ORDINANZA N. 147
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 20 della legge della Regione autonoma Sardegna 21 novembre 2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico), promosso dal Tribunale ordinario di Oristano nel procedimento penale a carico di B. F. Q. A. con ordinanza dell’8 febbraio 2012, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento della Regione autonoma Sardegna;
udito nella camera di consiglio dell’8 maggio 2013 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Oristano nel procedimento penale a carico di B. F. Q. A. con ordinanza dell’8 febbraio 2012 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 20 della legge della Regione autonoma Sardegna 21 novembre 2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico), in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione e 3, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna);
che il rimettente premette di dover giudicare in ordine: a) alla contravvenzione di cui agli artt. 44, lettera c), in relazione all’art. 30, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia − Testo A), e all’art. 17 della legge della Regione autonoma Sardegna 11 ottobre 1985, n. 23 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e di sanatoria di insediamenti ed opere abusive, di snellimento ed accelerazione delle procedure espropriative); b) alla contravvenzione di cui all’art. 44, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione all’art. 3 della legge della Regione autonoma Sardegna n. 23 del 1985 e successive modificazioni; c) della contravvenzione di cui all’art. 734 del codice penale;
che la condotta che ha dato origine alla contestazione riguarda la trasformazione urbanistica ed edilizia di un terreno, realizzata mediante la collocazione di un chiosco prefabbricato e 26 unità abitative prefabbricate, aventi dimensioni variabili da mt. 6,90 a mt. 8,58 di lunghezza, da mt. 2,60 a mt. 2,95 di larghezza e da mt. 2,20 a mt. 2,55 di altezza, alcune dotate di veranda in struttura tubolare e tutte collegate a opere di urbanizzazione primaria, consistenti nelle reti idrica, elettrica e fognaria;
che la norma censurata rubricata «Modifiche alle norme sulla classificazione delle aziende ricettive» stabilisce che: «Alla legge regionale 14 maggio 1984, n. 22 (Norme per la classificazione delle aziende ricettive), il comma 4-bis dell’articolo 6, introdotto dalla legge regionale 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale) è sostituito dal seguente: 4-bis. Fatto salvo quanto previsto nel presente articolo, nelle aziende ricettive all’area aperta regolarmente autorizzate e nei limiti della ricettività autorizzata, gli allestimenti mobili di pernottamento, quali tende, roulotte, caravan, mobil-home, maxicaravan o case mobili e pertinenze ed accessori funzionali all’esercizio dell’attività, sono diretti a soddisfare esigenze di carattere turistico meramente temporanee e, anche se collocati in via continuativa, non costituiscono attività rilevante a fini urbanistici, edilizi e paesaggistici. A tal fine tali allestimenti devono: a) conservare i meccanismi di rotazione in funzione; b) non possedere alcun collegamento di natura permanente al terreno e gli allacciamenti alle reti tecnologiche, gli accessori e le pertinenze devono essere rimovibili in ogni momento»;
che il rimettente evidenzia che, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, per stabilire se un manufatto sia precario, con la facoltà di erigerlo senza alcun titolo abilitativo, assume rilievo decisivo la circostanza che la costruzione presenti oggettivamente caratteristiche tali da potersi desumere che essa sia stata eseguita per assicurare esigenze cronologicamente circoscritte o, al contrario, destinate a permanere nel tempo, anche in modo non continuativo ma ricorrente (e in tale ultimo caso si parla di opere stagionali per le quali vige, comunque, l’obbligo di munirsi di titolo abilitativo);
che è questa la ragione in base alla quale qualsiasi trasformazione permanente del territorio è subordinata al conseguimento del prescritto titolo edilizio anche qualora l’opera da realizzare, pur se non saldamente infissa al suolo e prontamente rimovibile, debba essere destinata a un’utilizzazione non temporanea, come fra l’altro dispone l’art. 3, comma 1, lettera e), numero 5, del d.P.R. n. 380 del 2001 per specifiche tipologie d’installazioni;
che, in altri giudizi, il medesimo Tribunale di Oristano, nel vigore della disposizione precedente la modifica, aveva stabilito che tra gli allestimenti mobili di pernottamento previsti dal citato art. 6, comma 4-bis, della legge della Regione autonoma Sardegna 14 maggio 1984, n. 22 (Norme per la classificazione delle aziende ricettive), non potessero farsi rientrare le cosiddette case mobili, perché la caratteristica precipua del mezzo mobile di pernottamento è da rinvenirsi nella sua naturale destinazione ad offrire all’utilizzatore la possibilità di abbinare la facilità di spostamento − di solito, ma non necessariamente con finalità turistiche − con la costante disponibilità di un alloggio nel quale pernottare, mentre le case mobili devono essere assimilate piuttosto a strutture di pernottamento, quali ad esempio i bungalows, a nulla rilevando che le stesse siano fornite di ruote;
che le ruote, infatti, sono un elemento secondario nella struttura complessiva funzionalmente destinato non all’abituale, seppur astratta, mobilità quanto piuttosto a rendere più agevole l’amovibilità di ciascun bene e che, dunque, le case mobili sono prive di funzionali meccanismi di rotazione, in quanto i suddetti meccanismi dovrebbero essere quelli che rendono il bene idoneo ad una agevole e naturale destinazione alla mobilità e alla circolazione e non semplicemente quelli che ne facilitino l’eventuale rimozione o amovibilità;
che, secondo il rimettente, l’interpretazione del concetto di case mobili effettuata in precedenza oggi non potrebbe essere riproposta alla luce dell’ultima modifica legislativa intervenuta che oltre le tende, le roulotte, i caravan e i maxicaravan, indica specificamente anche le case mobili;
che in realtà le case mobili hanno meccanismi che non consentono in alcun modo il traino su strada: pertanto il loro trasporto può avvenire solo sopra un veicolo idoneo a portarli a destinazione e che, una volta appoggiate al suolo, le strutture di cui si tratta sono destinate a non essere più rimosse, se non in casi eccezionali, e in nulla differiscono da una normale casa prefabbricata;
che, dopo aver svolto queste considerazioni, il rimettente afferma che il profilo d’illegittimità costituzionale più evidente consisterebbe nella violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che ha espressamente attribuito, fra l’altro, la materia dell’ordinamento penale alla legislazione esclusiva dello Stato;
che, secondo il rimettente, il divieto per le Regioni di emanare norme che incidono sull’ordinamento penale abbraccia due distinti aspetti: è innanzitutto inibito a tali enti territoriali di introdurre nuove fattispecie di reato corredate delle relative sanzioni, evenienza questa peraltro raramente avvenuta; in secondo luogo, le regioni non possono intervenire, con proprie leggi, su condotte penalmente previste dal legislatore statale, modificando, eliminando o introducendo presupposti, elementi normativi, cause di giustificazione o di estinzione dei reati, in modo da ampliare o ridurre l’ambito applicativo degli illeciti disciplinati da norme statali;
che, nel caso in esame, il legislatore regionale, con la norma censurata ha introdotto una deroga all’art. 3, comma 1, lettera e), numero 5, del d.P.R. n. 380 del 2001 che qualifica intervento di nuova costruzione la collocazione dei manufatti e delle strutture ivi indicati, qualora gli stessi non siano destinati a soddisfare esigenze di carattere temporaneo, di fatto escludendo che l’apposizione sul suolo dei medesimi manufatti sia rilevante ai fini edilizi e urbanistici (oltre che paesaggistici), se eseguita, alla presenza dei presupposti già considerati, in strutture turistico-ricettive all’aria aperta, e, di conseguenza, sottraendo tali fattispecie dal novero degli interventi di nuova costruzione subordinati, ai sensi dell’art. 10, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, al permesso di costruire;
che l’intervento di nuova costruzione, in mancanza del titolo abilitativo oppure eseguito in difformità rispetto ad esso, determina una responsabilità penale o amministrativa, ai sensi degli artt. 31 e 44 del d.P.R. n. 380 del 2001;
che, in conclusione, la norma censurata sottrarrebbe a ogni conseguenza di carattere penale o amministrativo l’installazione delle strutture di cui si tratta, alla presenza dei presupposti in essa stabiliti, e, in particolare, non consentirebbe di contestare la contravvenzione prevista dall’art. 44, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001, nell’ipotesi in cui l’installazione avvenga in contrasto con le norme, le prescrizioni e le modalità esecutive previste dai regolamenti edilizi e dagli strumenti urbanistici;
che, nel caso in esame, è contestato il reato di lottizzazione abusiva per avere l’imputato installato, all’interno di un campeggio regolarmente autorizzato, unità abitative prefabbricate del genere case mobili, tutte collegate a opere di urbanizzazione primaria, consistenti nelle reti idrica, elettrica e fognaria, in assenza della prescritta concessione edilizia e in zona sottoposta a vincolo paesaggistico;
che in applicazione della norma regionale sospettata d’incostituzionalità, anche a fronte dell’installazione duratura, all’interno di strutture turistico-ricettive all’aria aperta, di numerose strutture (roulotte, camper, maxicaravan, case mobili) e del conseguente fabbisogno di opere d’urbanizzazione primaria in un’area non urbanizzata o parzialmente urbanizzata, in assenza dell’autorizzazione comunale, non è ravvisabile la contravvenzione di lottizzazione abusiva;
che la norma censurata, restringendo l’ambito di applicazione della contravvenzione di lottizzazione abusiva, sembrerebbe determinare una non consentita invasione, da parte del legislatore della Regione autonoma Sardegna, della competenza nella materia dell’ordinamento penale, riservata in via esclusiva al legislatore statale dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.;
che, inoltre, risulterebbe leso anche l’art. 3 dello statuto speciale di autonomia, in quanto le disposizioni di rango legislativo contenute nel d.P.R. n. 380 del 2001 che individuano gli interventi di trasformazione urbanistica del territorio subordinandoli al conseguimento di un titolo edilizio (si tratti del permesso di costruire, della denuncia d’inizio attività e, ora, della SCIA, segnalazione certificata d’inizio attività) e il connesso sistema sanzionatorio, anche amministrativo, costituiscono, per le regioni a statuto speciale, anche con competenza esclusiva in materia, norme fondamentali di riforma economico-sociale;
che, secondo il rimettente, la norma in esame violerebbe anche l’art. 3 Cost. poiché in Sardegna nessun trattamento sanzionatorio, penale o amministrativo, è previsto, in caso d’installazione dei manufatti e delle strutture previsti dalla disposizione se collocati nelle aziende di cui si è detto, a differenza di quanto avviene, non solo nella stessa Regione al di fuori delle aziende in questione, ma anche nel resto del territorio nazionale;
che il rimettente precisa, quanto alla rilevanza della questione, che i reati contestati all’imputato nel giudizio a quo sono stati commessi prima dell’entrata in vigore della norma regionale in oggetto e che non si è in presenza di un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, riconducibile all’art. 2, secondo comma, cod. pen., in quanto la disposizione regionale non avrebbe natura penale;
che, tuttavia, il reato di lottizzazione abusiva, nell’ipotesi di condanna e, comunque, in tutti i casi in cui il fatto sia accertato, prevede la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere su di essi costruite e tale confisca non potrebbe essere disposta in presenza di una legge, anche regionale, che rende legittima un’attività integrante gli estremi di una lottizzazione abusiva;
che la rilevanza della questione sarebbe ancor più evidente qualora si volesse ritenere che la disposizione di cui si tratta ha determinato un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo riconducibile all’art. 2, secondo comma, cod. pen., per la sua incidenza sul piano del giudizio di colpevolezza;
che, in data 30 ottobre 2012, si è costituita la Regione autonoma Sardegna concludendo nel senso dell’inammissibilità o dell’infondatezza della questione sollevata dal Tribunale di Oristano;
che, in via pregiudiziale, osserva la resistente che osta allo scrutinio del merito delle questioni, in primo luogo, la totale assenza di un’autentica motivazione in punto di non manifesta infondatezza avendo il rimettente motivato solo per relationem;
che altra ragione di manifesta inammissibilità consisterebbe nel difetto di descrizione dei fatti di causa in quanto il rimettente, per motivare la rilevanza della questione, fa riferimento ad un’istanza di cui non vi è alcuna traccia nella descrizione del fatto;
che la questione sarebbe ulteriormente manifestamente inammissibile anche perché meramente ipotetica ed eventuale e prospettata in forma ancipite e perplessa, con riferimento alla valutazione circa sia l’esistenza del reato, sia la natura penale della norma impugnata, non essendovi certezza sull’interpretazione che il Tribunale di Oristano dà della vicenda normativa;
che vi sarebbe anche un’intrinseca contraddittorietà nella motivazione dell’ordinanza, in quanto il rimettente dapprima afferma che la norma censurata viola la competenza statale nella materia dell’ordinamento penale e poi, nel prosieguo, afferma che la medesima norma «non ha natura penale, limitandosi solo indirettamente a incidere sull’ambito applicativo dei reati di cui si è detto»;
che il rimettente, pur ritenendo che la rilevanza della questione sarebbe ancor più significativa ove alla norma censurata dovesse riconoscersi natura penale, non sviluppa alcuna argomentazione per dimostrare come e perché, a fronte di una consolidata giurisprudenza di segno contrario, potrebbe formularsi, al Giudice costituzionale, la richiesta di una pronuncia in malam partem;
che, infine, la Regione eccepisce anche che il rimettente ha sollevato una questione di mero fatto, in quanto è chiamato a giudicare se i manufatti oggetto della contestazione hanno un collegamento permanente con il terreno e possano o meno rientrare nella previsione astratta della norma censurata;
che, nel merito, la questione sarebbe comunque infondata, in quanto la norma censurata rientrerebbe senz’altro nell’ambito della competenza legislativa esclusiva della Regione autonoma Sardegna nelle materie «urbanistica ed edilizia» e «turismo e industria alberghiera» di cui all’art. 3, comma 1, rispettivamente lettere f) e p), dello statuto speciale;
che questo tipo di normativa sarebbe di competenza regionale trattandosi di disciplina di dettaglio avente ad oggetto specifiche tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben definiti e circoscritti (viene citata la sentenza n. 278 del 2010);
che la disposizione censurata non invaderebbe gli ambiti riservati allo Stato nella materia «ordinamento penale», come afferma il rimettente, e non vi sarebbe nessuna ingerenza nella definizione del contenuto dell’ordinamento penale riservata allo Stato;
che la resistente richiama anche la giurisprudenza costituzionale secondo cui non basta che una legge regionale determini indirette conseguenze in materia penale perché si possa concludere che essa ha invaso il campo riservato alla legislazione statale (sentenza n. 487 del 1989);
che altrettanto infondata sarebbe la censura relativa alla violazione del principio d’eguaglianza, in quanto l’art. 20 della legge reg. n. 21 del 2011 contiene norme generali e astratte, che non implicano alcuna discriminazione né garantiscono alcun privilegio singolare;
che, in particolare, non vi sarebbe violazione del principio di ragionevolezza, in quanto la norma si limita a disciplinare «gli allestimenti mobili di pernottamento», imponendo l’assenza di collegamenti permanenti al terreno e realizzando un coerente bilanciamento tra l’interesse alla promozione del turismo e quello alla tutela paesaggistica del territorio;
che, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione ribadisce le proprie argomentazioni circa l’inammissibilità e l’infondatezza delle questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Oristano;
che, in particolare, la parte resistente, ad ulteriore conferma dell’inammissibilità della questione per irrilevanza, rileva che la Corte di Cassazione ha scrutinato un caso di abuso edilizio identico a quello in esame e ha ritenuto che in tali casi la disposizione censurata non possa trovare applicazione (Cassazione penale, sentenza n. 4129 del 2013).
Considerato che il Tribunale ordinario di Oristano, nel procedimento penale a carico di B. F. Q. A., con ordinanza dell’8 febbraio 2012 ha sollevato questione di legittimità − in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione e 3, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) − dell’articolo 20 della legge della Regione autonoma Sardegna 21 novembre 2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico), nella parte in cui dispone che: «Fatto salvo quanto previsto nel presente articolo, nelle aziende ricettive all’area aperta regolarmente autorizzate e nei limiti della ricettività autorizzata, gli allestimenti mobili di pernottamento, quali tende, roulotte, caravan, mobil-home, maxicaravan o case mobili e pertinenze ed accessori funzionali all’esercizio dell’attività, sono diretti a soddisfare esigenze di carattere turistico meramente temporanee e, anche se collocati in via continuativa, non costituiscono attività rilevante a fini urbanistici, edilizi e paesaggistici. A tal fine tali allestimenti devono: a) conservare i meccanismi di rotazione in funzione; b) non possedere alcun collegamento di natura permanente al terreno e gli allacciamenti alle reti tecnologiche, gli accessori e le pertinenze devono essere rimovibili in ogni momento»;
che una prima censura ha ad oggetto la violazione degli artt. 25, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera l), Cost., non essendo consentito al legislatore regionale dettare norme in materia penale;
che, in particolare, l’art. 20 della legge reg. n. 21 del 2011, nell’escludere la rilevanza ai fini edilizi, urbanistici e paesaggistici dell’allestimento in strutture turistico-ricettive all’aria aperta dei manufatti ivi indicati, e in particolare delle case mobili, introdurrebbe una deroga all’art. 3, comma 1, lettera e), numero 5, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia − Testo A), che qualifica intervento di nuova costruzione la collocazione dei manufatti e delle strutture ivi indicati qualora gli stessi non siano destinati a soddisfare esigenze di carattere temporaneo, e così sottrarrebbe tali fattispecie dal novero degli interventi di nuova costruzione, subordinati, ai sensi dell’art. 10, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, al permesso di costruire;
che, inoltre, risulterebbe violato anche l’art. 3 dello statuto speciale di autonomia, in quanto le disposizioni di rango legislativo contenute nel d.P.R. n. 380 del 2001 che individuano gli interventi di trasformazione urbanistica del territorio subordinandoli al conseguimento di un titolo edilizio (si tratti del permesso di costruire, della denuncia d’inizio attività e, ora, della SCIA, segnalazione certificata d’inizio attività) e il connesso sistema sanzionatorio, anche amministrativo, costituiscono, per le regioni a statuto speciale, anche con competenza esclusiva in materia, norme fondamentali di riforma economico-sociale;
che, infine, il rimettente lamenta anche la violazione dell’art. 3 Cost. per la disparità di trattamento che la norma prevedrebbe sotto il profilo sanzionatorio, penale o amministrativo, in caso d’installazione dei manufatti e delle strutture nelle aziende turistico ricettive, a differenza di quanto avviene, non solo nella stessa Regione al di fuori delle aziende in questione, ma anche nel resto del territorio nazionale;
che la Regione Sardegna, costituitasi nel giudizio, ha eccepito plurimi motivi di inammissibilità;
che, in particolare, secondo la parte resistente la questione sarebbe manifestamente inammissibile perché meramente ipotetica ed eventuale e prospettata in forma ancipite e perplessa con riferimento alla valutazione circa sia l’esistenza del reato, sia la natura penale della norma impugnata, non essendovi certezza sull’interpretazione che il Tribunale ordinario di Oristano dà della vicenda normativa;
che vi sarebbe anche un’intrinseca contraddittorietà nella motivazione dell’ordinanza, in quanto il rimettente dapprima afferma che la norma censurata viola la competenza statale nella materia dell’ordinamento penale e poi, nel prosieguo, afferma che la medesima norma «non ha natura penale, limitandosi solo indirettamente a incidere sull’ambito applicativo dei reati di cui si è detto»;
che il rimettente, pur ritenendo che la rilevanza della questione sarebbe ancor più significativa ove alla norma censurata dovesse riconoscersi natura penale, non motiva in ordine alle ragioni che consentirebbero di formulare la richiesta di una pronuncia in malam partem;
che, infine, la Regione eccepisce anche che il rimettente ha sollevato una questione di mero fatto in quanto è chiamato a giudicare se i manufatti oggetto della contestazione abbiano un collegamento permanente con il terreno e possano rientrare nella previsione astratta della norma censurata;
che le eccezioni di manifesta inammissibilità sollevate dalla Regione Sardegna sono fondate;
che, in primo luogo, il rimettente, non spiega perché la norma censurata dovrebbe trovare applicazione nel caso sottoposto al suo esame nonostante egli stesso affermi che le case mobili oggetto dell’imputazione: a) hanno meccanismi che non consentono in alcun modo il traino su strada; b) possono essere trasportate solo sopra un veicolo idoneo a portarle a destinazione; c) una volta appoggiate al suolo, sono destinate a non essere più rimosse, se non in casi eccezionali, in nulla differenziandosi da una normale casa prefabbricata; d) sono tutte collegate mediante opere di urbanizzazione primaria alle reti idrica, elettrica e fognaria;
che il rimettente mostra di conoscere il consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale nei casi come quello al suo esame si è in presenza di interventi di nuova costruzione che necessitano del titolo abilitativo (da ultimo Cassazione penale, sentenza n. 4129 del 2013, che conferma la precedente giurisprudenza);
che, dunque, vi è una intrinseca contraddizione nel percorso argomentativo del rimettente, che si traduce in insufficiente motivazione in ordine alla rilevanza della questione sollevata;
che il rimettente incorre in una ulteriore contraddizione allorquando, da un lato, censura la norma per violazione degli artt. 25, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera l), Cost., perché il legislatore regionale non può dettare norme in materia penale, e, dall’altro, nel motivare circa la rilevanza, afferma che la norma non ha natura penale e, quindi, non è soggetta al principio della retroattività della norma penale più favorevole, tanto che la questione sarebbe rilevante solo in relazione alla possibilità di procedere alla confisca dei terreni;
che il giudice del Tribunale ordinario di Oristano, esaminando anche la possibilità che invece trovi applicazione il principio della retroattività della norma penale più favorevole, affermando che in tal caso la questione sarebbe ancor più rilevante perché gli imputati dovrebbero essere assolti in applicazione della norma censurata, non scioglie il dubbio circa l’applicabilità del principio della lex mitior alla norma regionale e, nell’ipotesi della sua applicabilità, non si pone alcun problema di ammissibilità del sindacato costituzionale sulle norme penali che introducono una disciplina più favorevole, sicché, pure sotto questo aspetto, la motivazione sulla rilevanza risulta evidentemente perplessa, parziale e inadeguata (per un caso analogo, ordinanza n. 314 del 2012).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 20 della legge della Regione autonoma Sardegna 21 novembre 2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione e 3, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dal Tribunale ordinario di Oristano con l’ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2013.