ORDINANZA N. 93
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promossi dalla Corte d’appello di Messina con ordinanza dell’11 maggio 2011 e dalla Corte di cassazione con ordinanza del 20 luglio 2011, iscritte ai nn. 225 e 239 del registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 46 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2012 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto che la Corte di cassazione, quinta sezione penale, con ordinanza del 20 luglio 2011 (r.o. n. 239 del 2011), ha sollevato, per violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (d’ora in avanti «CEDU»), come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), che esclude l’applicazione dei nuovi termini di prescrizione, se più brevi, ai processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione;
che il giudice a quo premette che, con sentenza emessa il 23 marzo 2010, la Corte d’appello di Roma aveva confermato la sentenza del Tribunale di Roma, che aveva condannato A.D.B. per il reato di bancarotta fraudolenta societaria ex art. 223, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e che l’imputato aveva proposto, a mezzo del proprio difensore, ricorso per cassazione contro la sentenza di secondo grado, chiedendone l’annullamento ed eccependo, in via preliminare, l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005 per contrasto con l’art. 117 Cost.;
che, in ordine alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo richiama, in particolare, l’ordinanza n. 22357 del 27 maggio 2010, con cui la Corte di cassazione aveva già sollevato analoga questione di legittimità costituzionale (decisa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 236 del 2011, successiva all’ordinanza di rimessione in esame);
che, inoltre, la Corte rimettente richiama, da un lato, la giurisprudenza costituzionale, secondo cui le norme della CEDU integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., e, dall’altro, la sentenza della Grande camera della Corte EDU del 17 settembre 2009 (ric. n. 10249/03, Scoppola contro Italia), secondo cui «l’art. 7 della Convenzione, che stabilisce il principio del divieto di applicazione retroattiva della legge penale, incorpora anche il corollario del diritto dell’accusato al trattamento più lieve», sancendo non solo il principio dell’irretroattività della legge penale più severa, ma anche, implicitamente, il principio della retroattività della legge penale meno severa;
che la questione, inoltre, sarebbe rilevante, perché «la disciplina prescrittiva del reato di bancarotta aggravato è difforme rispetto alla normativa precedente, prevedendo termini più brevi di estinzione del reato»;
che è intervenuto nel giudizio di costituzionalità, con atto depositato il 6 dicembre 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata alla luce della sentenza n. 236 del 2011;
che la Corte d’appello di Messina, con ordinanza emessa l’11 maggio 2011 (r.o. n. 225 del 2011), dubita, del pari, della legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 della CEDU, come interpretato dalla Corte EDU;
che il giudice a quo reputa la questione proposta rilevante ai fini della decisione, perché «ove dovesse venir meno (…) la richiamata disposizione normativa e, quindi, la doverosità della applicazione dei termini di prescrizione più lunghi (ovverosia di quindici anni), per i procedimenti già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione, il reato ascritto all’imputato nel presente procedimento si sarebbe già prescritto in data 6.1.2007, tenuto conto dell’epoca del commesso reato (21.3.2005), e pur aggiungendosi al termine di anni sette e mesi sei ulteriori anni quattro, mesi tre e giorni sedici conseguenti ai periodi di sospensione del decorso del termine prescrizionale a causa dei rinvii del dibattimento disposti, su istanza o per impedimento del difensore o dell’imputato (…) in primo grado (per anni tre e giorni diciassette) e secondo grado (per anni uno, mesi due e giorni ventinove)»;
che, in ordine alla fondatezza della questione, il rimettente richiama e riporta testualmente l’ordinanza n. 22357 del 27 maggio 2010, con cui la Corte di cassazione aveva già sollevato analoga questione di legittimità costituzionale, manifestando di condividerne le argomentazioni.
Considerato che la Corte di cassazione, quinta sezione penale, con ordinanza del 20 luglio 2011 (r.o. n. 239 del 2011), e la Corte d’appello di Messina, con ordinanza dell’11 maggio 2011 (r.o. n. 225 del 2011), dubitano della legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui esclude l’applicazione dei nuovi termini di prescrizione, se più brevi, ai «processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione»;
che la norma indicata sarebbe in contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo del 17 settembre 2009 (ric. n. 10249/03, Scoppola contro Italia), secondo cui «l’art. 7 della Convenzione, che stabilisce il principio del divieto di applicazione retroattiva della legge penale, incorpora anche il corollario del diritto dell’accusato al trattamento più lieve»;
che le ordinanze di rimessione sollevano questioni analoghe, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione;
che le questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Corte di cassazione e dalla Corte d’appello di Messina sono manifestamente inammissibili;
che, infatti, entrambe le ordinanze presentano carenze di descrizione della fattispecie concreta che si risolvono in un difetto di motivazione sulla rilevanza, omettendo, in particolare, entrambe di indicare se l’appello fosse pendente al momento dell’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005 e l’ordinanza della Corte d’appello di Messina anche il reato per il quale si procede (ordinanza n. 43 del 2012);
che «l’omessa o insufficiente descrizione della fattispecie, non emendabile mediante la diretta lettura degli atti, impedita dal principio di autosufficienza dell’atto di rimessione, preclude il necessario controllo in punto di rilevanza (ex plurimis: ordinanze nn. 6 e 3 del 2011; nn. 343, 318 e 85 del 2010; nn. 211, 201 e 191 del 2009)» (sentenza n. 338 del 2011).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione) sollevate, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione, quinta sezione penale, e dalla Corte d’appello di Messina, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2012.