ORDINANZA N. 46
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito del provvedimento del Ministro della giustizia del 14 luglio 2011, protocollo numero GDAP-0254681-2011, con il quale è stato disposto di non dare esecuzione all’ordinanza n. 3031, del 9 maggio 2011, del Magistrato di sorveglianza di Roma, promosso dallo stesso Magistrato di sorveglianza di Roma con ricorso depositato in cancelleria il 14 novembre 2011, ed iscritto al n. 12 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2011, fase di ammissibilità. Udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri. Ritenuto che il Magistrato di sorveglianza di Roma, con ricorso depositato il 14 novembre 2011, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del «Governo della Repubblica, nelle persone del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia», al fine di sentir dichiarare che – ai sensi degli articoli 2, 3, 24, 110 e 113 della Costituzione – non spetta al Ministro della giustizia né ad altro organo di Governo disporre che non venga data esecuzione ad un provvedimento del Magistrato di sorveglianza, assunto a norma degli articoli 14-ter, 35 e 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), con il quale sia stato dichiarato, in via definitiva, che un determinato comportamento dell’Amministrazione penitenziaria è lesivo di un diritto del detenuto reclamante;che il ricorrente premette in fatto come, con provvedimento del 29 ottobre 2010, il competente Direttore generale del Ministero della giustizia avesse disposto che fosse preclusa, per tutti i detenuti sottoposti a regime di sospensione delle regole trattamentali (art. 41-bis ord. pen.), nella Casa circondariale di Roma, Rebibbia Nuovo Complesso, la ricezione dei programmi televisivi irradiati sui canali «Rai Sport» e «Rai Storia»;
che uno dei detenuti interessati aveva proposto, a norma degli artt. 35 e 69 ord. pen., un reclamo innanzi al Magistrato di sorveglianza, sul presupposto che l’indicato provvedimento avrebbe leso il suo diritto soggettivo all’informazione;
che il Magistrato investito del reclamo, dopo aver condotto il procedimento regolato dall’art. 14-ter ord. pen., aveva provveduto con ordinanza del 9 maggio 2011, stabilendo che l’oscuramento delle emissioni di «Rai Sport» e di «Rai Storia» aveva effettivamente leso un diritto soggettivo del detenuto, ed annullando di conseguenza il provvedimento dell’Amministrazione penitenziaria, con l’ordine di ripristinare la possibilità per il reclamante di assistere ai programmi trasmessi sui canali indicati;
che, in particolare, il Magistrato di sorveglianza aveva affermato sussistere uno specifico diritto soggettivo dei detenuti ad essere informati, promanante dall’art. 21 Cost. ed esplicitamente tutelato dagli artt. 18 e 18-ter ord. pen.;
che l’esercizio di tale diritto, per i detenuti sottoposti a regime di sospensione delle regole trattamentali, potrebbe essere oggetto di particolari limitazioni solo in applicazione del comma 2-quater, lettera a), dell’art. 41-bis ord. pen., cioè allo scopo di prevenire contatti tra gli stessi detenuti ed i membri delle organizzazioni criminali di riferimento;
che il giudice del reclamo, nel caso di specie, non aveva riscontrato alcun nesso tra l’esigenza di precludere l’invio di messaggi ai detenuti in regime speciale e l’oscuramento dei due canali, anche avuto riguardo, per un verso, alla concomitante accessibilità dei programmi irradiati da tutte le principali reti televisive del Paese e, per altro verso, all’inibizione (già da tempo disposta) del segnale di una ulteriore emittente, in effetti adusa alla riproduzione in video del testo di messaggi inviati dai telespettatori;
che l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza – sempre secondo il ricorrente – era stata ritualmente comunicata all’Amministrazione penitenziaria, la quale non aveva proposto la pur consentita impugnazione;
che la stessa Amministrazione, per altro, non aveva proceduto alla riattivazione del segnale di «Rai Storia» e di «Rai Sport», tanto che il detenuto interessato, in data 1° luglio 2011, aveva proposto un ulteriore reclamo al fine di ottenere l’accesso effettivo alle relative trasmissioni;
che la conseguente istruttoria, secondo quanto riferito dal ricorrente, ha posto in luce come il Ministro della giustizia, su proposta del Capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, abbia disposto con decreto del 14 luglio 2011 la «non esecuzione» del provvedimento giudiziale adottato in esito al primo reclamo;
che l’opzione compiuta dall’Autorità amministrativa, a parere del Magistrato ricorrente, priva di effettività la tutela del diritto soggettivo leso con l’oscuramento dei citati programmi televisivi;
che sarebbe dunque necessario venga dichiarato come non spetti al Ministro della giustizia né ad alcun organo del Governo stabilire se debba, o non, essere data esecuzione ad un provvedimento assunto dal Magistrato di sorveglianza quale giudice della tutela dei diritti soggettivi dei detenuti;
che il ricorrente osserva, in punto di ammissibilità del conflitto, come non manchi la legittimazione attiva del proprio Ufficio, né difetti la legittimazione passiva del Ministro della giustizia, o comunque del Presidente del Consiglio dei ministri;
che viene richiamata, nella prima prospettiva, la costante giurisprudenza costituzionale che ammette la legittimazione degli organi giurisdizionali, in quanto deputati a dichiarare in via definitiva la volontà del potere cui appartengono;
che non mancano precedenti, per altro verso, quanto alla legittimazione individuale del Ministro della giustizia, avuto riguardo al disposto dell’art. 110 Cost. ed anche in rapporto a conflitti specificamente concernenti la Magistratura di sorveglianza (è citata, a tale ultimo proposito, l’ordinanza della Corte costituzionale n. 183 del 1993; sono citate inoltre le ordinanze nn. 184 del 1992 e 112 del 2003);
che il ricorrente comunque, per il caso «si dovesse ritenere il Ministro della giustizia sfornito della legittimazione passiva a resistere nel conflitto», chiede «di considerare come legittimato passivo il Presidente del Consiglio dei ministri», sul presupposto che spetti a quest’ultimo la rappresentanza del potere di governo ove si faccia questione di atti assunti da singoli ministri, privi di autonoma legittimazione (sono citate le ordinanze della Corte costituzionale nn. 216 del 1995, 521 del 2000 e 61 del 2008);
che, sul piano obiettivo, il conflitto avrebbe ad oggetto una lesione per menomazione delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute al potere giudiziario, avuto riguardo in particolare alla magistratura di sorveglianza quale titolare della giurisdizione in materia di diritti dei detenuti e di eventuali loro violazioni ad opera dell’Amministrazione penitenziaria;
che la rilevanza costituzionale dell’attribuzione è dimostrata, secondo il ricorrente, dal fatto che la stessa non si desume da norme espresse, essendo piuttosto il frutto di una «necessità» stabilita dalla Corte costituzionale, sul piano generale, con la sentenza n. 26 del 1999, e poi concretamente assicurata, mediante il procedimento per reclamo, in seguito ad una decisione delle sezioni unite penali della Corte di cassazione (sentenza n. 25079 del 2003) e ad una successiva pronuncia della stessa Corte costituzionale (sentenza n. 266 del 2009);
che l’indicata attribuzione (conferita, secondo la giurisprudenza richiamata, dagli artt. 2, 3, 24 e 113 Cost.) sarebbe pregiudicata dal provvedimento ministeriale di «non esecuzione» dell’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Roma, che pure espressamente enuncia la lesione di un diritto soggettivo in capo al detenuto reclamante;
che la tutela giurisdizionale dei diritti dei reclusi, costituzionalmente necessaria, sarebbe priva di effettività, ove si riconoscesse all’Amministrazione la possibilità di decidere discrezionalmente se dare esecuzione o non ai provvedimenti del magistrato, e che dunque il provvedimento impugnato, implicando una omissione tale da menomare le attribuzioni del potere confliggente, dovrebbe essere annullato (sono citate le ordinanze della Corte costituzionale nn. 228 e 229 del 1975, n. 354 del 2005, e la sentenza n. 132 del 1993);
che nel merito, sviluppando argomenti già illustrati, il ricorrente afferma che l’impugnato decreto del Ministro della giustizia sarebbe stato adottato in violazione degli artt. 2, 3, 24 e 113 Cost., tanto da determinare in via di fatto, dal punto di vista della tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti, una situazione equivalente a quella che aveva preceduto la pronuncia della Corte costituzionale n. 26 del 1999;
che la stessa Corte costituzionale, ancora di recente, avrebbe negato la possibilità di degradare il provvedimento del magistrato di sorveglianza (assunto in applicazione degli artt. 69 e 14-ter ord. pen.) a mera sollecitazione rivolta verso l’Amministrazione penitenziaria, accreditando una interpretazione del comma 5 dell’art. 69 ord. pen. nel senso che i provvedimenti giudiziali debbono essere eseguiti dall’Autorità penitenziaria (è citata la sentenza n. 266 del 2009);
che non sarebbero accettabili né rilevanti le motivazioni allegate dall’Amministrazione nell’ambito del giudizio principale, secondo cui anche il diritto all’informazione sarebbe suscettibile di compressione per i detenuti sottoposti al regime regolato dall’art. 41-bis ord. pen., e d’altra parte, nella concreta fattispecie, vi sarebbero difficoltà tecniche per l’esecuzione del provvedimento del Magistrato di sorveglianza, che implicherebbe la rimozione di qualunque filtro per le trasmissioni televisive, con riguardo all’intera popolazione carceraria;
che infatti – osserva il ricorrente – gli argomenti in punto di legittimità del decreto di oscuramento del segnale erano già stati valutati e respinti nell’ambito del primo procedimento di reclamo, con provvedimento non impugnato dall’Amministrazione, e comunque non era emersa alcuna prova della trasmissione di messaggi degli spettatori da parte di «Rai Storia» e «Rai Sport» (essendone emerse semmai con riguardo a trasmissioni di «Rai Due», mai filtrate dall’Amministrazione);
che, per altro verso, le pretese difficoltà tecniche per l’osservanza del provvedimento giudiziale sarebbero inesistenti, posto che la visione selettiva delle emittenti de quibus (con esclusione di altre) era regolarmente assicurata prima dell’ordine di inibizione impugnato dal reclamante;
che l’esecuzione del provvedimento giudiziale non sarebbe subordinabile alla limitazione dei relativi effetti in favore del solo reclamante, ed anzi dovrebbe indurre la stessa Amministrazione a rimuovere una illegittima compressione dei diritti anche in favore dei detenuti non reclamanti;
che il decreto impugnato, in definitiva, sarebbe stato assunto al solo scopo di disconoscere l’obbligo di esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali a tutela dei diritti soggettivi dei detenuti, e dovrebbe conseguentemente essere annullato.
Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell’articolo 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte è chiamata a deliberare, senza contraddittorio, in ordine alla esistenza o meno della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», restando impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilità;
che, nel caso di specie, sussistono sia il requisito soggettivo sia quello oggettivo del conflitto;
che infatti, nella prima prospettiva, il ricorrente appare legittimato in quanto organo giurisdizionale in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente, per il procedimento del quale è investito, la volontà del potere cui appartiene (sentenza n. 383 del 1993);
che non è dubbia, in particolare, la natura giurisdizionale della funzione assolta dal magistrato di sorveglianza nell’ambito della procedura di reclamo attualmente regolata dagli artt. 69 e 14-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), relativamente alla denunciata lesione di diritti soggettivi dei detenuti (da ultimo, sentenza n. 190 del 2010);
che parimenti sussiste, nella specie, la legittimazione passiva del Ministro della giustizia, in forza delle attribuzioni direttamente conferitegli dall’art. 110 Cost. in materia di organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, tra i quali sono compresi i servizi pertinenti all’esecuzione delle misure e delle pene detentive (tra le altre, sentenza n. 383 del 1993);
che, proprio in rapporto all’indicata e diretta legittimazione del Ministro della giustizia, deve ritenersi insussistente la legittimazione, prospettata in via di subordine, del Presidente del Consiglio dei ministri, quale organo deputato ad esprimere la volontà dell’intero Governo, relativamente ad attribuzioni non altrimenti assegnate in via esclusiva (sentenza n. 379 del 1992);
che, quanto al profilo oggettivo, sussiste la materia del conflitto, dal momento che il ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita da parte dell’impugnato provvedimento del Ministro della giustizia.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALEdichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Magistrato di sorveglianza di Roma nei confronti del Ministro della giustizia;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Magistrato di sorveglianza di Roma;
b) che, a cura del ricorrente, l’atto introduttivo e la presente ordinanza siano notificati al Ministro della giustizia entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui alla lettera a), per essere successivamente depositati nella cancelleria di questa Corte entro il termine di trenta giorni dalla notificazione, secondo quanto previsto dall’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2012.