Ordinanza n. 190 del 2015

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ORDINANZA N. 190

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Marta                               CARTABIA                                           Presidente

- Giuseppe                         FRIGO                                                     Giudice

- Paolo                               GROSSI                                                         ”

- Giorgio                            LATTANZI                                                   ”

- Aldo                                CAROSI                                                        ”

- Mario Rosario                  MORELLI                                                     ”

- Giancarlo                         CORAGGIO                                                 ”

- Giuliano                           AMATO                                                         ”

- Silvana                             SCIARRA                                                     ”

- Daria                                de PRETIS                                                     ”

- Nicolò                              ZANON                                                         ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2, comma 1, lettere a) e a-bis), del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Bologna nel procedimento penale a carico di N.M., con ordinanza del 26 settembre 2014, iscritta al n. 242 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Udito nella camera di consiglio del 10 giugno 2015 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto che, con ordinanza del 26 settembre 2014 (r.o. n. 242 del 2014), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Bologna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2, comma 1, lettere a) e a-bis), del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416, sesto comma, del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure;

che il giudice a quo premette di dover provvedere su un’istanza di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, presentata dal difensore di N.M., persona indiziata «di aver partecipato ad un’organizzazione criminale transnazionale dedita a favorire l’illecita introduzione e passaggio nel territorio dello Stato di numerosi cittadini extracomunitari, in prevalenza di nazionalità pakistana anche in virtù di condotte corruttive col personale in servizio presso l’Ambasciata italiana in Pakistan (art. 416 c. 6 c.p., introdotto dall’art. 4 l. 11 agosto 2003 n. 228 recante norme contro la tratta di persone)»;

che il rimettente, ritenendo che non siano venute meno le esigenze cautelari, considera rilevante la questione proposta e ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 265 del 2010 e con altre decisioni successive, ha già dichiarato costituzionalmente illegittima, per violazione degli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost., la norma censurata, nella parte in cui, rispetto ad alcuni reati, non consentiva l’adozione di misure cautelari diverse da quella carceraria;

che secondo il giudice a quo gli argomenti posti a base di tali decisioni – ricordati nell’ordinanza di rimessione – dovrebbero valere anche per il delitto previsto dall’art. 416, sesto comma, cod. pen., che non può essere assimilato, sotto il profilo che interessa, ai delitti di mafia, per i quali questa Corte, con l’ordinanza n. 450 del 1995, ha ritenuto giustificata la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere;

che, sul piano fenomenico, la fattispecie incriminatrice in esame può variare «dalla struttura articolata operante a livello transnazionale ai contesti organizzati costituiti da poche persone, spesso legate dalla comune appartenenza alla stessa nazione, che compiono attività di sfruttamento in danno dei propri connazionali, migranti clandestini»;

che, anche sul piano soggettivo, «l’affectio societatis può cementare condotte di direzione ed organizzazione in grado di gestire imponenti flussi migratori, ovvero comportamenti di assai minor rilievo consistenti nel dare ricetto o nella messa a disposizione della propria abitazione o del proprio automezzo per ospitare o trasportare i clandestini irregolari»;

che, in conclusione, ad avviso del giudice rimettente, la fattispecie incriminatrice in esame non presenterebbe caratteristiche tali da costituire «il fondamento razionale della presunzione assoluta in materia di libertà personale, vale a dire la particolare natura del legame tra sodali e la peculiarità delle forme di manifestazione del vincolo associativo»;

che, dunque, la norma censurata violerebbe sia l’art. 3, primo comma, Cost. «per l’irragionevole ed indiscriminata applicazione della presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere a fattispecie associative non assimilabili», sia gli artt. 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost. perché, «imponendo una presunzione assoluta in materia cautelare, non basata sulla specificità della fattispecie penale di riferimento e senza che il giudice possa tenere conto delle particolarità del caso concreto, viol[erebbe] il principio del “minimo sacrificio necessario” e trasform[erebbe] di fatto la misura cautelare in una impropria anticipazione della pena, in contrasto col principio di presunzione di non colpevolezza».

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Bologna dubita, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2, comma 1, lettere a) e a-bis), del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416, sesto comma, del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure;

che in epoca successiva all’ordinanza di rimessione è stata approvata una disposizione che modifica l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., eliminando il vulnus costituzionale censurato dal giudice rimettente;

che, infatti, l’art. 4, comma 1, della legge 16 aprile 2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità) ha sostituito il secondo periodo del comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., con i seguenti «Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 270, 270-bis e 416-bis del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Salvo quanto previsto dal secondo periodo del presente comma, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del presente codice nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, 600-quinquies e, quando non ricorrano le circostanze attenuanti contemplate, 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure»;

che la novella del 2015 ha limitato la presunzione assoluta di adeguatezza esclusiva della custodia cautelare in carcere ai reati di cui agli artt. 270, 270-bis e 416-bis cod. pen., e con riferimento al reato dell’art. 416, sesto comma, cod. pen. ha previsto una presunzione meramente relativa, stabilendo che possono essere applicate misure cautelari personali alternative alla custodia cautelare in carcere quando vi sono elementi da cui risulta la loro sufficienza a soddisfare le esigenze cautelari;

che il legislatore ha così recepito la giurisprudenza di questa Corte, la quale, sin dalla sentenza n. 265 del 2010, ha dichiarato, rispetto ad alcuni delitti, costituzionalmente illegittimo l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure;

che, a fronte di questo ius superveniens, spetta al giudice rimettente la valutazione circa la perdurante rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione sollevata;

che va disposta, pertanto, la restituzione degli atti al giudice a quo, per una nuova valutazione riguardo alla rilevanza della questione alla luce del mutato quadro normativo (ordinanze n. 53 e n. 20 del 2015).

Visto l’art. 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Bologna.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2015.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2015.