ORDINANZA N. 105
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 6, e 11 della delibera legislativa relativa al disegno di legge 304-8-280 (Norme per la promozione ed il sostegno delle imprese dell’informazione locale), approvato dall’Assemblea regionale siciliana il 3 dicembre 2013, promosso dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana, con ricorso notificato l’11 dicembre 2013, depositato in cancelleria il 18 dicembre 2013 ed iscritto al n. 103 del registro ricorsi 2013.
Udito nella camera di consiglio del 13 maggio 2015 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli.
Ritenuto che, con il ricorso in epigrafe, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 6, e 11 della delibera legislativa relativa al disegno di legge n. 304-8-280 (Norme per la promozione ed il sostegno delle imprese dell’informazione locale), approvato dall’Assemblea regionale siciliana in data 3 dicembre 2013;
che, secondo il ricorrente, la prima delle suddette disposizioni − con il prevedere che gli interventi per favorire l’innovazione e l’ammodernamento tecnologico ed organizzativo delle imprese di informazione locale possano essere attivati dalla Regione siciliana, a decorrere dall’anno 2014, con l’erogazione di contributi da far valere sulle risorse inerenti al programma comunitario relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) 2014-2020 − violerebbe l’art. 81, quarto comma, della Costituzione, per il mancato rispetto dell’obbligo di copertura finanziaria, ed, a sua volta, la disposizione di cui al successivo art. 11 dello stesso disegno di legge − recante una nuova disciplina della pubblicità dei bandi relativi ai contratti di lavori, servizi e forniture, di importo superiore ad euro 150.000,00 − contrasterebbe con l’art. 117, primo e secondo comma, lettera e), Cost. e con l’art. 14, lettera g) del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, eccedendo dalla competenza legislativa regionale in materia di «lavori pubblici» ed interferendo con quella statale nella materia della «tutela della concorrenza» e con i principi costituzionali di trasparenza e parità di trattamento;
che la Regione siciliana non si è costituita in giudizio;
che − in sede di promulgazione del suddetto disegno di legge, con legge regionale 30 dicembre 2013, n. 24 − sono state omesse le disposizioni oggetto della presente impugnazione;
che, successivamente, è, per altro, intervenuta la sentenza di questa Corte n. 255 del 2014 (pronunciata a seguito di autorimessione), che, per contrasto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 31, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), come sostituito dall’art. 9, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), limitatamente alle parole «Ferma restando la particolare forma di controllo delle leggi prevista dallo statuto speciale della Regione siciliana».
Considerato che, con la sopravvenuta citata sentenza n. 255 del 2014, questa Corte − sulla premessa che «il peculiare controllo di costituzionalità delle leggi […] della Regione siciliana − strutturalmente preventivo − è caratterizzato da un minor grado di garanzia dell’autonomia rispetto a quello previsto dall’art. 127 Cost.», e in applicazione dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, che introduce la «clausola di maggior favore» ai fini della più compiuta garanzia delle autonomie speciali, ha ritenuto che «deve pertanto estendersi anche alla Regione siciliana il sistema di impugnativa [successiva] delle leggi regionali, previsto dal riformato art. 127 Cost.»; e, a tal fine appunto, ha dichiarato la illegittimità costituzionale, in parte qua, della norma − ostativa a siffatta estensione − di cui all’art. 31, comma 2, della legge n. 87 del 1953, come sostituito dall’art. 9, comma 1, della legge n. 131 del 2003;
che, in conseguenza della eliminazione del frammento normativo che manteneva fermo il particolare sistema di controllo delle leggi siciliane, risultano ora «non più operanti le norme statutarie relative alle competenze del Commissario dello Stato nel controllo delle leggi siciliane, alla stessa stregua di quanto affermato da questa Corte con riguardo a quelle dell’Alta Corte per la Regione siciliana (sentenza n. 38 del 1957), nonché con riferimento al potere del Commissario dello Stato circa l’impugnazione delle leggi e dei regolamenti statali (sentenza n. 545 del 1989)» (sentenza n. 255 del 2014);
che, pertanto, gli artt. 27 (sulla competenza del Commissario dello Stato ad impugnare le delibere legislative dell’Assemblea regionale siciliana), 28, 29 e 30 dello statuto di autonomia non trovano più applicazione, per effetto dell’estensione alla Regione siciliana del controllo successivo previsto dagli artt. 127 Cost. e 31 della legge n. 87 del 1953 per le Regioni a statuto ordinario, secondo quanto già affermato dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte per le altre Regioni ad autonomia differenziata e per le Province autonome;
che ciò impedisce che il presente giudizio possa avere seguito (anche agli effetti, quindi, di una pronuncia di cessazione della materia del contendere per mancata promulgazione delle disposizioni impugnate, circostanza quest’ultima che preclude anche la concessione di una eventuale rimessione in termini in favore della Presidenza del Consiglio dei ministri) e comporta che debba dichiararsi in limine l’improcedibilità del ricorso (sentenza n. 17 del 2002 e ordinanze n. 228, n. 182 e n. 65 del 2002).
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara improcedibile il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 2015
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2015.