ORDINANZA N.68
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 196, secondo e terzo comma, 198, 199, 200, 201, 202 e 203 del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile), promossi con ordinanze emesse, entrambe, il 7 maggio 1998 dal Tribunale di Udine, l’una nel procedimento civile relativo a Nebojsa Starcevic ed altra, iscritta al n. 551 del registro ordinanze 1998, l’altra nel procedimento civile relativo a Marco Zerbin ed altre, iscritta al n. 552 del registro ordinanze 1998; ordinanze pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1999 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.
Ritenuto che nel corso di altrettanti giudizi promossi dal pubblico ministero per l’applicazione delle sanzioni previste dall’ordinamento dello stato civile in casi nei quali chi era obbligato a farlo non aveva dichiarato, entro dieci giorni, la nascita all’ufficiale dello stato civile (artt. 67 e 196 del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238), il Tribunale di Udine, con due ordinanze di analogo contenuto (emesse entrambe il 7 maggio 1998 e rispettivamente iscritte ai numeri 551 e 552 del registro ordinanze del 1998), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 196, secondo e terzo comma, 198, 199, 200, 201, 202 e 203 del regio decreto n. 1238 del 1939 (Ordinamento dello stato civile), che attribuiscono al tribunale civile la competenza per l’applicazione delle sanzioni relative ad infrazioni alle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile;
che, ad avviso del Tribunale di Udine, le disposizioni denunciate violerebbero l’art. 3 della Costituzione, sia per disparità di trattamento che per contrasto con il principio di ragionevolezza, giacchè non sarebbe giustificata l’attribuzione al tribunale della competenza a giudicare le infrazioni alle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile, che costituiscono illeciti amministrativi sanzionati con il pagamento di una somma di danaro di modesta entità, mentre la disciplina comune prevede che le sanzioni amministrative siano applicate da organi della pubblica amministrazione (legge 24 novembre 1981, n. 689), salvo che l’illecito sia connesso con un reato; inoltre non sarebbe ragionevole attivare un organo giurisdizionale, con un procedimento più oneroso anche per l’incolpato, per la punizione di infrazioni di limitata rilevanza e scarso allarme sociale, mentre la competenza a sanzionare comportamenti ben più gravi, ad esempio in materia di protezione ambientale e di sicurezza pubblica, é attribuita alla pubblica amministrazione;
che sarebbe inoltre violato il principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione), perchè per un’attività sostanzialmente amministrativa verrebbe attivato un procedimento inutilmente complesso, nelle forme giurisdizionali.
Considerato che le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Udine con ordinanze di identico contenuto, investono le medesime disposizioni e fanno riferimento agli stessi parametri costituzionali, sicchè i relativi giudizi, essendo evidentemente connessi, possono essere riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
che il dubbio di legittimità costituzionale investe le norme che attribuiscono al tribunale civile la competenza ad applicare, provvedendo in camera di consiglio su istanza del pubblico ministero, la sanzione pecuniaria prevista per le infrazioni alle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile che non costituiscono reato;
che rientra nella discrezionalità del legislatore, da esercitare nei limiti della ragionevolezza, stabilire quali organi siano competenti ad applicare sanzioni, anche per illeciti qualificati come amministrativi, e disciplinare le relative procedure;
che non appare irragionevole attribuire al tribunale, mediante un procedimento diretto ad assicurare con le garanzie proprie della giurisdizione la difesa dell’incolpato, la competenza ad applicare la sanzione pecuniaria prevista nei confronti di chi, essendo tenuto a denunciare la nascita all’ufficiale dello stato civile, non vi ha provveduto entro dieci giorni dalla nascita stessa; si tratta, difatti, di una competenza connessa a quella, propria dello stesso tribunale, di dichiarare valido, con il procedimento di rettificazione, l’atto di nascita formato in ritardo;
che la disciplina degli atti concernenti lo stato civile, i quali ineriscono alla condizione della persona, e le sanzioni previste hanno un carattere di specialità che può giustificare la correlativa specialità della competenza attribuita al tribunale civile per la cognizione, in forma giurisdizionale, di illeciti amministrativi, tanto più che questi sono connessi con accertamenti, quelli relativi alla rettificazione degli atti dello stato civile, che hanno carattere giurisdizionale, determinando situazioni che non sono comparabili con quelle indicate dalle ordinanze di rimessione quale termine di raffronto, nelle quali l’autorità amministrativa competente a ricevere il rapporto emana il provvedimento che ingiunge il pagamento della somma dovuta per la violazione;
che, come più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale, il principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione) può riferirsi all’amministrazione della giustizia solo per quanto attiene all’ordinamento degli uffici giudiziari ed al loro funzionamento sotto l’aspetto amministrativo, ma non si estende all’esercizio della funzione giurisdizionale ed all’attribuzione delle relative competenze (cfr. sentenza n. 53 del 1998; ordinanza n. 11 del 1999; ordinanze nn. 429 e 160 del 1998);
che, pertanto, le questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 196, secondo e terzo comma, 198, 199, 200, 201, 202 e 203 del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Udine con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 marzo 1999.
Presidente Renato GRANATA
Redattore Cesare MIRABELLI
Depositata in cancelleria il 12 marzo 1999.