SENTENZA N. 381
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 26 marzo 1998 dal Pretore di Belluno nel procedimento penale a carico di Aurelio Corrado, iscritta al n. 558 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visto l’atto di costituzione di Aurelio Corrado nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 13 aprile 1999 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;
udito l’avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale promosso con l’imputazione di diffamazione (art. 595 cod. pen.) in danno di un magistrato che aveva esercitato le funzioni di Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Belluno, ma che al momento del fatto per il quale si procedeva già prestava servizio in un altro distretto giudiziario, il Pretore di Belluno, con ordinanza emessa il 26 marzo 1998, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101 e 107 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede lo spostamento della competenza territoriale nel caso in cui un magistrato già in servizio nel distretto assuma la qualità di persona offesa o danneggiata dal reato per fatti commessi successivamente al suo trasferimento, ma riferiti unicamente ed immediatamente all’esercizio delle funzioni che egli ha svolto in quel distretto.
La disposizione denunciata, nel disciplinare la competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, stabilisce che quando secondo le regole generali sarebbe competente per territorio un ufficio giudiziario compreso nel distretto in cui il magistrato imputato, persona offesa o danneggiata dal reato esercita le sue funzioni, ovvero le esercitava al momento del fatto, la competenza é attribuita al giudice che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello più vicino.
Il Pretore di Belluno considera questa disciplina una eccezione alle regole generali sulla competenza per territorio e ritiene che, non essendo suscettibile di interpretazione estensiva o analogica, essa non trovi applicazione al caso sottoposto al suo giudizio. Tuttavia, se i fatti commessi successivamente al trasferimento del magistrato in altro distretto siano riferiti all’esercizio delle funzioni da lui in precedenza svolte, ricorrerebbe lo stesso pericolo di condizionamento psicologico e di concreto pregiudizio dell’indipendenza del giudice e dell’imparzialità delle sue decisioni, che ha indotto il legislatore a spostare la competenza territoriale per i procedimenti riguardanti i magistrati. Ad avviso del giudice rimettente, la mancata previsione, anche nel caso che viene prospettato, dello stesso spostamento di competenza violerebbe i principi costituzionali di eguaglianza (art. 3 Cost.), di soggezione del giudice soltanto alla legge (artt. 101 e 107 Cost.), di imparzialità nell’esercizio delle pubbliche funzioni (art. 97 Cost.).
La stessa esigenza di garantire l’assoluta terzietà del giudice, così evitando il sospetto di una possibile menomazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.), sussisterebbe non solo quando vi sia esercizio attuale, o al momento del fatto, di funzioni giudiziarie nel distretto, ma anche quando il fatto, pur commesso successivamente al trasferimento del magistrato, si riferisca alle funzioni che egli ha esercitato nel distretto dove sarebbe altrimenti radicata, secondo le regole generali, la competenza per il giudizio.
2. - Si é costituito dinanzi alla Corte l’imputato che aveva proposto l’eccezione di legittimità costituzionale nel procedimento penale, sostenendo la fondatezza della questione.
Ad avviso della parte privata, l’art. 11 cod. proc. pen. dispone lo spostamento della competenza territoriale per i procedimenti che riguardano i magistrati, con lo scopo di garantire che i legami personali che possono instaurarsi tra magistrati, i quali svolgono funzioni giudiziarie nello stesso distretto, non influiscano sulla serenità ed imparzialità di giudizio quando uno di essi assuma la qualità di imputato, di parte offesa o danneggiata dal reato.
La parte privata ammette che il legislatore può discrezionalmente stabilire l’ambito della deroga alle regole generali della competenza territoriale; ma ritiene irragionevole non prevedere la stessa deroga quando i fatti penalmente perseguibili, pur commessi dopo il trasferimento del magistrato ad altro distretto, si riferiscano alle funzioni svolte nella sede nella quale si procede. Anche in questo caso, difatti, potrebbero essere turbate la serenità e l’obiettività del giudizio, soprattutto se la consecuzione cronologica rispetto all’avvenuto trasferimento del magistrato sia così ristretta, da non poter essere ravvisata una significativa soluzione di continuità.
3. - E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
L’Avvocatura ricorda che, nel valutare altre situazioni nelle quali i rapporti interpersonali tra giudici potrebbero far dubitare della loro serenità ed imparzialità, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire se ed in quale misura i rapporti che si creano nell’ambito dell’organizzazione giudiziaria, tra organo e singoli, influiscano sulla determinazione della competenza.
Questa scelta non sarebbe sindacabile nel giudizio di costituzionalità, se non concreta un mero arbitrio: questa ipotesi non ricorrerebbe nel caso in esame, essendo giustificato sul piano logico distinguere, ai fini della individuazione del giudice competente, i fatti commessi in danno del magistrato nell’attualità dell’esercizio delle sue funzioni in un ufficio giudiziario compreso nel distretto del giudice che sarebbe competente secondo le regole generali, dai fatti commessi in epoca successiva alla cessazione dell’esercizio delle funzioni nello stesso distretto, anche se collegati ad esse. Non sarebbe, difatti, irrazionale considerare nella prima ipotesi più elevato il rischio che vincoli di solidarietà tra magistrati possano influire sulla serenità ed imparzialità del giudizio.
Considerato in diritto
1. - La questione di legittimità costituzionale investe la disciplina della competenza per territorio nei procedimenti che riguardano i magistrati. L’art. 11 del codice di procedura penale dispone che, quando un magistrato assume la qualità di imputato, di persona offesa o danneggiata da un reato, il procedimento che, secondo le regole generali, sarebbe attribuito alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto in cui il magistrato esercita le sue funzioni, o le esercitava al momento del fatto, é attribuito alla competenza del giudice, egualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello più vicino.
Il Pretore di Belluno ritiene che questa disposizione possa essere in contrasto con gli artt. 3, 24, 97, 101 e 107 della Costituzione, nella parte in cui non prevede lo stesso spostamento di competenza territoriale per il reato commesso successivamente al trasferimento del magistrato in un ufficio giudiziario di altro distretto, quando tuttavia i fatti siano riferiti unicamente ed immediatamente alle funzioni esercitate nel distretto in cui si procede penalmente. Difatti, il mancato spostamento della competenza determinerebbe il rischio di un condizionamento psicologico del giudice, tale da pregiudicarne l’indipendenza e l’imparzialità, così menomando anche il diritto di difesa. Inoltre il rischio derivante dal rapporto di colleganza professionale sarebbe lo stesso sia quando l’esercizio delle funzioni nel distretto é attuale, o lo era al momento del fatto, sia quando il fatto, pur commesso successivamente al trasferimento del magistrato, si riferisca all’attività da lui svolta in quel distretto.
2. - Successivamente all’ordinanza di rimessione, la disposizione denunciata é stata sostituita dall’art. 1 della legge 2 dicembre 1998, n. 420, che ha dettato nuovi criteri per individuare il giudice competente nei procedimenti riguardanti i magistrati; criteri che si applicano, come espressamente prevede l’art. 8 della stessa legge, ai procedimenti relativi ai reati commessi successivamente alla sua entrata in vigore.
La questione di legittimità costituzionale, che continua ad avere per oggetto l’art. 11 cod. proc. pen. nel testo vigente prima della legge n. 420 del 1998, mantiene integra la sua rilevanza nel giudizio principale, indipendentemente dalla identità e continuità del contenuto normativo tra vecchia e nuova disposizione.
3. - La questione non é fondata.
La struttura del processo può essere articolata secondo una molteplicità di modelli, i cui istituti sono discrezionalmente determinati e disciplinati dal legislatore, il quale può adottare strumenti diversi ma egualmente idonei a garantire il rispetto dei princìpi costituzionali, assicurando in particolare l’indipendenza e l’imparzialità del giudice, che costituiscono presupposto e requisito essenziale di ogni giusto processo. Risponde a questa esigenza la previsione, in deroga alle regole generali, di una particolare disciplina della competenza per i procedimenti che riguardano i magistrati, quando il magistrato interessato al processo eserciti le sue funzioni nello stesso ufficio che sarebbe competente per il giudizio, oppure in altro ufficio a questo collegato da un rapporto organizzativo o funzionale, sì da poter far dubitare della indipendenza ed imparzialità del giudice. In questo caso lo spostamento della competenza si giustifica e costituisce un meccanismo tradizionalmente adottato dal legislatore, già nella prima codificazione unitaria (art. 37 cod. proc. pen. del 1865), pur se varia é la regolamentazione che si é succeduta nel tempo. L’art. 11 cod. proc. pen. ha stabilito lo spostamento della competenza territoriale secondo un criterio predeterminato ed automatico, diretto a rispondere al principio di precostituzione del giudice (art. 25 Cost.).
La disposizione denunciata, attribuendo rilievo alle funzioni svolte da uno dei soggetti del processo ed alla relazione che ne deriva con l’ufficio giudicante, ha stabilito una eccezione alle regole generali della competenza territoriale, ancorate al luogo del commesso reato. Ma questa eccezione alle regole, pur se é determinata dalla qualità di uno dei soggetti del processo, rimane nell’ambito della logica propria dei criteri di determinazione della competenza, in quanto ancorata ad elementi oggettivi di luogo e di tempo (nella specie costituiti dall’ufficio presso il quale il magistrato esercita o esercitava le funzioni al momento del fatto). Questi elementi richiedono una ricognizione estrinseca del reato per il quale si procede, senza che siano necessari apprezzamenti valutativi o discrezionali, quali si vorrebbero invece introdurre estendendo i casi di spostamento della competenza sia in base al nesso tra il fatto oggetto del giudizio e le funzioni esercitate dal magistrato interessato, sia in base alla vicinanza temporale della commissione del fatto rispetto al pregresso esercizio di tali funzioni nell’ufficio giudiziario competente secondo le regole generali.
Un apprezzamento valutativo é, invece, inerente ad altri istituti, quali l’astensione e la ricusazione, egualmente diretti ad assicurare la imparzialità del giudice, sempre coessenziale al giudizio, quando rilevino profili soggettivi connessi al rapporto che egli, sia pure per ragioni del suo ufficio, possa avere con una delle parti del processo.
4. - Se viene attribuito rilievo alle funzioni svolte da uno dei soggetti del processo per spostare l’ordinaria competenza territoriale, é sempre necessario che siano delimitati l’estensione e l’ambito territoriale della deroga. Altrimenti, considerando nella sua più ampia latitudine l’incidenza di tali funzioni ed il rapporto di colleganza tra magistrato- giudice e magistrato-parte del processo, la deroga alla competenza sarebbe tale da potersi tradurre nella incompetenza di qualsiasi ufficio giudiziario, sino a non rendere possibile l’esercizio della stessa giurisdizione.
Se é dunque sempre necessaria la delimitazione da parte del legislatore dei casi di spostamento della competenza, rientra nella sua discrezionalità, da esercitare nei limiti della ragionevolezza, determinarne l’ambito, con una scelta che può essere sindacata nel giudizio di costituzionalità solo se arbitraria o palesemente irragionevole, tenendo conto anche della necessaria generalità delle norme sulla competenza, in rispondenza al principio del giudice naturale precostituito per legge. Questi limiti non sono superati dal criterio territoriale e temporale di deroga alla ordinaria competenza stabilito dall’art. 11 cod. proc. pen., che attribuisce rilievo, dal punto di vista territoriale, alle funzioni esercitate dal magistrato nell’ambito del distretto giudiziario, che costituisce una unità organizzativa e funzionale che comprende l’ufficio di appartenenza, e, dal punto di vista temporale, alla coincidenza di tali funzioni con il servizio prestato al momento del giudizio o al momento del fatto per il quale si procede. Questa delimitazione della eccezione alle regole generali della competenza territoriale, ancorata a giustificati criteri obiettivi, non appare arbitraria o irrazionale nè lesiva delle garanzie preordinate ad un giusto processo, indicate dal giudice rimettente, tanto più se si considera che altre situazioni nelle quali si possa in concreto dubitare della imparzialità del giudice, in ragione di rapporti personali, innestati sul rapporto di ufficio, possono e debbono trovare soluzione ricorrendo ai già menzionati istituti della astensione e della ricusazione, egualmente preordinati a garantire tale indefettibile imparzialità.
5. - La questione non é fondata neppure sotto il profilo della denunciata lesione del principio di eguaglianza. Le situazioni poste a raffronto, difatti, non sono identiche: diverso é il rapporto inerente all’esercizio attuale delle funzioni nel distretto competente per il giudizio o all’esercizio di esse al momento del fatto, rispetto alle molteplici situazioni che possono verificarsi quando l’esercizio delle funzioni sia cessato e, quindi, vi é un distacco tra tale esercizio e l’ufficio competente per il giudizio.
6. - Ugualmente insussistente é la denunciata violazione del principio di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione, alla cui realizzazione é vincolata l’organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost.). Questo principio riguarda gli organi dell’amministrazione della giustizia solo per quanto attiene all’ordinamento amministrativo, mentre non si estende all’esercizio della giurisdizione (tra le molte: sentenze n. 53 del 1998 e n. 313 del 1995; ordinanze n. 68 del 1999 e n. 189 del 1997).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101 e 107 della Costituzione, dal Pretore di Belluno con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 settembre 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Cesare MIRABELLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 7 ottobre 1999.