SENTENZA N. 158
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 7, 7, comma 1, 8, comma 2, e 26, comma 2, della legge della Regione Piemonte 11 luglio 2011, n. 10 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria per l’anno 2011), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 9 settembre 2011, depositato in cancelleria il 15 settembre 2011, ed iscritto al n. 93 del registro ricorsi 2011.
Visto l’atto di costituzione della Regione Piemonte;
udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi l’avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giovanna Scollo per la Regione Piemonte.
Ritenuto in fatto1.— Con ricorso notificato il 9 settembre 2011 e depositato il successivo 15 settembre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 7, 7, comma 1, 8, comma 2, e 26, comma 2, della legge della Regione Piemonte 11 luglio 2011, n. 10 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria per l’anno 2011), per violazione degli artt. 3, 117, commi primo e secondo, lettera s), e 120, primo comma, della Costituzione.
1.1.— La difesa dello Stato richiama il contenuto delle disposizioni impugnate e quindi espone gli argomenti a sostegno delle relative censure.
1.2.— L’art. 2 della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011, rubricato «Valorizzazione delle produzioni agroalimentari», prevede, al comma 7, che la Regione istituisca un marchio di valorizzazione al fine di realizzare gli obiettivi fissati nel comma 1, e cioè promuovere «la produzione, la commercializzazione e la valorizzazione dei prodotti agroalimentari destinati all’alimentazione umana con specificità di processo e di prodotto, aventi caratteristiche qualitativamente superiori rispetto alle norme di commercializzazione o ai requisiti minimi stabiliti dalla normativa comunitaria e nazionale vigente», e per «valorizzare i prodotti agroalimentari afferenti ai sistemi di qualità comunitari e nazionali prodotti nel proprio territorio». La disposizione stabilisce altresì che il relativo regolamento e il manuale d’uso saranno approvati con atto della Giunta regionale, al fine di richiedere la preventiva registrazione del marchio presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi e presso l’Ufficio di armonizzazione del mercato interno.
1.2.1.— Secondo il ricorrente la norma impugnata sarebbe incompatibile con gli artt. 40-42 [recte: 34-36] del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), i quali sanciscono il principio della libera circolazione delle merci nel mercato interno, e si porrebbe pertanto in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost. Allo stesso tempo, la norma violerebbe l’art. 120, primo comma, Cost., il quale vieta l’adozione di provvedimenti che ostacolino in qualunque modo la libera circolazione delle cose tra le Regioni.
In particolare, le norme comunitarie evocate non consentirebbero agli Stati membri di regolare o applicare misure di marcatura di origine delle merci, siano esse marchi obbligatori o volontari, in quanto ciò potrebbe ostacolare gli scambi intracomunitari. È richiamata la sentenza 5 novembre 2002 della Corte di giustizia dell’Unione europea, in causa C-325/00, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica federale di Germania, in cui si trova affermato che un sistema di marcatura, pur se facoltativo, quando sia imputabile ad un’autorità pubblica determina un effetto potenzialmente restrittivo sulla libera circolazione delle merci tra gli Stati membri, posto che l’uso del marchio «favorisce, o è atto a favorire, lo smercio dei prodotti in questione rispetto ai prodotti che non possono fregiarsene».
Sarebbe pertanto evidente, a parere dell’Avvocatura generale dello Stato, la violazione del parametro che impone il rispetto dei vincoli fissati dall’ordinamento dell’Unione europea, nonché di quello che tutela la libertà degli scambi tra le Regioni.
1.3.— L’art. 7 della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011, rubricato «Anticipazione sui contributi relativi al Regime di pagamento unico previsto dai capitoli 1, 2, 3 e 4 del Titolo III del Regolamento (CE) 73/2009», stabilisce, al comma 1, che la Regione può autorizzare l’Agenzia regionale per le erogazioni in agricoltura (ARPEA) ad erogare anticipazioni sui contributi come sopra indicati «nel rispetto dei principi e delle regole di cui al Regolamento (CE) 1290/2005 ed al Regolamento (CE) 1122/2009». Al comma 2 dello stesso art. 7 è precisato che «la Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, definisce con proprio atto l’entità e le modalità dell’anticipazione», e al comma 3 è previsto che «l’eventuale aiuto derivante al beneficiario è da considerarsi aiuto in regime de minimis ai sensi del Regolamento (CE) 1535/2007».
1.3.1.— La norma regionale, a parere della difesa dello Stato, sarebbe incompatibile con la disciplina contenuta nell’art. 29, paragrafo 4, del regolamento (CE) 19 gennaio 2009, n. 73/2009 [Regolamento del Consiglio che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto agli agricoltori nell’ambito della politica agricola e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, e che modifica i regolamenti (CE) n. 1290/2005, (CE) n. 247/2006, (CE) n. 378/2007 e abroga il regolamento (CE) n. 1782/2003]. La disposizione regolamentare citata prevede infatti che, in deroga al regime fissato nel paragrafo 2, secondo cui l’erogazione dei pagamenti diretti può avvenire a partire dal 1° dicembre dell’anno di presentazione della domanda e fino al 30 giugno dell’anno successivo, la Commissione può autorizzare l’anticipazione dei pagamenti, previo esame del comitato di gestione dei pagamenti diretti, secondo la procedura di cui all’art. 141, paragrafo 2, del medesimo regolamento.
L’anticipazione dei pagamenti nell’ambito del regime di sostegno comunitario trova giustificazione nel riconoscimento, da parte della Commissione, di situazioni eccezionali che abbiano causato agli agricoltori difficoltà finanziarie, esigendo comunque la previa verifica della sussistenza delle condizioni di ammissibilità della richiesta di aiuto, come precisato al paragrafo 3 del citato art. 29.
Il legislatore regionale, prosegue l’Avvocatura generale dello Stato, avrebbe previsto le anticipazioni dei pagamenti oltre e al di fuori delle condizioni tassativamente indicate dal regolamento (CE) n. 73/2009, con conseguente violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
Sarebbe inoltre violato il principio di uguaglianza, poiché gli agricoltori piemontesi verrebbero a beneficiare di aiuti che, a parità di condizioni, sono inibiti agli agricoltori residenti nelle altre Regioni del Paese.
1.4.— L’art. 8, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011 introduce l’art. 29-bis nella legge della Regione Piemonte 4 settembre 1996, n. 70 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio). La nuova disposizione, rubricata «Interventi di contenimento straordinari», prevede al comma 1 che la Giunta regionale, «sentita la commissione consiliare competente, per le esigenze ambientali, di gestione del patrimonio zootecnico, la tutela del suolo, delle produzioni zootecniche ed agroforestali, la prevenzione dei rischi a persone e cose, definisce annualmente l’elenco delle specie oggetto di controllo straordinario». Il medesimo art. 29-bis, ai commi 2 e 3, stabilisce che le Province approvano piani di contenimento delle specie inserite nel citato elenco e autorizzano allo scopo l’intervento di cacciatori nominativamente indicati dai comitati di gestione degli ATC (Ambiti territoriali di caccia) e dei CA (Comprensori alpini) competenti per territorio.
1.4.1.— Il ricorrente osserva come la citata disposizione, intervenendo in materia di contenimento di specie animali, abbia rimesso alle Province la redazione dei relativi piani, con il parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), ed in considerazione di finalità generiche, quali sono il «raggiungimento del livello compatibile con le caratteristiche ambientali», ovvero «le esigenze di gestione del patrimonio zootecnico», o ancora «la prevenzione dei rischi a persone e cose».
Tale disciplina si porrebbe in contrasto con la normativa statale di riferimento, che a sua volta rientra nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e pertanto non derogabile dalle Regioni.
In particolare, la difesa statale osserva come la disposizione regionale riguardi gli animali selvatici predatori, per i quali è previsto un regime di protezione rigoroso che discende dalla direttiva 21 maggio 1992, n. 92/43/CEE (Direttiva del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche), recepita con il d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche).
Ai sensi dell’art. 11 del medesimo d.P.R. n. 357 del 1997, i programmi di contenimento delle specie animali indicate nell’allegato D possono essere autorizzati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, a seguito del parere del Ministro per le politiche agricole e dell’ISPRA, soltanto in assenza di soluzioni alternative. Inoltre, in termini analoghi a quanto avviene per i prelievi in deroga, l’intervento di controllo della fauna selvatica «deve essere attuato valutando ogni singolo caso ed a seguito di analisi delle problematiche e dei motivi che giustificano la deroga», a condizione che non sia pregiudicato il mantenimento delle popolazioni della specie interessata, nella relativa area di distribuzione naturale. Le deroghe, infine, devono perseguire le finalità previste all’art. 11, primo comma, lettere da a) ad e), del d.P.R. n. 357 del 1997.
L’Avvocatura generale dello Stato evidenzia come la norma regionale impugnata, invece, restringa gli interventi di contenimento alle sole specie animali indicate nell’elenco redatto annualmente dalla Regione, in tal modo potendo impedire, irragionevolmente, l’attuazione di «interventi che si rendessero necessari per esigenze di carattere straordinario, riguardanti altre specie non comprese nell’elenco». Sotto diverso profilo, risulterebbe in contrasto con la disciplina statale l’attribuzione alle Province della competenza a redigere i piani di contenimento, senza il parere del Ministero per le politiche agricole e sulla base di criteri generici, che non rispettano le condizioni rigorose indicate nel citato art. 11 del d.P.R. n. 357 del 1997.
1.5.— Infine, l’impugnato art. 26, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011, ha inserito il comma 5-bis dopo il comma 5 dell’art. 13 della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti), prevedendo che, con provvedimento della Giunta, sentita la commissione consiliare competente, può essere disposta la deroga al raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata, per i Comuni montani e per quelli ad alta marginalità con popolazione inferiore a 1.500 abitanti.
La difesa statale ritiene che la disposizione regionale si ponga in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto incompatibile con la disciplina statale, contenuta nell’art. 205, comma 1-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in tema di deroghe al raggiungimento dei predetti obiettivi.
La norma statale citata prevede, infatti, che i Comuni interessati debbano avanzare la richiesta di deroga al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale può autorizzare la deroga previa stipula di un accordo di programma tra lo stesso Ministero, la Regione e gli enti locali interessati.
Le Regioni non sarebbero dunque legittimate a consentire deroghe in assenza di autorizzazione ministeriale, e conseguentemente le disposizioni regionali difformi dalla norma richiamata come parametro interposto risulterebbero illegittime, in quanto invasive della competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
2.— Con atto depositato il 21 ottobre 2011, si è costituita in giudizio la Regione Piemonte, in persona del Presidente pro tempore, ed ha chiesto che il ricorso sia respinto.
2.1.— La difesa regionale esamina la censura – prospettata in riferimento agli artt. 117, primo comma, e 120, primo comma, Cost. – avente ad oggetto l’art. 2 della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011, che istituisce il marchio di valorizzazione dei prodotti agroalimentari, osservando come non sia pertinente il richiamo alla sentenza della Corte di giustizia, 5 novembre 2002, in causa C-325/00, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica federale di Germania.
La fattispecie sottoposta nell’occasione alla Corte di Lussemburgo, in realtà, riguardava l’istituzione di un ente di diritto pubblico di gestione dei finanziamenti volti ad orientare l’interesse generale del settore agroalimentare tedesco, laddove la disposizione regionale oggi impugnata si limita a definire la zona di provenienza dei prodotti agroalimentari.
Secondo la Regione Piemonte sussisterebbe, invece, analogia tra l’odierna questione e quella decisa dalla sentenza n. 213 del 2006 della Corte costituzionale, concernente una norma della Regione Abruzzo che prevedeva misure di promozione del prodotto ittico locale. In particolare, precisa la resistente, la sentenza citata avrebbe precisato che la previsione di misure per la promozione di certificazione di qualità di prodotti del territorio regionale non viola l’art. 117, primo comma, Cost., trattandosi di misure di sostegno ad attività economica localizzata sul territorio stesso.
2.2.— Risulterebbe priva di fondamento, a parere della difesa regionale, anche la censura prospettata in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., avente ad oggetto l’art. 7, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011.
Con la predetta disposizione, in ragione delle gravi difficoltà finanziarie provocate dalla crisi economica, si è istituito un aiuto alle aziende agricole, finalizzato a coprire il periodo necessario per l’erogazione del contributo comunitario. L’aiuto è infatti finanziato con fondi regionali, è calcolato sulla base del regime del pagamento unico di cui agli artt. 1, 2, 3 e 4 del Titolo III del regolamento (CE) n. 73/2009, e non interferisce sulle procedure che saranno applicate dall’ARPEA nell’ambito del predetto regime di sostegno comunitario.
La stessa difesa precisa, inoltre, che il contributo regionale alle aziende agricole è concesso in regime de minimis, ai sensi e per gli effetti del regolamento (CE) 20 dicembre 2007, n. 1535/2007 (Regolamento della Commissione relativo all’applicazione degli artt. 87 e 88 del trattato CE agli aiuti de minimis nel settore della produzione dei prodotti agricoli), e pertanto non ricade nel divieto previsto dall’art. 87, paragrafo 1, del Trattato. Nella specie, non si tratterebbe di un sostegno concesso ad imprese che abbiano conseguito nell’arco dei tre anni fiscali aiuti de minimis di importo eccedente i 7.500,00 euro.
2.3.— Quanto alla censura, prospettata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., avente ad oggetto l’art. 8, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011, nella parte in cui introduce l’art. 29-bis nella legge reg. Piemonte n. 70 del 1996, la difesa della resistente evidenzia che la disposizione non riguarda gli animali selvatici per i quali è previsto un programma speciale di protezione ai sensi della direttiva 92/43/CEE, recepita dal d.P.R. n. 357 del 1997.
In ogni caso, prosegue la stessa difesa, l’intervento di contenimento delineato dalla norma regionale impugnata avverrebbe nel rispetto delle norme statali – è richiamato l’art. 19 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) – e comunitarie, presupponendo una valutazione tecnico-scientifica da parte dell’ISPRA ed una preventiva verifica dei metodi, in conformità con quanto già previsto dall’art. 29, comma 4, della legge reg. Piemonte n. 70 del 1996.
2.4.— Non sussisterebbe infine, a parere della Regione Piemonte, il prospettato contrasto tra il comma 5-bis dell’art. 13 della legge reg. Piemonte n. 24 del 2002 – introdotto dall’art. 26, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011 –, e l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., tramite l’interposizione dell’art. 205, comma 1-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006.
La disposizione impugnata prevede che la Giunta regionale possa, a determinate condizioni, consentire ai Comuni montani e a quelli ad alta marginalità con popolazione inferiore ai 1.500 abitanti una deroga al raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata, là dove la normativa statale richiamata esige l’autorizzazione ministeriale, previa stipula di accordo con la Regione e gli enti locali interessati.
In realtà, secondo la difesa della resistente, posto che gli obiettivi della raccolta differenziata sono oggetto di programmazione a livello regionale, e che l’art. 205 del d.lgs. n. 152 del 2006 prevede il rispetto di percentuali minime di raccolta differenziata da parte di ogni ambito territoriale ottimale, la normativa statale consentirebbe alla Regione di agevolare i piccoli Comuni, una volta che rimanga inalterata la percentuale complessiva di raccolta differenziata riferita all’ambito territoriale di appartenenza.
3.— In data 22 maggio 2012, la Regione Piemonte ha depositato memoria con la quale ha formulato istanza di cessazione della materia del contendere in riferimento alle questioni collegate ai primi due motivi di ricorso, essendo state abrogate o modificate le disposizioni oggetto di impugnazione.
In particolare, la difesa della resistente ha evidenziato che con l’art. 39, commi 1 e 2, della legge della Regione Piemonte 4 maggio 2012, n. 5 (Legge finanziaria per l’anno 2012), è stato abrogato l’art. 2, comma 7, della legge reg. n. 10 del 2011, istitutivo del marchio di valorizzazione dei prodotti agroalimentari regionali, ed è stato sostituito l’art. 7, comma 1, che prevedeva la concessione di anticipazioni sugli aiuti comunitari in favore delle imprese agricole regionali, con una disposizione che, allo scopo, istituisce un aiuto in regime de minimis.
4.— All’udienza di discussione, la difesa regionale ha ribadito la richiesta di declaratoria di cessazione della materia del contendere con riguardo alle questioni aventi ad oggetto gli artt. 2, comma 7, e 7, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011. Analoga richiesta è stata formulata per la questione avente ad oggetto l’art. 8, comma 2, della medesima legge, in ragione della intervenuta abrogazione, ad opera dell’art. 40 della legge reg. Piemonte n. 5 del 2012, dell’intera legge reg. Piemonte n. 70 del 1996, e dunque anche dell’art. 29-bis introdotto dall’impugnato art. 8, comma 2.
La difesa regionale ha altresì precisato che le indicate disposizioni regionali non hanno avuto medio tempore applicazione.
[ELG:DIRITTO]
Considerato in diritto1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 7, 7, comma 1, 8, comma 2, e 26, comma 2, della legge della Regione Piemonte 11 luglio 2011, n. 10 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria per l’anno 2011), per violazione degli artt. 3, 117, primo e secondo comma, lettera s), e 120, primo comma, della Costituzione.
2.— Preliminarmente, si deve rilevare che, in epoca successiva alla proposizione del ricorso, la legge reg. Piemonte n. 10 del 2011 è stata oggetto di modifiche, come evidenziato dalla difesa regionale con la memoria depositata nell’imminenza dell’udienza e ulteriormente precisato in sede di discussione.
In particolare, l’art. 2, comma 7, istitutivo del marchio di valorizzazione dei prodotti agroalimentari regionali, è stato abrogato dall’art. 39, comma 2, della legge della Regione Piemonte 4 maggio 2012, n. 5 (Legge finanziaria per l’anno 2012).
L’art. 7, comma 1, che consentiva alla Regione di autorizzare anticipazioni sui contributi spettanti agli imprenditori agricoli, nell’ambito del regime del pagamento unico previsto dai capitoli 1, 2, 3 e 4 del Titolo III del regolamento (CE) 19 gennaio 2009, n. 73/2009 [Regolamento del Consiglio che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto agli agricoltori nell’ambito della politica agricola e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, e che modifica i regolamenti (CE) n. 1290/2005, (CE) n. 247/2006, (CE) n. 378/2007 e abroga il regolamento (CE) n. 1782/2003], è stato sostituito dall’art. 39, comma 3, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2012.
Risulta inoltre abrogata, dall’art. 40 di quest’ultima legge, l’intera legge della Regione Piemonte 4 settembre 1996, n. 70 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e con essa anche l’art. 29-bis, introdotto dall’art. 8, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011, oggetto di impugnazione.
2.1.— Occorre pertanto verificare l’incidenza del richiamato ius superveniens sulle questioni che hanno ad oggetto le disposizioni regionali abrogate, alla luce delle dichiarazioni rese in udienza dalla difesa regionale circa la mancata applicazione delle stesse nel periodo, pure relativamente breve, di vigenza.
Discorso analogo vale con riferimento all’impugnato art. 7, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011, che è stato sostituito dall’art. 39, comma 3, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2012, dovendosi escludere il trasferimento della questione sulla disposizione regionale attualmente vigente. Con quest’ultima, infatti, il legislatore regionale ha istituito un aiuto a favore degli imprenditori agricoli, per gli esercizi finanziari 2012-2013, nell’ambito del regime de minimis previsto dal regolamento (CE) 20 dicembre 2007, n. 1535/2007 (Regolamento della Commissione relativo all’applicazione degli artt. 87 e 88 del trattato CE agli aiuti de minimis nel settore della produzione dei prodotti agricoli). Tale regime di aiuti si sostanzia nella erogazione di anticipazioni finanziarie sui futuri contributi relativi al pagamento unico di cui al regolamento (CE) n. 73/2009, spettante agli stessi imprenditori. Diversamente, la norma censurata, nel testo vigente al momento dell’impugnazione, consentiva alla Regione di autorizzare l’Agenzia regionale per le erogazioni in agricoltura (ARPEA) a corrispondere anticipazioni sui medesimi contributi, attribuendo in tal modo all’ente territoriale una competenza che l’art. 29, paragrafo 4, del citato regolamento (CE) n. 73/2009, assegna alla Commissione europea.
2.2.— Secondo quanto affermato dalla difesa regionale in udienza, le disposizioni dianzi richiamate, oggetto di abrogazione o sostituzione, non hanno ricevuto medio tempore applicazione.
L’affermazione, che risulta plausibile in considerazione sia della struttura delle predette norme, che implicava ulteriori adempimenti da parte degli organi regionali, sia del periodo relativamente breve di vigenza, consente, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 310 e n. 153 del 2011, n. 451 del 2007), di accogliere la richiesta della Regione e dichiarare, pertanto, la cessazione della materia del contendere delle questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto gli artt. 2, comma 7, 7, comma 1, e 8, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011.
3.— Residua la questione avente ad oggetto l’art. 26, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011, che ha introdotto il comma 5-bis dell’art. 13 della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti). Tale disposizione prevede: «La giunta regionale, sentita la Commissione consiliare competente, può consentire ai comuni montani ed ai comuni ad alta marginalità con popolazione inferiore ai 1.500 abitanti una deroga al raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata, stabilendo i relativi criteri e modalità».
Lo Stato ha impugnato la suddetta norma in quanto avrebbe introdotto una disciplina difforme da quella contenuta nell’art. 205, comma 1-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), secondo cui le deroghe agli obiettivi della raccolta differenziata possono essere autorizzate, su richiesta del Comune interessato, dal Ministro dell’ambiente.
La difesa regionale ha chiesto il rigetto della questione, affermando che gli obiettivi della raccolta differenziata sono stabiliti nella programmazione regionale, mentre la norma statale richiamata dal ricorrente si limiterebbe a prevedere il rispetto di percentuali minime di raccolta differenziata da parte di ciascun ambito territoriale ottimale. Da ciò deriverebbe che la Regione potrebbe autorizzare deroghe in favore di singoli Comuni, a patto di mantenere inalterata la percentuale complessiva di raccolta differenziata in rapporto all’ambito territoriale di riferimento.
3.1.— La questione è fondata.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa regionale, l’attività di programmazione attribuita alle Regioni, per la delimitazione degli ambiti territoriali ottimali (art. 200, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006), non implica che le stesse Regioni possano autorizzare deroghe per singoli Comuni rispetto alle percentuali di raccolta differenziata da raggiungere. La possibilità di realizzare “compensazioni” tra le percentuali di raccolta differenziata conseguite dai diversi Comuni all’interno del medesimo territorio costituisce, ai sensi dell’art. 205, comma 1-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006, una delle modalità attraverso cui il Comune richiedente intende conseguire gli obiettivi indicati dall’art. 181, comma 1, del medesimo decreto. La suddetta compensazione è quindi uno dei possibili contenuti dell’accordo di programma, che deve essere stipulato tra Ministero dell’ambiente, Regione ed enti locali interessati prima dell’autorizzazione alla deroga, da concedersi da parte del Ministro dell’ambiente.
Per le ragioni sopra indicate, la potestà di concedere deroghe ai Comuni, nel caso in cui non sia realizzabile il raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata, appartiene allo Stato – titolare di competenza legislativa esclusiva in materia di ambiente, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. – e si inserisce nell’ambito di un’attività di programmazione, che coinvolge anche la Regione. Quest’ultima pertanto non può disciplinare unilateralmente la concessione delle suddette deroghe, come invece stabilisce, in modo costituzionalmente illegittimo, la norma regionale censurata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 2, della legge della Regione Piemonte 11 luglio 2011, n. 10 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria per l’anno 2011);
2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 7, 7, comma 1, e 8, comma 2, della medesima legge regionale n. 10 del 2011, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3, 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 2012.
.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI