Sentenza n. 298 del 2012

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SENTENZA N. 298

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                                     Presidente

-           Franco                         GALLO                                                              Giudice

-           Luigi                           MAZZELLA                                                            "

-           Gaetano                      SILVESTRI                                                              "

-           Sabino                         CASSESE                                                                 "

-           Giuseppe                     TESAURO                                                                "

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                                                        "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                                      "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                                           "

-           Paolo                          GROSSI                                                                    "

-           Giorgio                       LATTANZI                                                               "

-           Aldo                           CAROSI                                                                    "

-           Marta                          CARTABIA                                                              "

-           Sergio                         MATTARELLA                                                        "

-           Mario Rosario             MORELLI                                                                 "

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 33, comma 16, della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012)», promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 13 gennaio 2012, depositato in cancelleria il 18 gennaio 2012 ed iscritto al n. 11 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 ottobre 2012 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;

uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 13 gennaio 2012 e depositato il successivo 18 gennaio (reg.ric. n. 11 del 2012), la Regione Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale in via principale di alcune disposizioni della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012)», e, tra queste, dell’articolo 33, comma 16, deducendo la violazione degli articoli 3, 30, 33, 34, 97, 117, 118, 119 e 120, nonché del «principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120, secondo comma, della Costituzione».

La Regione ricorrente rileva come la disposizione impugnata stabilisca che, «per le finalità di cui all’articolo 1, comma 635, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all’articolo 2, comma 47, della legge 22 dicembre 2008, n. 203, è autorizzata la spesa di 242 milioni di euro per l’anno 2012». Come emerge dalle norme richiamate, la disposizione prevede, in sostanza, un finanziamento a favore delle scuole paritarie, da destinare prioritariamente a quelle dell’infanzia, regolando, così, una materia sulla quale convergerebbero plurime competenze legislative: quella esclusiva statale in tema di «norme generali sull’istruzione» (art. 117, secondo comma, lettera n, Cost.), quella concorrente in materia di «istruzione» e quella – parimenti ripartita fra Stato e Regioni – relativa all’«armonizzazione dei bilanci pubblici» e al «coordinamento della finanza pubblica» (art. 117, terzo comma, Cost.). Le scuole paritarie, private e degli enti locali, costituiscono infatti, unitamente alle scuole statali, il servizio nazionale di istruzione, qualificato come oggettivamente pubblico (art. 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62, recante «Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione»). Anche con riguardo alla scuola paritaria dell’infanzia, non vi sarebbe più alcun dubbio in ordine alla sua natura propriamente «scolastica», e non già assistenziale, essendo da tempo normativamente sancito che essa costituisce la prima articolazione del sistema educativo.

Il servizio dell’istruzione conta, per altro verso, su un «finanziamento plurimo», al quale concorrono lo Stato, le Regioni e gli enti locali. Nonostante il graduale processo di decentramento di funzioni dallo Stato verso le Regioni – già prima della novella costituzionale del 2001 la materia dei contributi alle scuole era stata, in effetti, delegata alle Regioni dall’art. 138, comma 1, lettera e), del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) – il servizio dell’istruzione è «da sempre finanziato dallo Stato», cui in particolare compete il finanziamento delle funzioni sue proprie e la predisposizione di risorse atte a sostenere il sistema qualificato come «nazionale», che costituisce un servizio pubblico essenziale. La stessa Corte costituzionale – proprio con riferimento alle scuole dell’infanzia – ha avuto modo, del resto, di qualificare i finanziamenti regionali come solo «aggiuntivi» rispetto a quelli statali (sentenza n. 34 del 2005), riconoscendo, così, che questi ultimi costituiscono la principale fonte di sostentamento del sistema.

Nella Regione Veneto, le scuole paritarie – e, in particolare, quelle dell’infanzia – avrebbero, d’altra parte, una incidenza tutta particolare, tale da farne «un unicum» nel panorama nazionale. Le scuole paritarie per l’infanzia accoglierebbero, infatti, una percentuale della popolazione scolastica di età compresa fra i tre e i sei anni nettamente superiore a quella delle altre Regioni (il 67,03 per cento, con riguardo all’anno scolastico 2010-2011), costituendo spesso il solo servizio fruibile, stante la mancanza in larga parte dei Comuni veneti di una scuola per l’infanzia statale. Tenuto conto della differenza tra la spesa che lo Stato sostiene per ogni bambino, a seconda che si tratti di scuola paritaria privata, di scuola paritaria comunale o di scuola statale, la presenza delle istituzioni paritarie assicurerebbe, nel solo Veneto, un risparmio per le casse statali pari a 544 milioni di euro annui.

Tutto ciò premesso, la ricorrente rileva come, fino al 2010, i contributi posti nel bilancio di previsione dello Stato in favore delle scuole paritarie, in un unico capitolo, ammontassero a 539 milioni di euro: importo rimasto sostanzialmente invariato da undici anni e che, già solo per questo, finiva per accollare al gestore non statale del servizio dell’istruzione il progressivo incremento dei costi conseguente all’inflazione.

La situazione sarebbe mutata, nondimeno, in senso peggiorativo con il bilancio di previsione per il 2011, di cui alla legge 13 dicembre 2010, n. 221 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013), nel quale le risorse di cui si tratta sono state quantificate in 245 milioni di euro a titolo di «rifinanziamento del programma di interventi di cui all’articolo 2, comma 47, della legge 22 dicembre 2008, n. 203» (allegato 1 alla legge, elenco 1), in aggiunta allo stanziamento di 281 milioni di euro già previsto nel programma di bilancio triennale 2009-2011. L’attribuzione di tale somma – già di per sé inferiore di 13 milioni di euro a quella «storica» – è stata, per giunta, subordinata alla vendita delle frequenze televisive del digitale terrestre e, dunque, esposta – ai sensi dell’art. 1, comma 13, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2011)» – alla possibilità di una «riduzione lineare» con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, nel caso di scostamento rispetto alla previsione di entrata alla data del 30 settembre 2011. Ipotesi, questa, di fatto verificatasi, con conseguente decurtazione del contributo di altri 28.304.555 euro.

Alla data del ricorso, inoltre, solo una parte delle somme iscritte a bilancio (e precisamente euro 167.917.727, pari agli otto dodicesimi dello stanziamento) risultava effettivamente versata e solo nel mese di ottobre era stata risolta in senso positivo la disputa circa la stessa debenza, per il 2011, della somma aggiuntiva di 245 milioni di euro.

Ad avviso della Regione Veneto, l’«anodina formulazione» dell’art. 33, comma 16, della legge n. 183 del 2011, oggetto di impugnazione, sarebbe destinata fatalmente a rinnovare, se non addirittura ad aggravare, le intercertezze emerse nel precedente anno scolastico e a «diventare il nuovo teatro di lotte fra il mondo della scuola paritaria e il Ministero». In assenza di un diretto raccordo con il bilancio di previsione triennale, non sarebbe, infatti, chiaro se la somma di 242 milioni di euro, indicata nella norma denunciata, vada ad aggiungersi allo stanziamento previsto nella manovra triennale (281 milioni di euro) o se rappresenti, invece, lo stanziamento complessivo a favore della scuola paritaria per il 2012: ipotesi, quest’ultima, nella quale si assisterebbe ad una decurtazione assolutamente irragionevole del contributo (pari al 55,1 per cento dello «stanziamento storico»), priva di riscontro in qualsiasi altro comparto pubblico. Non vi sarebbe, inoltre, alcuna certezza in ordine all’effettiva erogazione dei fondi ed ai relativi tempi, né si sarebbe tenuto conto, nella ripartizione delle somme, delle diverse realtà regionali e, segnatamente, della specificità della situazione della Regione Veneto, dianzi evidenziata.

Per tali profili, la norma censurata risulterebbe, quindi, lesiva di plurimi parametri costituzionali.

Sarebbe violato, anzitutto, l’art. 33 Cost., che stabilisce il «principio pluralistico della libertà della scuola», in base al quale enti e privati hanno il diritto di istituire proprie scuole e di ottenere, per esse, la parità con le scuole statali: principio che si raccorda anche alla garanzia della libertà di scelta del modello di educazione, assicurata ai genitori dall’art. 30 Cost. (esso pure, di conseguenza, violato). Lungi dal favorire le scuole paritarie presenti sul territorio, la disposizione impugnata ne metterebbe, infatti, seriamente a rischio l’esistenza, a causa dell’entità della riduzione dei contributi e dell’assoluta incertezza sulle modalità della loro erogazione.

La norma sottoposta a scrutinio impedirebbe, al tempo stesso, l’attuazione nel territorio veneto del principio enunciato dall’art. 34 Cost., in forza del quale la scuola è «aperta a tutti». La modestia e l’incertezza del contributo elargito dallo Stato costringerebbero, infatti, le scuole paritarie ad imporre rette di frequenza di tale levatura da tradursi in «barriere d’ingresso al servizio», con «inaccettabili effetti discriminatori».

Risulterebbe violato, altresì, l’art. 117 Cost. La previsione di finanziamenti del genere considerato si porrebbe, infatti, in contrasto «con le precise disposizioni costituzionali che rimettono allo Stato una responsabilità in materia di istruzione per nulla secondaria rispetto a quella delle Regioni». In aggiunta alle competenze legislative già in precedenza richiamate – quella statale esclusiva in materia di «norme generali sull’istruzione» (art. 117, secondo comma, lettera n, Cost.) e quelle concorrenti in materia di «istruzione» e di «armonizzazione dei bilanci e coordinamento della finanza pubblica» (art. 117, terzo comma, Cost.) – verrebbe segnatamente in rilievo la responsabilità del governo centrale come garante dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere assicurati su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).

Sarebbe leso, ancora, l’art. 119 Cost. Tale norma costituzionale, dopo aver sancito l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni, stabilisce che le Regioni finanziano integralmente le funzioni loro attribuite mediante le entrate su cui possono contare ai sensi dei primi tre commi dello stesso articolo (risorse autonome, tributi ed entrate propri e compartecipazioni al gettito di tributi erariali). Nella specie, le Regioni dovrebbero essere, dunque, dotate di risorse tali da riuscire ad erogare le prestazioni nell’ambito dell’istruzione, per la parte di propria competenza.

A fronte, tuttavia, della perdurante situazione di mancata attuazione della previsione costituzionale, le Regioni non disporrebbero, in fatto, di mezzi sufficienti, onde diverrebbe ancora più importante che il finanziamento di competenza statale non lasci scoperto un settore, quale quello considerato, che coinvolge «diritti costituzionali incomprimibili». Il pieno esercizio dell’autonomia finanziaria regionale non potrebbe, d’altronde, prescindere dalla certezza in ordine all’effettivo ammontare delle risorse e dalla tendenziale stabilità del quadro del finanziamento, come è, peraltro, specificamente richiesto dalla legge delega in tema di federalismo fiscale (art. 2, comma 2, lettera ll, della legge 5 maggio 2009, n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione»).

L’opposta situazione di incertezza determinata dalla norma impugnata contrasterebbe anche con gli artt. 97 e 118 Cost., incidendo negativamente sull’organizzazione e sull’esercizio delle funzioni amministrative di competenza regionale e impedendo la programmazione degli interventi per la scuola.

I principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, enunciati dallo stesso art. 118 Cost. – ai quali rimanda l’art. 120 Cost. e che sono altresì funzionali al buon andamento della pubblica amministrazione – imporrebbero, in pari tempo, al legislatore nazionale di tenere conto, nella ripartizione delle risorse, dei diversi «tessuti socio-economico-culturali» delle singole Regioni.

Da ultimo, la disposizione impugnata, nel prevedere un «finanziamento incerto e inadeguato», non sarebbe improntata alla lealtà istituzionale fra i diversi livelli di governo implicati, violando, quindi, il principio di leale collaborazione, di cui il primo costituirebbe declinazione e al quale lo stesso legislatore ordinario statale si sarebbe vincolato con l’art. 2, comma 2, lettera b), della legge n. 42 del 2009.

Alla luce di tali considerazioni, la Regione Veneto chiede, quindi, che la norma impugnata venga dichiarata costituzionalmente illegittima: a) nella parte in cui «lascia il gestore della scuola paritaria in una condizione di oggettiva incertezza in ordine ai tempi e agli importi sui quali fare legittimo affidamento»; b) nella parte in cui – ove interpretata nel senso che il contributo di 242 milioni di euro esaurisca lo stanziamento per la scuola paritaria relativo al 2012 – prevede una somma «palesemente incongrua ed intrinsecamente irragionevole»; c) nella parte in cui, inserendo la predetta somma in un unico e indistinto capitolo di spesa, non differenzia, nel trattamento economico, le diverse realtà regionali, misconoscendo, così, lo «sgravio» di cui lo Stato e le altre Regioni beneficiano grazie alle scuole paritarie dell’infanzia venete.

In subordine, nell’eventualità in cui le tesi prospettate in via principale fossero disattese, la ricorrente chiede che la Corte voglia «almeno utilizzare i poteri monitori suoi propri, al fine di sollecitare il Parlamento a farsi carico delle precise responsabilità costituzionali in materia di istruzione gravanti sul livello di governo centrale e di eliminare le incongruenze evidenziate, presenti nell’attuale disciplina […] con riserva di futuro accoglimento».

2. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, infondato.

Ad avviso della difesa dello Stato, la ricorrente avrebbe, infatti, dedotto la violazione di parametri costituzionali che non afferiscono al riparto di competenze tra Stato e Regioni, né incidono direttamente o indirettamente sulle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni.

Quanto al merito, l’Avvocatura dello Stato ricorda preliminarmente come la Corte costituzionale abbia precisato che rientrano nella potestà legislativa esclusiva statale in tema di «norme generali sull’istruzione» (art. 117, secondo comma, lettera n, Cost.) le disposizioni che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che necessitano di un’applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale, mentre sono ascrivibili alla legislazione concorrente in materia di «istruzione» (art. 117, terzo comma, Cost.) le disposizioni statali espressive di principi fondamentali che disciplinano elementi di base in ordine alle modalità di fruizione del relativo servizio e che necessitano, per la loro attuazione, dell’intervento regionale. La Corte avrebbe, inoltre, individuato un ulteriore titolo di legittimazione dello Stato ad intervenire in materia nella competenza esclusiva in tema di livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).

Nel sistema di competenze così delineato, la legge n. 62 del 2000, ricondotta dalla Corte alle norme generali sull’istruzione, prevede che lo Stato contribuisca al finanziamento delle scuole paritarie, come disposto dalla norma oggi impugnata.

Quest’ultima richiama specificamente le finalità previste dall’art. 1, comma 635, della legge n. 296 del 2006, ove si stabilisce che «al fine di dare sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell’ambito del sistema nazionale di istruzione, a decorrere dall’anno 2007, gli stanziamenti, iscritti nelle unità previsionali di base “Scuole non statali” dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione, sono incrementati complessivamente di 100 milioni di euro, da destinare prioritariamente alle scuole dell’infanzia». La disposizione richiamata è stata dichiarata, peraltro, costituzionalmente illegittima con sentenza n. 50 del 2008. Sul presupposto che il settore dei contributi relativi alle scuole paritarie incide sulla materia dell’«istruzione», di competenza legislativa concorrente, la Corte costituzionale ha ritenuto, infatti, che essa violasse gli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost., nella parte in cui prevedeva un finanziamento vincolato in un ambito materiale di spettanza regionale. La medesima sentenza – rilevato come le prestazioni contemplate dalla norma in questione inerissero a diritti fondamentali dei destinatari – ha nondimeno fatto salvi gli eventuali procedimenti di spesa in corso, anche se non esauriti.

Alla luce di quanto precede, si dovrebbe ritenere che la norma oggi impugnata tuteli diritti e interessi previsti da disposizioni legislative dettate in attuazione dell’art. 33 Cost., quale la legge n. 62 del 2000, assicurando livelli essenziali di prestazioni in materia di istruzione, anche laddove la scuola statale sia meno presente sul territorio. Al tempo stesso, l’art. 33, comma 16, della legge n. 183 del 2011 avrebbe inteso salvaguardare le prerogative delle Regioni in materia di istruzione riconducibili alla previsione dell’art. 117, terzo comma, Cost., nell’interpretazione fornita dalla citata sentenza n. 50 del 2008. La disposizione impugnata richiama, infatti, anche l’art. 2, comma 47, della legge n. 203 del 2008, ove si prevede che, «fermo restando il rispetto delle prerogative regionali in materia di istruzione scolastica, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono stabiliti, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri per la distribuzione alle regioni delle risorse finanziarie occorrenti alla realizzazione delle misure relative al programma di interventi in materia di istruzione». Mediante tale richiamo, la disposizione in esame avrebbe, dunque, individuato nella Conferenza permanente la sede istituzionale nella quale, attraverso il coinvolgimento delle Regioni nel processo decisionale, è possibile far emergere la peculiare situazione delle scuole paritarie nel territorio delle singole Regioni.

A fronte di ciò, il denunciato vulnus dell’art. 117 Cost. si rivelerebbe affatto insussistente.

Parimenti non riscontrabile sarebbe la violazione degli artt. 97, 117, 118 e 120 Cost., conseguente all’asserita indeterminatezza delle risorse disponibili e alla pretesa lesione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

Nessuna incertezza interpretativa vi sarebbe, infatti, riguardo all’importo complessivo della spesa autorizzata, posto che nella tabella n. 7 annessa al bilancio di previsione per il 2012 è indicata, nella missione 22.9, quale somma complessiva assegnata alle scuole non statali, la cifra di euro 510.880.191 [recte: 511.196.191]. Inoltre, nel decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 1° dicembre 2011 (Ripartizione in capitoli delle unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2012 e per il triennio 2012-2014), sono previsti due distinti capitoli per l’erogazione dei contributi alle scuole paritarie: il capitolo 1477, con l’importo di euro 268.880.191, e il capitolo 1299, con l’importo di euro 242.000.000. Sarebbe quindi evidente che lo stanziamento di 242 milioni di euro, previsto dalla norma impugnata, non costituisce la dotazione complessiva per le scuole paritarie per il 2012, ma uno stanziamento aggiuntivo rispetto a quello già previsto nel bilancio triennale.

Conseguentemente, non avrebbe fondamento la tesi della ricorrente, secondo la quale la norma censurata determinerebbe l’interruzione del servizio essenziale svolto, in via di supplenza, dalle scuole per l’infanzia. La somma complessivamente stanziata adempirebbe, infatti, agli oneri contributivi a carico dello Stato, soprattutto in un momento di particolare attenzione per le finanze pubbliche, e soddisferebbe, al tempo stesso, le esigenze connesse al funzionamento delle scuole paritarie.

Né potrebbe addursi, infine, quale ragione di illegittimità costituzionale della norma denunciata, il mancato riconoscimento, nella destinazione delle somme, della peculiare situazione delle scuole paritarie dell’infanzia in Veneto. Come già rimarcato, infatti, le particolari situazioni delle singole Regioni potrebbero essere fatte valere, al fine di ottenere trattamenti differenziati, in sede di Conferenza Stato-Regioni.

3.– Con successiva memoria, la Regione Veneto ha replicato alle deduzioni del Presidente del Consiglio dei ministri, contestando, in particolare, la fondatezza dell’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso. Il complesso intreccio tra le diverse competenze dello Stato e delle Regioni in materia di istruzione impedirebbe, infatti, secondo la ricorrente, «di ragionare presupponendo ambiti competenziali rigorosamente separati, essendo i medesimi, viceversa, strettamente e funzionalmente connessi».

Nel merito, la Regione – pur prendendo atto che secondo il Presidente del Consiglio dei ministri lo stanziamento previsto dalla norma impugnata avrebbe carattere aggiuntivo rispetto a quello già stabilito nel bilancio triennale – ha rilevato come tale riconoscimento non valga a superare il rilievo per cui «le sistematiche incertezze circa la reale entità dei finanziamenti derivanti dalla loro allocazione in distinti capitoli di bilancio» rendono «estremamente difficile ed aleatoria la programmazione del servizio dell’istruzione».

4.– Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria illustrativa, con la quale ha reiterato l’eccezione di inammissibilità del ricorso, da intendere riferita alle censure relative ai parametri non allocati nel Titolo V della Parte seconda della Costituzione, e ha insistito, per il resto, nella richiesta di rigetto della questione.

Considerato in diritto

1.– La Regione Veneto ha promosso questione di legittimità costituzionale in via principale, tra gli altri, dell’articolo 33, comma 16, della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012)», deducendo la violazione degli articoli 3, 30, 33, 34, 97, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione.

Ad avviso della ricorrente, la disposizione impugnata – che autorizza la spesa di 242 milioni di euro per l’anno 2012 a sostegno delle scuole paritarie, con prioritaria destinazione a favore di quelle dell’infanzia – sarebbe censurabile sotto un triplice profilo. In primo luogo, perché, in assenza di un opportuno coordinamento con il bilancio di previsione triennale, genererebbe una situazione di assoluta incertezza tanto in ordine all’entità del finanziamento – non essendo chiaro, in specie, se la predetta somma di 242 milioni di euro rappresenti lo stanziamento complessivo per la scuola paritaria o se si aggiunga a quella già prevista in sede di programmazione triennale – quanto in ordine all’effettività e ai tempi della relativa erogazione. In secondo luogo, perché – nel caso in cui l’importo di 242 milioni di euro dovesse essere inteso come esaustivo – ne deriverebbe una decurtazione pari ad oltre alla metà, e dunque palesemente irragionevole, dello stanziamento previsto agli stessi fini per gli anni precedenti. In terzo luogo e da ultimo, perché, inserendo la somma in un unico e indifferenziato capitolo, non avrebbe previsto una ripartizione del finanziamento che tenga conto delle diverse realtà regionali, e segnatamente della particolare situazione della Regione Veneto, nella quale le scuole paritarie dell’infanzia assumerebbero un ruolo di netta preminenza nell’assicurare il servizio dell’istruzione.

Sotto gli evidenziati profili, la disposizione censurata sarebbe lesiva di una pluralità di parametri costituzionali.

La riduzione del finanziamento e l’incertezza sulle modalità della sua erogazione metterebbero, infatti, a rischio la sopravvivenza delle scuole paritarie, con conseguente violazione del principio pluralistico della libertà della scuola, sancito dall’art. 33 Cost. e correlato alla libertà di scelta tra scuola statale e scuola paritaria, riconosciuta ai genitori dall’art. 30 Cost. Ne deriverebbe anche la lesione dell’art. 34 Cost., che vuole la scuola «aperta a tutti», giacché le scuole paritarie si troverebbero costrette a richiedere rette di frequenza di tale entità da tradursi – specie laddove, come in territorio veneto, esse assolvano in modo preponderante il servizio – in altrettante «barriere d’ingresso» all’istruzione.

La norma impugnata sarebbe lesiva, altresì, del riparto di competenze desumibile dall’art. 117 Cost. – con particolare riguardo alle previsioni del secondo comma, lettere m) e n), e del terzo comma – a fronte del quale graverebbe sullo Stato «una responsabilità in materia di istruzione per nulla secondaria rispetto a quella delle Regioni».

Del pari compromessa sarebbe l’autonomia finanziaria regionale, riconosciuta dall’art. 119 Cost., la quale, nella perdurante carenza di sufficienti mezzi propri da parte delle Regioni, non potrebbe prescindere dalla congruità, dalla certezza e dalla stabilità dei finanziamenti dello Stato. L’incertezza sul quadro dei finanziamenti pregiudicherebbe, inoltre, l’organizzazione e l’esercizio delle funzioni amministrative di competenza regionale e la programmazione degli interventi per la scuola, con conseguente violazione anche degli artt. 97 e 118 Cost.

Omettendo di tener conto della peculiarità della situazione delle scuole paritarie dell’infanzia nel territorio veneto ai fini della ripartizione dei contributi, la norma censurata si porrebbe in contrasto anche con i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, enunciati dallo stesso art. 118 Cost.: principi ai quali si richiama anche l’art. 120 Cost. e che risultano funzionali al buon andamento della pubblica amministrazione.

Da ultimo, la previsione di un «finanziamento incerto e inadeguato» in materia di istruzione comporterebbe la violazione del principio di leale collaborazione.

2.– In accoglimento dell’eccezione formulata dall’Avvocatura generale dello Stato, la questione va dichiarata inammissibile in riferimento agli artt. 3, 30, 33, 34 e 97 Cost.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, le Regioni sono legittimate a censurare le leggi dello Stato in base a parametri diversi da quelli contenuti nel Titolo V della Parte seconda della Costituzione, relativi al riparto delle rispettive competenze tra lo Stato e le Regioni, soltanto ove la loro violazione ridondi in una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite e la ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione (ex plurimis, sentenze n. 199, n. 151 e n. 20 del 2012, n. 128 del 2011).

Nella specie, le censure dedotte dalla Regione Veneto in rapporto ai parametri poco sopra indicati, estranei al Titolo V della Parte seconda, sono semplicemente volte ad evidenziare la particolare gravità degli effetti che l’asserita violazione dei parametri stessi provocherebbe nel territorio veneto, senza collegare ad essa, in termini argomentati, una specifica lesione delle potestà costituzionalmente spettanti alla ricorrente: donde l’inammissibilità delle censure stesse.

3.– Quanto ai residui parametri, non costituisce, per converso, motivo di inammissibilità della questione la circostanza che essa – con particolare riguardo alle doglianze afferenti all’asserita incertezza dell’entità dello stanziamento statale per la scuola paritaria – appaia proposta in via cautelativa o ipotetica, e segnatamente sulla base di una interpretazione della norma impugnata prospettata come soltanto possibile (quella per cui, cioè, la somma in essa indicata esaurirebbe il finanziamento per l’anno 2012).

Secondo quanto ripetutamente affermato da questa Corte, infatti, i giudizi in via principale, a differenza di quelli in via incidentale, in ragione dei loro peculiari caratteri – l’essere, cioè, processi di parti, svolti a garanzia di posizioni soggettive dell’ente ricorrente e sottoposti a termini di decadenza – possono bene concernere questioni del genere considerato, purché le interpretazioni prospettate «non siano implausibili e irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate, così da far ritenere le questioni del tutto astratte e pretestuose» (ex plurimis, sentenze n. 249 del 2005, n. 412 del 2004 e n. 228 del 2003, ordinanza n. 342 del 2009): ipotesi, questa, non ravvisabile nel caso di specie.

4.– Nel merito, la questione non è, peraltro, fondata.

L’ipotesi che l’importo indicato nella legge di stabilità in esame costituisca l’intero contributo destinato alle scuole paritarie per il 2012 risulta, infatti, smentita dall’esame della legge 12 novembre 2011, n. 184 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2012 e bilancio pluriennale per il triennio 2012-2014).

Al bilancio di previsione per l’anno 2012 è, infatti, allegata la tabella n. 7, concernente lo stato di previsione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ove, all’unità di voto 1.9, per il programma inerente alle «Istituzioni scolastiche non statali (22.9)», è indicato il maggiore importo di euro 511.196.191.

Detto programma trova una duplice allocazione nei capitoli di bilancio: al capitolo 1299 («somme da trasferire alle Regioni per il sostegno alle scuole paritarie») è iscritto l’importo di 242 milioni di euro, corrispondente a quello previsto nella legge di stabilità 2012, oggetto del giudizio; al capitolo 1477 («contributi alle scuole paritarie comprese quelle della Valle d’Aosta») è indicato l’ulteriore importo di euro 268.880.191. Tali cifre, sommate tra loro ed all’ulteriore voce «assegnazione annua a favore della scuola europea di ISPRA-Varese», di 316.000 euro, danno un totale di 511.196.191 euro, pari all’importo globale del programma.

In definitiva, la spesa di 242 milioni di euro, autorizzata dall’articolo della legge di stabilità del 2012 impugnato, non costituisce lo stanziamento complessivo per la scuola paritaria, ma si aggiunge all’importo di euro 268.880.191 indicato nel bilancio di previsione.

Cadono, con ciò, le censure correlate tanto all’asserita assoluta incertezza in ordine all’ammontare dello stanziamento, quanto quelle connesse all’ipotizzata drastica riduzione dello stesso.

5.– Quanto, poi, alle doglianze relative alla paventata incertezza riguardo all’effettività e alla tempestività dell’erogazione del contributo e al mancato riconoscimento, nella destinazione delle somme, della peculiarità delle scuole paritarie dell’infanzia venete, esse investono la fase di esecuzione del bilancio e la sua concreta gestione: gestione disciplinata, per quanto concerne le risorse finanziarie occorrenti alla realizzazione delle misure relative al programma di interventi in materia di istruzione, dall’art. 2, comma 47, della legge 22 dicembre 2008, n. 203, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2009)» – richiamato dalla disposizione impugnata – mediante la previsione di un idoneo coinvolgimento delle Regioni.

Detta disposizione stabilisce, infatti, che, «fermo il rispetto delle prerogative regionali in materia di istruzione scolastica, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro per i rapporti con le Regioni e il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono stabiliti, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri per la distribuzione alle regioni delle risorse finanziarie occorrenti alla realizzazione delle misure relative al programma di interventi in materia di istruzione». La ripartizione delle risorse finanziarie fra le varie Regioni avviene, dunque, secondo criteri determinati, entro un termine prestabilito, con il parere della Conferenza Stato-Regioni: Conferenza che rappresenta la sede istituzionale nella quale è possibile far valere le differenti istanze regionali.

Anche sotto questo profilo, pertanto, la questione non è fondata. Né, d’altra parte, alla luce delle considerazioni svolte, sono ravvisabili i presupposti per impartire alcun «monito» al legislatore statale, secondo quanto richiesto in via subordinata dalla Regione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 33, comma 16, della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012)», in riferimento agli articoli 3, 30, 33, 34 e 97 della Costituzione, promossa dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo 33, comma 16, della legge n. 183 del 2011, in riferimento agli articoli 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, promossa dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2012.