ORDINANZA N. 19
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, nel procedimento vertente tra Perfetto srl e il Ministero dello sviluppo economico, con ordinanza del 9 dicembre 2014, iscritta al n. 99 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2016 il Giudice relatore Giuliano Amato.
Ritenuto che con ordinanza del 9 dicembre 2014, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), nella parte in cui non devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche le questioni relative alla concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari;
che il giudice rimettente è chiamato a decidere in ordine al ricorso volto all’annullamento del decreto ministeriale 4 gennaio 2013, n. 5, con il quale il Ministro dello sviluppo economico ha disposto la revoca dei precedenti decreti 14 agosto 1998, n. 54282 e 12 febbraio 2002, n. 109471; in particolare, con il primo di essi era stato concesso in via provvisoria alla società ricorrente un contributo in conto capitale, ai sensi della legge 18 dicembre 1992, n. 488 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 22 ottobre 1992, n. 415, recante modifiche alla legge 1° marzo 1986, n. 64, in tema di disciplina organica dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno e norme per l’agevolazione delle attività produttive); con il successivo decreto, tale contributo era stato confermato in via definitiva;
che, a sostegno del provvedimento di revoca del contributo, è stata addotta una pluralità di ragioni ed in relazione a ciascuna di esse si imporrebbe l’applicazione dei criteri di riparto di giurisdizione elaborati dalla giurisprudenza delle Corti superiori al fine di individuare il giudice che possa conoscere di ciascuna di esse;
che, osserva il rimettente, in applicazione di tali criteri occorrerebbe dunque distinguere gli atti incidenti su vantaggi attribuiti dall’amministrazione, a seconda che essi attengano al momento genetico del rapporto, ovvero all’evoluzione dello stesso e − in questa seconda ipotesi − a seconda che l’attività amministrativa sia vincolata o discrezionale;
che, in particolare, le controversie relative agli atti che incidono sul momento genetico spettano alla cognizione del giudice amministrativo, in quanto − a fronte di tale intervento − sussiste un interesse legittimo; viceversa, l’atto che influisce sull’evoluzione del rapporto incide sulla pretesa ad ottenere la prestazione e tale pretesa è qualificabile come interesse legittimo, se l’incisione è operata dall’amministrazione a seguito di una valutazione discrezionale, ovvero come diritto soggettivo, se l’amministrazione adotti un atto vincolato (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 25 gennaio 2013, n. 1776, 21 novembre 2011, n. 24409 e 19 maggio 2008, n. 12641);
che, ad avviso del giudice a quo, siffatto intreccio fra diritti soggettivi ed interessi legittimi avrebbe portato il legislatore a prevedere − con l’art. 5 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali) − la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia delle concessioni di beni e di servizi pubblici, tranne che nelle ipotesi espressamente previste («controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi»), nelle quali l’intreccio è escluso; il fine perseguito sarebbe stato quello di permettere l’agevole individuazione del giudice fornito di giurisdizione, evitando una «diseconomia giudiziaria», in coerenza con l’obiettivo del giusto processo, consacrato nell’art. 111 Cost.;
che, pertanto, avrebbe portata innovativa l’art. 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), che qualifica come concessioni le «sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati»;
che, pur potendosi annoverare il denaro nella categoria dei beni, ciò non consentirebbe di ricondurre i rapporti di finanziamento nell’ambito delle concessioni di beni pubblici, le quali comportano l’uso temporaneo da parte del concessionario di detti beni per finalità di pubblico interesse; nei rapporti di finanziamento, invece, il soggetto finanziato acquisisce la piena proprietà del denaro che gli viene erogato, eventualmente assumendo l’obbligo di restituirlo ad una determinata scadenza;
che, d’altra parte, il carattere eccezionale della giurisdizione esclusiva non ne consente l’applicazione al di là dei casi previsti dalla legge; tale estensione, ad avviso del giudice a quo, potrebbe trarre fondamento proprio nell’art. 12 della legge n. 241 del 1990, il quale costituirebbe «norma sulla giurisdizione», ricomprendendo le sovvenzioni di denaro pubblico all’interno delle concessioni di beni pubblici;
che, tuttavia, tale percorso ermeneutico non è stato condiviso dalla giurisprudenza delle Corti superiori che, con orientamento consolidato, hanno escluso che le controversie relative alla revoca di sovvenzioni in denaro pubblico rientrino nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;
che infatti, prima la Corte di cassazione, e in seguito anche il Consiglio di Stato, hanno affermato che le controversie in tema di agevolazioni finanziarie sono attribuite alla giurisdizione amministrativa se riferite al momento genetico del rapporto, ovvero se – pur riguardando il momento funzionale − l’amministrazione abbia adottato un provvedimento discrezionale; spettano, invece, al giudice ordinario le controversie relative al momento funzionale, se l’atto che incide sulla posizione del privato consegue all’inadempimento e ha natura vincolata;
che, in applicazione di tali criteri, nel caso all’esame del TAR rimettente, al giudice amministrativo spetterebbe la cognizione della controversia in riferimento a due dei sei motivi di revoca posti a fondamento dell’atto, mentre il ricorso sarebbe inammissibile con riferimento agli altri quattro motivi del medesimo provvedimento;
che d’altra parte, trattandosi di questioni delle quali il giudice conosce in via principale, sarebbe esclusa la possibilità − ai sensi dell’art. 8 del codice del processo amministrativo − di conoscere degli altri motivi del provvedimento in via incidentale;
che sarebbe da escludere, altresì, un’interpretazione dell’atto impugnato come entità unica, non scomponibile in ragione della molteplicità delle ragioni poste a base dell’unica determinazione; ciò porterebbe, infatti, ad un’«evidente aporia costituita dall’assenza di tutela che nella specie l’ordinamento assicurerebbe», in relazione all’interesse al giudizio e all’utilità complessivamente ricavabile dallo stesso;
che la rilevanza della questione viene, quindi, «determinata dall’ostacolo che la norma sospettata di incostituzionalità costituisce in ordine alla formulazione, da parte del giudice amministrativo, di un giudizio più ampio, nel quale si concentrino le tutele esperibili e che investa di conseguenza tutte le ragioni poste a base del provvedimento impugnato, sortendo un effetto totalmente demolitorio o totalmente validativo»;
che, in particolare, la disposizione sulla quale si appuntano i dubbi di costituzionalità del rimettente è l’art. 133, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 104 del 2010, nella parte in cui − secondo il diritto vivente costituito dall’interpretazione delle Corti superiori − non ricomprende nell’ambito delle concessioni di beni, rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le agevolazioni finanziarie, cioè le concessioni di denaro pubblico;
che la questione sarebbe non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., in quanto la disposizione impugnata, escludendo dall’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in tema di diritti, relative alle agevolazioni finanziarie, si porrebbe in contraddizione con il principio costituzionale del giusto processo, sotto il profilo della concentrazione delle tutele;
che la stessa disposizione violerebbe, altresì, il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., in quanto costringerebbe ad adire due giudici e a coltivare due giudizi per rimuovere dalla realtà giuridica un solo atto;
che il giudice a quo denuncia, inoltre, la violazione dell’art. 76 Cost., in quanto la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con i criteri direttivi di cui all’art. 44 della legge delega 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), laddove il legislatore ha individuato − come obiettivo da perseguire − la finalità di «assicurare la snellezza, concentrazione ed effettività della tutela, anche al fine di garantire la ragionevole durata del processo» (art. 44, comma 2, lettera a), e di «disciplinare le azioni e le funzioni del giudice: 1) riordinando le norme vigenti sulla giurisdizione del giudice amministrativo, anche rispetto alle altre giurisdizioni» (art. 44, comma 2, lettera b, numero 1);
che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata;
che in via preliminare, la difesa statale ha eccepito l’inammissibilità della questione, evidenziando che nella fattispecie in esame i motivi in base ai quali è stata disposta la revoca attengono alla fase procedimentale di verifica dei requisiti per l’attribuzione provvisoria del contributo; in tale fase, l’amministrazione sarebbe stata indotta in errore, avendo concesso il finanziamento in contrasto con l’interesse pubblico dalla stessa tutelato; pertanto, con il provvedimento di revoca, l’amministrazione non avrebbe inciso su situazioni di diritto soggettivo, sanzionando l’inadempimento del privato alle obbligazioni assunte per ottenere la sovvenzione, ma avrebbe invece inciso su posizioni di interesse legittimo, esercitando il generale potere di autotutela pubblicistico fondato sul riesame della legittimità o dell’opportunità dell’iniziale provvedimento di attribuzione provvisoria del contributo e sulla valutazione dell’interesse pubblico connesso;
che, pertanto, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la controversia in esame apparterrebbe comunque alla cognizione del TAR rimettente e la questione di legittimità costituzionale sarebbe, quindi, inammissibile per difetto del requisito della rilevanza;
che, d’altra parte, osserva la difesa statale, in considerazione dell’assoluta discrezionalità di cui gode il legislatore nell’attribuzione al giudice amministrativo di «particolari materie», ai sensi dell’art. 103 Cost., la scelta di lasciare al giudice ordinario la cognizione dei diritti soggettivi, in materie nelle quali sono altresì configurabili interessi legittimi, non sarebbe censurabile sotto il profilo della irragionevolezza «estrinseca»; né, d’altra parte, potrebbe essere invocato il principio della concentrazione delle tutele di fronte a un unico plesso giurisdizionale in quanto nella giurisprudenza costituzionale, ed in particolare nella sentenza n. 204 del 2004, tale principio sarebbe richiamato in relazione alla diversa questione dei diritti patrimoniali consequenziali;
che, inoltre, non sarebbe ammissibile una pronuncia manipolativo-additiva, che conferisca al giudice amministrativo la giurisdizione sui diritti soggettivi in materie non indicate dalla legge;
che, d’altra parte, non sarebbe ravvisabile la denunciata violazione dell’art. 24 Cost., il quale è volto ad assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale e «la completa parità e originarietà dei due ordini di giurisdizione», affidando la concreta distribuzione degli affari tra gli stessi alle scelte discrezionali del legislatore;
che, infine, quanto alla denunciata violazione dell’art. 76 Cost., la delega di cui alla legge n. 69 del 2009, in quanto concernente il riordino ed il riassetto normativo, imporrebbe un’interpretazione restrittiva dei poteri innovativi attribuiti al legislatore delegato, i quali devono essere strettamente orientati e funzionali alle finalità stabilite dalla legge delega, con la conseguente esclusione di interventi non strettamente necessari alla ricomposizione sistematica perseguita con l’azione di riassetto; pertanto, al legislatore delegato non sarebbero stati attribuiti poteri così ampi, da consentirgli di introdurre innovazioni «al di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge-delega» (sentenza n. 293 del 2010).
Considerato che, con ordinanza del 9 dicembre 2014, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), nella parte in cui non devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche le questioni relative alla concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari;
che, in via preliminare, va rilevata l’infondatezza della eccezione di inammissibilità della questione, per difetto di rilevanza, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato;
che, in particolare, la difesa statale ritiene che la controversia in esame attenga a requisiti che sono oggetto di verifica nella fase procedimentale che precede l’attribuzione provvisoria del contributo; con il provvedimento di revoca l’amministrazione avrebbe inciso su posizioni di interesse legittimo, esercitando il generale potere di autotutela pubblicistico fondato sul riesame della legittimità o dell’opportunità dell’iniziale attribuzione del contributo e sulla valutazione dell’interesse pubblico connesso; secondo questa prospettazione, la controversia in esame apparterrebbe − comunque e per intero − alla cognizione del TAR rimettente;
che il giudizio a quo ha per oggetto l’impugnazione dell’atto di revoca della concessione di un contributo statale; per la definizione di tale giudizio, il rimettente è tenuto a fare applicazione della regola di riparto elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, in base alla quale egli si ritiene titolare della giurisdizione in relazione ad alcuni soltanto dei motivi di revoca addotti dall’atto impugnato e delle connesse posizioni giuridiche soggettive;
che, a fondamento della questione sottoposta a questa Corte, viene dedotta una oggettiva situazione di non agevole distinguibilità tra posizioni di diritto soggettivo e d’interesse legittimo, in materia di concessione di agevolazioni finanziarie; da ciò discende la necessità di fare applicazione dei criteri di riparto elaborati dalla giurisprudenza sulla base del tenore letterale della disposizione censurata, la quale effettivamente non comprende, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le controversie relative alla concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari;
che, pertanto, la sussistenza del requisito della rilevanza appare sorretta da una motivazione non implausibile e l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa statale deve essere disattesa;
che, d’altra parte, il rimettente − dato atto del fallimento del tentativo di pervenire al medesimo risultato in via interpretativa, in quanto tale percorso non è stato condiviso dalla giurisprudenza delle Corti superiori − evidenzia che solo una pronuncia della Corte, che individui nella giurisdizione amministrativa la sede di tutela dei diritti e interessi oggetto dei provvedimenti in esame, potrebbe risolvere in via definitiva la questione; attraverso l’agevole individuazione del giudice fornito di giurisdizione, verrebbe eliminato, infatti, il vulnus ai parametri costituzionali;
che il petitum del rimettente è dichiaratamente volto ad ottenere una pronuncia additiva, che estenda le ipotesi di giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 104 del 2010, sino a ricomprendervi la cognizione delle controversie relative alla concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari;
che, tuttavia, l’addizione invocata dal rimettente non tiene conto della previsione di cui all’art. 103 Cost., laddove stabilisce che sia la legge ad indicare le «particolari materie» nelle quali è attribuita agli organi di giustizia amministrativa la giurisdizione per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi;
che, al riguardo, questa Corte ha già ritenuto inammissibile una pronuncia additiva, come quella invocata nel caso in esame, affermando che «Se […] l’introduzione di un nuovo caso di giurisdizione esclusiva può essere effettuata solo da una legge − come prescrive l’art. 103, primo comma, Cost., e nel rispetto dei principi e dei limiti fissati dalla sentenza n. 204 del 2004 di questa Corte − risulta inammissibile il petitum posto dal giudice rimettente, che si risolve nella sostanza […] nella richiesta a questa Corte di introdurre essa stessa, con una sentenza additiva, tale nuovo caso, che può invece essere frutto di una scelta legislativa non costituzionalmente obbligata» (sentenza n. 259 del 2009);
che, anche nel caso in esame, la riserva legislativa in ordine alla delimitazione della giurisdizione esclusiva determina l’inammissibilità del petitum, essendo rimessa alla discrezionalità del legislatore l’estensione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nell’ambito di un ventaglio di possibili soluzioni, nessuna delle quali costituzionalmente imposta;
che, sotto un diverso profilo, la motivazione dell’ordinanza di rimessione non spiega le ragioni per le quali il denunciato vulnus di costituzionalità possa, e debba, essere eliminato mediante l’attrazione nella giurisdizione del giudice amministrativo delle controversie relative a diritti in materia di concessioni di contributi e sovvenzioni; il petitum del rimettente non è, quindi, supportato da elementi che consentano di ritenere che quella invocata sia l’unica scelta costituzionalmente compatibile e necessitata;
che anche tale carenza nell’impianto motivazionale dell’ordinanza di rimessione si riflette in ulteriore motivo di inammissibilità della questione, derivante dall’inesistenza di una soluzione costituzionalmente obbligata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2016.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2016.