Ordinanza n. 163 del 2013

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ORDINANZA N. 163

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                     GALLO                                                         Presidente

- Luigi                       MAZZELLA                                                   Giudice

- Gaetano                  SILVESTRI                                                          ”

- Sabino                     CASSESE                                                             ”

- Giuseppe                 TESAURO                                                            ”

- Paolo Maria             NAPOLITANO                                                    ”

- Alessandro              CRISCUOLO                                                       ”

- Paolo                       GROSSI                                                                ”

- Giorgio                    LATTANZI                                                           ”

- Aldo                        CAROSI                                                                ”

- Marta                      CARTABIA                                                          ”

- Sergio                      MATTARELLA                                                    ”

- Mario Rosario         MORELLI                                                             ”

- Giancarlo                CORAGGIO                                                         ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 11 del codice di procedura penale, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Catania con ordinanza del 5 maggio 2012, iscritta al n. 208 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2013 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Catania, con ordinanza depositata il 5 maggio 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11 del codice di procedura penale, nella parte in cui non comprende nella disciplina dei procedimenti riguardanti magistrati – che attribuisce ai giudici di altro distretto la relativa cognizione quando il fatto riguardi persona che svolga funzioni giudiziarie nel distretto del giudice che sarebbe competente secondo le regole ordinarie, oppure le svolgesse al momento del fatto – il caso in cui la persona interessata abbia cessato di appartenere all’ordine giudiziario, quanto meno per un apprezzabile lasso di tempo successivo alla detta cessazione;

che il rimettente è chiamato a valutare una richiesta di archiviazione nel procedimento relativo alla denuncia-querela sporta da un ex magistrato per i reati di «calunnia e diffamazione»;

che il querelante, al momento del fatto denunciato, aveva già dismesso le funzioni giudiziarie, esercitate in precedenza nello stesso distretto in cui opera il giudice a quo, competente per territorio secondo le regole ordinarie;

che, secondo lo stesso rimettente, al caso di specie sarebbe inapplicabile la disciplina di cui all’art. 11 cod. proc. pen., non trattandosi di magistrato in servizio presso la sede giudiziaria competente né all’epoca del fatto né successivamente, nel momento di avvio del procedimento;

che tuttavia ricorrerebbe, nel caso in questione, la stessa ratio di tutela della posizione di terzietà del giudice garantita dal legislatore con la previsione secondo cui la disciplina derogatoria trova applicazione anche per magistrati non più operanti presso la sede giudiziaria competente secondo le regole ordinarie, purché rimasti in servizio;

che la citata disciplina speciale andrebbe estesa, dunque, «anche ai soggetti che esercitavano le funzioni di magistrato in quel distretto “non” al momento del fatto e/o […] che non le esercitano più per il semplice motivo che hanno smesso di fare il lavoro del magistrato»;

che la norma censurata, nella configurazione attuale, contrasterebbe con l’art. 3 Cost., in quanto consentirebbe ad un ex magistrato, in violazione del principio di uguaglianza, di «essere valutato (come imputato o parte offesa) dai suoi stessi ex colleghi»;

che, per la stessa ragione, sarebbe violato l’art. 24 Cost., dato il provocato «dislivello nell’esercizio del diritto di difesa»;

che il rimettente prospetta, inoltre, una violazione del secondo comma dell’art. 111 Cost., in ragione del potenziale vulnus per i principi di terzietà e imparzialità del giudice;

che, in conclusione, l’invocata estensione della disciplina derogatoria dovrebbe essere disposta «quanto meno per un apprezzabile lasso di tempo successivo alla cessazione della appartenenza all’ordine giudiziario»;

che il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 30 ottobre 2012, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate;

che la giurisprudenza costituzionale avrebbe già chiarito, infatti, come la disciplina della competenza territoriale per i reati concernenti magistrati deroghi alle regole comuni, che assicurano l’attuazione del principio del giudice naturale, e debba quindi ancorarsi ad elementi oggettivi di luogo e di tempo;

che non sussisterebbe un’effettiva analogia, a parere dell’Avvocatura generale, tra la situazione del soggetto in rapporto di colleganza con i magistrati chiamati a condurre il procedimento che lo riguarda, attualmente o nel momento del fatto, e quella del soggetto che abbia solo prima del fatto esercitato funzioni giudiziarie;

che per tale ragione la norma censurata non violerebbe il principio di uguaglianza, né contrasterebbe con il diritto di difesa;

che, d’altronde, le eventuali particolarità connesse ai legami esistenti nei singoli casi potrebbero trovare riscontro mediante gli istituti dell’astensione e della ricusazione.

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Catania, con ordinanza depositata il 5 maggio 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11 del codice di procedura penale, nella parte in cui non comprende nella disciplina dei procedimenti riguardanti magistrati – che attribuisce ai giudici di altro distretto la relativa cognizione quando il fatto riguardi persona che svolga funzioni giudiziarie nel distretto del giudice che sarebbe competente secondo le regole ordinarie, oppure le svolgesse al momento del fatto – il caso in cui la persona interessata abbia cessato di appartenere all’ordine giudiziario, quanto meno per un apprezzabile lasso di tempo successivo alla detta cessazione;

che, secondo il rimettente, il rapporto di colleganza intrattenuto dalla parte processuale con i magistrati competenti secondo le regole ordinarie, anche quando già esaurito, varrebbe in astratto a pregiudicare le esigenze garantite dalla norma censurata;

che la norma in questione si applica, infatti, anche nel caso di magistrati trasferiti ad altra sede in epoca successiva al fatto che li riguarda, situazione cui dovrebbe essere assimilata quella del soggetto non più operante nel distretto interessato per essere uscito dall’ordine giudiziario;

che le questioni sollevate, a prescindere dall’indeterminatezza che le caratterizza nella parte in cui sollecitano l’introduzione di una disciplina derogatoria per i fatti commessi o perseguiti entro «un apprezzabile lasso di tempo» dalla cessazione dell’esercizio di funzioni giudiziarie, sono manifestamente infondate;

che spetta infatti al legislatore, come più volte questa Corte ha rilevato, il compito di individuare, secondo criteri di ragionevolezza, situazioni di consuetudine professionale e di colleganza tali da giustificare, in via generale ed astratta, una deroga agli ordinari criteri di determinazione della competenza, tra i quali è compreso il nesso tra luogo del fatto e luogo del giudizio (da ultimo, sentenze n. 432 del 2008, n. 287 del 2007, n. 147 del 2004, n. 332 del 2003, n. 444 del 2002, n. 349 del 2000);

che non sussiste la pretesa analogia tra la fattispecie prospettata dal rimettente ed il caso del magistrato trasferito ad altra sede dopo il fatto;

che nel primo caso, infatti, il rapporto di colleganza tra la parte processuale ed il giudice che sarebbe competente a decidere secondo le regole ordinarie manca già nel momento del fatto e, poi, al momento del giudizio;

che nella fattispecie in comparazione, invece, la parte ed il giudice esercitano funzioni giudiziarie nel medesimo distretto al momento del fatto e/o nella fase del giudizio, ed inoltre, nel corso del procedimento, conservano la comune appartenenza all’ordine giudiziario;

che gli elementi indicati fondano un discrimine non irragionevole, considerata la qualità della relazione intrattenuta tra la parte processuale ed il predetto giudice, e vista la necessità di ridurre al minimo indispensabile, in base a criteri di immediato apprezzamento, l’eccezione ai criteri generali;

che, riguardo ad una fattispecie per qualche verso analoga a quella segnalata dal rimettente (un caso in cui il fatto era stato commesso ai danni di un magistrato ancora in servizio, ma già definitivamente trasferito altrove), questa Corte ha avuto modo di osservare come «diverso» sia «il rapporto inerente all’esercizio attuale delle funzioni nel distretto competente per il giudizio o all’esercizio di esse al momento del fatto, rispetto alle molteplici situazioni che possono verificarsi quando l’esercizio delle funzioni sia cessato e, quindi, vi è un distacco tra tale esercizio e l’ufficio competente per il giudizio» (sentenza n. 381 del 1999);

che il rilievo vale, a maggior ragione, quando l’interessato abbia lasciato l’ordine giudiziario;

che la ragionevolezza della regola che dispone l’applicazione della disciplina ordinaria nel caso di persone ormai prive di funzioni giudiziarie esclude che le stesse possano considerarsi avvantaggiate rispetto alle eventuali controparti, anche con specifico riguardo all’esercizio del diritto di difesa;

che, per la stessa ragione, non risultano vulnerate, sul piano generale ed astratto, la sostanza e l’apparenza della posizione di terzietà del giudice;

che le eventuali particolarità di singoli casi possono trovare fisiologica soluzione mediante il ricorso agli istituti della astensione e della ricusazione (si veda ancora, tra le molte, la sentenza n. 381 del 1999).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 11 del codice di procedura penale, sollevate dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Catania, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2013.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI