Sentenza n. 234 del 2013

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SENTENZA N. 234

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                    GALLO                                              Presidente

-    Luigi                      MAZZELLA                                        Giudice

-    Gaetano                 SILVESTRI                                               ”

-    Sabino                    CASSESE                                                  ”

-    Giuseppe                TESAURO                                                 ”

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                         ”

-    Giuseppe                FRIGO                                                       ”

-    Alessandro             CRISCUOLO                                            ”

-    Paolo                      GROSSI                                                     ”

-    Giorgio                   LATTANZI                                                ”

-    Aldo                       CAROSI                                                     ”

-    Marta                     CARTABIA                                               ”

-    Sergio                     MATTARELLA                                         ”

-    Mario Rosario        MORELLI                                                  ”

-    Giancarlo               CORAGGIO                                              ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, comma 1, lettera a), 3, comma 1, con le relative tabelle allegate, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), promosso dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con ricorso notificato il 12 novembre 2012, depositato in cancelleria il 20 novembre 2012 ed iscritto al n. 179 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché l’atto di intervento, fuori termine, dell’Unione degli ordini forensi della Sicilia e del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Nicosia;

udito nell’udienza pubblica del 2 luglio 2013 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e l’avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con ricorso notificato il 12 novembre 2012, ha impugnato − in riferimento agli articoli 5, 72, quarto comma, 76 e 77 della Costituzione − gli articoli 1, 2, comma 1, lettera a), e 3, comma 1,  in combinato con l’allegata tabella A e con gli allegati 1 e 2 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), adottato in attuazione della delega conferita al Governo dall’art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari) − pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 12 settembre 2012, n. 213, supplemento ordinario −, che hanno disposto la soppressione degli uffici giudiziari operanti nelle località di San Vito al Tagliamento, Tolmezzo, Cividale del Friuli e Palmanova, con conseguente concentrazione di tutti gli affari nel Tribunale ordinario di Udine, e non prevedendo il Tribunale ordinario di Tolmezzo tra quelli sede di ufficio di sorveglianza.

2.− La ricorrente svolge alcune deduzioni circa la sussistenza della propria legittimazione a promuovere il vaglio di costituzionalità, ai sensi dell’art. 127, secondo comma, Cost., richiamando la giurisprudenza costituzionale in materia.

Pur esulando l’organizzazione della giurisdizione dalla sfera di competenza legislativa ed amministrativa della Regione, il carattere di ente esponenziale, rappresentativo degli interessi generali della comunità regionale, e di ente costitutivo della Repubblica, consentirebbe alla stessa di impugnare anche leggi che non ledono proprie specifiche competenze costituzionali, ma che pregiudicano gli interessi della popolazione stanziata nel suo territorio.

3.− Assume la Regione, quindi, che la soppressione delle suddette sedi giudiziarie si traduce in un notevole depauperamento di quella che si potrebbe chiamare «infrastrutturazione civile della comunità regionale», determinando la congestione delle strutture del centro maggiore e la desertificazione delle cittadine intermedie, con un processo che va esattamente nella direzione contraria a quella desiderabile e a quella prospettata dall’art. 5 Cost., come avviene per il corrispondente processo di riduzione dei presidi ospedalieri nei centri minori.

Anche se tale processo è dovuto evidentemente a ragioni finanziarie, ciò non lo rende inevitabile − ad avviso della ricorrente − nel quadro di possibili alternative che debbono essere valutate dal legislatore.

4.− Per la Regione ricorrente, un primo vizio delle norme denunciate deriverebbe dal fatto che la delega legislativa sarebbe stata illegittimamente conferita dall’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, in sede di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo).

Ciò determinerebbe, ad opera delle disposizioni del decreto legislativo n. 155 del 2012, la violazione, in via derivata, degli artt. 76 e 77 Cost., anche alla luce dei principi enunciati da questa Corte nella sentenza n. 22 del 2012.

L’art. 77 Cost., infatti, nell’individuare la legge di conversione quale specifica procedura destinata alla conversione del decreto-legge, escluderebbe che la stessa possa contenere disposizioni estranee. La sostanziale estraneità del contenuto della delega alla materia oggetto del decreto-legge la renderebbe, quindi, incostituzionale, in ragione del divieto per la legge di conversione, in quanto tale, di introdurre norme avulse dalla disciplina del decreto-legge; e ciò a prescindere dalla collocazione formale della norma estranea.

Dunque, ad avviso della Regione, l’introduzione della delega in materia di organizzazione giudiziaria, in quanto elemento estraneo al contenuto del decreto-legge n. 138 del 2011, è costituzionalmente illegittima allo stesso modo che se essa fosse stata introdotta nel corpo del decreto-legge.

La Regione precisa che non può essere conferita la delega legislativa con il decreto-legge, poiché l’art. 76 Cost., richiedendo che la delegazione provenga dalle Camere, pone una riserva di legge “formale” in materia di delega legislativa ed esclude, appunto, che la delega possa essere data con atti aventi forza di legge, come confermato dall’art. 15, comma 2, lettera a), della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), secondo cui «il Governo non può, mediante decreto-legge: a) conferire deleghe legislative ai sensi dell’articolo 76 della Costituzione».

5.− Ulteriore vizio delle disposizioni in esame è ravvisato nella violazione dell’art. 72, quarto comma, Cost., che esclude la possibilità di utilizzare, per l’iter di approvazione della legge di delegazione, una procedura diversa da quella ordinaria, quale quella di conversione del decreto-legge.

Espone la Regione che l’aggettivo «normale», contenuto nel suddetto parametro costituzionale, non può essere inteso come mero rinvio alla procedura di esame ed approvazione diretta da parte della Camera, ma pone un requisito ulteriore, nel senso che si deve trattare della ordinaria procedura legislativa parlamentare, con esclusione di ogni altro procedimento che per funzioni e caratteristiche procedurali si differenzi da essa.

Osserva la ricorrente che, nella specie, il procedimento di approvazione della legge di conversione è stato caratterizzato dalla presentazione in aula e dall’approvazione, su richiesta della fiducia, di un “maxi emendamento” proposto dal Governo, integralmente sostitutivo sia del decreto-legge che della legge di conversione.

Solo formalmente, perciò, sarebbe stato seguito il procedimento (passaggio in commissione referente ed esame e voto in assemblea) che sia il Regolamento della Camera (art. 96-bis), che quello del Senato (artt. 35 e 78) richiedono per le leggi di conversione.

In effetti, il testo del “maxi emendamento” non sarebbe stato sottoposto ad alcun passaggio in commissione referente, ed anche la procedura in aula sarebbe stata distorta ponendo la questione di fiducia.

6.− Altra questione di costituzionalità è prospettata in relazione all’art. 5 Cost.

L’approvazione della delega in sede di conversione del decreto-legge, ponendo su tutto la questione di fiducia non costituirebbe metodo appropriato alle esigenze dell’autonomia e del decentramento ed in contrasto con la prevista attuazione, nei servizi che dipendono dallo Stato, del più ampio decentramento amministrativo, inteso in un senso che non esclude l’amministrazione della giustizia.

7.− Con atto depositato il 20 dicembre 2012, è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

In via preliminare, la difesa dello Stato eccepisce l’inammissibilità del ricorso, in quanto la competenza legislativa della Regione non si estende all’amministrazione della giustizia e non è ravvisabile, nella specie, alcuna ridondanza delle asserite violazioni sulle competenze regionali costituzionalmente riconosciute.

Nel merito, l’Avvocatura generale rileva l’infondatezza del ricorso, atteso che la riduzione degli uffici giudiziari risponde all’esigenza di razionalizzare l’amministrazione della giustizia e, quindi, non è estranea all’oggetto e alle finalità del decreto-legge.

8.− Sono intervenuti fuori termine, con un unico atto, l’Unione degli ordini forensi della Sicilia e il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Nicosia.

9.− In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha depositato memoria con la quale ha replicato alle osservazioni prospettate dall’Avvocatura generale dello Stato.

10.− In data 11 giugno 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria con la quale ha ribadito l’eccezione di inammissibilità del ricorso.

Considerato in diritto

1.− La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha impugnato − in riferimento agli articoli 5, 72, quarto comma, 76 e 77 della Costituzione − gli articoli 1, 2, comma 1, lettera a), e 3 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), che, in combinato con l’allegata tabella A e con gli allegati 1 e 2, hanno disposto la soppressione degli uffici giudiziari operanti nelle località di San Vito al Tagliamento, Tolmezzo, Cividale del Friuli e Palmanova, con conseguente concentrazione di tutti gli affari nel Tribunale ordinario di Udine, e non prevedendo il Tribunale ordinario di Tolmezzo tra quelli sede di ufficio di sorveglianza.

2.− La ricorrente assume la violazione degli artt. 76 e 77 Cost., anche alla luce dei principi enunciati dalla sentenza di questa Corte n. 22 del 2012, atteso che la delega legislativa sarebbe stata illegittimamente conferita dall’art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari), in sede di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo).

La legge di conversione, infatti, quale specifica procedura destinata alla conversione del decreto-legge, non può contenere – sottolinea la Regione − disposizioni estranee allo stesso, come invece avvenuto nel caso di specie.

La ricorrente afferma, inoltre, che l’art. 76 Cost., richiedendo che la delegazione provenga dalle Camere, pone una riserva di legge “formale” in materia di delega legislativa e, quindi, esclude che la delega possa essere data con atti aventi forza di legge.

Ulteriore vizio delle disposizioni in esame è ravvisato nella violazione dell’art. 72, quarto comma, Cost., che esclude la possibilità di utilizzare, per l’iter di approvazione della legge di delegazione, una procedura diversa da quella ordinaria, quale quella di conversione del decreto-legge.

Infine, la Regione deduce la violazione dell’art. 5 Cost., in quanto l’approvazione della delega in sede di conversione del decreto-legge, raggiunta dopo che era stata posta su tutto la questione di fiducia, contrasterebbe con l’autonomia ed il decentramento amministrativo.

3.− In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità dell’intervento effettuato, oltre il termine previsto, dall’Unione degli ordini forensi della Sicilia e dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Nicosia.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, sono inammissibili gli interventi effettuati oltre il termine – di natura perentoria (ex plurimis, sentenza n. 118 del 2013) – stabilito dagli artt. 25 e 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87, computato secondo quanto previsto dagli artt. 4 e 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Inoltre, il giudizio di costituzionalità delle leggi in via d’azione si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle rispettive posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale (ex plurimis, sentenza n. 245 del 2012).

Poiché gli intervenuti sono privi di detta potestà, l’intervento deve essere dichiarato inammissibile anche sotto tale profilo.

4.− Nel merito, va rilevato che la Regione pone a fondamento della dedotta illegittimità del decreto legislativo vizi della disposizione di delega. La censura è ammissibile, perché solo dopo l’effettivo esercizio del potere delegato, con l’adozione del d.lgs. n. 155 del 2012, si è in concreto radicato l’interesse a dedurre l’illegittimità della legge di delegazione.

5.− La difesa dello Stato ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso, affermando che le violazioni della Costituzione denunciate dalla ricorrente non riguardano direttamente le competenze regionali e non ridondano su queste ultime.

L’eccezione è fondata.

Occorre premettere che non sono stati evocati parametri statutari.

Quindi, va osservato che, oltre alla potestà esclusiva dello Stato in tema di ordinamento degli organi dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera f, Cost.), di giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), sussiste la riserva di legge statale in tema di ordinamento giudiziario, ai sensi dall’art. 108, primo comma, Cost.

Infine, si deve ricordare che secondo «un consolidato indirizzo della giurisprudenza costituzionale le regioni sono legittimate a censurare, in via di impugnazione principale, leggi dello Stato esclusivamente per questioni attinenti al riparto delle rispettive competenze», essendosi «ammessa la deducibilità di altri parametri costituzionali soltanto ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite» (sentenza n. 216 del 2008). Pertanto, le Regioni non sono legittimate a far valere nei ricorsi in via principale gli ipotetici vizi nella formazione di una fonte primaria statale, se non «quando essi si risolvano in violazioni o menomazioni delle competenze» regionali (in particolare la sentenza n. 116 del 2006).

Nella specie, come prospettato dalla difesa dello Stato, non è ravvisabile alcuna ridondanza dei vizi denunciati sulle competenze regionali, atteso che la dedotta violazione di parametri diversi da quelli contenuti nel Titolo V della Parte II della Costituzione non si risolve nella lesione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, non essendo a ciò sufficiente il carattere, proprio della Regione, di ente esponenziale e non avendo la ricorrente assolto l’onere di operare la «necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione» (sentenza n. 250 del 2009). Ed infatti le doglianze investono solo la violazione delle disposizioni costituzionali sulla formazione delle leggi e non è sufficiente il richiamo all’art. 5 Cost. per sostanziare la invocata ridondanza sul riparto di competenze.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile l’intervento spiegato dall’Unione degli ordini forensi della Sicilia e dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Nicosia;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, comma 1, lettera a), 3, comma 1, con le relative tabelle, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in riferimento agli artt. 5, 72, quarto comma, 76 e 77 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2013.