ORDINANZA N. 161
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Aldo CORASANITI, Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 566, quinto e sesto comma, del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 10 luglio 1991 dal Pretore di Cagliari nel procedimento penale a carico di Gianfranco Pedditzi ed altri iscritta al n. 679 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1991.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 marzo 1992 il Giudice relatore Enzo Cheli.
Ritenuto che nel procedimento penale a carico di Gianfranco Pedditzi ed altri, imputati del delitto di cui agli artt. 110, 624, 625, nn.2, 5 e 7 del codice penale, il Pretore di Cagliari, con ordinanza del 10 luglio 1991 (R.O. n. 679 del 1991), ha sollevato - in riferimento all'art.25, primo comma, della Costituzione - questione di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 566, quinto e sesto comma, del codice di procedura penale "nella parte in cui non impone al Pretore adito per la celebrazione del giudizio direttissimo tipico, che non abbia emesso provvedimenti restrittivi, di restituire gli atti al pubblico ministero perchè proceda con le forme ordinarie";
che - secondo il giudice a quo - il pubblico ministero, ai sensi dell'art.121 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, recante "Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale", ha l'obbligo di adire il pretore designato per la celebrazione dei giudizi direttissimi solo ove ricorra il presupposto dell'applicabilità di misure coercitive, mentre nessuna norma prevede che la mancata applicazione di misure coercitive da parte del giudice adito con le forme del procedimento direttissimo comporti la trasformazione del rito con restituzione degli atti al pubblico ministero;
che, in base alle disposizioni contenute nei commi quinto e sesto dell'art.566 del codice di procedura penale, per la celebrazione del giudizio direttissimo è necessaria e sufficiente la sola convalida dell'arresto, con la conseguenza che il giudizio speciale, una volta instaurato, deve essere proseguito comunque, sia che il giudice accerti l'inapplicabilità di misure coercitive sia che la pubblica accusa non chieda, come accade talvolta in pratica, l'adozione di misure cautelari;
che - sempre ad avviso del giudice remittente - le disposizioni dettate dai commi quinto e sesto dell'art. 566 del codice di procedura, così interpretate, sarebbero in contrasto con l'art. 25, primo comma, della Costituzione perchè comporterebbero l'impossibilità per il giudice di controllare, sotto il profilo della scelta del rito, le valutazioni del pubblico ministero, determinando "l'indiscriminata sottrazione dell'imputato sia al suo giusto giudice del procedimento incidentale di convalida .... sia a quello del dibattimento";
che nel giudizio dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Considerato che, secondo il giudice remittente, le disposizioni impugnate violerebbero l'art. 25, primo comma, della Costituzione, perchè rimetterebbero la scelta del rito a valutazioni del pubblico ministero non controllabili da parte del giudice, determinando quale conseguenza la possibilità di una sottrazione dell'imputato al suo giudice naturale;
che, in base all'art. 566, sesto comma, del nuovo codice di procedura penale, l'instaurazione del rito direttissimo è stata condizionata alla presenza di un provvedimento giudiziale, cioè alla convalida dell'arresto da parte del giudice, il che esclude l'esistenza di una scelta insindacabile del pubblico ministero in ordine al rito ed al giudice del dibattimento;
che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, si ha violazione del principio del giudice naturale, sancito dall'art.25, primo comma, della Costituzione quando il giudice venga designato a posteriori in relazione ad una determinata controversia o direttamente dal legislatore in via di eccezione singolare alle regole generali ovvero attraverso atti di altri soggetti ai quali la legge attribuisca tale potere al di là dei limiti imposti dalla riserva di legge (sent. n. 446 del 1990; ord. n. 902 del 1988; sent. n. 127 del 1979);
che, nella fattispecie condotta all'esame della Corte, tale violazione non sussiste, dal momento che risulta rispettata l'esigenza della precostituzione del giudice, quale garanzia di imparzialità dell'organo giudiziario;
che pertanto la questione va dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 566, quinto e sesto comma, del codice di procedura penale sollevata, in riferimento all'art. 25 della Costituzione, dal Pretore di Cagliari con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/03/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Gabriele PESCATORE, Redattore
Depositata in cancelleria il 2 aprile del 1992.