Sentenza n. 121 del 2016

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SENTENZA N. 121

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                             GROSSI                                    Presidente

-           Giuseppe                       FRIGO                                         Giudice

-           Alessandro                    CRISCUOLO                                    ”

-           Giorgio                          LATTANZI                                       ”

-           Aldo                              CAROSI                                            ”

-           Marta                            CARTABIA                                      ”

-           Mario Rosario               MORELLI                                         ”

-           Giancarlo                      CORAGGIO                                     ”

-           Giuliano                        AMATO                                            ”

-           Silvana                          SCIARRA                                         ”

-           Daria                             de PRETIS                                         ”

-           Nicolò                           ZANON                                             ”

-           Franco                           MODUGNO                                      ”

-           Augusto Antonio          BARBERA                                        ”

-           Giulio                            PROSPERETTI                                 ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 3-bis, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, promosso dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, nel procedimento vertente tra M.P. e l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Roma 2 ed altra, con ordinanza del 13 maggio 2015, iscritta al n. 172 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2016 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio.

Ritenuto in fatto

1.– La Commissione tributaria regionale del Lazio, con ordinanza iscritta al n. 172 del registro ordinanze 2015, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 53, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – nel testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 3-bis, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, il quale prevede, nell’ipotesi in cui la notifica non avvenga a mezzo di ufficiale giudiziario, l’inammissibilità dell’appello nel caso di omesso deposito di copia dell’atto di impugnazione presso l’ufficio di segreteria della Commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata.

1.1.– Il giudice rimettente espone che la contribuente ha proposto appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva rigettato il ricorso avanzato avverso la cartella di pagamento per omesso o carente versamento IRAP per l’anno di imposta 2005, chiedendo, altresì, il riconoscimento di un credito IRAP relativamente ad una somma erroneamente versata per il periodo di imposta 2005. L’appellante rappresentava di svolgere attività di amministratore di condominio, non assoggettabile ad IRAP per l’assenza del requisito della autonoma organizzazione e instava, quindi, per l’annullamento della cartella di pagamento impugnata ed il riconoscimento del credito IRAP. L’Agenzia delle entrate, costituitasi in giudizio, nelle proprie controdeduzioni, tra l’altro, chiedeva di verificare l’avvenuto deposito di copia dell’appello presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale (come richiesto dall’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992); inoltre, rappresentava che la parte non poteva stare in giudizio personalmente, in quanto il valore della controversia superava la soglia di euro 2.582,28 e rilevava che la richiesta di riconoscimento del credito IRAP era inammissibile, non avendo, la parte, presentato una specifica istanza di rimborso; nel merito, sosteneva la sussistenza del requisito della autonoma organizzazione e la legittimità dell’assoggettamento ad IRAP.

1.2.– La Commissione tributaria regionale solleva d’ufficio la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la predetta disposizione, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, Cost.

1.2.1.– In punto di rilevanza, il giudice rimettente premette che l’appello è tempestivo ma l’esame del merito dell’appello sarebbe precluso dalla causa di inammissibilità per omesso deposito, presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale di Roma, di copia dell’atto di impugnazione. Osserva, poi, che nella fattispecie in esame trova applicazione l’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 nel testo precedente rispetto alle modifiche introdotte con l’art. 36 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175 (Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata), il quale – disponendo la soppressione del secondo periodo del citato comma 2 – ha reso non più necessario, ai fini della ritualità della proposizione dell’appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale, il deposito di copia dell’atto di impugnazione presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale. La nuova disposizione, infatti, si applica agli appelli notificati dopo il 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore del decreto, mentre, per gli appelli proposti, come quello di specie, prima della entrata in vigore della nuova normativa, trova applicazione la disposizione che prevede l’inammissibilità nel caso di omesso deposito di copia dell’appello presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale.

1.2.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, la Commissione tributaria regionale ripercorre le svariate pronunce di questa Corte aventi ad oggetto la disposizione censurata (tutte nel senso della sua legittimità costituzionale), concludendo che, alla luce di alcune recenti decisioni della Corte di cassazione, si impone la valutazione di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità in esame sotto profili diversi rispetto a quelli già esaminati precedentemente.

Il rimettente espone che la Corte di legittimità ha interpretato in modo restrittivo l’art. 53, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, escludendo che la causa di inammissibilità in esso prevista operi nei casi in cui la notifica sia effettuata da parte del messo notificatore o da parte del difensore a mezzo del servizio postale, trovando applicazione, in tali ipotesi, la regola di cui all’art. 123 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, che obbliga l’ufficiale giudiziario (e, quindi, anche il messo notificatore e il difensore) a dare immediato avviso scritto dell’avvenuta notificazione dell’appello alla segreteria del giudice che ha reso la sentenza impugnata.

Alla luce di tale diritto vivente, la causa di inammissibilità prevista dalla censurata disposizione opera, quindi, unicamente nel caso di ricorso proposto personalmente dal contribuente.

Pur conoscendo la ratio della disposizione – come delineata da questa Corte nelle pronunce aventi ad oggetto la norma impugnata – legata all’esigenza di evitare l’erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, il giudice rimettente si interroga sulla compatibilità con gli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, Cost. della previsione di inammissibilità dell’appello nel caso di omesso deposito così delimitata nel suo ambito applicativo (e cioè solo quando la notifica non sia effettuata dall’ufficiale giudiziario, dal messo notificatore o dal difensore).

A parere della Commissione tributaria regionale, tale disposizione renderebbe eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa del contribuente, mediante l’attribuzione alla sola parte privata dell’onere, per l’ammissibilità dell’appello, del deposito del ricorso sia presso la Commissione tributaria regionale che presso la Commissione tributaria provinciale, senza che ciò sia giustificato dalla ratio che il legislatore intende perseguire. Infatti, ad una eventuale erronea attestazione del passaggio in giudicato di una sentenza si può porre facilmente rimedio mediante la cancellazione della medesima attestazione, non appena la segreteria della Commissione tributaria regionale invia la richiesta di trasmissione del fascicolo del processo, ai sensi del comma 3 del medesimo art. 53. Del resto, tale ratio rischierebbe, comunque, di essere frustrata nel caso in cui il messo notificatore omettesse di inviare alla segreteria del giudice a quo l’immediato avviso scritto della avvenuta notificazione dell’appello, senza, peraltro, incorrere nella sanzione di inammissibilità.

A parere della rimettente, la presunta violazione del diritto di difesa dovrebbe essere valutata – proprio alla luce del differente trattamento riservato (secondo il citato diritto vivente) alla notifica effettuata dal messo notificatore – congiuntamente ai principi costituzionali di uguaglianza e di parità delle parti del processo (contribuente e amministrazione finanziaria).

Osserva sul punto il giudice tributario che, nel momento in cui la Corte di cassazione ha equiparato (ai fini dell’applicazione dell’art. 53, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992) la notifica del messo notificatore – che, pur essendo inserito in un ufficio pubblico, è tuttavia organo di una delle parti del processo – a quella dell’ufficiale giudiziario, la residua previsione di inammissibilità dell’appello solo quando l’omissione sia imputabile alla parte privata comporterebbe la violazione del complesso dei parametri evocati, non essendo conforme a Costituzione una disciplina processuale che tuteli il diritto di agire in giudizio ed il diritto di difesa in modo difforme con riferimento alle diverse parti del processo.

2.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata.

2.1.– Ad avviso della difesa dello Stato, la questione di costituzionalità sarebbe inammissibile, in quanto l’asserita lesione degli evocati parametri costituzionali deriverebbe non dal fatto che il diritto vivente esclude l’applicabilità della decadenza ex art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 alle notifiche tramite messi speciali (in quanto tale esclusione è già stata dichiarata conforme a Costituzione dalla sentenza n. 17 del 2011) ma dalla previsione – contenuta nell’art. 16, comma 4, del medesimo decreto legislativo – che consente all’Amministrazione di avvalersi di propri messi notificatori.

2.2.– Quanto alla non fondatezza, con riferimento alla presunta violazione dell’art. 111, secondo comma, Cost., viene rimarcato che la disparità di trattamento non deriverebbe da una regola processuale che privilegia una parte ai danni dell’altra, ma sarebbe collegata alla natura pubblica di una delle parti e ai connessi poteri autoritativi. Del resto, la violazione del principio di parità delle parti del processo sarebbe scongiurata anche perché sia alla parte pubblica che al privato è consentito di avvalersi di un soggetto pubblico per la notifica. Né sembrerebbe alterare la situazione di parità il fatto in sé che l’Agenzia delle entrate possa avvalersi di messi notificatori interni.

Sempre la natura pubblica di una parte, poi, precluderebbe un raffronto tra le posizioni ai fini del rispetto dell’art. 3 Cost., stante la sua non equiparabilità con un soggetto privato.

Sulla presunta violazione dell’art. 24 Cost., infine, si richiamano le precedenti pronunce con le quali questa Corte ha escluso qualsiasi contrasto dell’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 con il diritto di difesa.

Considerato in diritto

1.– La Commissione tributaria regionale del Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – nel testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 3-bis, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, il quale prevede, nell’ipotesi in cui la notifica non avvenga a mezzo di ufficiale giudiziario, l’inammissibilità dell’appello nel caso di omesso deposito di copia dell’atto di impugnazione presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale.

1.1.– Tale disposizione violerebbe gli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione.

L’onere da essa imposto renderebbe eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa da parte del contribuente. La presunta violazione di tale diritto, a parere del giudice rimettente, andrebbe accertata unitamente alla verifica del contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e di parità delle parti (contribuente e amministrazione finanziaria), posto che destinatario di tale onere di deposito è la sola parte privata.

La Commissione tributaria regionale del Lazio premette che la Corte di cassazione ha equiparato (ai fini dell’applicazione dell’art. 53, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992) alla notifica dell’ufficiale giudiziario quella del messo notificatore, il quale, pur essendo inserito in un ufficio pubblico, è tuttavia organo di una delle parti del processo. La previsione di inammissibilità dell’appello solo quando l’omissione sia imputabile alla parte privata – e non anche quando sia imputabile all’amministrazione finanziaria – comporterebbe la violazione «del complesso delle norme costituzionali sopra menzionate (artt. 3, 24 e 111, secondo comma, Cost.), non essendo conforme a Costituzione una disciplina processuale che tuteli il diritto di agire in giudizio ed il diritto di difesa in modo difforme con riferimento alle diverse parti del processo».

Inoltre – sottolinea il rimettente – la ratio della norma in esame (come delineata da questa Corte in svariati precedenti specifici aventi ad oggetto la disposizione medesima) consistente nell’evitare il rischio di un’eventuale erronea attestazione del passaggio in giudicato di una sentenza della Commissione tributaria provinciale, verrebbe frustrata senza che ne consegua alcuna inammissibilità, nell’ipotesi in cui il messo notificatore (operando ai sensi dell’art. 16, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992) omettesse, per negligenza, l’avviso scritto, presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, dell’appello proposto dall’Ufficio.

2.– In via preliminare va segnalato che l’art. 36 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175 (Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata) ha disposto la soppressione del secondo periodo del comma 2 dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, rendendo non più necessario, ai fini della ritualità della proposizione dell’appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale, il deposito di copia dell’atto di impugnazione presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale.

Come correttamente rilevato dal giudice rimettente, la norma sopravvenuta non trova applicazione nel giudizio a quo. E ciò in quanto, secondo quanto precisato anche dalla Agenzia delle entrate con la circolare n. 31/E del 30 dicembre 2014, in mancanza di specifica disposizione transitoria, opera il principio generale secondo cui l’atto processuale è soggetto alla disciplina vigente al momento in cui viene compiuto, sebbene successiva all’introduzione del giudizio. Conseguentemente, la nuova disposizione si applica agli appelli notificati dopo il 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore del decreto legislativo. Per gli appelli proposti, come quello di specie, prima di tale termine deve quindi continuare ad applicarsi la disposizione che prevede l’inammissibilità nel caso di omesso deposito di copia dell’appello presso la Commissione tributaria provinciale.

3.– Sempre in via preliminare, va esaminata l’eccezione di inammissibilità formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri, la quale non è fondata.

Ad avviso della difesa dello Stato, la prospettata questione di costituzionalità sarebbe inammissibile in quanto l’asserita lesione degli evocati parametri costituzionali deriverebbe non dal fatto che il diritto vivente esclude l’applicabilità del secondo periodo del secondo comma dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 alle notifiche tramite messi speciali (in quanto tale esclusione è già stata dichiarata conforme a Costituzione dalla sentenza n. 17 del 2011) ma dalla previsione – contenuta nell’art. 16, comma 4, del medesimo decreto legislativo – che consente all’Amministrazione di avvalersi di propri messi notificatori.

In realtà, non è di questa facoltà che si duole il rimettente, ma più specificamente delle diverse conseguenze dovute al differente soggetto che effettua la notifica e della equiparazione, sotto il profilo della non operatività della norma censurata, della disciplina dei messi notificatori agli ufficiali giudiziari.

4.− Nel merito, la questione in esame va valutata alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte in materia di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali, secondo cui in tale ambito il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2016, n. 23 del 2015 e n. 157 del 2014), che si ravvisa, con riferimento specifico all’art. 24 Cost., ogniqualvolta emerga un’ingiustificabile compressione del diritto di agire (sentenze n. 44 del 2016 e n. 335 del 2004). In particolare, questa Corte ha costantemente sostenuto che tale precetto costituzionale «“non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti […] purché non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale”» (da ultimo, sentenza n. 44 del 2016, e, analogamente, sentenze n. 23 del 2015, n. 243 e n. 157 del 2014).

4.1.− Pronunciandosi proprio sul secondo periodo del comma 2 dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 è stato chiarito che l’onere previsto dalla disciplina de qua non viola l’art. 24 Cost. (sentenza n. 17 del 2011; ordinanza n. 43 del 2010).

Tale onere, di per sé non eccessivamente gravoso, è giustificato dalla ratio della norma, ravvisabile – per come delineata da questa Corte – nell’intento di «evitare il rischio di una erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado» (sentenza n. 321 del 2009 e ordinanza n. 43 del 2010): infatti qualora l’appellante abbia liberamente scelto di notificare il ricorso in appello non avvalendosi dell’ufficiale giudiziario, «l’unico deterrente per indurre l’appellante a fornire tempestivamente alla segreteria del giudice di primo grado la documentata notizia della proposizione dell’appello stesso è rappresentato dalla sanzione di inammissibilità prevista dalla norma denunciata» (sentenza n. 321 del 2009).

5.– Tanto premesso, occorre verificare la presunta disarmonia costituzionale (con riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, Cost.) della disposizione censurata sotto la particolare prospettiva offerta dal giudice rimettente, incentrata sulla ingiustificata diversità della disciplina della notifica effettuata direttamente dalla parte rispetto a quella effettuata dall’Amministrazione tramite il messo notificatore speciale: pur essendo, quest’ultimo, organo della parte processuale, non viene, infatti, applicata la sanzione dell’inammissibilità in caso di inadempimento dell’obbligo di avviso al giudice di primo grado.

6.− La questione non è fondata.

6.1.– Le ragioni che giustificano il differente trattamento sono ricostruibili sulla base delle argomentazioni poste a fondamento delle precedenti pronunce di questa Corte aventi ad oggetto la medesima disposizione anche se sotto un diverso profilo (sentenze n. 17 del 2011 e n. 321 del 2009; ordinanze n. 141 del 2011 e n. 43 del 2010).

Veniva infatti contestata l’irragionevolezza della disparità di trattamento tra la notifica effettuata a mezzo di ufficiale giudiziario e quella effettuata direttamente dalla parte.

Al riguardo questa Corte ha concluso per l’infondatezza delle questioni sollevate, in quanto la diversità di disciplina è legata, oltre che alla natura pubblica dell’ufficio cui è affidato il compimento dell’atto, allo specifico obbligo imposto dall’art. 123 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile all’ufficiale giudiziario – in forza dei suoi doveri di ufficio e della responsabilità disciplinare, civile o penale in caso di inadempimento – di dare avviso scritto dell’impugnazione al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (sentenze n. 17 del 2011 e n. 321 del 2009).

6.2.– La motivazione può valere anche per il messo notificatore.

Per quest’ultimo il comma 4 dell’art. 16 del d.lgs. 546 del 1992 prevede che, come per l’ufficiale giudiziario, vi sia l’osservanza delle disposizioni di cui al comma 2 del medesimo articolo, ovvero l’effettuazione delle notificazioni secondo le norme del codice di procedura civile. In particolare, la Corte di cassazione ha precisato che anche per il messo notificatore trova applicazione il citato art. 123 che prescrive di dare immediato avviso scritto dell’avvenuta notificazione dell’appello al cancelliere del giudice che ha reso la sentenza impugnata (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 24 ottobre 2014, n. 22639).

Pertanto anche il messo notificatore è obbligato, in forza dei suoi doveri di ufficio e della responsabilità disciplinare, civile o penale che sorgerebbe a suo carico in caso di inadempimento, ad assolvere tale onere.

È così garantito che non venga frustrata la ratio della disciplina, che è appunto quella di dare tempestiva notizia alla segreteria della Commissione tributaria provinciale per evitare una possibile erronea attestazione del passaggio in giudicato di una sentenza (sentenza n. 17 del 2011).

6.3.– La sostanziale identificazione delle funzioni svolte, nella specie, dall’ufficiale giudiziario e dal messo notificatore rende non fondato il profilo della censura centrato sull’appartenenza del secondo allo stesso apparato amministrativo finanziario.

Per la specifica attività in questione, infatti, quello che viene in rilievo non è l’aspetto strutturale, e cioè l’incardinamento nell’apparato amministrativo, bensì quello funzionale, che fa del messo un sostituto dell’ufficiale giudiziario, giustificando così l’identità di trattamento.

6.4.– Più in generale, è la stessa comparazione in sé che non è corretta, attesa la differente natura delle parti del processo (amministrazione finanziaria e contribuente) e la diversità della relativa disciplina, diversità che investe anche ulteriori e non marginali aspetti (ai sensi del comma 3 dell’art. 16 del d.lgs. n. 546 del 1992, ad esempio, il contribuente può avvalersi di una notificazione diretta all’ufficio del Ministero delle finanze ed all’ente locale mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia).

7.– Non va, peraltro, dimenticato – come ha rilevato ancora questa Corte – che la decisione di non avvalersi della notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario è rimessa alla libera scelta dell’appellante e quindi, qualora quest’ultimo decida di non avvalersi dell’ufficiale giudiziario per notificare il proprio atto di impugnazione, non può non essere consapevole di assumersi l’onere del deposito (sentenza n. 17 del 2011).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 3-bis, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2016.