartizione degli affari previsti dalle tabelle approvate dal Consiglio superiore della magistratura, sia alla prima che alla seconda sezione penale. L’assegnazione del procedimento alla prima sezione era giustificata dal maggior carico di lavoro che gravava sulla seconda sezione, cui era attribuito anche il riesame delle ordinanze relative a misure coercitive, e che non avrebbe consentito la sollecita definizione del giudizio. Tuttavia, ad avviso del giudice rimettente, l’assegnazione del procedimento alla prima sezione era da porre anche in relazione alla destinazione, per svolgere le funzioni di pubblico ministero presso quella sezione, dello stesso magistrato che aveva già trattato il medesimo procedimento nella fase delle indagini preliminari. Sarebbe stata così privilegiata l’esigenza — prevista dalle norme di attuazione del codice di procedura penale per la designazione del pubblico ministero, ma non per la scelta del giudice — che alla trattazione del procedimento provveda, ove possibile, per tutte le fasi del relativo grado di giudizio, il magistrato originariamente designato (art. 3 delle norme approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271). Successivamente, intervenuta una variazione tabellare, il procedimento, prima che venisse aperto il dibattimento, era stato assegnato alla seconda sezione, anzichè alla terza, alla quale era egualmente attribuita la cognizione dei reati contro la pubblica amministrazione. Ad avviso del giudice rimettente, anche in questo caso la scelta sarebbe da porre in relazione alla destinazione a quella sezione del magistrato del pubblico ministero che aveva in precedenza trattato lo stesso procedimento.
Il giudice rimettente ricorda che la necessità di osservare il principio costituzionale del giudice naturale, precostituito per legge, é stata richiamata dal Consiglio superiore della magistratura nella circolare sulla formazione delle tabelle degli uffici giudiziari. Il Consiglio ha difatti escluso sistemi discrezionali e personalistici di distribuzione degli affari, mentre ha affermato che deve essere impedita la scelta del giudice ad opera delle parti e che, se una stessa materia é attribuita a più sezioni, deve essere indicato il criterio di ripartizione degli affari tra le sezioni.
Il giudice rimettente ritiene che il sistema applicato nel Tribunale di Torino per l’assegnazione dei procedimenti alle sezioni sarebbe in contrasto con il principio di precostituzione per legge del giudice (art. 25, primo comma, Cost.). Ma la disposizione denunciata, stabilendo che non attengono alla capacità del giudice le disposizioni sull’assegnazione dei processi alle sezioni, impedirebbe di verificare se il procedimento sia stato assegnato in contrasto con il principio costituzionale di precostituzione del giudice e di sanzionare con la nullità, prevista per la violazione delle disposizioni concernenti la capacità del giudice (art. 178, comma 1, lettera a, cod. proc. pen.), anche l’inosservanza delle norme che debbono presiedere alla distribuzione dei processi tra le diverse sezioni di un medesimo ufficio giudiziario.
2. — E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.
La norma denunciata — stabilendo che le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sull’assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici, non attengono alla capacità del giudice — esclude che eventuali violazioni determinino una nullità assoluta, così evitando che vicende amministrative ed irregolarità formali incidano, in modo spesso imprevedibile, sulla validità dei processi. Ciò non significa che non debbano essere preordinate le tabelle per la ripartizione in sezioni degli uffici giudiziari, per la formazione dei collegi giudicanti e per l’assegnazione degli affari penali, così come dispongono gli artt. 7-bis e 7-ter dell’ordinamento giudiziario (regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12), aggiunti dagli artt. 3 e 4 delle norme per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale (approvate con d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449). Queste attività non assumono, tuttavia, diretto rilievo processuale, giacchè la sanzione della nullità é riservata all’inosservanza delle disposizioni che dettano discipline prive di rilevanti momenti di discrezionalità. Tuttavia, se si verificano irregolarità formali che fanno escludere, in concreto, la precostituzione del giudice o che sono sintomo di una composizione dell’organo giudicante mirata in relazione ad un particolare processo, opererebbe direttamente l’art. 25, primo comma, della Costituzione. Difatti, ad avviso dell’Avvocatura, il concetto di capacità potrebbe essere ricostruito, ai fini della nullità prevista dall’art. 178 cod. proc. pen., comprendendo in esso il requisito della precostituzione del giudice, imposto dalla norma costituzionale. Se in concreto viene meno la precostituzione del giudice, sarebbe violata la garanzia dell’imparzialità e, mancando una delle condizioni di capacità del giudice, non troverebbe più applicazione l’art. 33, comma 2, cod. proc. pen. Ad avviso dell’Avvocatura, il giudice rimettente avrebbe, dunque, potuto verificare la compatibilità del provvedimento di assegnazione del processo direttamente con l’art. 25, primo comma, della Costituzione, senza incontrare alcun ostacolo nella disposizione denunciata.
L’Avvocatura rileva, infine, che l’ordinanza di rimessione non denuncia il contrasto del provvedimento di assegnazione del processo con la garanzia di imparzialità del giudice, ma afferma piuttosto la scarsa ragionevolezza dei criteri che hanno ispirato il provvedimento di assegnazione; criteri che aggraverebbero ingiustificatamente il carico di lavoro di una sezione del tribunale rispetto alle altre. Ma questo non determinerebbe alcun contrasto con l’art. 25 della Costituzione.
Considerato in diritto
1. — La questione di legittimità costituzionale investe l’art. 33, comma 2, del codice di procedura penale. Il Tribunale di Torino ritiene che questa disposizione, stabilendo che non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sull’assegnazione dei processi alle sezioni degli uffici giudiziari, possa essere in contrasto con il principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, primo comma, Cost.), giacchè consentirebbe l’applicazione di criteri discrezionali e personalistici di distribuzione degli affari e non impedirebbe che la scelta del magistrato possa essere determinata dalle parti, senza che operi la nullità assoluta, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, prevista per l’inosservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi (artt. 178, comma 1, lettera a, e 179 cod. proc. pen.).
2. — L’art. 25, primo comma, della Costituzione, stabilendo, tra i diritti dei cittadini, che nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, attribuisce ad essi la garanzia che la competenza degli organi giudiziari é sottratta ad ogni possibilità di arbitrio. Al fine di assicurarne la imparzialità, é escluso che il giudice possa essere designato tanto dal legislatore con norme singolari che deroghino a regole generali quanto da altri soggetti con atti loro rimessi, dopo che la controversia é insorta (sentenze n. 56 del 1967 e n. 460 del 1994; ordinanze n. 161 del 1992 e n. 176 del 1998).
Se il giudizio non può essere sottratto alla cognizione del giudice naturale, individuato secondo regole generali prefissate dal legislatore, ancor prima il medesimo giudizio non può essere attribuito alla cognizione di un giudice costituito o designato in relazione ad una determinata controversia: " precostituzione del giudice e discrezionalità nella sua concreta designazione sono criteri fra i quali non si ravvisa possibile una conciliazione" (sentenza n. 88 del 1962). L’individuazione dell’organo giudicante deve, dunque, rispondere a regole e criteri che escludano la possibilità di arbitrio anche nella specificazione dell’articolazione interna dell’ufficio cui sia rimesso il giudizio, giacchè pure nell’organizzazione della giurisdizione deve essere manifesta la garanzia di imparzialità (v. sentenza n. 272 del 1998).
3. — Le norme per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale (approvate con d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449) hanno inteso dare risposta alle esigenze prima richiamate, mediante la disciplina della predisposizione di tabelle degli uffici giudicanti ripartiti in sezioni, della destinazione dei singoli magistrati ad esse, della formazione dei collegi giudicanti, dei criteri per l’assegnazione degli affari penali e per la sostituzione dei giudici impediti (artt. 3 e 4).
Il giudice rimettente non pone in discussione queste regole. Ma, assumendo che ne é stata fatta un’applicazione distorta ed orientata alla scelta della sezione giudicante in relazione al magistrato del pubblico ministero destinato alla trattazione del procedimento, vorrebbe che anche i criteri di distribuzione delle cause tra giudici, egualmente abilitati all’esercizio della funzione giurisdizionale, rientrassero tra le condizioni della loro capacità.
4. — La questione, così prospettata, non é fondata.
L’art. 33, comma 1, del codice di procedura penale identifica la capacità del giudice con l’idoneità a rendere il giudizio: vale a dire con la riferibilità del giudizio ad organi titolari, secondo il disegno dell’ordinamento giudiziario, della funzione giurisdizionale, quindi anche nella composizione prevista per la loro formazione collegiale. I criteri di assegnazione degli affari nell’ambito di tali organi esulano dalla nozione generale della loro capacità che, riguardando la titolarità della funzione, non comprende quanto attiene all’esercizio della funzione stessa, in relazione alla organizzazione interna all’organo che ne é titolare. La ripartizione degli affari nell’ambito dell’organo competente deve essere effettuata secondo le regole proprie dell’organizzazione della giurisdizione. Nel disegno normativo, é dunque evidente la differenza tra le condizioni di capacità del giudice ed i criteri di assegnazione degli affari. L’art. 33 cod. proc. pen., mantenendo distinti questi due profili, non introduce, al secondo comma, una eccezione alla regola generale relativa alla capacità del giudice, ma ne definisce i contorni rendendone espliciti il contenuto ed i limiti.
5. — Il principio costituzionale di precostituzione del giudice non implica che i criteri di assegnazione dei singoli procedimenti nell’ambito dell’ufficio giudiziario competente, pur dovendo essere obiettivi, predeterminati o comunque verificabili, siano necessariamente configurati come elementi costitutivi della generale capacità del giudice, alla cui carenza il legislatore ha collegato la nullità degli atti. Questo non significa che la violazione dei criteri di assegnazione degli affari sia priva di rilievo e che non vi siano, o che non debbano essere prefigurati, appropriati rimedi dei quali le parti possano avvalersi. Ciò che, del resto, ammette l’Avvocatura nel caso in cui in concreto la violazione delle regole leda direttamente garanzie costituzionali.
Ma quando, come nel caso ora in esame, si assume che vi sia stata una applicazione distorta delle regole dirette a rendere effettive quelle garanzie, non é su tale situazione di fatto che può essere fondata una valutazione di illegittimità costituzionale della norma (tra le molte, sentenze n. 40 del 1998 e n. 175 del 1997; ordinanza n. 255 del 1995).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Cesare MIRABELLI
Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1998.