SENTENZA N. 134
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 38, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze nel procedimento vertente tra A.P. e S.S., con ordinanza del 17 giugno 2014, iscritta al n. 233 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 18 maggio 2016 il Giudice relatore Giuliano Amato.
Ritenuto in fatto
1.− Con ordinanza depositata il 17 giugno 2014 il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile, nella parte in cui attribuisce alla competenza del Tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 330 e 333 del codice civile.
La questione viene sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione, poiché la previsione della competenza del Tribunale per i minorenni, accanto a quella del Tribunale ordinario, per i provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ., determinerebbe un trattamento processuale differenziato, privo di alcuna ragionevole giustificazione, di situazioni identiche sul piano dei diritti sostanziali.
Viene, inoltre, denunciata la violazione degli artt. 97, secondo comma, e 111 Cost., poiché la previsione della “duplice” competenza − del Tribunale ordinario e del Tribunale per i minorenni − per i provvedimenti di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ. e la conseguente possibilità di pronunce meramente processuali (di incompetenza, connessione, continenza, sospensione dei giudizi), nonché di conflitto di giudicati, sarebbe in contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione e con il principio del giusto processo, sotto il profilo della ragionevole durata dei procedimenti.
2.− Il Tribunale rimettente riferisce di essere investito della decisione in ordine al ricorso proposto, ai sensi dell’art. 709-ter del codice di procedura civile, dal genitore di un minore, al fine di ottenere la modifica del decreto con cui, nel 2007, il Tribunale per i minorenni di Firenze – a seguito della cessazione della convivenza more uxorio tra i genitori − ha disposto l’affidamento condiviso della figlia ad entrambi i genitori. Nel costituirsi in giudizio, la parte resistente ha chiesto che il procedimento sia sospeso, ai sensi dell’art. 295 cod. civ., in attesa della definizione di altro giudizio promosso dalla Procura minorile di Firenze innanzi al Tribunale per i minorenni, avente ad oggetto i provvedimenti di cui agli artt. 330, 333 e 336 cod. civ.
Al fine di evitare la possibilità di provvedimenti contrastanti, il giudice a quo riferisce di avere chiesto al Tribunale per i minorenni la trasmissione degli atti del procedimento pendente innanzi a questo giudice, ma la richiesta non ha ricevuto alcun riscontro.
Osserva il giudice a quo che la attuale formulazione dell’art. 38 disp. att. cod. civ., introdotta dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali), ha mantenuto una serie di competenze del Tribunale per i minorenni, tra le quali rilevano in particolare i procedimenti promossi per la decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli (art. 330 cod. civ.) e quelli per l’accertamento della condotta del genitore pregiudizievole ai figli (art. 333 cod. civ.).
Viceversa, tutti gli altri procedimenti relativi ai diritti dei minori, non elencati nell’art. 38 disp. att. cod. civ., rientrano nella competenza del Tribunale ordinario e devono essere trattati con il rito camerale. Tra questi, in particolare, rilevano, per quantità e delicatezza delle decisioni da assumere, quelli relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale (art. 316 cod. civ.), al concorso nel mantenimento dei figli (art. 316-bis cod. civ.) e all’ascolto del minore (art. 336-bis cod. civ.).
Ad avviso del Tribunale, la controversia in esame denoterebbe l’assoluta irrazionalità che la novella del 2012 ha introdotto nelle procedure che vedono come protagonisti i minori, in rapporto con la responsabilità dei loro genitori o ascendenti, così da determinare il dubbio di costituzionalità dell’attuale formulazione dell’art. 38 disp. att. cod. civ., in riferimento all’art. 3 Cost., per trattamento ingiustificatamente differenziato di situazioni omogenee.
Osserva il rimettente che con la legge n. 219 del 2012, e con il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), è stata introdotta nell’ordinamento una reale parità di trattamento dei figli, sia nati nel matrimonio, sia fuori di esso, sia adottati, giungendo alla completa eliminazione di ogni distinzione nella disciplina della filiazione, relativamente allo status di figlio (art. 315 cod. civ.). Tale equiparazione ha definitivamente rimosso il pregiudizio circa lo status e la qualificazione giuridica dei figli per “categorie”, ora eliminate dall’ordinamento, con piena attuazione del principio di cui all’art. 3 Cost., di uguaglianza dei figli e pari dignità sociale della filiazione.
Di conseguenza, ad avviso del Tribunale rimettente, sarebbe stata legittima l’unificazione anche del trattamento processuale delle controversie inerenti la filiazione, la responsabilità genitoriale ed i rapporti con gli ascendenti, non essendo rimasto alcun motivo per differenziare i trattamenti processuali di situazioni del tutto identiche sul piano dei diritti sostanziali. Ciò tuttavia non è avvenuto. È stato, infatti, modificato il riparto di competenza tra i due giudici storicamente chiamati a decidere sulle materie in questione: il Tribunale ordinario, quale giudice della separazione e divorzio, ed il Tribunale per i minorenni, quale giudice della filiazione naturale, delle coppie di fatto, delle adozioni, della patologia della responsabilità genitoriale. Tuttavia, non è stata modificata la competenza dei Tribunali ordinari, già detentori da sempre del potere di decidere su separazioni e divorzi tra coniugi, con ogni correlata pronunzia nell’interesse della prole.
Ad avviso del giudice a quo, l’irrazionalità di tale intervento deriverebbe soprattutto dal mantenimento di una competenza differenziata di due organi giurisdizionali, profondamente diversi nella loro composizione: il Tribunale specializzato, composto da due giudici togati e due giudici onorari esperti delle materie minorili, ed il Tribunale ordinario composto, invece, da tre membri togati.
A parere del rimettente, tale assetto contrasta con gli artt. 3, 97 e 111 Cost.
Pur riconoscendo la discrezionalità legislativa nella conformazione degli istituti processuali, il giudice a quo ritiene che l’interprete sia altrettanto libero di segnalare l’irrazionalità, per disparità di trattamento, di situazioni uguali tra loro, e quindi di denunciare una violazione del principio di eguaglianza.
In punto di rilevanza, il Tribunale rimettente osserva che, ove la questione fosse accolta, esso potrebbe decidere nel merito delle domande proposte dalle parti, ovvero potrebbe sospendere il giudizio, in attesa della decisione del Tribunale per i minorenni. Ed invero, le domande avanzate del giudizio a quo potrebbero tutte qualificarsi ai sensi dell’art. 337-ter cod. civ., in quanto volte a disciplinare l’esercizio della responsabilità genitoriale rispetto ai figli nati fuori del matrimonio.
Qualora il Tribunale ordinario decidesse dei diritti della prole di coppia non coniugata, ciò comporterebbe il rischio elevatissimo di una pronunzia incompatibile con quella eventualmente presa dal Tribunale per i minorenni.
Il procedimento all’esame del rimettente si presterebbe quindi a tre possibili esiti: potrebbe essere trasferito al Tribunale per i minorenni, in quanto promosso ai sensi dell’art. 709 cod. proc. civ. Potrebbe essere sospeso, in attesa delle decisioni del Tribunale per i minorenni sulle domande già avanzate dal pubblico ministero minorile. Potrebbe, infine, essere trattenuto per la decisione dal giudice ordinario, ma ciò determinerebbe il rischio di un contrasto con il provvedimento reso nella procedura pendente dinanzi al Tribunale per i minorenni, con l’ulteriore anomalia data dalla carenza informativa circa l’oggetto, il petitum e lo stato del procedimento affidato all’altro giudice.
In punto di ammissibilità della questione, il giudice a quo ritiene impossibile un’interpretazione adeguatrice. Il tentativo di interpretazione conforme incontra, infatti, un preciso limite, non potendo il giudice stravolgere il dato letterale del testo normativo, il quale, nel caso in esame, non si presterebbe ad interpretazioni diverse da quella emergente dalla mera lettura del testo.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale ritiene che il meccanismo volto ad evitare i conflitti tra decisioni difformi (attraverso la temporanea competenza unica del Tribunale ordinario in pendenza di giudizio che coinvolga la responsabilità genitoriale) non risulti efficiente nel caso in esame e, in generale, nei casi nei quali le parti private non comunichino ad uno dei due giudici l’esistenza di causa connessa, pendente dinnanzi all’altro.
Ad avviso del giudice a quo, l’individuazione del giudice competente per i giudizi ex art. 333 cod. civ. sarebbe irrazionale. Essa non avverrebbe, infatti, in base agli interessi sostanziali in gioco, alla miglior composizione del giudice, alla migliore procedura adottabile in materia, bensì in base al soggetto legittimato a proporre azione: ove esso sia il pubblico ministero minorile, ovvero un ascendente del minore, dovrà essere adito il Tribunale minorile, anche se tra i genitori penda giudizio di separazione, divorzio, ovvero ex art. 316 cod. civ. In particolare, in questo ultimo caso, il genitore che sollevi dubbi sulla responsabilità dell’altro può integrare la domanda di separazione o divorzio e procedere innanzi al Tribunale ordinario, venendosi così a creare due distinti giudizi sulla stessa materia, giudizi che possono procedere parallelamente e concludersi con difformi statuizioni, come tali ineseguibili.
Andrebbe inoltre escluso, ad avviso del giudice a quo, che la necessità di mantenere due distinte competenze di diversi giudici discenda dall’esistenza di un apposito ufficio giudiziario, la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, organo propulsivo delle azioni a tutela dei minori, le quali – ove attribuite al Tribunale ordinario − perderebbero una tutela di grande efficacia. Infatti, tali importanti funzioni di azione, domanda e partecipazione al giudizio sarebbero esercitate dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario, come già accade per tutti i giudizi relativi alle crisi coniugali e alla tutela dei minori.
In caso di accoglimento della questione di legittimità costituzionale, non si verificherebbe alcuna conseguenza negativa per il fatto che il Tribunale specializzato vedrebbe quasi annullato il proprio ruolo di giudice dei diritti dei minori. Non sussisterebbe, infatti, «un’esigenza contrapposta a quella costituzionale fatta valere» dal rimettente, ed in ogni caso al giudice specializzato rimarrebbero ancora numerose competenze. Oltre a quelle dell’art. 38 disp. att. cod. civ. estranee alla presente questione, residuerebbero tutte quelle relative all’adozione di minorenni, all’autorizzazione alla permanenza di genitori stranieri di minori domiciliati in Italia, alle procedure amministrative su minorenni dalle condotte irregolari.
Gli aspetti disfunzionali evidenziati dal rimettente (unitamente alle difficoltà logistiche connesse alla dimensione distrettuale del Tribunale minorile, contrapposta a quella del Tribunale ordinario, quale giudice di prossimità), sarebbero produttivi di ulteriori violazioni dei principi costituzionali, ed in particolare di quello del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, secondo comma, Cost.), e di quello del giusto processo (art. 111 Cost.), sotto il profilo della ragionevole durata. Essi sarebbero violati dalla previsione legislativa della duplice competenza, la quale comporta il rischio di pronunce meramente processuali (di incompetenza, connessione, continenza, o sospensione), sino alla possibilità di conflitto tra giudicati.
3.− Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, ovvero manifestamente infondata.
3.1.− Sono stati richiamati, in particolare, gli argomenti già svolti a sostegno della legittimità dell’attribuzione alla competenza funzionale del Tribunale per i minorenni dei ricorsi ex art. 317-bis cod. civ., proposti dagli ascendenti, per far valere il proprio diritto al mantenimento di rapporti significativi con i minori.
Quanto alla dedotta violazione del principio del simultaneus processus, l’Avvocatura generale dello Stato esclude che esso abbia una valenza assorbente in questa materia, in quanto l’art. 38 disp. att. cod. civ. subordina la vis attractiva del giudizio di separazione, divorzio e sull’esercizio della responsabilità dei genitori (art. 316 cod. civ.) alla pendenza «tra le stesse parti» di un procedimento volto all’accertamento della condotta del genitore pregiudizievole ai figli, ai sensi dell’art. 333 cod. civ. In questa ipotesi, infatti, e per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dagli artt. 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, cod. civ., spetta al giudice ordinario.
Quanto all’ipotizzato contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato rileva che la scelta legislativa di riservare al Tribunale per i minorenni la competenza ad adottare i provvedimenti limitativi della responsabilità, anche nel caso di contestuale pendenza tra i genitori di un giudizio di separazione o divorzio, non sarebbe irragionevole, perché si fonderebbe sulla mancanza di legittimazione degli ascendenti ad intervenire in tali controversie e risponderebbe all’esigenza di garantire il principio costituzionale di ragionevole durata di questi giudizi (la cui definizione sarebbe ritardata, ove si estendesse la legittimazione all’intervento).
3.2.− Con memoria depositata in prossimità della camera di consiglio, l’Avvocatura generale dello Stato ha meglio illustrato le ragioni a sostegno della infondatezza della questione sollevata dal Tribunale ordinario di Firenze.
In particolare, la difesa statale ha richiamato il principio affermato dalla recente sentenza n. 194 del 2015, che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ., nella parte in cui comprende nella competenza del Tribunale per i minorenni le controversie di cui all’art. 317-bis cod. civ. In questa occasione, la Corte ha ritenuto che «non può certo apparire irragionevole la scelta di attribuire a un giudice specializzato – e da considerarsi “naturale” per la tutela degli interessi dei minori – anche la competenza in discorso, fermo restando che qualsiasi altro e diverso livello di criticità delle soluzioni adottate dal legislatore non può che legittimamente rientrare – specie, come si è ricordato, nella materia processuale – nell’ambito della discrezionalità di cui esso gode».
Analoghe considerazioni porterebbero a ritenere infondata anche la presente questione. Infatti, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la ratio del cumulo delle competenze andrebbe ravvisata non tanto in esigenze di celerità processuale, quanto piuttosto nella preoccupazione del legislatore di non infliggere al minore ulteriori verifiche giudiziali, nel contesto già traumatico della separazione dei genitori.
Osserva, quindi, la difesa statale che laddove tale contesto non ricorra − in quanto il ricorso sia stato proposto da genitori già separati, ovvero non ancora tali − il giudice naturale debba essere individuato in quello specializzato per la comprensione del minore e dei suoi diritti, grazie anche alla particolare configurazione dello stesso ufficio giudiziario, composto da due giudici togati e due giudici onorari, esperti nelle materie minorili.
Considerato in diritto
1.− Con ordinanza depositata il 17 giugno 2014, il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile, nella parte in cui attribuisce alla competenza del Tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 330 e 333 del codice civile.
La questione viene sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., poiché la previsione della competenza del Tribunale per i minorenni, accanto a quella del Tribunale ordinario, per i provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ., determinerebbe un trattamento processuale differenziato, privo di alcuna ragionevole giustificazione, di situazioni identiche sul piano dei diritti sostanziali.
Viene, inoltre, denunciata la violazione degli artt. 97, secondo comma, e 111 Cost., poiché la previsione della “duplice” competenza − del Tribunale ordinario e del Tribunale per i minorenni – in ordine ai provvedimenti di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ., e la conseguente possibilità di pronunce meramente processuali (di incompetenza, connessione, continenza, sospensione dei giudizi), nonché di conflitto di giudicati, sarebbe in contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione e con il principio del giusto processo, sotto il profilo della ragionevole durata dei procedimenti.
2.− La questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ. è inammissibile.
2.1.− Il petitum del giudice a quo è volto alla declaratoria di illegittimità dell’art. 38 disp. att. cod. civ., nella parte in cui attribuisce al Tribunale per i minorenni la competenza in ordine ai procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ.
Dalla sintetica descrizione della fattispecie concreta non emergono, tuttavia, elementi che consentano di ritenere che il thema decidendum sottoposto al giudice a quo comporti la soluzione di questioni attinenti alla titolarità della responsabiltà genitoriale, né che sia richiesto, neppure incidentalmente, un accertamento sul contegno pregiudizievole (o radicalmente abusivo) di uno dei genitori. Infatti, l’intervento giudiziale richiesto attiene soltanto alla disciplina dell’esercizio del diritto di visita da parte del genitore non convivente, senza che ciò comporti la modifica della natura condivisa dell’affidamento, né – a fortiori – della titolarità della potestà genitoriale.
Ne discende l’impossibilità di valutare se nel giudizio a quo sussista la denunciata sovrapposizione di competenze del Tribunale ordinario e del Tribunale minorile.
2.2.− Va inoltre rilevato che il giudice a quo omette di indicare quale sia lo scenario processuale nell’ambito del quale egli ritiene di dover fare applicazione del censurato criterio di riparto della competenza. Vengono infatti elencati tre possibili sviluppi processuali alternativi (declaratoria di incompetenza, sospensione per pregiudizialità, o decisione della controversia), senza tuttavia prendere posizione in ordine ad alcuno di essi. Siffatta modalità argomentativa non è idonea a sostenere le ragioni della rilevanza, la quale appare meramente ipotetica e, comunque, indimostrata.
2.3.− Va detto che nella prospettazione del giudice a quo non è in discussione la competenza del Tribunale ordinario in ordine ai provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, nei casi individuati dall’art. 38 disp. att. cod. civ. Il dubbio di legittimità costituzionale attiene, invece, alle possibili interferenze tra l’esercizio di tale competenza del Tribunale ordinario e quella attribuita (recte: mantenuta) in capo al Tribunale per i minorenni in ordine ai medesimi provvedimenti, ovvero a provvedimenti diversi che possano tuttavia confliggere fra loro.
Certo si è che, nel denunciare l’irragionevolezza del complessivo sistema di riparto stabilito dall’art. 38 disp. att. cod. civ., il giudice rimettente formula un petitum volto a realizzare la concentrazione in capo al Tribunale ordinario delle tutele relative ai provvedimenti de potestate, da chiunque (dei soggetti legittimati) richieste e quale che sia il momento processuale in cui ciò avvenga.
Al riguardo, va riconosciuto che la separazione degli ambiti di intervento del giudice ordinario e di quello specializzato, delineata dalla disposizione censurata, può evidenziare aspetti disfunzionali in tutti quei casi nei quali il conflitto tra i genitori sulle modalità di affidamento sia destinato a sfociare in provvedimenti restrittivi della responsabilità genitoriale.
Ed effettivamente, ancorché il caso in concreto sottoposto al giudice a quo non rientri in tale ultima ipotesi, è nella denunciata frammentazione delle tutele attinenti agli interessi del minore e nel pregiudizio dell’effettività dell’intervento giudiziale sulla responsabilità genitoriale che potrebbe essere ravvisata la lesione dei principi costituzionali.
2.3.1.− La motivazione dell’ordinanza di rimessione, tuttavia, non spiega le ragioni per le quali il denunciato vulnus possa, e debba, essere eliminato mediante l’attribuzione al Tribunale ordinario delle controversie relative alla responsabilità dei genitori, anziché mediante l’attrazione al Tribunale minorile − quale giudice specializzato − delle competenze relative all’affidamento dei minori. Il petitum del rimettente non è supportato da elementi che consentano di ritenere che quella invocata sia l’unica scelta costituzionalmente compatibile.
In considerazione della pluralità di soluzioni possibili, nessuna delle quali costituzionalmente obbligata, l’intervento richiesto si caratterizza per un alto tasso di manipolatività. Ciascuna di tali soluzioni comporta, infatti, scelte (anche organizzative) discrezionali, come tali riservate al legislatore (ex plurimis, sentenze n. 223 e n. 23 del 2015; n. 243 del 2014). Ed infatti in sede parlamentare pendono più disegni di legge sull’argomento, che forniscono al riguardo soluzioni diverse da quella prospettata dal rimettente.
Proprio in riferimento all’attuale disciplina del riparto di competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni questa Corte ha recentemente riconosciuto la ragionevolezza della scelta di attribuire al Tribunale specializzato, da considerarsi “naturale” per la tutela degli interessi dei minori, la competenza in ordine ai provvedimenti relativi al diritto degli ascendenti di mantenere «rapporti significativi» con i nipoti minorenni, «[…] fermo restando che qualsiasi altro e diverso livello di criticità delle soluzioni adottate dal legislatore non può che legittimamente rientrare − specie [...] nella materia processuale − nell’ambito della discrezionalità di cui esso gode» (sentenza n. 194 del 2015).
Dalla considerazione di tali argomenti discende un ulteriore motivo di inammissibilità della questione in esame.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 maggio 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2016.